Centocinquanta haiku
di Mario Mantelli, 30 maggio 2016
Elenco degli argomenti ricorrenti
Sulla stenografia emotiva
Quello che appassiona nello scrivere haiku non è tanto il gusto giocoso di dire le cose facendole stare in diciassette sillabe, ma piuttosto è vedere fino a che punto è possibile trasmettere con sole diciassette sillabe un’emozione, cercando le parole più adatte per esprimerla.
La concisione porta a trovare la parola giusta.
È interessante scoprire che la forma dello haiku è già un po’ predisposta a trasmettere un certo tipo di emozione improvvisa ed intensa. Le poche sillabe di questa composizione sono una specie di messa a fuoco, una sfida a trovare il termine giusto e l’abbinamento di parole più efficace. Ciò può avvenire in due diversi modi.
Lo haiku porta a scegliere la parola spiccia del linguaggio comune, qualcosa che potrebbe ricordare la poesia colloquiale. Facciamo un esempio: passo per la campagna vercellese nella stagione in cui le piante del riso hanno assunto la colorazione di un giallo saturo, intenso, che fa pensare al colore della polenta. Siamo già a settembre e si è conclusa un’estate, come posso dire?, definitiva, dopo di che non ci si aspetta più niente. E invece no, le giornate sono ancora splendide, calde, la natura continua a dare i suoi frutti e quel giallo carico mette addosso una gioia inspiegabile. Penso al riso, che sarà alimento e poi a novembre ci sarà, in zone più calde della nostra, l’olio delle olive. Natura inesauribile, nutriente, vita incalzante.
Tutto questo è semplice da dire finché ci si limita alla descrizione dello scenario e i primi due versi infatti vengono in mente subito:
Riso maturo,
dono di fine estate.
Ma come concludo? Se penso a “vita incalzante”, a “vita che incalza”, mi sembrano espressioni un po’ retoriche. Dicendo “la vita continua” sforo in un senario e mi pare ancora più retorico. Dopo qualche giorno, essendomi convinto che si deve perseguire giocoforza la semplicità colloquiale della parola, mi passa per la mente “ancora vita” e mi pare tutto sommato l’espressione più vicina a quella che cercavo di comunicare. Pertanto:
Riso maturo,
dono di fine estate.
Ancora vita
Lo haiku invita a ricercare la parola giusta anche in un altro modo, opposto al precedente. Si tratta di quei termini poco usati, che abbiamo riposto nell’armadio della memoria, termini magari derivanti dal dialetto o da un francese vintage, che si sono caricati nel tempo di un valore polisenso, diventando così la parola più azzeccata, proprio quella che ci vuole. Ne basta una, anche se occupa tutto il verso. È quella parola che dice tutto. Come succede a volte nella poesia simbolista, dove il suono arricchisce il significato.
Ad esempio, per tanto tempo il profumo dei tigli mi ha fatto pensare ad una grande pasticceria che invadeva coi suoi effluvi, e sempre con un senso di sorpresa, tutta quanta la città. Poi a un certo momento ho cessato di figurarmi questa immagine e la fioritura ha incominciato ad evocare in me la sensazione di trovarmi, sempre all’improvviso, in un piccolo bagno elegante, pulito e confortevole. Pur avendo composto molti haiku sul profumo dei tigli, non sono mai riuscito a rendere questa sensazione di “lusso, calma e voluttà” finché non sono ricorso al termine boudoir. Ecco, mi trovo immerso nel boudoir dell’estate, le brattee degli alberi richiamano l’oro; è un periodo di coinvolgimento amoroso e quel termine francese, inoltre, un po’ settecentesco, rende appieno, senza esagerare, quel tanto di erotismo che suggeriscono i profumi molto intensi, voluttuosi appunto, e soprattutto rende bene quell’associazione nuova fra i due profumi del tiglio e del borotalco che si è inconsciamente formata nel mio pensiero. E poi, diciamocelo, “boudoir” è molto meglio di “bagno”!
All’improvviso
nel boudoir dell’estate
tra i tigli d’oro
Così anche, come è bello utilizzare un termine dialettale! Con le sue evocazioni un po’ buffonesche di accrescitivi veri o falsi: uatarón per indicare le zolle oppure lacabón per indicare quei dolcetti appiccicaticci di pasta di torrone che risvegliano per i mandrogni tutte le piccole magie della festa di Santa Lucia.
Coltri d’autunno,
d’opere e di giornate,
i uatarón
Luci e Lucia,
s’attacca forte l’anno
ai lacabón
Lo haiku realizza il sogno di catturare l’attimo fuggente riducendolo a oggetto. Lo haiku è fatto di parole ma, specialmente se è scritto in calligrafia (quelli eseguiti con gli ideogrammi tracciati con il pennello sono un esempio perfetto), tende ad assumere un suo carattere di cosa; se poi riempie un biglietto-origami è proprio l’attimo ridotto ad oggetto che uno può portare con sé, magari nel portafoglio.
L’attimo fuggente avrà così trovato un suo piccolo albergo, come succede per quello fermato in un’istantanea, però stampata su cartoncino (la foto sullo schermo se la godano gli altri). Già le nostre nonne e bisnonne portavano l’immagine del proprio caro appesa al collo, ridotta a medaglione.
Dunque sono contento, dopo aver scritto gli haiku (o i tanka), di poter portarmeli dietro; ho oggettivato, imprigionato, quello che per definizione sfugge, cioè l’attimo di vita; ho fatto conserva della vita.
