Ma perché non me ne sto a casa, a volte?

Cronaca di un viaggetto dicembrino (con 14 foto dell’autore)

di Vittorio Righini, 6 gennaio 2024

Una domanda tipo ‘‘che ci faccio qui’’, enunciata da un famoso scrittore, fa il paio con ‘‘cosa sto a casa a fare, accidenti’’. Cosa caspita ci faccio a casa a menarmela in questi mesi gelidi? perché non faccio un viaggetto, breve ed economico, certo; mia moglie non ha nulla in contrario e lei lavora ancora, non è in pensione come me, i figli sono autonomi, quindi perché non andare? mi consenta, come diceva il Cavaliere.

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La parte più bella del viaggio è l’idea. Poi segue la preparazione, che comprende la consultazione dello scibile informatico che ormai è alla portata di tutti. Però, attenzione: se ci basiamo su quello che leggiamo oggi sul web rischiamo cocenti delusioni, errori, imperfezioni varie, superficialità e ogni altro tipo di banalità. Se ci appoggiamo ai libri, come faccio spesso io, anche libri come si deve, beh, siamo obsoleti, perché probabilmente ci presentano situazioni che nulla hanno a che vedere col presente (io leggo spesso libri non proprio recenti, su certe destinazioni almeno).

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L’ho fatto di recente con un brevissimo viaggio dicembrino; sono andato fino all’isola di Madeira, cinque ore di aereo con scalo a Lisbona, con la scomodissima e tremenda compagnia low cost che non nomino per evitare ripercussioni, che sì, ti fa spendere poco, ma ti tratta come bestiame. Ci hanno imbarcato delle hostess con alti stivaloni in pelle nera e frustini di bambù, guai a sgarrare nella fila. Ci hanno fatto fare il check, poi ci hanno ammassati in un tunnel in piedi per venti minuti, ad aspettare la pulizia dell’aeromobile e il rifornimento (non potevamo stare seduti al gate, dovevano liberare l’area per il volo successivo, ci hanno spiegato, spaziren!); ci hanno pregato di non fumare per via del rifornimento (ho mai visto nessuno fumare nel tunnel in vita mia, bah …) e naturalmente prima di salire misuravano i bagagli col calibro, e quelli che sgarravano pagavano una cifra extra generalmente superiore al costo del viaggio. Io mi muovo con una sportina morbida con dentro uno spazzolino, il dentifricio, due mutande e due calzini, e finora l’ho scampata. I libri li tengo sotto il braccio, la fotocamera al collo, addosso ho maglietta+polo+felpa+gilet+giaccone, e quando entro, come la cipolla, mi spoglio.

Madeira è nell’oceano Atlantico, a nord dell’Equatore, a ovest del Meridiano di Greenwich. Più a nord delle Canarie, gode di un clima temperato, difficile scendere in dicembre sotto i 15°, difficile salire oltre i 22°. In linea d’aria è all’altezza circa della bellissima città marocchina di Essaouira, 400km. a est.

Eppure, avevo trovato, nello stesso mese negli anni scorsi, un clima molto più gradevole alle Isole Azzorre, ma anche a Tenerife, nelle Canarie. Forse è solo un caso, devo essere capitato qui in alcuni giorni in cui il vento si faceva sentire e il clima non era quello così invitante che l’isola solitamente offre, mentre il sole era velato sempre da uno strato di nubi.

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Non avendo idea delle temperature che mi attendevano, avevo già stabilito di affittare uno scooter, ma non la sera dell’arrivo. Era tardi, avrei aspettato il giorno dopo e avrei ritirato lo scooter sul lungomare in tarda mattinata, dopo una bella dormita. Perché cinque ore di aereo, il viaggio da casa alla Malpensa, l’attesa in aeroporto e poi allo scalo sono comunque tempi lunghi, noiosi e sfiancanti, e ti salvi con un libro, uno spuntino, ma viaggi quasi un giorno nelle ore diurne; e quando arrivi ti prendi un bel taxi, e tranquillo ti fai portare nel bed & breakfast che hai scelto sulla collina di Funchal, e il premio è una splendida vista della baia. Si, ma 38 euro di taxi per fare 14 km. non li spendi neanche a Milano nell’ora di punta, per cui comincio già a incazzarmi. Grazie al fuso orario che mi fa guadagnare un’ora, arrivo al B&B in un orario decente per cenare. Chiedo alle gentile ostessa, che mi indirizza al “Rustico”, una vicina trattoria, e ben felice mi incammino: sono solo cinquecento metri, mi dice. Il problema è che se vado a sinistra scendo a precipizio verso il porto e il centro, e ci sono oltre due chilometri, se salgo a destra ho cinquecento metri di salita semplicemente folle, tanto è ripida (scoprirò il giorno dopo, dal frastuono, che il mio B&B è sul percorso dei carretti a ruote in paglia che esperti guidatori locali precipitano giù da Monte verso il porto, con sopra turisti scesi dalla nave da crociera di turno e arrivati fin lassù con la funivia che parte dal porto e sale a Monte).

