Stenografia emotiva

Centocinquanta haiku

Stenografia emotiva copertinadi Mario Mantelli, 30 maggio 2016

Sulla stenografia emotiva

Centocinquanta haiku

Una raccolta di silenzi

Elenco degli argomenti ricorrenti

Sulla stenografia emotiva

Quello che appassiona nello scrivere haiku non è tanto il gusto giocoso di dire le cose facendole stare in diciassette sillabe, ma piuttosto è vedere fino a che punto è possibile trasmettere con sole diciassette sillabe un’emozione, cercando le parole più adatte per esprimerla.

La concisione porta a trovare la parola giusta.

È interessante scoprire che la forma dello haiku è già un po’ predisposta a trasmettere un certo tipo di emozione improvvisa ed intensa. Le poche sillabe di questa composizione sono una specie di messa a fuoco, una sfida a trovare il termine giusto e l’abbinamento di parole più efficace. Ciò può avvenire in due diversi modi.

Lo haiku porta a scegliere la parola spiccia del linguaggio comune, qualcosa che potrebbe ricordare la poesia colloquiale. Facciamo un esempio: passo per la campagna vercellese nella stagione in cui le piante del riso hanno assunto la colorazione di un giallo saturo, intenso, che fa pensare al colore della polenta. Siamo già a settembre e si è conclusa un’estate, come posso dire?, definitiva, dopo di che non ci si aspetta più niente. E invece no, le giornate sono ancora splendide, calde, la natura continua a dare i suoi frutti e quel giallo carico mette addosso una gioia inspiegabile. Penso al riso, che sarà alimento e poi a novembre ci sarà, in zone più calde della nostra, l’olio delle olive. Natura inesauribile, nutriente, vita incalzante.

Tutto questo è semplice da dire finché ci si limita alla descrizione dello scenario e i primi due versi infatti vengono in mente subito:

Riso maturo,
dono di fine estate.

Ma come concludo? Se penso a “vita incalzante”, a “vita che incalza”, mi sembrano espressioni un po’ retoriche. Dicendo “la vita continua” sforo in un senario e mi pare ancora più retorico. Dopo qualche giorno, essendomi convinto che si deve perseguire giocoforza la semplicità colloquiale della parola, mi passa per la mente “ancora vita” e mi pare tutto sommato l’espressione più vicina a quella che cercavo di comunicare. Pertanto:

Riso maturo,
dono di fine estate.
Ancora vita

Lo haiku invita a ricercare la parola giusta anche in un altro modo, opposto al precedente. Si tratta di quei termini poco usati, che abbiamo riposto nell’armadio della memoria, termini magari derivanti dal dialetto o da un francese vintage, che si sono caricati nel tempo di un valore polisenso, diventando così la parola più azzeccata, proprio quella che ci vuole. Ne basta una, anche se occupa tutto il verso. È quella parola che dice tutto. Come succede a volte nella poesia simbolista, dove il suono arricchisce il significato.

Ad esempio, per tanto tempo il profumo dei tigli mi ha fatto pensare ad una grande pasticceria che invadeva coi suoi effluvi, e sempre con un senso di sorpresa, tutta quanta la città. Poi a un certo momento ho cessato di figurarmi questa immagine e la fioritura ha incominciato ad evocare in me la sensazione di trovarmi, sempre all’improvviso, in un piccolo bagno elegante, pulito e confortevole. Pur avendo composto molti haiku sul profumo dei tigli, non sono mai riuscito a rendere questa sensazione di “lusso, calma e voluttà” finché non sono ricorso al termine boudoir. Ecco, mi trovo immerso nel boudoir dell’estate, le brattee degli alberi richiamano l’oro; è un periodo di coinvolgimento amoroso e quel termine francese, inoltre, un po’ settecentesco, rende appieno, senza esagerare, quel tanto di erotismo che suggeriscono i profumi molto intensi, voluttuosi appunto, e soprattutto rende bene quell’associazione nuova fra i due profumi del tiglio e del borotalco che si è inconsciamente formata nel mio pensiero. E poi, diciamocelo, “boudoir” è molto meglio di “bagno”!

All’improvviso

nel boudoir dell’estate

tra i tigli d’oro

Così anche, come è bello utilizzare un termine dialettale! Con le sue evocazioni un po’ buffonesche di accrescitivi veri o falsi: uatarón per indicare le zolle oppure lacabón per indicare quei dolcetti appiccicaticci di pasta di torrone che risvegliano per i mandrogni tutte le piccole magie della festa di Santa Lucia.

Coltri d’autunno,
d’opere e di giornate,
i uatarón

Luci e Lucia,
s’attacca forte l’anno
ai lacabón

Lo haiku realizza il sogno di catturare l’attimo fuggente riducendolo a oggetto. Lo haiku è fatto di parole ma, specialmente se è scritto in calligrafia (quelli eseguiti con gli ideogrammi tracciati con il pennello sono un esempio perfetto), tende ad assumere un suo carattere di cosa; se poi riempie un biglietto-origami è proprio l’attimo ridotto ad oggetto che uno può portare con sé, magari nel portafoglio.

L’attimo fuggente avrà così trovato un suo piccolo albergo, come succede per quello fermato in un’istantanea, però stampata su cartoncino (la foto sullo schermo se la godano gli altri). Già le nostre nonne e bisnonne portavano l’immagine del proprio caro appesa al collo, ridotta a medaglione.