Azzurro e seppia
e te e l’Alpe bianca:
Natale al Po.
Come in un sogno
la neve è un’avventura:
solo, nel buio
nel turbinìo dei fiocchi
mi addentro nel tempo.
Così pure posso portarmi dietro, come una lista della spesa, l’elenco essenziale di ciò che è per me il mese di marzo, utile promemoria per ricordarmi quali sono le sue bellezze ricorrenti e sempre nuove.
Amo mimose,
la Milano-Sanremo,
pioggerelline,
l’albicocco fiorito,
ciò che è indefinito.
C’è un altro sogno, ancora più grande, che lo haiku può realizzare: rendere l’inespresso, esprimere l’inesprimibile. E questo perché, meno parole ci sono in un testo, più si focalizza l’attenzione su ciò che manca (ma si evoca). Nello haiku forse più famoso in assoluto, quello della rana che salta nello stagno, di Bashō, il protagonista è il silenzio (e qualcosa di più), prima e dopo il salto, silenzio che non viene assolutamente nominato, ma soltanto evocato da una sillaba che indica taglio, sospensione. Questa “incompletezza” dello haiku, che provoca risonanze poetiche nel lettore è ben presente nell’estetica giapponese e va sotto il nome di yūgen (profondità misteriosa):
Il vecchio stagno…
Una rana si tuffa,
tonfo nell’acqua
Affidarsi al completamento che compie il lettore può offrire l’opportunità di comunicare quello che difficilmente è comunicabile. Forse lo haiku riesce a trasmettere alcune sensazioni vaghe ma ricorrenti, specie di déjà vu, che altrimenti avrebbero bisogno, per essere espresse, di analisi minuziose e particolareggiate, che peraltro non procurerebbero alcun riscontro emotivo, fallendo lo scopo. Due esempi.
Hai in mente la sensazione straniante di certi soli invernali, che sembrano preannunciare precocissimamente la primavera, ma allo stesso tempo richiamano i magoni di un passato che ti sembra rivivere tale e quale; e allora che c’è di meglio di poterlo dire così:
Befana al sole:
di scorse primavere
preme il ricordo
Così anche, erano anni che pensavo di trasmettere una sensazione da sempre provata! In macchina, su una strada provinciale, attraversare una campagna innevata con il comfort di viaggiare su un fondo sgombrato dagli spazzaneve; immaginare di essere in America, diretti nel Vermont, in un’atmosfera da “Bianco Natale” (il paesaggio, reso astratto dalla neve e dal protagonismo dei cartelli stradali, favorisce l’illusione). Il cielo non è sereno, ma grigio, un grigio di grande chiarezza, come se ci fosse un sole speciale, mentre tutto quel chiarore è dovuto all’irraggiamento della neve caduta. Potere dell’aggettivo “chiaro”, “chiara”! A cui non è estranea la suggestione di ulteriore America, cioè “Serenata a Vallechiara”. Contentezza, come se si fosse protagonisti di un’illustrazione di Rockwell. Una cosa così:
Dopo Natale
grigio che darà neve:
chiara vacanza
Mi pare, in questo modo, di averci messo un barlume dell’impressione di cui ho parlato. Oppure il tutto risulta molto oscuro, non so. Soggettivamente è stato il massimo che ho potuto dare al proposito.
Qualche cosa in più mi sembra di aver fatto per rendere quel senso inquietante delle luminarie natalizie, specialmente fuori città, nei silenzi notturni suburbani, in luoghi disertati dalla folla festante. Un’atmosfera delle nostre periferie e del nostro continuum urbano-rurale, che ritroviamo ingrandita (e sfruttata) nelle periferie di molti film americani, già avvezzi alle temperie molto più gotiche di Halloween. Mentre da noi permane ancora qualche traccia di un senso d’attesa, dell’Avvento, di calde atmosfere seppure raffreddate dalle villette e dai tinelli borghesi.
Luci d’inverno
gessetti sull’ardesia
on-off negli orti
bei rossi tramonti:
vostra è pena o conforto?
Insomma lo haiku è una mancanza affidata al lettore affinché la riempia con il suo sentire. È per questo che lo haiku ha bisogno di molto silenzio e di molto vuoto, di molto spazio bianco attorno a sé.
Il consiglio, si sa, è di leggerne uno ogni tanto.
La cesura, tipica della composizione, tra una prima e una seconda parte, che crea come un antisillogismo, in giapponese viene resa da una sillaba che ha valore di punteggiatura e che in italiano viene espressa solitamente con un trattino. Nel nostro caso c’è un punto, più frequentemente i due punti; forse sarebbero più appropriati i tre puntini di sospensione.
Sempre a proposito di vuoti e di isolamento, ci sarebbe da dire che un libro o libretto di haiku non ha molto senso: affastellarli uno accanto all’altro spezza la concentrazione necessaria. Mi pare giusto consigliare di leggere il presente opuscolo muniti di un segnalibro-passepartout atto ad isolare la lettura di ogni singolo haiku. Sui particolari di fabbricazione di questo gadget avremo modo di parlare.
Comunque buona lettura, concentrata e meditante.