Se volete andare a Funchal prenotate sul lungomare, fidatevi.

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Comunque, fatti i cinquecento metri verticali fino alla trattoria Rustico, entro col respiro affannato, il cuore a mille (non sono allenato in questi ultimi tempi) e, data l’ora, chiedo se posso cenare; nessun problema, sono gentili, mi accomodo. Ordino un polpo con salsa. Spiego loro di mettere poca o nessuna salsa, solo di portarmi un morbido polpo e basta, e una birra locale, con un pezzo di limone dentro. Stramazzo sulla sedia in legno e sul vecchio e rustico tavolaccio, tanto sono rimasto solo io a quell’ora. Dopo poco, mi arriva la prima birra che prosciugo con lo sguardo … poi arriva il polpo. Una bestia da almeno un chilo, tutto intero con la testa, eviscerato, ovvio. Una piovra. Morta affogata in tre dita di olio e centinaia di verdure varie sminuzzate. Mi impongo e mi faccio portare un grande piatto pulito, dove, dopo ampia scolatura, depongo la bestia, e me lo mangio tutto, ma proprio tutto. Non so il sugo che gusto avesse, io mi sono goduto solo la bestia. Pago una sciocchezza, e mi riavvio verso il B&B, ma ora la strada è in discesa, e la birra aiuta, scendo che neanche Messner al campo 1 dell’Everest … Svengo semivestito nel letto e faccio una dormita colossale, con sogni che riguardano Cassin, Shipton e Bonatti e io ultimo in cordata sulla parete nord dell’Eiger.

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La mattina mi alzo con calma, scendo a fare colazione nel gradevole giardino del B&B, in mezzo a fiori e piante di ogni genere, simpatici canarini in gabbia, e stranieri vari che hanno già sbafato il 90% del cibo disponibile, ma a me va bene così (io fuori casa a colazione prendo un caffè e una brioche, se a casa un caffè e un pezzo di focaccia), quindi mi comporto in modo sobrio (dopo la piovra, ci mancherebbe, direte voi), ma la gentile titolare del B&B si preoccupa per il mio scarso appetito. La tranquillizzo, e mi avvio al lungomare, a ritirare lo scooter. Sono due chilometri e mezzo, in discesa, tipo KL, il kilometro lanciato a Cervinia. Riesco ad arrivare in fondo senza cadere ma ho le ginocchia che fanno giacomo-giacomo, per usare un vecchio modo dire. Quando, finalmente, ritiro la Honda 125 PCX, mi sembra di essere Tony Cairoli che parte in un MXGP di quelli vittoriosi. Mi avvio verso il B&B, per recuperare la fotocamera e partire per un giretto nell’entroterra, e mi perdo … Sì, perché la via del mio B&B è a senso unico in discesa, è lunga più di due chilometri e mezzo e io non riesco a capire come fare a salire e provo a intersecare da diversi lati, niente, non riesco. Credetemi, non sono scemo completo, ma è veramente complicato, soprattutto a causa di una quattro corsie che attraversa la collina e ti disorienta completamente. Lo so che è difficile da credere, ma spero che capiti anche a voi, così vi renderete conto che la viabilità in quell’area è estremamente laboriosa. Non ho mappe cartacee, l’unica è il GPS sul cellulare, ma non ho un posto dove fissarlo sul manubrio, allora mi fermo in continuazione. Dopo mezz’ora, leggendo Google Maps, mi accorgo che parallela alla mia via che scende (Camino do Monte), ce n’è una che sale (Combojo). Logico, penserete voi. La imbocco, due chilometri e otto di rampa verticale senza curve, lo scooter (125cc lui, 95 kg io) arriva in cima con l’ultimo hp residuo, svalico verso destra (all’altezza dell’ormai noto Rustico) poi scendo cinquecento metri e sono al B&B.