Dunque sono contento, dopo aver scritto gli haiku (o i tanka), di poter portarmeli dietro; ho oggettivato, imprigionato, quello che per definizione sfugge, cioè l’attimo di vita; ho fatto conserva della vita.

Azzurro e seppia
e te e l’Alpe bianca:
Natale al Po.

Come in un sogno
la neve è un’avventura:
solo, nel buio
nel turbinìo dei fiocchi
mi addentro nel tempo.

Così pure posso portarmi dietro, come una lista della spesa, l’elenco essenziale di ciò che è per me il mese di marzo, utile promemoria per ricordarmi quali sono le sue bellezze ricorrenti e sempre nuove.

Amo mimose,
la Milano-Sanremo,
pioggerelline,
l’albicocco fiorito,
ciò che è indefinito.

C’è un altro sogno, ancora più grande, che lo haiku può realizzare: rendere l’inespresso, esprimere l’inesprimibile. E questo perché, meno parole ci sono in un testo, più si focalizza l’attenzione su ciò che manca (ma si evoca). Nello haiku forse più famoso in assoluto, quello della rana che salta nello stagno, di Bashō, il protagonista è il silenzio (e qualcosa di più), prima e dopo il salto, silenzio che non viene assolutamente nominato, ma soltanto evocato da una sillaba che indica taglio, sospensione. Questa “incompletezza” dello haiku, che provoca risonanze poetiche nel lettore è ben presente nell’estetica giapponese e va sotto il nome di yūgen (profondità misteriosa):

Il vecchio stagno…
Una rana si tuffa,
tonfo nell’acqua

Affidarsi al completamento che compie il lettore può offrire l’opportunità di comunicare quello che difficilmente è comunicabile. Forse lo haiku riesce a trasmettere alcune sensazioni vaghe ma ricorrenti, specie di déjà vu, che altrimenti avrebbero bisogno, per essere espresse, di analisi minuziose e particolareggiate, che peraltro non procurerebbero alcun riscontro emotivo, fallendo lo scopo. Due esempi.

Hai in mente la sensazione straniante di certi soli invernali, che sembrano preannunciare precocissimamente la primavera, ma allo stesso tempo richiamano i magoni di un passato che ti sembra rivivere tale e quale; e allora che c’è di meglio di poterlo dire così:

Befana al sole:

di scorse primavere

preme il ricordo

Così anche, erano anni che pensavo di trasmettere una sensazione da sempre provata! In macchina, su una strada provinciale, attraversare una campagna innevata con il comfort di viaggiare su un fondo sgombrato dagli spazzaneve; immaginare di essere in America, diretti nel Vermont, in un’atmosfera da “Bianco Natale” (il paesaggio, reso astratto dalla neve e dal protagonismo dei cartelli stradali, favorisce l’illusione). Il cielo non è sereno, ma grigio, un grigio di grande chiarezza, come se ci fosse un sole speciale, mentre tutto quel chiarore è dovuto all’irraggiamento della neve caduta. Potere dell’aggettivo “chiaro”, “chiara”! A cui non è estranea la suggestione di ulteriore America, cioè “Serenata a Vallechiara”. Contentezza, come se si fosse protagonisti di un’illustrazione di Rockwell. Una cosa così:

Dopo Natale
grigio che darà neve:
chiara vacanza

Mi pare, in questo modo, di averci messo un barlume dell’impressione di cui ho parlato. Oppure il tutto risulta molto oscuro, non so. Soggettivamente è stato il massimo che ho potuto dare al proposito.

Qualche cosa in più mi sembra di aver fatto per rendere quel senso inquietante delle luminarie natalizie, specialmente fuori città, nei silenzi notturni suburbani, in luoghi disertati dalla folla festante. Un’atmosfera delle nostre periferie e del nostro continuum urbano-rurale, che ritroviamo ingrandita (e sfruttata) nelle periferie di molti film americani, già avvezzi alle temperie molto più gotiche di Halloween. Mentre da noi permane ancora qualche traccia di un senso d’attesa, dell’Avvento, di calde atmosfere seppure raffreddate dalle villette e dai tinelli borghesi.

Luci d’inverno
gessetti sull’ardesia
on-off negli orti
bei rossi tramonti:
vostra è pena o conforto?

Insomma lo haiku è una mancanza affidata al lettore affinché la riempia con il suo sentire. È per questo che lo haiku ha bisogno di molto silenzio e di molto vuoto, di molto spazio bianco attorno a sé.

Il consiglio, si sa, è di leggerne uno ogni tanto.

La cesura, tipica della composizione, tra una prima e una seconda parte, che crea come un antisillogismo, in giapponese viene resa da una sillaba che ha valore di punteggiatura e che in italiano viene espressa solitamente con un trattino. Nel nostro caso c’è un punto, più frequentemente i due punti; forse sarebbero più appropriati i tre puntini di sospensione.

Sempre a proposito di vuoti e di isolamento, ci sarebbe da dire che un libro o libretto di haiku non ha molto senso: affastellarli uno accanto all’altro spezza la concentrazione necessaria. Mi pare giusto consigliare di leggere il presente opuscolo muniti di un segnalibro-passepartout atto ad isolare la lettura di ogni singolo haiku. Sui particolari di fabbricazione di questo gadget avremo modo di parlare.

Comunque buona lettura, concentrata e meditante.