Nota del curatore
Come già sottolineato dall’autore, lo haiku ha bisogno di molto spazio bianco attorno a sé. Ogni singolo componimento meriterebbe il respiro e il silenzio di un’intera pagina. Non risultando ciò possibile per motivi tecnici, si è adottata la soluzione di proporre quattro componimenti per pagina, cercando di creare comunque il massimo vuoto attorno a ciascuno di essi. La raccolta comprende, come il lettore potrà constatare, alcuni tanka (in giapponese: poesie brevi) che sono composizioni poetiche anch’esse disciplinate da un numero fisso di versi e di sillabe (5 versi di 5 e 7 sillabe, così disposti: 5, 7, 5, / 7, 7), dalle quali è disceso, per ulteriore sottrazione, appunto lo haiku. Paolo Repetto
A Rosa, per il 6, il 43, il 59, il 130
e forse per tutti
CENTOCINQUANTA HAIKU
1
Il cielo grigio,
la pozzanghera mossa:
prove d’inverno
1/12/12
2
L’Alpe sontuosa
prorompe nel mattino,
sosta la luna
3/12/12
3
Come di vetro
gli alberi di dicembre:
orli di foglie
4/12/12
4
Monti innevati,
giganti risvegliati
da sole e gelo
5/12/12
5
Luci e Lucia,
s’attacca forte l’anno
ai lacabón
11/12/12
6
Azzurro e seppia
e te e l’Alpe bianca:
Natale al Po
11/12/12
7
La fiocca imbianca
presepi dialettali:
sono esistiti?
14/12/12
8
La neve a sera
morde di nostalgia:
è un bianco e nero
14/12/12
9
Neve sui vasi:
montagne sul balcone
lontanissime
15/12/12
10
Pasà l’inver
ui vén la stagiόn bón-na.
Ténti da cónt
16/12/12
11
Cornacchie nere.
Grigi. Fra poco arrivi
bianco Natale
20/12/12
12
Neutri colori
di letargo ancor lungo:
è il ventisei
26/12/12
13
Svïene l’anno,
pallore grigio-secco
di cielo e siepi
28/12/12
14
Salta la gazza
fuman forte i camini,
riparte il giorno
29/12/12
15
Tetti con brina
son torte di buon anno
il dì trentuno
31/12/12
16
Sul grigio e rosa
la punta del Monviso
solca il tramonto
3/1/13
17
Luna di giorno,
un’anima leggera
di ultramondi
4/1/13
18
Cielo di sera:
braci d’Epifania,
lame turchesi
4/1/13
19
Befana al sole:
di scorse primavere
preme il ricordo
6/1/13
20
Appare il Rosa:
noi lontani in pianura
al piè dei monti
7/1/13
21
La nebbia inghiotte
l’orologio di piazza:
sospeso è il tempo
10/1/13
22
Per la cornacchia
lo stradale è pascolo;
io corro invece
su questo stesso asfalto
non so dove, per cosa.
12/1/13
23
Da nebbie invasa
la geometria dei pioppi
devia il pensiero
14/1/13
24
Festa di bianchi
coriandoli: per terra
si sciolgono
19/1/13
25
Tra i bianchi e i neri,
Breugel del dopo neve,
sfreccia una gazza
20/1/13
26
L’uomo di neve:
ci sono ancora bimbi
in quella casa
22/1/13
27
Spettro solare
tra neve, nebbia, nubi:
siamo in ostaggio
22/1/13
28
Corte innevata,
spunta la pietra grossa:
quello è il tesoro
22/1/13
29
Tanka di Marzo
Amo mimose,
la Milano-Sanremo,
pioggerelline,
l’albicocco fiorito,
ciò che è indefinito.
24/1/13
30
Timido rosa,
già il trentun gennaio:
saran meline
31/1/13
31
Fili di ragno:
un sole scenografo
è mattiniero
3/2/13
32
Inno alla gioia:
musica alla finestra
l’Alpe innevata
3/2/13
33
Color d’inverno:
rosso-viola del vino,
bianco dei tetti,
l’arancio-canarino
di un mandarino.
3/2/13
34
Lame di fuoco:
l’alba pare un tramonto
nel mese corto
5/2/13
35
Fuma il camino:
primavera bugiarda,
San Valentino
9/2/13
36
Monviso rosa:
un castello di fiaba
oltre le siepi
9/2/13
37
Nuvole nere,
fondo di stille rosse
stinte nel blu.
È il broncio di febbraio
che prepara altro inverno.
9/2/13
38
Aria di gelo,
un sole di vacanza:
gioie segrete
16/2/13
39
Resti di neve
spersi nel verde nuovo:
tornerà il bello
18/2/13
40
Le cose in grigio,
aspettando la neve,
di là dai vetri
21/2/13
41
Come in un sogno
la neve è un’avventura:
solo, nel buio,
nel turbinìo dei fiocchi
mi addentro nel tempo.
24/2/13
42
Tetti glassati,
schiarita lattescente:
come in partenza
24/2/13
43
Città lontana
dei passi al telefono:
ritmo del cuore
26/2/13
44
Qui ancora nebbie;
marzo dorme al caldo
nel calendario
10/3/13
45
Rosa di pruni
o rosa di tramonto
nel viale a sera?
Nessuno lo saprà.
Certo è il rosa dei sogni.
15/4/13
46
Verde bandiera,
di prati, di speranze
a primavera
15/4/13
47
Nuvole grasse,
paesaggio fiorito:
fine d’aprile
28/4/13
48
Tra verdi chiari
si dà fondo al barile:
finisce aprile
29/4/2013
49
Tanka di Maggio
Calendimaggio
in assenza del sole;
in gala i verdi
son come cresimandi
del vescovo in attesa.
1/5/13
50
Maggio. Perché
tra verdi chiari e scuri
stringe il cuore?
3/5/13
51
Verdi lustrati,
pozzanghere maggenghe,
cielo d’estate
7/5/13
52
Come fa a pugni
il primo papavero!