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Recupero le mie cose e parto per una visita dell’interno, che presenta la salita totale al Monte, poi fino a Riberio Frio (Torrente Freddo), salgo a 1400, scendo a 900 mt., sono mezzo congelato e mi fermo in un bar. A fianco uno shop da turisti che vende maglioni tradizionali portoghesi in lana, pesanti e poco costosi. Sono tentato ma il proprietario è talmente stronzo che mi dico: al diavolo, piuttosto che darti soldi resisto fino al mare della costa nord, e così faccio, perché in meno di dieci chilometri sono sulla costa, dove il clima torna gradevole. Questa zona, Faial, Santana, Porto da Cruz, non è nulla di che, e riparto in direzione di Machico, sulla costa sud, poco distante dall’aeroporto. Anche Machico non è assolutamente nulla di che, in particolare una bellissima (!?!) spiaggia di sabbia finissima (portata con le navi dal Sahara) dove alcuni bagnanti sguazzano nell’acqua bassa. Suppongo siano lapponio inuit, perché io quando parcheggio lo scooter mi tolgo il Barbour, la felpa e, rimasto con la polo maniche lunghe, rimetto subito la felpa perché non trovo che faccia così caldo. Mi fermo a mangiare in un posto dove fanno un piatto di lapas (patelle di mare) che è la specialità locale; buone, ma non rifarei cinque ore di volo per mangiarle. Buone invece le vongole, da mangiare in zuppetta, una delle poche cose digeribili che ho gustato.

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Rientro nel tardo pomeriggio al B&B e mi concedo un the caldo (buono, lo producono sull’isola oppure lo importano dalle Azzorre; le Azzorre sempre Portogallo sono). A cena al Rustico, prendo uno stufato di carne di vacca (meglio la fassona ma non voglio fare troppo il difficile, se era per mangiare piemontese potevo restare a casa, che diamine). Assaggio il vino locale ma torno alla birra, ottima, leggera e fresca. Mi propongono una bottiglia di Mateus rosè, che ho bevuto l’ultima volta nel 1974 in Italia per la cena della maturità, ma rifiuto categoricamente. Stavolta segue una bella e sana dormita, senza sognare scalate o passeggiate improbabili, con la finestra aperta e una temperatura ideale.

Al mattino mi sveglia un fischio tremendo e intensissimo: è una delle tante navi da crociera che richiama il gregge al reimbarco. Li mando solennemente a fare in quattro, mi lavo e faccio la solita colazione. La gentile oste, slovacca di origine, taglia 54 (potremmo scambiarci i vestiti, se non fosse donna) si preoccupa di nuovo della mia modesta colazione, e le spiego che in Italia (non è vero) non si usa fare colazione, anzi è segno di arretratezza e miseria, le persone à la page bevono al massimo un caffè. Intanto di italiani non ce ne sono intorno, così spero che lei non mi rompa più le palle con ‘sta storia della colazione. Mi avvio verso Camarados Lobos, che forse è il posto che ho gradito di più, sebbene parecchio turistico. Una bella baia, colorata di barche da pesca, ben protetta dai marosi, con una bella statua di Churchill che dipinge uno dei suoi quadri in tarda età (in effetti Churchill si fermò dieci giorni all’hotel Reids, e oggi quella zona la chiamano anche Churchill’s bay). Pranzo molto male in un ristorante osannato da Trip Advisor (altro luogo comune da evitare), e parto poi per una gita sulla costa sud, rocciosa, alta e spesso lontana dal mare, priva di località particolarmente interessanti.

