di Nicola Parodi e Paolo Repetto, 8 dicembre 2022
Da uno studio durato venticinque anni sui comportamenti dei lupi di Yellowstone (se ne parla in un articolo pubblicato su Le scienze di dicembre) viene fuori un dato particolarmente interessante (e inquietante). Sembra che negli esemplari infettati dal Toxoplasma gondii, un parassita microscopico che predilige incistarsi nel cervello, scatti una maggiore produzione di dopamina e di testosterone: in altri termini, che diminuiscano le inibizioni, il senso del pericolo, e che aumenti l’inclinazione a comportamenti rischiosi e aggressivi. La cosa non vale naturalmente solo per i lupi, ma per tutti gli animali a sangue caldo, quindi ad esempio anche per i topi o per gli scimpanzé, nonché per i nostri animali domestici, segnatamente per i cani (i gatti, in realtà, come tutti gli altri felini, sono ospiti naturali del parassita, quelli in cui avviene la sua riproduzione sessuata: e non sappiamo quanto il loro comportamento ne venga influenzato). Per il momento tuttavia non sono ancora segnalati effetti alla Stephen King.
A volerli cogliere, però, questi effetti potremmo già avvertirli nella più domestica delle specie, quella umana. Il Toxoplasma infatti risulta essere stabilmente presente in un umano su sei, ed aver contattato un umano su due. In genere la coabitazione non causa danni particolari, tranne quando in pazienti già immunocompromessi evolve in Taxoplasmosi e produce encefaliti che possono essere mortali, o quando il protista parassitario infetta un feto durante la gravidanza provocando l’aborto. Ma questi sono effetti già da tempo conosciuti e per fortuna relativamente rari. È invece molto più recente la correlazione individuata tra l’infezione toxoplasmatica e i comportamenti sociali (o, se vogliamo, asociali), nel senso che questi comportamenti hanno poi una ricaduta sulla coesione e sulla stabilità del gruppo e sulla sua gerarchizzazione.
Cerchiamo di spiegarci meglio. Quando parliamo genericamente di animali, gli effetti dell’incistamento del toxoplasma nel cervello sono un aumento del coraggio e dell’aggressività e una diminuzione della paura nei confronti dei predatori. Questo induce a comportamenti più imprudenti, che il più delle volte sono letali, ma che in molti casi offrono maggiori possibilità di scalare le gerarchie del gruppo e di avere più chanches riproduttive. Nel caso dei lupi, ad esempio, un esemplare affetto da toxoplasmosi, e pertanto più aggressivo, ha probabilità cinquanta volte superiori a quelle dei suoi compagni di diventare in capobranco, o di crearsi un branco proprio (lo studio dal quale siamo partiti evidenziava appunto questo).
Nel caso degli umani la correlazione non è stata ancora scientificamente comprovata, ma anche ad uno sguardo superficiale le analogie con i comportamenti degli altri mammiferi sono clamorosamente palesi. Con una differenza, consistente nel fatto che negli altri animali questa correlazione è condizionata e mitigata poi dai fattori ambientali (la presenza ad esempio di molti predatori sfoltisce il numero degli incoscienti, la loro assenza lo moltiplica) mentre tra gli umani è connessa a fattori storici, che creano senz’altro mutamenti ambientali, ma agiscono anche per altre vie, non naturali ma culturali (costumi, credenze, tradizioni, ecc…, cui oggi si aggiungono la mediatizzazione dei rapporti sociali, la medicalizzazione, ecc…).
Ora, la lettura di questo articolo ci ha indotti ad alcune riflessioni che vorremmo sinteticamente proporvi.
- Intanto, avevamo già cominciato a dubitare da un pezzo che l’emersione a livello del gruppo sia correlata ad una qualche affezione mentale, vista la classe politica che ci governa, e non solo a livello italiano. Ma anche negli altri ambiti non sembra andare molto meglio.
- Questo perché, come dice l’articolo, in mancanza di predatori o di altri rischi il comportamento aggressivo o incosciente (quello che normalmente definiamo idiota) può costituire un vantaggio nei meccanismi che generano gerarchie. Tradotto in umanese, se non ci sono norme che puniscono i comportamenti asociali, scorretti o semplicemente idioti, oppure le norme esistono ma il sistema non è in grado di imporne il rispetto (o non lo vuole), il gioco politico diventa sleale, e vince chi si comporta più slealmente. Sarebbe interessante un controllo sulla diffusione del parassita nei cervelli dei politici o nelle classi dominanti anche in altri settori, dall’economia all’informazione: potrebbe fornire molte spiegazioni.
- È sempre stato così? In parte, forse, si. Ma se guardiamo indietro non possiamo ignorare che un tempo il comportamento irregolare, asociale, che pure si risolveva di norma nell’esclusione dal gruppo, quando non direttamente nell’eliminazione, finiva almeno in qualche caso per avvantaggiare personaggi di un certo calibro, esploratori, condottieri, scienziati e, certo, anche grandi malfattori, ma nelle debite proporzioni. Oggi il fatto stesso che la qualifica di “eroe”, un tempo appannaggio di chi andava in positivo oltre la norma del comportamento umano, sia attribuita ai protagonisti degli stadi o dello spettacolo, e che a primeggiare siano non i più coraggiosi ma i più spudorati, coloro che non temono per la propria reputazione, la dice lunga sullo snaturamento del concetto.
- Al di là della condotta delle classi “dominanti” (cui possiamo associare anche quella dei “buffoni di corte”), che sono tali appunto anche, se non soprattutto, per l’effetto toxoplasmatico, quel che inquieta maggiormente è il modello di comportamento “a rischio” (per sé ma principalmente per gli altri) che si va diffondendo a livello di massa. Le statistiche parlano per il nostro paese di una diminuzione della violenza, ma sappiamo come funzionano. Ad esempio, sembra essere diminuito il numero degli omicidi, ma nessuno spiega che un tempo per l’ottanta per cento questi rientravano nelle attività delinquenziali mafiose, erano a carico della criminalità organizzata, a modo loro avevano un senso e uno scopo: mentre oggi la percentuale si è invertita, perché i delinquenti professionali usano altri mezzi, più soft e meno primitivi, per regolare i loro conti o per controllare il territorio, mentre ad esplodere è la violenza privata ed insensata: femminicidi quotidiani, teppismo aggressivo fine a se stesso, reazioni esasperate ad uno sguardo o a una parola di troppo. Nella nuova casistica criminale colpisce soprattutto l’insensatezza, ed è questo probabilmente che enfatizza la percezione della pericolosità.
Come si spiega questa esplosione? Di spiegazioni sociologiche e psicologiche ne sono state date tante, una più complessa dell’altra, mentre quella più semplice ci pare essere stata trascurata. Proviamo dunque a formularla noi.
- Fermo restando che il tasso di infetti dal toxoplasma sia rimasto uguale nel tempo, almeno negli ultimi cento anni, i danni che il parassita produce sono aumentati in maniera esponenziale. Perché nel frattempo è cambiato l’ambiente nel quale si incista, e per ambiente intendo evidentemente il cervello. I motivi per cui ciò accade sono svariati:
- Intanto, c’è stata una progressiva e generalizzata caduta delle difese immunitarie mentali, messe sotto attacco dalla colonizzazione mediatica. L’effetto delle dosi massicce di violenza verbale e visiva inoculate per via televisiva, informatica o cinematografica è quello di una sempre maggiore confusione e sovrapposizione tra la realtà e la dimensione virtuale. E violenza non è solo la brutalità, ma lo sono anche la stupidità, l’arroganza, l’inciviltà nei comportamenti che questi mezzi contrabbandano.
- Nell’ultimissimo periodo il crollo è stato accelerato da una serie di circostanze destabilizzanti; la pandemia, col suo corollario di vaccini e no-vaccini e bare ammucchiate sui camion e lockdown; l’emergenza ambientale, che si porta dietro oltre le siccità e i fenomeni meteorologici estremi anche la sensazione di una fine imminente per l’umanità; la crisi politica, con la guerra che è ricomparsa in Europa dopo ottant’anni; la crisi economica, che si direbbe aver imboccato una strada di non ritorno. Par di vedere i neuroni che di fronte ad una serie ininterrotta di scariche adrenaliniche ad alta intensità si arrendono totalmente scoraggiati.
- Questo, naturalmente, là dove i neuroni ancora ci sono. Non so se ci sia stata una diminuzione della capacità cerebrale (sembra di si), ma per certo negli ultimi centomila anni il volume utile della nostra scatola cranica non è aumentato. Sono invece aumentati gli acceleratori (o gli inibitori) artificiali del movimento neuronale: si consumano certamente più coca o erba o stimolanti o “equilibratori” di vario tipo che pomodori o zucchine, e questi additivi fanno strage di una popolazione neuronale già assottigliata per i motivi di cui sopra.
- Ecco allora che in un ambiente così degradato, in qualche caso quasi deserto, dal quale sono spariti tutti i cartelli indicatori e i segnali di divieto, il Toxoplasma ha piena libertà d’azione. Può schiavizzare i pochi neuroni che vagano disorientati e imprimere loro velocità e direzioni assurde. In questo modo i comportamenti incauti o irresponsabili o prevaricatori si moltiplicano: e se nel primo caso (esemplificato dal ricorrere periodico di mode demenziali, quali quelle del salto dal balcone o del pisolino sulle rotaie o in mezzo alle autostrade) la strategia del parassita è perdente, perché colpisce solo il suo veicolo, negli altri ha un effetto moltiplicatore, anche in assenza di una trasmissibilità genetica: il comportamento toxoplasmatico, infatti, produce una reazione mimetica anche in individui non infetti, segnatamente in quelli nei quali è già presente una forte disposizione all’irresponsabilità.