Tempo di viaggi
7/5/13
53
Bianca sul cedro
nube che fai sognare:
orti dei ricchi
11/5/13
54
Dolci ferite
ai fianchi della strada
rose di macchia
22/5/13
55
Memoria antica
la rosa profumata,
compagna verde
22/5/13
56
Chiostra dell’Alpe
nel mattino di maggio.
Che dentifricio!
23/5/13
57
Sui campi di maggio
nubi si dan battaglia:
vincerà Estate
30/5/13
58
Svolto a Bistagno
nell’edenica valle:
ecco l’Altrove!
5/6/13
59
“Ti voglio bene”
continua a ricordarmi
il tiglio in fiore
17/6/13
60
A respirare
l’ultim’aura dei tigli;
poi quali gioie?
22/5/13
61
Guardando i fossi
riconosco le erbacce:
vecchie amicizie!
29/6/13
62
Finito il tiglio,
nel mercato di piazza
la limoncina
1/7/13
63
Cicorie azzurre
concentrato di cieli
spose dei fossi
5/7/13
64
Masse fronzute:
l’estate di Poussin
qui a Castelletto
13/7/13
65
Lagune d’erba,
Mar Giallo delle stoppie:
requie d’estate
19/7/13
66
Cortile chiuso:
mattino di mandorla
delle ipomee
19/7/13
67
Di tetti cotti
al forno dell’estate
caro paese!
3/8/13
68
Bucato estivo:
appesi al cielo i monti
nell’aria linda
20/8/13
69
Dopo la vampa
c’è ripresa negli orti,
voglia di inizi
23/8/13
70
Nubi e poi sole
e un campanile a punta:
nostro abbiccì
29/8/13
71
È più azzurro
il fiore di cicoria
a fine estate
30/8/13
72
Sogni inevasi,
propositi non svolti:
fine settembre
26/9/13
73
Tanka d’Ottobre
Il giallo-verde
spicca nel cielo grigio.
Tutto è spremuto.
Che suono ha di foglie
la musica d’ottobre!
5/10/13
74
Secondo tanka d’Ottobre
Cielo già in rosa
platani già in ruggine:
vago Lorrain.
Momento di stagione
da gran collezionista.
13/10/13
75
Caffè e giornale,
oggi, e latte di nebbia:
già tutto il meglio
20/10/13
76
Gamma dei grigi.
È pur bello l’autunno.
Due bacche rosse
24/10/13
77
Alle tre inizi,
lungo sonno d’inverno.
Coltri di nebbia
26/10/13
78
La bacca è rossa.
Ha avuto chi ha avuto.
S’apra l’inverno
26/10/13
79
I campi in sonno
come sempre a Ognissanti.
I cieli muti
31/10/13
80
Oh, San Martino!
Con un gioco nel cuore
verso il Natale
11/11/13
81
Luci d’inverno
gessetti sull’ardesia
on-off negli orti
bei rossi tramonti:
vostra è pena o conforto?
19/11/13
82
Un cielo grigio
cova i ghiacciai d’oro
dell’orizzonte
24/11/13
83
Cielo affilato
di coltelli d’acciaio:
domani neve?
2/12/13
84
Di prima neve
tracce rimaste a nord:
che mano lieve!
2/12/13
85
Perso nel latte
il comignolo a sera:
metà dicembre
10/12/13
86
Freddo dicembre
che pare un’ottobrata.
Chi ride è il cachi
15/12/13
87
Volge cangiante
il volo dei passeri:
foglie di pioppo
16/12/13
88
Che sia buon viaggio.
Pioggia tendente a neve:
tutto un inverno!
22/12/13
89
Dopo Natale
grigio che darà neve:
chiara vacanza
28/12/13
90
Gennaio, inizio:
con la spesa le case
ci vengono incontro
19/1/14
91
La merla è bianca:
neve di fine mese.
Torna l’inverno
30/1/14
92
S’alza un vapore
tra la neve e le zolle:
cuoce l’inverno
1/2/14
93
Dietro le nebbie
l’inverno si nasconde
ancor per poco
20/2/14
94
Timido rosa,
tenuto per speranza,
melo per finta
20/2/14
95
Il ramo spoglio
già soffuso di verde
trama una nube
nell’azzurro un po’ incerto.
Ecco i primi ciclisti!
23/2/14
96
Spuma sul piano
deborda per il bagno
di primavera
27/2/14
97
Primo fiorire:
stelle rosa nel cielo.
Che struggimento!
16/3/14
98
Che rami sghembi!
Le gazze fanno il nido.
Saran capaci?
23/3/14
99
Marzo mi piace:
tutto d’argento e inchiostri
piovoso il cielo.
Siepi: scoppi di verde.
Terra: zuppa di fiori.
24/3/14
100
A bagno in cielo
nubi, spugne inzuppate.
La terra è un vetro
2/4/14
101
Maggio: gaggìe;
il cielo si spappola.
E poi l’estate
8/5/14
102
Haiku perfetto
è verde, cielo e nubi.
C’è forse altro?
8/6/14
103
Nube-parrucca
sopra al palazzo antico:
ora di cena
13/6/14
104
Luglio di pioggia:
più nuvole che suolo.
S’affaccia il sole
al volo di un piccione:
qui s’aspetta l’estate.
26/7/14
105
Foschìa d’agosto.
Qui tutta la vacanza
è un filo d’erba
9/8/14
106
Mattina alta:
spicchio di luna in cielo.