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Il terzo ed ultimo giorno lo dedico alla visita di Funchal, la capitale, complice una fine pioggerellina, quella che io chiamo confidenzialmente pioviggine, che non disturba poi più di tanto, finche non rientri e ti accorgi che sei bagnato fino al midollo. La città mantiene qualche angolo ancora interessante, ma quello che ho visto non mi ha entusiasmato. Come d’abitudine visito il mercato del pesce, interessante più per la quantità che per la varietà, e finalmente pranzo come si deve al ristorante del mercato Peixaira No Mercado, dove ad uno splendido seviche di branzino segue un ottimo pesce alla griglia (una dorada, mi pare), e finalmente bevo due bicchieri di vino bianco… edibile! Una passeggiata sul lungomare (davvero lungo) nella zona del porto, ma evito accuratamente il Museo dedicato a Cristiano Ronaldo. Anche l’aeroporto si chiama così, ma quello non posso evitarlo e, dato il maltempo, rinuncio a fare una corsa andata e ritorno con la funivia (la teleferica), perché le nuvole sono basse, e fotografare dall’alto è improbabile. Salto la cena, per paura di guastare il primo pranzo buono del viaggio.

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Il giorno dopo arrivo con largo anticipo in aeroporto, questa volta con l’autobus, cinque euro a tratta: se fossi stato più attento l’avrei scoperto anche all’andata. Il fatto di arrivare molto prima in aeroporto a voi non dirà nulla, invece per me significa che ne ho le palle piene e non vedo l’ora di rientrare. Ma perché? perché questo viaggio non mi è piaciuto, come avrete notato.

L’isola, dal punto di vista panoramico, è bella; ci sono dei punti, detti miradouro, che consentono delle viste spettacolari su vallette nascoste e sulle frastagliate catene montuose del centro dell’isola, che raggiungono anche i 1820 metri col Pico Ruivo. Grandi panorami sull’oceano, che poi, visto uno, visti tutti. Le strade sono in ordine, l’asfalto è sicuro e lo scooter il mezzo ideale per girare l’isola, che è 60 km. circa di lunghezza e 25 di larghezza. E poi niente altro; se vi piacciono i fiori, direi che il Jardim Botanico è bello, proprio vicino al B&B dove ero io, ma io non sono un gran cultore. Se vi piace fare trekking, bello tosto si intende, ci sono vari sentieri estremamente ripidi da seguire, e anche in questo caso non sono un cultore. Se vi piace la cucina, e di questa sono invece un cultore, restate pure a casa; anche perché la cucina portoghese continentale è un’altra cosa. Qui è tutto stracotto, stracondito, unto e bisunto. Per quanto riguarda i musei, l’unico per me interessante è il “Universo de Memórias João Carlos Abreu”; Abreu, poeta e scrittore, ha donato circa 14.000 oggetti di ogni genere a Madeira, raccolti nella sua lunga vita e nei suoi viaggi, e ci sono delle stanze veramente interessanti, sarebbe piaciuto molto anche a Paolo e agli assidui frequentatori dei mercatini dell’antiquariato.

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La cosa peggiore è che su tutta la costa sud ci sono decine di migliaia di ville, villoni e villette, appartamenti, loft, mansarde, più o meno grandi. La maggior parte è di proprietà di europei (alcuni sono portoghesi, ma soprattutto domina il centro-nord europeo) che le occupano pochi mesi l’anno. Queste seconde case hanno creato un’atmosfera da turismo totale, e i prezzi ne hanno risentito. Nelle Azzorre, sempre isole portoghesi ma più a nord, si trova ancora la tranquillità del villaggio di pescatori o di contadini, senza troppe contaminazioni, con gente più calma e paziente, e consiglio mille volte le Azzorre rispetto a Madeira.

Il problema delle Azzorre è che sono tante isole (9), quasi tutte distanti una dall’altra, non facilmente raggiungibili. Se c’è vento forte, l’aereo non parte da Lisbona, difficile atterrare in quei piccoli ed esposti aeroporti. Però se vi capita andateci, magari partendo da Horta, poi Pico infine Ponta Delgada, e vi assicuro che non ve ne pentirete.

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Ecco perché mi faccio la domanda del titolo: perché non me ne sto a casa, a volte? ora devo pentirmi e espiare, soprattutto pensando che in Sicilia, in quei giorni, c’erano 18/20 gradi e io in Sicilia vado sempre molto molto volentieri, magari a Catania, a farmi un giretto intorno alla Muntagna.

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