Come si è potuto verificare con lo studio sui lupi, il Toxoplasma non solo influenza le gerarchie del gruppo ma ne favorisce anche la dispersione, arrivando in questo modo a condizionare gli equilibri e le dinamiche di interi ecosistemi. Lo stesso accade rispetto alle interazioni sociali umane, e tanto rispetto all’ambiente naturale che a quello culturale. Il problema è che mentre nel caso dei lupi la diffusione dell’infezione sembra incontrare un tetto naturale (i lupi di Yellowstone si infettano mangiando le carcasse dei puma, che sono gli ospiti naturali del parassita, e la diminuzione di questi ultimi, causata anche dalla concorrenza predatoria su uno stesso territorio proprio con i lupi, fa diminuire le possibilità di infezione), nel caso degli umani la tendenza all’aggressività e alla irragionevolezza, Toxoplasmosi o no, non sembra trovare ostacoli o limiti. Questo perché sono saltati i meccanismi sociali di controllo del comportamento individuale, quello della “reputazione”, che funzionava informalmente all’interno del piccolo gruppo, ma anche quelli formalizzati in normative e leggi. Non sono allo sbando solo i neuroni dei singoli infetti, lo siamo tutti quanti.
Adesso però occorre fare sì che i risultati dello studio non vengano diffusi troppo (un rischio che col nostro sito non si corre). Ci sono genitori che per assicurare alla loro progenie uno spirito fortemente competitivo farebbero dormire i gatti nella culla coi neonati. Ma soprattutto sarebbe una pacchia per gli avvocati difensori: avrebbero a disposizione l’attenuante ideale per la miriade di sciagurati, tra uxoricidi, parricidi, teppisti da discoteca e altra varia disumanità, che sta intasando i nostri tribunali.
C’è in definitiva qualche speranza di contenere gli effetti del Toxoplasma triumphans? Ben poche, a quanto è dato vedere: e affidate più alla fantascienza che al buon senso. In America sono stati ritrovati i resti del Panmthera atrox, un felino di due quintali, estintosi dodicimila anni fa, nella cui dieta i lupi erano un piatto forte. Con le nuove tecniche bioingenieristiche dal suo DNA si potrebbe farne rivivere qualche esemplare, come in Jurassik Park, e castigare gli eccessi lupeschi di audacia.
A noi umani sarebbe però sufficiente ritrovare e riesumare i resti di Hammurabi, molto più recenti. O anche, più semplicemente, qualche articolo del suo codice. Ce ne sono un paio che per scoraggiare la propensione al comportamento antisociale risulterebbero molto efficaci.