Terse giornate!
16/8/14
107
Prodotto il caldo
agosto si rannicchia:
dolci giornate
22/8/14
108
Trentun d’agosto:
sul filo dell’estate
come fuscelli
30/8/14
109
Nelle campagne
come odor di bucato.
Quieto settembre!
6/9/14
110
Il girasole
isolato nel campo.
Fine d’estate
23/9/14
111
Pioggia in paese.
Gorgogliano i pluviali:
voci dell’acqua
11/11/14
112
Stoppie arancioni:
la pioggia ci ha passato
mani di smalto
11/11/14
113
Ad ogni notte
i Re Magi d’Orione
un passo avanti
21/11/14
114
Gialli, amaranti
e verdi decaduti:
feste d’addio
23/11/14
115
Fior di trifoglio,
rimasuglio d’autunno:
il miglior dono
23/11/14
116
Rapito ascolto
nella casa degli avi
gocce di pioggia
30/11/14
117
Nubi di spugna:
vi si inzuppa l’inverno,
il giorno è sera
4/12/14
118
Cielo che cova,
ma la neve non cade:
oblìo rinviato
14/12/14
119
Faci barocche
i piccioni sui tetti.
I lunghi inverni!
15/12/14
120
Dodici notti,
luna cerchio perfetto,
calze in attesa
6/1/15
121
Monti di panna,
aura di stampa antica
dai fondi blu
26/1/15
122
Quale sapiente
ritrarsi della neve
dai campi verdi!
26/1/15
123
Oh di febbraio
canne secche festanti
al primo sole!
1/2/15
124
Orto d’inverno.
Si posa il pettirosso.
Subito scappa
4/2/15
125
Al nuovo sole
aperte le finestre,
caro Sanremo!
11/2/15
126
Al mio paese
un rovere di bronzo
presidia i freddi
13/2/15
127
Rami tagliati
timidi cinguettii:
preparativi
19/2/15
128
Il bianco-rosa
del monte mi entra in casa,
lucida i muri
26/2/15
129
Il vento accende
cieli di troppo azzurro.
Verrà anche Pasqua
6/3/15
130
La primavera
ride di mille verdi.
Sei milleuno?
7/3/15
131
Parlo coi gialli
(torno dalla fioraia):
che chiacchieroni!
24/3/15
132
Ma questo cielo-
-cartolina di Pasqua:
gioia o ferita?
1/4/15
133
Son perle verdi
gli alberi d’aprile,
son mare i campi
18/4/15
134
Campi, scampoli,
sotto l’azzurro tenue,
di rossa zolla,
di verde grano acerbo.
Terra: ricca pezzente.
21/4/15
135
C’è quella pianta
come un soprammobile
sulla collina
13/5/15
136
Incastonata
tra fresche terre arate
casa in collina
13/5/15
137
Vento di maggio:
fa punta ai campanili,
piega le biade
15/5/15
138
Bellezza e morte:
è ciò che dice maggio.
Ma giugno è bello
16/5/15
139
Di verde e azzurro
perfette percentuali.
Si cela il Mago
18/5/15
140
Sempre inattesa
ebrietudine annuale
l’oro dei tigli
29/5/15
141
All’improvviso
nel boudoir dell’estate
tra i tigli d’oro
30/5/15
142
Circa il ligustro:
un eterno mattino
tra l’ape e il fiore
31/5/15
143
Riso maturo,
dono di fine estate:
ancora vita
8/9/15
144
Il parabrezza
imperlato di sera:
inizi d’autunno
12/9/15
145
Son lascito di
polvere profumata:
care sillabe!
17/9/15
146
S’affaccia Autunno,
chiarità fra nuvole,
voglia di maglie
23/9/15
147
L’aria d’autunno
rende più dolci i colli,
fa nubi a bolla
27/9/15
148
Ora che è autunno,
ah l’insensato amore
per il paese!
1/10/15
149
La mela Carla:
rossore di fanciulla
su verde esangue,
polpa dolce e leggera
come a volte i ricordi.
5/10/15
150
Schiaccio la foglia:
soave limoncina!
Sospeso è il tempo
6/10/15
Una raccolta di silenzi
di Paolo Repetto
Prima di leggere il Disciplinare di Mario Mantelli (ed. Bravomerlo, 2012) dello haiku sapevo poco o nulla (e nemmeno ero curioso di saperne di più). Più che un genere poetico mi sembrava un gioco cervellotico, quasi a livello di settimana enigmistica, e confermava semmai la mia immagine dei giapponesi come gente strana, fanatica dell’autocontrollo e delle costrizioni.
Il Disciplinare mi ha fatto scoprire un modo diverso di guardare il mondo e un’intenzione diversa nel raccontarlo. Questo modo e questa intenzione sono spiegati ora benissimo nella Stenografia Emotiva premessa da Mario a questa raccolta. Potrei quindi godermi in santa pace il piacere di leggere le sue composizioni in un libretto dei Viandanti, e lasciarlo gustare anche agli altri: ma come Wilde non so resistere alle tentazioni, e questa è davvero forte. Anch’io infatti, come i giapponesi, ho bisogno della costrizione della scrittura per mettere a fuoco quello che sento e dare ordine a quello che penso. Ora, gli haiku mi hanno fornito parecchi spunti e soprattutto mi hanno chiarito cose che già mi giravano in testa, ma molto confusamente: e allora ne approfitto per metterle subito in riga, sperando solo di non guastare le gioie che il libretto ha regalato.