Nota del curatore
Come già sottolineato dall’autore, lo haiku ha bisogno di molto spazio bianco attorno a sé. Ogni singolo componimento meriterebbe il respiro e il silenzio di un’intera pagina. Non risultando ciò possibile per motivi tecnici, si è adottata la soluzione di proporre quattro componimenti per pagina, cercando di creare comunque il massimo vuoto attorno a ciascuno di essi. La raccolta comprende, come il lettore potrà constatare, alcuni tanka (in giapponese: poesie brevi) che sono composizioni poetiche anch’esse disciplinate da un numero fisso di versi e di sillabe (5 versi di 5 e 7 sillabe, così disposti: 5, 7, 5, / 7, 7), dalle quali è disceso, per ulteriore sottrazione, appunto lo haiku.                              Paolo Repetto

A Rosa, per il 6, il 43, il 59, il 130
 e forse per tutti

CENTOCINQUANTA HAIKU

1

Il cielo grigio,

la pozzanghera mossa:

prove d’inverno

1/12/12

2

L’Alpe sontuosa

prorompe nel mattino,

sosta la luna

3/12/12

3

Come di vetro

gli alberi di dicembre:

orli di foglie

4/12/12

4

Monti innevati,

giganti risvegliati

da sole e gelo

5/12/12

 

5

Luci e Lucia,

s’attacca forte l’anno

ai lacabón

11/12/12

6

Azzurro e seppia

e te e l’Alpe bianca:

Natale al Po

11/12/12

7

La fiocca imbianca

presepi dialettali:

sono esistiti?

14/12/12

8

La neve a sera

morde di nostalgia:

è un bianco e nero

14/12/12

 

9

Neve sui vasi:

montagne sul balcone

lontanissime

15/12/12

10

Pasà l’inver

ui vén la stagiόn bón-na.

Ténti da cónt

16/12/12

11

Cornacchie nere.

Grigi. Fra poco arrivi

bianco Natale

20/12/12

12

Neutri colori

di letargo ancor lungo:

è il ventisei

26/12/12

 

13

Svïene l’anno,

pallore grigio-secco

di cielo e siepi

28/12/12

14

Salta la gazza

fuman forte i camini,

riparte il giorno

29/12/12

15

Tetti con brina

son torte di buon anno

il dì trentuno

31/12/12

16

Sul grigio e rosa

la punta del Monviso

solca il tramonto

3/1/13

 

17

Luna di giorno,

un’anima leggera

di ultramondi

4/1/13

18

Cielo di sera:

braci d’Epifania,

lame turchesi

4/1/13

19

Befana al sole:

di scorse primavere

preme il ricordo

6/1/13

20

Appare il Rosa:

noi lontani in pianura

al piè dei monti

7/1/13

 

21

La nebbia inghiotte

l’orologio di piazza:

sospeso è il tempo

10/1/13

22

Per la cornacchia

lo stradale è pascolo;

io corro invece

su questo stesso asfalto

non so dove, per cosa.

12/1/13

23

Da nebbie invasa

la geometria dei pioppi

devia il pensiero

14/1/13

24

Festa di bianchi

coriandoli: per terra

si sciolgono

19/1/13

 

25

Tra i bianchi e i neri,

Breugel del dopo neve,

sfreccia una gazza

20/1/13

26

L’uomo di neve:

ci sono ancora bimbi

in quella casa

22/1/13

27

Spettro solare

tra neve, nebbia, nubi:

siamo in ostaggio

22/1/13

28

Corte innevata,

spunta la pietra grossa:

quello è il tesoro

22/1/13

 

29

Tanka di Marzo

Amo mimose,

la Milano-Sanremo,

pioggerelline,

l’albicocco fiorito,

ciò che è indefinito.

24/1/13

30

Timido rosa,

già il trentun gennaio:

saran meline

31/1/13

31

Fili di ragno:

un sole scenografo

è mattiniero

3/2/13

32

Inno alla gioia:

musica alla finestra

l’Alpe innevata

3/2/13

 

33

Color d’inverno:

rosso-viola del vino,

bianco dei tetti,

l’arancio-canarino

di un mandarino.

3/2/13

34

Lame di fuoco:

l’alba pare un tramonto

nel mese corto

5/2/13

35

Fuma il camino:

primavera bugiarda,

San Valentino

9/2/13

36

Monviso rosa:

un castello di fiaba

oltre le siepi

9/2/13

 

37

Nuvole nere,

fondo di stille rosse

stinte nel blu.

È il broncio di febbraio

che prepara altro inverno.

9/2/13

38

Aria di gelo,

un sole di vacanza:

gioie segrete

16/2/13

39

Resti di neve

spersi nel verde nuovo:

tornerà il bello

18/2/13

40

Le cose in grigio,

aspettando la neve,

di là dai vetri

21/2/13

 

41

Come in un sogno

la neve è un’avventura:

solo, nel buio,

nel turbinìo dei fiocchi

mi addentro nel tempo.

24/2/13

42

Tetti glassati,

schiarita lattescente:

come in partenza

24/2/13

43

Città lontana

dei passi al telefono:

ritmo del cuore

26/2/13

44

Qui ancora nebbie;

marzo dorme al caldo

nel calendario

10/3/13

 

45

Rosa di pruni

o rosa di tramonto

nel viale a sera?

Nessuno lo saprà.

Certo è il rosa dei sogni.

15/4/13

46

Verde bandiera,

di prati, di speranze

a primavera

15/4/13

47

Nuvole grasse,

paesaggio fiorito:

fine d’aprile

28/4/13

48

Tra verdi chiari

si dà fondo al barile:

finisce aprile

29/4/2013

 

49

Tanka di Maggio

Calendimaggio

in assenza del sole;

in gala i verdi

son come cresimandi

del vescovo in attesa.

