Reazionario controvoglia

di Paolo Repetto, 30 dicembre 2013

“Reazionario”, controvoglia o no, è un epiteto spregiativo. Da almeno due secoli marchia la posizione concettuale di chi oppone un totale rifiuto alla storia. …

Reazionario controvoglia

“Reazionario”, controvoglia o no, è un epiteto spregiativo. Da almeno due secoli marchia la posizione concettuale di chi oppone un totale rifiuto alla storia. Quello del reazionario infatti nemmeno rientra nella scala dei possibili atteggiamenti “interni” alla storia stessa, che si dispiegano per coppie di opposti, conservatore-rivoluzionario agli estremi, moderato-progressista al centro, spaziando dalla semiimmobilità all’accelerazione veloce, ma sono tutti pur sempre accomunati dalla “necessità” di una progressione verso il futuro. Il reazionario si pone invece fuori …

Credenti pensosi e increduli pensanti

L’altra sera ho partecipato ad un incontro con Duccio Demetrio. Il tema era intrigante: in cosa credono quelli che non credono. Demetrio portava la testimonianza di un non credente in un contesto, un convegno teologico che si svolgeva in un auditorium parrocchiale, dove tutti (tranne il sottoscritto) erano credenti. L’intervento di Demetrio mi è piaciuto. Lui è una persona distinta, ha una figura elegante e slanciata, folti capelli candidi che incorniciano un volto tirato ed ieratico. Usa un eloquio raffinato ma semplice, scandisce perfettamente le parole e i periodi, e tuttavia non risulta né freddo né distaccato. Se avete letto la sua “Filosofia del camminare” riconoscerete perfettamente lo stile. Parla come scrive. Non entusiasma, ma convince …

E il povero Abele?

Quasi mezzo secolo fa, negli “anni formidabili” in cui la mia generazione giocava a cambiare il mondo senza accorgersi che il mondo era già cambiato da un pezzo, per conto suo e nella direzione opposta, io ero molto impegnato a verificare le possibilità di una rappresentazione terrena di quel sogno: ma avevo anche già imparato a prendermi intervalli di istruttiva ricreazione. Avevo ad esempio scoperto che per capire qualcosa della vita era più utile frequentare le aule dei tribunali (come spettatore, naturalmente) che quelle universitarie, e che il banco degli imputati era un’ottima cartina di tornasole per ogni laboratorio di chimica sociale. Seguivo, al palazzo di giustizia di Genova, nelle pause tra un esame e un’assemblea e quando il lavoro part-time me lo consentiva, le cause più clamorose o le vicende più bizzarre. Un giorno mi trovai ad assistere ad un processo che vedeva alla sbarra un magnaccia di mezza tacca, accusato di aver ucciso a coltellate la convivente nei bagni di un cinema ….

Sul buon uso dei gatti (e delle illusioni)

L’idea di cacciare un gatto dentro un simile marchingegno poteva venire solo al Vil Coyote o ad un Nobel austriaco. Capisco che si tratti di un paradosso, e che il buon Schrödinger voleva solo dimostrare come nello stesso istante una particella elementare possa trovarsi in posizioni diverse e possedere una diversa quantità d’energia, per cui a livello di quanti le leggi classiche non reggono: ma anche i paradossi andrebbero trattati con un po’ di serietà (soprattutto se si dicono queste cose nel 1935, e c’è il rischio che qualche connazionale le prenda sul serio, e tenti l’esperimento su scala industriale, magari non con i gatti) …

Ma che razza (…)

Salto su tossendo, gli occhi pieni di lacrime. Sono le nove del mattino, sto sdraiato sul greto del Piota e a pochi passi di distanza qualcuno ha cominciato ad arrostire delle salsicce. La brezza diffonde per un raggio di venti metri il fumo della carbonella, aromatizzato al rosmarino. Sono già abbastanza stagionato, non voglio farmi anche affumicare. Chi va al fiume di primo mattino in genere ha poca simpatia per i suffumigi. Se ha scelto quell’ora è perché preferisce un bagno nell’acqua fresca e pulita a quello nella folla, vuol fare quattro bracciate evitando collisioni con nugoli di bambini e amerebbe rosolarsi per un’oretta non allo spiedo ma ai primi raggi solari, cullato dai suoni del vento o della corrente …

I regali di un tempo

Avevo già incontrato Patrick Leigh Fermor a dieci anni, ma senza riconoscerlo. Ho dovuto quindi attendere mezzo secolo prima di ritrovarlo. Quella prima volta non lo riconobbi perché il film che le sue gesta avevano ispirato era modesto, la trama appariva improbabile e l’interprete, Dirk Bogarde, non mi era simpatico. Questo l’ho capito dopo, naturalmente, quando Leigh Fermor l’ho incontrato davvero: all’epoca non avevo memorizzato nemmeno il nome. Il film si intitolava “Colpo di mano a Creta”. Apparteneva ad un genere “bellico” che andava per la maggiore alla metà degli anni cinquanta, giusto un decennio dopo la fine del conflitto, quando la gente aveva ormai digerito la paura, i reduci più o meno riadattati alla vita borghese avevano voglia di rivedersi in azione (e magari di far partecipi i figli di quel che avevano vissuto) e soprattutto i vincitori cominciavano a girarla in “epica”, profittando tra l’altro della marea di residuati, navi, aerei, carri armati, divise che si trovavano tra le scatole e che non sapevano come smaltire …