Dunque, cominciamo ad allacciare un po’ di fili. Parto dai modi di guardare alle cose. Possono sembrare infiniti, ma nella sostanza poi si riducono a due: da dentro o da fuori. E questo va da sé, con o senza haiku. In realtà, guardare da fuori sarebbe la nostra condizione (per alcuni, la nostra condanna) “esistenziale” unica e assoluta. Siamo impediti all’intimità col mondo da quella consapevolezza che ci ha resi appunto uomini, facendo di noi degli estranei di passaggio. Ma non ci rassegniamo, per cui scegliamo un angolo prospettico che costituisce già di per sé un metro di giudizio e ri-costruiamo la realtà, il più possibile a nostra immagine.
Ora, se il mondo vogliamo coglierlo nel suo assieme, e trovare in questo assieme un significato, suo e nostro, e magari anche il modo, oltre che di comprenderlo, per controllarlo o per dominarlo, possiamo posizionarci ad una certa distanza: ma se desideriamo invece “rientrare nel mondo”, sentircene parte integrante, dobbiamo portarci a una distanza minima, facendoci piccoli abbastanza per sgusciare, sia pure per pochi infinitesimali attimi, attraverso le porte spazio-temporali che a volte si aprono. Nel primo caso prevale l’intenzione storico-scientifica, che sfocia in una narrazione del mondo, mentre nel secondo agisce una disposizione “estetica” (forse sarebbe più appropriato “estatica”), che vuole “fissare” in una pagina, sulla tela, o attraverso i suoni, una intuizione, un frammento intravisto, un’illuminazione. Semplificando al massimo, potremmo dire che il primo atteggiamento introduce nella narrazione il tempo, e quindi produce dei film, mentre il secondo il tempo lo vuole fermare, e produce quindi delle fotografie.
Personalmente, credo di essere un cinematografaro. Il mio modello ideale sono quei cartografi raccontati da Borges che realizzarono una mappa dell’impero in scala uno a uno. Ma mi accorgo che la cosa è contraddittoria, perché in questo modo si parte guardando il mondo da un’enorme distanza e si finisce per soffermarsi poi su ogni filo d’erba. Si nasce narratori e si finisce esteti. In una certa misura accade persino ai campioni dell’intenzione scientifica, gente come Galilei o Newton, quando individuano una chiave di lettura (in questo caso quella matematica) del mondo e finiscono per far combaciare la serratura con il mondo stesso.
Mi accorgo però che su questa strada rischio di incartarmi, e provo allora a metterla in maniera diversa, con qualche esempio più immediato. Prendiamo Manzoni: inizia il suo racconto con un campo lunghissimo dall’alto, stringendolo poi progressivamente sino al primo piano su don Abbondio. Oppure inquadra un paesaggio di rovine e poco a poco lo popola, avvicinandosi, di volti e di occhi smarriti. Parte cioè presentando un mondo che di lontano appare immobile e sempre uguale a se stesso, per coglierne e narrarne poi invece il movimento. Ma il movimento, diceva già Aristotele, è la condizione che crea il tempo: il tempo è movimento nello spazio. Scegliere di raccontare nel tempo, attraverso il tempo, magari anche per dire che in fondo le cose si ripetono o si somigliano, come fa Manzoni, significa scegliere di raccontare comunque ciò che sta fuori, che rimane in superfice e cambia incessantemente, così come è percepito dagli uomini. E darne una spiegazione, sia essa razionale o meno, nella quale questi ultimi abbiano una parte, possibilmente da protagonisti. Si cerca di leggere il mondo, piuttosto che di viverlo.
Leopardi inizia invece guardando dal basso verso la luna, fa cioè un percorso esattamente inverso: e pone delle domande. Le pone alla luna perché il movimento di questa, infinitamente ripetuto, in fondo è solo apparente. Quindi essa è una possibile depositaria del senso (o, volendo, del non-senso) ultimo. Leopardi però non è alla ricerca di spiegazioni razionali, o compatibili con le nostra modalità di pensiero (tutte le sue domande, a partire dal che fai?, sono puramente retoriche): dice subito, proprio con quelle domande, che spiegazioni non ce ne sono, o se ci sono rischiano di non piacerci affatto, e per questo motivo rinuncia alla narrazione e continua a cercare epifanie, spiragli (le brecce montaliane nel muretto) che consentano di dare comunque un’occhiata all’interno. Quando scrive:
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna.
non ha bisogno di darsi o di darci un perché. È l’istantanea di un dato di fatto, colto attraverso il grandangolo della sua sensibilità.