1/5/13

50

Maggio. Perché

tra verdi chiari e scuri

stringe il cuore?

3/5/13

51

Verdi lustrati,

pozzanghere maggenghe,

cielo d’estate

7/5/13

52

Come fa a pugni

il primo papavero!

Tempo di viaggi

7/5/13

 

53

Bianca sul cedro

nube che fai sognare:

orti dei ricchi

11/5/13

54

Dolci ferite

ai fianchi della strada

rose di macchia

22/5/13

55

Memoria antica

la rosa profumata,

compagna verde

22/5/13

56

Chiostra dell’Alpe

nel mattino di maggio.

Che dentifricio!

23/5/13

 

57

Sui campi di maggio

nubi si dan battaglia:

vincerà Estate

30/5/13

58

Svolto a Bistagno

nell’edenica valle:

ecco l’Altrove!

5/6/13

59

“Ti voglio bene”

continua a ricordarmi

il tiglio in fiore

17/6/13

60

A respirare

l’ultim’aura dei tigli;

poi quali gioie?

22/5/13

 

61

Guardando i fossi

riconosco le erbacce:

vecchie amicizie!

29/6/13

62

Finito il tiglio,

nel mercato di piazza

la limoncina

1/7/13

63

Cicorie azzurre

concentrato di cieli

spose dei fossi

5/7/13

64

Masse fronzute:

l’estate di Poussin

qui a Castelletto

13/7/13

 

65

Lagune d’erba,

Mar Giallo delle stoppie:

requie d’estate

19/7/13

66

Cortile chiuso:

mattino di mandorla

delle ipomee

19/7/13

67

Di tetti cotti

al forno dell’estate

caro paese!

3/8/13

68

Bucato estivo:

appesi al cielo i monti

nell’aria linda

20/8/13

 

69

Dopo la vampa

c’è ripresa negli orti,

voglia di inizi

23/8/13

70

Nubi e poi sole

e un campanile a punta:

nostro abbiccì

29/8/13

71

È più azzurro

il fiore di cicoria

a fine estate

30/8/13

72

Sogni inevasi,

propositi non svolti:

fine settembre

26/9/13

 

73

Tanka d’Ottobre

Il giallo-verde

spicca nel cielo grigio.

Tutto è spremuto.

Che suono ha di foglie

la musica d’ottobre!

5/10/13

74

Secondo tanka d’Ottobre

Cielo già in rosa

platani già in ruggine:

vago Lorrain.

Momento di stagione

da gran collezionista.

13/10/13

75

Caffè e giornale,

oggi, e latte di nebbia:

già tutto il meglio

20/10/13

76

Gamma dei grigi.

È pur bello l’autunno.

Due bacche rosse

24/10/13

 

77

Alle tre inizi,

lungo sonno d’inverno.

Coltri di nebbia

26/10/13

78

La bacca è rossa.

Ha avuto chi ha avuto.

S’apra l’inverno

26/10/13

79

I campi in sonno

come sempre a Ognissanti.

I cieli muti

31/10/13

80

Oh, San Martino!

Con un gioco nel cuore

verso il Natale

11/11/13

 

81

Luci d’inverno

gessetti sull’ardesia

on-off negli orti

bei rossi tramonti:

vostra è pena o conforto?

19/11/13

82

Un cielo grigio

cova i ghiacciai d’oro

dell’orizzonte

24/11/13

83

Cielo affilato

di coltelli d’acciaio:

domani neve?

2/12/13

84

Di prima neve

tracce rimaste a nord:

che mano lieve!

2/12/13

 

85

Perso nel latte

il comignolo a sera:

metà dicembre

10/12/13

86

Freddo dicembre

che pare un’ottobrata.

Chi ride è il cachi

15/12/13

87

Volge cangiante

il volo dei passeri:

foglie di pioppo

16/12/13

88

Che sia buon viaggio.

Pioggia tendente a neve:

tutto un inverno!

22/12/13

 

89

Dopo Natale

grigio che darà neve:

chiara vacanza

28/12/13

90

Gennaio, inizio:

con la spesa le case

ci vengono incontro

19/1/14

91

La merla è bianca:

neve di fine mese.

Torna l’inverno

30/1/14

92

S’alza un vapore

tra la neve e le zolle:

cuoce l’inverno

1/2/14

 

93

Dietro le nebbie

l’inverno si nasconde

ancor per poco

20/2/14

94

Timido rosa,

tenuto per speranza,

melo per finta

20/2/14

95

Il ramo spoglio

già soffuso di verde

trama una nube

nell’azzurro un po’ incerto.

Ecco i primi ciclisti!

23/2/14

96

Spuma sul piano

deborda per il bagno

di primavera

27/2/14

 

97

Primo fiorire:

stelle rosa nel cielo.

Che struggimento!

16/3/14

98

Che rami sghembi!

Le gazze fanno il nido.

Saran capaci?

23/3/14

99

Marzo mi piace:

tutto d’argento e inchiostri

piovoso il cielo.

Siepi: scoppi di verde.

Terra: zuppa di fiori.

24/3/14

100

A bagno in cielo

nubi, spugne inzuppate.

La terra è un vetro

2/4/14

 

101

Maggio: gaggìe;

il cielo si spappola.

E poi l’estate

8/5/14

102

Haiku perfetto

è verde, cielo e nubi.

C’è forse altro?