“Per molti la medicina rischia di essere peggiore della malattia.” Lo penso ancora e questo è vero specialmente se si considerano i devastanti effetti delle chiusure generalizzate. Vorrei precisare una cosa però: non dobbiamo pensare che esista una mutua esclusione tra decidere di salvare l’economia o di salvare delle vite umane, né che queste siano le uniche due possibilità. Se, come sembra, questa pandemia ci accompagnerà per chissà quanto tempo ancora, dobbiamo trovare un’alternativa valida alla chiusura come unico mezzo per combattere la diffusione del virus. Non sono un medico né faccio parte del famoso comitato tecnico scientifico in qualità di “esperto”, ma mi rifiuto di credere che l’unica via sia quelle delle chiusure: vorrei semplicemente che si investisse di più nella ricerca di alternative, potenziando la sanità e al contempo elaborando dei protocolli affinché le attività possano riaprire in sicurezza. Badate, non è una questione puramente economica, è una questione di dignità: il mio lavoro mi ha salvato in questa pandemia, perché mi ha dato uno scopo, dei compiti e delle attività da svolgere quando tutto intorno era fermo e non si vedeva una via di uscita. Posso ritenermi molto fortunato, ma non è stato così per tutti purtroppo: chiudere un’attività non significa solamente togliere una fonte di sostentamento economico a chi su quell’attività campa (e non venitemi a parlare dei ridicoli indennizzi statali, buoni solo a far del debito), ma anche privare la vita di quelle persone di un pezzo importante del loro essere, perché quando sentiamo dire che “il lavoro nobilita l’uomo” è dannatamente vero.
“Tutti i cittadini devono rispettare le regole (leggi) dello Stato






