Utopia a 66°33’

di Stefano Gandolfi, Norvegia, agosto 1992; Alessandria 12 settembre 1997

O.K. lo so, era un non-luogo, un vero classico non-luogo, quello al quale ci stavamo avvicinando con sentimenti contrastanti: io, sempre più inquieto ed eccitato, ero ormai da vari minuti assorto nei miei pensieri; Antonio, riservato e silenzioso, stava senz’altro anche lui elaborando il “suo” approccio emotivo alla meta; Augusta, logica, razionale e meno problematica cominciava lentamente ad agitarsi subodorando la fregatura estetico-paesaggistica in agguato; Katia, in un’altra dimensione, dormiva.

Certo, doveva essere un non-luogo, e non sai mai cosa aspettarti da un non-luogo…

Da due giorni avevamo lasciato Trondheim e la regione dei fiordi, il sud della Norvegia più popoloso e più dolce, psicologicamente più rassicurante con le sue città ed il suo tessuto urbano più esteso.

Dopo Trondheim cambiò tutto.

La E6, la mitica strada che collega Oslo a Capo Nord, costituiva l’unico legame con la civiltà tecnologica: i pochi paesini disseminati lungo di essa, spesso minuscoli e distanziati anche di decine di chilometri, ti strappavano un sospiro di sollievo e un sollecito rabbocco di benzina.

Questo interminabile rettilineo nastro d’asfalto taglia per centinaia di chilometri grandi foreste di conifere e di betulle, inizialmente bellissime e mozzafiato, poi sempre più inquietanti: anche ciò che è grande, esteso, troppo grande, troppo esteso, diventa un non-luogo, perché ti vengono a mancare i punti di riferimento, i parametri per poterne prendere le misure e rapportarli ai piccoli spazi della tua vita quotidiana; l’immensità è un non-luogo, un’utopia, e la piccola e limitata mente umana a un certo punto ne richiede un limite, una via d’uscita … oppure lentamente, impercettibilmente, il viaggiatore si lascia vincere, dominare, senza chiedere risposta, cercando l’abbraccio protettivo dell’infinito.

Viaggiavamo, dunque, da due giorni.

Rare, maestose Volvo Polar station-wagon ci incrociavano ogni due-tre ore salutandoci con i loro fari anabbaglianti perennemente accesi, anche di giorno[1]: davano l’impressione di poter viaggiare anche da sole, senza bisogno di controllo umano, e d’altra parte l’uomo è una presenza insignificante, in questi luoghi…

Da alcune ore il paesaggio, gradualmente, stava cambiando: le grandi foreste stavano scomparendo, una vegetazione sempre più brulla e rada ne stava prendendo il posto; un’altra varietà di infinito, un altro non-luogo si stava materializzando quando mi resi conto che da alcune decine di chilometri stavo guidando in un immenso altopiano roccioso quasi lunare, senza vegetazione, libero, da ogni parte, all’orizzonte.

Una pioggia fine, fastidiosa, veniva sbattuta dal vento contro i tergicristalli.

Arrivammo, non so come e quando, arrivammo e ci fermammo: un cippo, un mappamondo stilizzato, una incredibile, improbabile caffetteria stile stazione lunare alla “2001 Odissea nello spazio”, pochi turisti, camionisti e viaggiatori accigliati e infreddoliti: tutto stava lì a dimostrarci che eravamo a 66 gradi e 33 primi di latitudine nord, al Circolo Polare Artico.

Katia bevve un caffè, Antonio, diligentemente, documentò l’evento con una serie di fotografie. Augusta, rassegnata e senza parole, rabbrividiva per il freddo e per l’atrocità materiale del posto.

Io, come sempre in queste situazioni, rimasi completamente in trance, per alcuni minuti estraniato da tutti, guatando, respirando, assimilando l’essenza del posto: un’utopia, un luogo dello spirito, un non-luogo! Ero contento, potevamo proseguire, attrezzati eternauti.

Vedemmo un ragazzo tedesco, un turista? un camionista? E gli chiedemmo di farci una foto ricordo davanti alla stazione lunare. Seimila chilometri e mille anni dopo, facendo sviluppare il rullino, capimmo che lo sconosciuto compagno di viaggio aveva alimentato il suo spirito con lo spirito: la foto era mossa!

Quale migliore ricordo di quattro fantasmi in un luogo di fantasmi?

[1] la cosa appariva strana in quanto all’epoca in Italia non era ancora in vigore l’obbligo di accendere i fari anche di giorno,

Utopia a 66 gradi e 33 primi 02

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