8/6/14

103

Nube-parrucca

sopra al palazzo antico:

ora di cena

13/6/14

104

Luglio di pioggia:

più nuvole che suolo.

S’affaccia il sole

al volo di un piccione:

qui s’aspetta l’estate.

26/7/14

 

105

Foschìa d’agosto.

Qui tutta la vacanza

è un filo d’erba

9/8/14

106

Mattina alta:

spicchio di luna in cielo.

Terse giornate!

16/8/14

107

Prodotto il caldo

agosto si rannicchia:

dolci giornate

22/8/14

108

Trentun d’agosto:

sul filo dell’estate

come fuscelli

30/8/14

 

109

Nelle campagne

come odor di bucato.

Quieto settembre!

6/9/14

110

Il girasole

isolato nel campo.

Fine d’estate

23/9/14

111

Pioggia in paese.

Gorgogliano i pluviali:

voci dell’acqua

11/11/14

112

Stoppie arancioni:

la pioggia ci ha passato

mani di smalto

11/11/14

 

113

Ad ogni notte

i Re Magi d’Orione

un passo avanti

21/11/14

114

Gialli, amaranti

e verdi decaduti:

feste d’addio

23/11/14

115

Fior di trifoglio,

rimasuglio d’autunno:

il miglior dono

23/11/14

116

Rapito ascolto

nella casa degli avi

gocce di pioggia

30/11/14

 

117

Nubi di spugna:

vi si inzuppa l’inverno,

il giorno è sera

4/12/14

118

Cielo che cova,

ma la neve non cade:

oblìo rinviato

14/12/14

119

Faci barocche

i piccioni sui tetti.

I lunghi inverni!

15/12/14

120

Dodici notti,

luna cerchio perfetto,

calze in attesa

6/1/15

 

121

Monti di panna,

aura di stampa antica

dai fondi blu

26/1/15

122

Quale sapiente

ritrarsi della neve

dai campi verdi!

26/1/15

123

Oh di febbraio

canne secche festanti

al primo sole!

1/2/15

124

Orto d’inverno.

Si posa il pettirosso.

Subito scappa

4/2/15

 

125

Al nuovo sole

aperte le finestre,

caro Sanremo!

11/2/15

126

Al mio paese

un rovere di bronzo

presidia i freddi

13/2/15

127

Rami tagliati

timidi cinguettii:

preparativi

19/2/15

128

Il bianco-rosa

del monte mi entra in casa,

lucida i muri

26/2/15

 

129

Il vento accende

cieli di troppo azzurro.

Verrà anche Pasqua

6/3/15

130

La primavera

ride di mille verdi.

Sei milleuno?

7/3/15

131

Parlo coi gialli

(torno dalla fioraia):

che chiacchieroni!

24/3/15

132

Ma questo cielo-

-cartolina di Pasqua:

gioia o ferita?

1/4/15

 

133

Son perle verdi

gli alberi d’aprile,

son mare i campi

18/4/15

134

Campi, scampoli,

sotto l’azzurro tenue,

di rossa zolla,

di verde grano acerbo.

Terra: ricca pezzente.

21/4/15

135

C’è quella pianta

come un soprammobile

sulla collina

13/5/15

136

Incastonata

tra fresche terre arate

casa in collina

13/5/15

 

137

Vento di maggio:

fa punta ai campanili,

piega le biade

15/5/15

138

Bellezza e morte:

è ciò che dice maggio.

Ma giugno è bello

16/5/15

139

Di verde e azzurro

perfette percentuali.

Si cela il Mago

18/5/15

140

Sempre inattesa

ebrietudine annuale

l’oro dei tigli

29/5/15

 

141

All’improvviso

nel boudoir dell’estate

tra i tigli d’oro

30/5/15

142

Circa il ligustro:

un eterno mattino

tra l’ape e il fiore

31/5/15

143

Riso maturo,

dono di fine estate:

ancora vita

8/9/15

144

Il parabrezza

imperlato di sera:

inizi d’autunno

12/9/15

 

145

Son lascito di

polvere profumata:

care sillabe!

17/9/15

146

S’affaccia Autunno,

chiarità fra nuvole,

voglia di maglie

23/9/15

147

L’aria d’autunno

rende più dolci i colli,

fa nubi a bolla

27/9/15

148

Ora che è autunno,

ah l’insensato amore

per il paese!

1/10/15

 

149

La mela Carla:

rossore di fanciulla

su verde esangue,

polpa dolce e leggera

come a volte i ricordi.

5/10/15

150

Schiaccio la foglia:

soave limoncina!

Sospeso è il tempo

6/10/15

 

Una raccolta di silenzi

di Paolo Repetto

Prima di leggere il Disciplinare di Mario Mantelli (ed. Bravomerlo, 2012) dello haiku sapevo poco o nulla (e nemmeno ero curioso di saperne di più). Più che un genere poetico mi sembrava un gioco cervellotico, quasi a livello di settimana enigmistica, e confermava semmai la mia immagine dei giapponesi come gente strana, fanatica dell’autocontrollo e delle costrizioni.

Il Disciplinare mi ha fatto scoprire un modo diverso di guardare il mondo e un’intenzione diversa nel raccontarlo. Questo modo e questa intenzione sono spiegati ora benissimo nella Stenografia Emotiva premessa da Mario a questa raccolta. Potrei quindi godermi in santa pace il piacere di leggere le sue composizioni in un libretto dei Viandanti, e lasciarlo gustare anche agli altri: ma come Wilde non so resistere alle tentazioni, e questa è davvero forte. Anch’io infatti, come i giapponesi, ho bisogno della costrizione della scrittura per mettere a fuoco quello che sento e dare ordine a quello che penso. Ora, gli haiku mi hanno fornito parecchi spunti e soprattutto mi hanno chiarito cose che già mi giravano in testa, ma molto confusamente: e allora ne approfitto per metterle subito in riga, sperando solo di non guastare le gioie che il libretto ha regalato.

