Quando guardo il Viandante …

di Fabrizio Rinaldi, ottobre 2017da sguardistorti n. 01 – gennaio 2018

… sto ad osservare.
Quando i Viandanti iniziarono a camminare insieme, m’immedesimavo nella figura del nostro simbolo come colui che guarda il proprio futuro con paure e speranze, ma sicuramente con tanta voglia di attraversarlo quel bosco che, scendendo dalla roccia, m’attendeva nella nebbia, per poi risalire sulla vetta del Tobbio.
Nel bosco i rovi delle personali esperienze lavorative e sentimentali m’avrebbero scorticato la pelle, ma mi resero per lo più un viandante del pensiero e meno del cammino.
La fortuna, o forse un’intrinseca sicurezza nella modalità di incedere lungo il sentiero, mi ha concesso di incontrare anche alberi che hanno fornito il giusto legno per costruirmi il bastone che m’accompagna: un legno flessibile e chiaro. Ad un certo punto ho piantato nel terreno quel legno e sono nate le mie due betulle: a rispuntare tra la nebbia della vallata e risalire quel crinale del Tobbio che si vede all’orizzonte, mai avrei immaginato che non sarei stato solo, ma lo avrei fatto con moglie e figlie. Mai!

… sto ad ascoltare.
Quando ora ripenso al quel Viandante, mi scopro a soffermarmi su ciò a cui presta attenzione con l’orecchio, ancor più che su ciò che vede.
Per lavoro ascolto parole dette e sottese dei miei collaboratori cercando di dipanare problematiche educative, organizzative e di relazione.
Per contrasto e desiderio di una libertà di pensiero, ricerco orizzonti relazionali dove non debba intendere e intepretare frasi e azioni, ma sentire il rumore del bosco o – ancor più difficile da individuare – il suono del silenzio: quello raro che si ritrova tra amici veri e che ci accompagna durante le nostre ormai sporadiche camminate insieme. Quel silenzio che non è mai d’imbarazzo, ma di comunione di pensiero o che si deposita tra un racconto e l’altro, pensando alle riflessioni dette e cercandone un’altra da condividere.
Oppure cerco il silenzio come esperienza personale che aiuta a dipanare e convivere quotidianamente con il mancato raggiungimento degli orizzonti previsti, ad esempio quelli che ci eravamo dati all’inizio dell’avventura con Viandanti.
Mi godo questo attimo di solitudine e assenza di rumori e suoni, prima che l’inquadratura s’allarghi e accolga anche le sagome delle mie bambine che ansimando dalla stanchezza per raggiungermi, ridono di me per il vestito e il bastone da damerino.