Sono evidentemente due modi diversi di guardare il mondo. Ed entrambi legittimi. Il primo, però, lo sguardo esterno, nasconde un intento aggressivo: svelare strappando il velo. Il secondo, lo sguardo da dentro, il velo non lo strappa, spera che qualche refolo lo scosti. Questa disposizione non rappresenta tuttavia una resa incondizionata alla ineffabilità del mondo, della natura. Anzi, è il contrario. Nemmeno quello di Leopardi è infatti un atteggiamento totalmente disarmato, e il poeta ne è perfettamente consapevole, a differenza di altri, Pascoli ad esempio, che ritengono che per raccontare da dentro sia necessario tornare allo sguardo del fanciullino: vale a dire spogliarci di ogni armamentario culturale e lasciarci risucchiare dal mondo (che è diverso da immergersi). Ora, la cosa è già molto improbabile a livello di percezione, dell’esperienza che si fa del mondo, perché hai voglia a denudarti degli abiti e delle corazze cuciti e forgiati dalla cultura, il nostro modello di percezione circola sottopelle: ma soprattutto si scontra poi, al momento di comunicare ciò che si è esperito – ed è questa da sempre l’aspirazione, se non la funzione, dell’arte – con la necessità di universalizzarlo e condividerlo attraverso segni, suoni e colori, che sono tutte forme di imitazione e ri-creazione del mondo. Insomma, quale che sia l’attitudine è necessario ricorrere comunque a convenzioni espressive, strumenti, che non ci adattano al mondo, ma adattano il mondo a noi. E nel farlo, di norma, lo allontanano. Leopardi, ripeto, questo lo sa benissimo, e opera proprio sugli strumenti, usando un doppio segno negativo (quello intrinseco al mezzo e quello impresso dalla poetica dell’indefinito) per ottenere un risultato positivo, di avvicinamento (è ciò che Pascoli dimostra di non aver capito, quando gli rimprovera l’accostamento temporale di rose e viole, ma anche quando si trastulla in onomatopee e bamboleggiamenti)
Questo ci riporta finalmente allo haiku.
La distanza dal mondo si misura appunto, tanto in letteratura come nelle altre arti, in parole, in segni, in note. Non dico che sia direttamente proporzionale alla lunghezza di un testo, all’accuratezza di una immagine o alla complessità di uno spartito, ma in un certo senso è così. Quanto più indulgo in una descrizione, riproduco i singoli peli di un coniglio, accumulo e armonizzo suoni diversi, tanto più mi allontano dalla immediatezza della sensazione o dell’emozione per ricreare un “mio” mondo, pensato a mia immagine o a quella del mio tempo: un mondo che a differenza di quello reale è “interpretabile”, e del quale potrò fare ciò che voglio: dargli un’anima, leggerci foreste di simboli, ecc… Visto che il creato mi esclude, mi erigo a creatore: che è una cosa bellissima, senza dubbio, ma anche parecchio inquietante, perché da subito tende a sforare dalla dimensione narrativa a quella operativa, ad adattare il mondo a noi non solo attraverso le parole, ma anche attraverso i fatti. E nei fatti ormai gli spazi sono parecchio confusi.
Ma qui parliamo di poesia. Qui lo spazio occupato dai segni, nella nostra fattispecie dalle parole, è ancora quello che ci separa dalle cose. E non lo si annulla scombinando semplicemente il tradizionale allineamento dei primi: anzi, le grandi narrazioni a ruota libera, l’Ulisse come Sulla strada, l’arte informale, la musica dodecafonica, sono quelle che meno ci avvicinano all’oggetto, perché ruotano costantemente attorno al soggetto. Quindi non è questione di rompere una consolidata disciplina espressiva: non è questa a raffreddare l’emozione: anzi, la disciplina aiuta semmai a trovare un equivalente narrativo, ad avvicinarci.
Nemmeno è questione di ridurre semplicemente i segni all’osso. Ungaretti riesce ad esprimere uno stato d’animo con meno della metà delle sillabe canoniche di uno haiku, Quasimodo con un paio di più. Ma al centro ci stanno loro, non il mondo. Lo stesso accade per le opere di Fontana o per quelle di John Cage, dietro le quali devi supporre un percorso chilometrico, se vuoi che abbiano un senso. Un percorso faticoso, pesante. Stavo per scrivere ‘tipicamente occidentale’, ma non è del tutto giusto.
Anche quello dello haiku è infatti un percorso culturale che parte dall’esterno. Ma mi sembra che a differenza di quello occidentale, che mira a narrare e quindi a disciplinare il mondo, tenda invece a disciplinare lo sguardo sul mondo, nel significato scolastico in cui veniva usato un tempo il verbo, di non disturbare, di interferire il meno possibile, di prestare attenzione. Rispecchia un modo d’essere, di muoversi, di pensare, al quale i giapponesi sono stati educati per secoli e che hanno intimamente assimilato. Per questo sino a ieri ho continuato a ritenerlo estraneo alle mie frequenze. I pochi casi di trasposizione occidentale che conoscevo, quelli legati al coté orientaleggiante della controcultura degli anni cinquanta/sessanta (Alan Watts, I vagabondi del Dharma), o peggio, quelli prodotti dalla moda new age degli anni novanta, non facevano che confermare la mia impressione. Quando non erano patetici, perché semplicemente inscatolavano il vuoto, davano l’impressione di serrare i contenuti in una gabbia, anziché aderire loro come un abito. Nell’uno e nell’altro caso il problema nasceva comunque da un uso improprio o gratuito dello strumento. Ma questo l’ho capito solo dopo aver letto le istruzioni e le esemplificazioni prodotte da Mario.
Ho capito ad esempio che lo haiku è riconducibile a quella forma più universale di ascetismo che da sempre ha cercato di minimizzare il vivere per enfatizzare il sentire: il silenzio è una delle vie preferenziali scelte da stiliti, monaci, eremiti anche in occidente per forzare le porte della percezione. Solo che per la cultura occidentale questa è sempre stata una scelta a suo modo clamorosa, mentre in quella orientale è una consuetudine discreta.