Dunque, cominciamo ad allacciare un po’ di fili. Parto dai modi di guardare alle cose. Possono sembrare infiniti, ma nella sostanza poi si riducono a due: da dentro o da fuori. E questo va da sé, con o senza haiku. In realtà, guardare da fuori sarebbe la nostra condizione (per alcuni, la nostra condanna) “esistenziale” unica e assoluta. Siamo impediti all’intimità col mondo da quella consapevolezza che ci ha resi appunto uomini, facendo di noi degli estranei di passaggio. Ma non ci rassegniamo, per cui scegliamo un angolo prospettico che costituisce già di per sé un metro di giudizio e ri-costruiamo la realtà, il più possibile a nostra immagine.

Ora, se il mondo vogliamo coglierlo nel suo assieme, e trovare in questo assieme un significato, suo e nostro, e magari anche il modo, oltre che di comprenderlo, per controllarlo o per dominarlo, possiamo posizionarci ad una certa distanza: ma se desideriamo invece “rientrare nel mondo”, sentircene parte integrante, dobbiamo portarci a una distanza minima, facendoci piccoli abbastanza per sgusciare, sia pure per pochi infinitesimali attimi, attraverso le porte spazio-temporali che a volte si aprono. Nel primo caso prevale l’intenzione storico-scientifica, che sfocia in una narrazione del mondo, mentre nel secondo agisce una disposizione “estetica” (forse sarebbe più appropriato “estatica”), che vuole “fissare” in una pagina, sulla tela, o attraverso i suoni, una intuizione, un frammento intravisto, un’illuminazione. Semplificando al massimo, potremmo dire che il primo atteggiamento introduce nella narrazione il tempo, e quindi produce dei film, mentre il secondo il tempo lo vuole fermare, e produce quindi delle fotografie.

Personalmente, credo di essere un cinematografaro. Il mio modello ideale sono quei cartografi raccontati da Borges che realizzarono una mappa dell’impero in scala uno a uno. Ma mi accorgo che la cosa è contraddittoria, perché in questo modo si parte guardando il mondo da un’enorme distanza e si finisce per soffermarsi poi su ogni filo d’erba. Si nasce narratori e si finisce esteti. In una certa misura accade persino ai campioni dell’intenzione scientifica, gente come Galilei o Newton, quando individuano una chiave di lettura (in questo caso quella matematica) del mondo e finiscono per far combaciare la serratura con il mondo stesso.

Mi accorgo però che su questa strada rischio di incartarmi, e provo allora a metterla in maniera diversa, con qualche esempio più immediato. Prendiamo Manzoni: inizia il suo racconto con un campo lunghissimo dall’alto, stringendolo poi progressivamente sino al primo piano su don Abbondio. Oppure inquadra un paesaggio di rovine e poco a poco lo popola, avvicinandosi, di volti e di occhi smarriti. Parte cioè presentando un mondo che di lontano appare immobile e sempre uguale a se stesso, per coglierne e narrarne poi invece il movimento. Ma il movimento, diceva già Aristotele, è la condizione che crea il tempo: il tempo è movimento nello spazio. Scegliere di raccontare nel tempo, attraverso il tempo, magari anche per dire che in fondo le cose si ripetono o si somigliano, come fa Manzoni, significa scegliere di raccontare comunque ciò che sta fuori, che rimane in superfice e cambia incessantemente, così come è percepito dagli uomini. E darne una spiegazione, sia essa razionale o meno, nella quale questi ultimi abbiano una parte, possibilmente da protagonisti. Si cerca di leggere il mondo, piuttosto che di viverlo.

Leopardi inizia invece guardando dal basso verso la luna, fa cioè un percorso esattamente inverso: e pone delle domande. Le pone alla luna perché il movimento di questa, infinitamente ripetuto, in fondo è solo apparente. Quindi essa è una possibile depositaria del senso (o, volendo, del non-senso) ultimo. Leopardi però non è alla ricerca di spiegazioni razionali, o compatibili con le nostra modalità di pensiero (tutte le sue domande, a partire dal che fai?, sono puramente retoriche): dice subito, proprio con quelle domande, che spiegazioni non ce ne sono, o se ci sono rischiano di non piacerci affatto, e per questo motivo rinuncia alla narrazione e continua a cercare epifanie, spiragli (le brecce montaliane nel muretto) che consentano di dare comunque un’occhiata all’interno. Quando scrive:

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna.

non ha bisogno di darsi o di darci un perché. È l’istantanea di un dato di fatto, colto attraverso il grandangolo della sua sensibilità.