È il caso della presenza fra gli oltre 100 mila morti italiani per Covid 19 di Ziad Zawaideh, mio medico per 35 anni. Ha contratto il virus pochi mesi dopo essere andato in pensione, e gli si è arreso solo dopo un lungo ricovero. Ho avuto altri amici e conoscenti portati via da questo morbo, ma la sua assenza mi tocca in modo particolare. Non che fossimo amici, ma era la persona sempre sorridente che mi accoglieva durante le rare mie visite nel suo ambulatorio, e con la quale scambiavo qualche battuta sulla disarmante realtà ambientale ovadese o sulla situazione del medio orientale, da dove proveniva. Ho una gran nostalgia di quel riso benevolo e della forte stretta di mano con cui ci accomiatavamo.
Viaggiare in aereo non significa saperlo guidare. Noi siamo in una condizione simile: usiamo il mezzo, ma non ne sappiamo quasi nulla, poiché non è interesse di chi lo costruisce istruirci su come evitare pericoli, su come evitare un eccessivo coinvolgimento e su come usarlo al meglio. Al produttore interessa solo che se ne faccia un uso massiccio. Soprattutto importa che si diventi dipendenti dal suo specifico prodotto, per evitare la trasmigrazione verso i concorrenti, e quindi offre semplificazioni e comodità a cui difficilmente sappiamo resistere. Siamo impigliati in una rete che sembra promettere libertà, ma che in realtà ingabbia tutto il nostro pensiero.





Per Donald Trump sono “persone che amano il nostro paese”. Per l’Fbi è una potenziale minaccia terroristica interna. E per chiunque altro abbia usato Facebook negli ultimi mesi potrebbe essere semplicemente un amico o un familiare che ha mostrato preoccupanti segnali d’interesse per il traffico di bambini messo in piedi da una “congrega” di devoti a satana o per teorie del complotto su Bill Gates e sul covid-19.



Quello di Hughes, che morì nel 1998, non è l’unico nome illustre della letteratura inglese identificato dalla British Library come beneficiario dei proventi della schiavitù attraverso parenti lontani: nella lista ci sono anche Lord Byron, Oscar Wilde e George Orwell. Tra gli intenti dell’istituzione, diventare “attivamente antirazzisti” fornendo un contesto alla memoria di personaggi storici sulla scia del movimento Black Lives Matter.


Dunque, una semplice passeggiata, ma con sorpresa: i ruderi di Villa Garrone, ben nascosti nella fitta boscaglia che la circonda. Tu la hai già 

Amo sempre di più la natura con tutte le sue possenti, maestose manifestazioni. Vorrei fotografare le eruzioni vulcaniche, i tornado, le tempeste, non per il gusto del catastrofico né per sentirmi onnipotente e sfidare la sorte (non ne ho più l’età da tempo!), ma solo per il fascino che provo di fronte ad eventi inconsapevoli, casuali, non voluti né creati, senza nessuna volontà di violenza, di crudeltà, di sopraffazione, di istinto sadico ed omicida. Forse per contrapposizione al fatto che nelle azioni umane tutti questi elementi sono ben presenti se non predominanti.
Non ce lo siamo inventato noi (magari così fosse! Faremmo più soldi di Zuckerberg). No, esiste davvero, e non è un elaboratore di piccoli quotidiani decreti ministeriali sulle misure di contenimento della pandemia (anche se, un qualche sospetto che qualcosa del genere esista … ), ma un oggetto molto meno sofisticato, la cui storia è ormai più che millenaria e la cui efficacia parrebbe testimoniata da una miriade di ex-voto: uno strumento che ridona la salute mentale. 