Per non tirarla troppo in lungo, lo haiku è un esercizio non di forza, ma di estremo equilibrio. Calvino direbbe di leggerezza. Il che può sembrare paradossale, perché le parole prosciugate acquistano un peso specifico enorme. Ma qui la leggerezza è consentita da ciò che le parole vogliono esprimere: che non è conoscenza del mondo, ma stupore e consonanza col mondo. Lo haiku esprime uno stato d’animo che fa tutt’uno con uno stato della natura, in fondo lo stesso che Leopardi descrive nell’incipit de “La sera del dì di festa”. (anche se per Leopardi questo è appunto solo un incipit, e nel prosieguo la sua occidentalità ha la meglio). La leggerezza è data dalla sensazione di essersi fatti così piccoli da poter entrare nel quadro senza disturbarlo. Come del resto accade per tutta la pittura paesaggistica orientale, nella quale le forme di vita umana sono appena percettibili, nascoste nel paesaggio. Oserei dire che lo haiku realizza addirittura il sogno del doppio sguardo: da fuori, perché passa attraverso un’operazione complessa di pesatura, misurazione, scelta delle parole: da dentro, perché questa chiave consente di entrare per un attimo nella dimensione perduta.
Viene a questo punto da chiedersi come mai Mario abbia scelto di praticare un esercizio così lontano dalla nostra tradizione – e perché io abbia così fortemente voluto ripubblicare i suoi haiku nelle edizioni dei Viandanti. Scartato in partenza ogni sospetto di condiscendenza alle mode, o di compiacimento per l’esotismo spirituale, non rimane che la pista della disciplina. Mario è stato conquistato da un esercizio disciplinare che apre ad una eccezionale libertà. Si è accorto che in realtà le diciassette sillabe non costituiscono affatto una limitazione, e che il piacere del risultato, dell’eureka finale, viene già anticipato nell’atto di isolare immagini e di cancellare metri di parole-spazio. Che una volta ripulite e ordinate le sue emozioni conservano la freschezza dell’istantanea. Il resto lo fanno Oviglio e il Monferrato, che offrono stagioni e ritmi come quelli di Kōbe, e il fondale delle Alpi, che non fa rimpiangere il Fuji.
P.S. Rileggendo questi haiku mi è tornato in mente un racconto di Heinrich Böll, La raccolta di silenzi del dottor Murke. Murke non aspira al “grande” silenzio. Raccoglie piccoli scarti di nastro magnetico, i tempi morti silenziosi che vengono eliminati per ottimizzare la programmazione radiofonica, li unisce e li fa scorrere. Quello che ne vien fuori non è un silenzio assoluto, continuativo: è la successione di brevissime pause, che arrivano cariche di tensioni, paure, tristezze, stupori. Nel monotono, leggero fruscio del nastro tutto viene scaricato, mescolato, dimenticato. Non so quale sia il nesso, ma sono certo che c’è.
Elenco degli argomenti ricorrenti
Elenco degli argomenti ricorrenti, esclusi quelli che si riferiscono al tempo (stagioni, mesi, feste). I numeri sono quelli che contraddistinguono gli haiku.
A
Alberi 3, 126, 133 ,135
Alberi fioriti 29, 30, 45, 94, 97
Alimenti 5, 33, 75, 143
Ambiente urbano 21, 43, 103
Amore 6, 43, 59,130
Animali 31, 87, 91, 124, 127, 142
Aria 68, 92, 106, 147
Azzurro 6, 71, 95, 121, 129, 134, 139
B
Bacche 76, 78
Bianco 6, 8, 11, 56,121, 128
Bucato 68, 109
C
Caldo 69, 107
Camini 14, 35, 85
Campanile 70, 137
Campi 57, 110, 122, 133, 134
Casa 90, 111, 116, 128, 136
Cicoria 63, 71
Cielo 63, 68, 102, 118, 129, 132
Collina 135, 136, 147
Cornacchia 11, 22
Corte 28, 66
E
Erba 61, 65, 105, 137
F
Finestra 40, 125
Fiori 29, 52, 66, 99, 110, 115, 142
Foglie 3, 73, 150
Fossi 61, 63
Frutti 33, 149
G
Gazza 14, 25, 98
Giallo 73, 114, 131
Grigiori 1, 11, 12, 13, 40, 73, 76, 79, 82, 83, 89, 99
L
Limoncina 62, 150
Luci 5, 81
Luna 2, 17, 106, 120
M
Mattina 34, 142
Montagne 2, 4, 9, 20, 32, 56, 68, 82, 121, 128
Monviso 16, 36
N
Nebbia 21, 23, 27, 44, 75, 77, 85, 93, 105
Nero 8, 99
Neve 7, 8, 9, 24, 25, 26, 27, 28, 33, 39, 40, 41, 42, 83, 84, 88, 89, 91, 92, 118, 122
Notte 113, 120
Nuvole 27, 37, 53, 57, 70, 95, 96, 100, 102, 103, 104, 117, 146, 147
O
Oro (colore) 140, 141
Orti 53, 69, 81, 124
P
Paese 67, 126, 148
Piccione 104, 119
Pioggia 29, 104, 111, 112, 116
Pioppi 23, 87
Pozzanghera 1, 51
R
Rami 64, 95, 98, 108, 127
Rosa 54, 55
Rosa (colore) 74, 128
Rosso 114, 134, 149
S
Sera 117, 144
Siepi 36, 99
Sole 19, 38, 70, 104, 123, 125
Sonno 77, 79
Stoppie 65, 112
T
Terra 99, 100, 134, 136
Tetti 15, 33, 42, 67
Tiglio 59, 60, 62, 140, 141
Tramonto 16, 18, 37, 45, 81
V
Vento 129, 137
Verde 39, 48, 49, 50, 51, 99, 102, 122, 130, 134, 139, 149
Z
Zolle 92, 134