Ariette 18.0: Che cosa resta

di Maurizio Castellaro, 28 agosto 2023

Le “ariette” che postiamo dovrebbero essere, negli intenti del loro estensore, «un contrappunto leggero e ironico alle corpose riflessioni pubblicate di solito sul sito. Un modo per dare un piccolo contributo “laterale” al discorso». (n.d.r).

È arrivato tardi, ma non troppo tardi, il mio viaggio in Grecia. Alcuni pezzetti del puzzle della mia frammentata cultura sono andati a posto, si incomincia a intravedere un quadro d’insieme in grado di resistere meglio agli scrolloni. Ma cosa resta, oltre alle scoperte non così scontate che i greci sono i nostri fratelli maggiori, e che nella nostra storia abbiamo avuto non una ma due superpotenze globali, prima Roma, e poi la grande Venezia? Dodona, Delfi, Corinto, Tebe, Micene, Termopili, il palazzo di Nestore, l’Acropoli, l’Agora, l’Accademia. Pietre, terraingrata, polvere, perimetri incomprensibili, ecco quello che ho visto. Ma sono quelle pietre, quella terra ingrata, quella polvere, quei perimetri. Tutto ciò che sono stati realmente non esiste più da millenni (erano rovine mute già per i romani distruttori del II secolo A.C.). Ma ciò che sono davvero è il filo che ha tessuto la tela dei sogni, delle fantasie e dei ragionamenti che hanno fatto di noi, poco o tanto, le persone che siamo. Ho visto ad Eleusi la Fonte Partenia cara a Demetra, garante del ciclo delle stagioni. Era un foro nella pietra, ma cos’era davvero quel foro l’ho avuto chiaro solo rileggendo sotto il sole l’inno omerico del VII sec. A.C. a lei dedicato: “Lungo la via (la dea) sede’, col cuore serrato d’angoscia, presso la fonte Partenia, d’onde acqua attingevan le genti, all’ombra — e sopra lei cresceva un arbusto d’ulivo —”. Le parole scritte, e le storie e i pensieri che queste parole hanno covato nel silenzio della mente di ogni uomo che le ha meditate. È questo il vero dono della Grecia, quello che resta. Un superpotere che ha permesso ai Greci di vincere tutte le guerre mentali che hanno ingaggiato nella storia, e di rinascere sempre sotto altre forme, come hanno fatto con i Romani, con i Cristiani, con i toscani e i fiamminghi del Quattrocento. Come hanno fatto anche con me.

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