Sono evidentemente due modi diversi di guardare il mondo. Ed entrambi legittimi. Il primo, però, lo sguardo esterno, nasconde un intento aggressivo: svelare strappando il velo. Il secondo, lo sguardo da dentro, il velo non lo strappa, spera che qualche refolo lo scosti. Questa disposizione non rappresenta tuttavia una resa incondizionata alla ineffabilità del mondo, della natura. Anzi, è il contrario. Nemmeno quello di Leopardi è infatti un atteggiamento totalmente disarmato, e il poeta ne è perfettamente consapevole, a differenza di altri, Pascoli ad esempio, che ritengono che per raccontare da dentro sia necessario tornare allo sguardo del fanciullino: vale a dire spogliarci di ogni armamentario culturale e lasciarci risucchiare dal mondo (che è diverso da immergersi). Ora, la cosa è già molto improbabile a livello di percezione, dell’esperienza che si fa del mondo, perché hai voglia a denudarti degli abiti e delle corazze cuciti e forgiati dalla cultura, il nostro modello di percezione circola sottopelle: ma soprattutto si scontra poi, al momento di comunicare ciò che si è esperito – ed è questa da sempre l’aspirazione, se non la funzione, dell’arte – con la necessità di universalizzarlo e condividerlo attraverso segni, suoni e colori, che sono tutte forme di imitazione e ri-creazione del mondo. Insomma, quale che sia l’attitudine è necessario ricorrere comunque a convenzioni espressive, strumenti, che non ci adattano al mondo, ma adattano il mondo a noi. E nel farlo, di norma, lo allontanano. Leopardi, ripeto, questo lo sa benissimo, e opera proprio sugli strumenti, usando un doppio segno negativo (quello intrinseco al mezzo e quello impresso dalla poetica dell’indefinito) per ottenere un risultato positivo, di avvicinamento (è ciò che Pascoli dimostra di non aver capito, quando gli rimprovera l’accostamento temporale di rose e viole, ma anche quando si trastulla in onomatopee e bamboleggiamenti)

Questo ci riporta finalmente allo haiku.

La distanza dal mondo si misura appunto, tanto in letteratura come nelle altre arti, in parole, in segni, in note. Non dico che sia direttamente proporzionale alla lunghezza di un testo, all’accuratezza di una immagine o alla complessità di uno spartito, ma in un certo senso è così. Quanto più indulgo in una descrizione, riproduco i singoli peli di un coniglio, accumulo e armonizzo suoni diversi, tanto più mi allontano dalla immediatezza della sensazione o dell’emozione per ricreare un “mio” mondo, pensato a mia immagine o a quella del mio tempo: un mondo che a differenza di quello reale è “interpretabile”, e del quale potrò fare ciò che voglio: dargli un’anima, leggerci foreste di simboli, ecc… Visto che il creato mi esclude, mi erigo a creatore: che è una cosa bellissima, senza dubbio, ma anche parecchio inquietante, perché da subito tende a sforare dalla dimensione narrativa a quella operativa, ad adattare il mondo a noi non solo attraverso le parole, ma anche attraverso i fatti. E nei fatti ormai gli spazi sono parecchio confusi.

Ma qui parliamo di poesia. Qui lo spazio occupato dai segni, nella nostra fattispecie dalle parole, è ancora quello che ci separa dalle cose. E non lo si annulla scombinando semplicemente il tradizionale allineamento dei primi: anzi, le grandi narrazioni a ruota libera, l’Ulisse come Sulla strada, l’arte informale, la musica dodecafonica, sono quelle che meno ci avvicinano all’oggetto, perché ruotano costantemente attorno al soggetto. Quindi non è questione di rompere una consolidata disciplina espressiva: non è questa a raffreddare l’emozione: anzi, la disciplina aiuta semmai a trovare un equivalente narrativo, ad avvicinarci.

Nemmeno è questione di ridurre semplicemente i segni all’osso. Ungaretti riesce ad esprimere uno stato d’animo con meno della metà delle sillabe canoniche di uno haiku, Quasimodo con un paio di più. Ma al centro ci stanno loro, non il mondo. Lo stesso accade per le opere di Fontana o per quelle di John Cage, dietro le quali devi supporre un percorso chilometrico, se vuoi che abbiano un senso. Un percorso faticoso, pesante. Stavo per scrivere ‘tipicamente occidentale’, ma non è del tutto giusto.

Anche quello dello haiku è infatti un percorso culturale che parte dall’esterno. Ma mi sembra che a differenza di quello occidentale, che mira a narrare e quindi a disciplinare il mondo, tenda invece a disciplinare lo sguardo sul mondo, nel significato scolastico in cui veniva usato un tempo il verbo, di non disturbare, di interferire il meno possibile, di prestare attenzione. Rispecchia un modo d’essere, di muoversi, di pensare, al quale i giapponesi sono stati educati per secoli e che hanno intimamente assimilato. Per questo sino a ieri ho continuato a ritenerlo estraneo alle mie frequenze. I pochi casi di trasposizione occidentale che conoscevo, quelli legati al coté orientaleggiante della controcultura degli anni cinquanta/sessanta (Alan Watts, I vagabondi del Dharma), o peggio, quelli prodotti dalla moda new age degli anni novanta, non facevano che confermare la mia impressione. Quando non erano patetici, perché semplicemente inscatolavano il vuoto, davano l’impressione di serrare i contenuti in una gabbia, anziché aderire loro come un abito. Nell’uno e nell’altro caso il problema nasceva comunque da un uso improprio o gratuito dello strumento. Ma questo l’ho capito solo dopo aver letto le istruzioni e le esemplificazioni prodotte da Mario.

Ho capito ad esempio che lo haiku è riconducibile a quella forma più universale di ascetismo che da sempre ha cercato di minimizzare il vivere per enfatizzare il sentire: il silenzio è una delle vie preferenziali scelte da stiliti, monaci, eremiti anche in occidente per forzare le porte della percezione. Solo che per la cultura occidentale questa è sempre stata una scelta a suo modo clamorosa, mentre in quella orientale è una consuetudine discreta.

Per non tirarla troppo in lungo, lo haiku è un esercizio non di forza, ma di estremo equilibrio. Calvino direbbe di leggerezza. Il che può sembrare paradossale, perché le parole prosciugate acquistano un peso specifico enorme. Ma qui la leggerezza è consentita da ciò che le parole vogliono esprimere: che non è conoscenza del mondo, ma stupore e consonanza col mondo. Lo haiku esprime uno stato d’animo che fa tutt’uno con uno stato della natura, in fondo lo stesso che Leopardi descrive nell’incipit de “La sera del dì di festa”. (anche se per Leopardi questo è appunto solo un incipit, e nel prosieguo la sua occidentalità ha la meglio). La leggerezza è data dalla sensazione di essersi fatti così piccoli da poter entrare nel quadro senza disturbarlo. Come del resto accade per tutta la pittura paesaggistica orientale, nella quale le forme di vita umana sono appena percettibili, nascoste nel paesaggio. Oserei dire che lo haiku realizza addirittura il sogno del doppio sguardo: da fuori, perché passa attraverso un’operazione complessa di pesatura, misurazione, scelta delle parole: da dentro, perché questa chiave consente di entrare per un attimo nella dimensione perduta.

Viene a questo punto da chiedersi come mai Mario abbia scelto di praticare un esercizio così lontano dalla nostra tradizione – e perché io abbia così fortemente voluto ripubblicare i suoi haiku nelle edizioni dei Viandanti. Scartato in partenza ogni sospetto di condiscendenza alle mode, o di compiacimento per l’esotismo spirituale, non rimane che la pista della disciplina. Mario è stato conquistato da un esercizio disciplinare che apre ad una eccezionale libertà. Si è accorto che in realtà le diciassette sillabe non costituiscono affatto una limitazione, e che il piacere del risultato, dell’eureka finale, viene già anticipato nell’atto di isolare immagini e di cancellare metri di parole-spazio. Che una volta ripulite e ordinate le sue emozioni conservano la freschezza dell’istantanea. Il resto lo fanno Oviglio e il Monferrato, che offrono stagioni e ritmi come quelli di Kōbe, e il fondale delle Alpi, che non fa rimpiangere il Fuji.

P.S. Rileggendo questi haiku mi è tornato in mente un racconto di Heinrich Böll, La raccolta di silenzi del dottor Murke. Murke non aspira al “grande” silenzio. Raccoglie piccoli scarti di nastro magnetico, i tempi morti silenziosi che vengono eliminati per ottimizzare la programmazione radiofonica, li unisce e li fa scorrere. Quello che ne vien fuori non è un silenzio assoluto, continuativo: è la successione di brevissime pause, che arrivano cariche di tensioni, paure, tristezze, stupori. Nel monotono, leggero fruscio del nastro tutto viene scaricato, mescolato, dimenticato. Non so quale sia il nesso, ma sono certo che c’è.

Elenco degli argomenti ricorrenti

Elenco degli argomenti ricorrenti, esclusi quelli che si riferiscono al tempo (stagioni, mesi, feste). I numeri sono quelli che contraddistinguono gli haiku.

A

Alberi  3, 126, 133 ,135

Alberi fioriti  29, 30, 45, 94, 97

Alimenti  5, 33, 75, 143

Ambiente urbano  21, 43, 103

Amore  6, 43, 59,130

Animali  31, 87, 91, 124, 127, 142

Aria  68, 92, 106, 147

Azzurro  6, 71, 95, 121, 129, 134, 139

B

Bacche  76, 78

Bianco  6, 8, 11, 56,121, 128

Bucato  68, 109

C

Caldo  69, 107

Camini  14, 35, 85

Campanile  70, 137

Campi  57, 110, 122, 133, 134

Casa  90, 111, 116, 128, 136

Cicoria  63, 71

Cielo  63, 68, 102, 118, 129, 132

Collina  135, 136, 147

Cornacchia  11, 22

Corte  28, 66

E

Erba  61, 65, 105, 137

F

Finestra  40, 125

Fiori  29, 52, 66, 99, 110, 115, 142

Foglie  3, 73, 150

Fossi  61, 63

Frutti  33, 149

G

Gazza  14, 25, 98

Giallo  73, 114, 131

Grigiori  1, 11, 12, 13, 40, 73, 76, 79, 82, 83, 89, 99

L

Limoncina  62, 150

Luci  5, 81

Luna  2, 17, 106, 120

M

Mattina  34, 142

Montagne  2, 4, 9, 20, 32, 56, 68, 82, 121, 128

Monviso  16, 36

N

Nebbia  21, 23, 27, 44, 75, 77, 85, 93, 105

Nero  8, 99

Neve  7, 8, 9, 24, 25, 26, 27, 28, 33, 39, 40, 41, 42, 83, 84, 88, 89, 91, 92, 118, 122

Notte  113, 120

Nuvole  27, 37, 53, 57, 70, 95, 96, 100, 102, 103, 104, 117, 146, 147

O

Oro (colore)  140, 141

Orti  53, 69, 81, 124

P

Paese  67, 126, 148

Piccione  104, 119

Pioggia  29, 104, 111, 112, 116

Pioppi  23, 87

Pozzanghera  1, 51

R

Rami  64, 95, 98, 108, 127

Rosa  54, 55

Rosa (colore)  74, 128

Rosso  114, 134, 149

S

Sera  117, 144

Siepi  36, 99

Sole  19, 38, 70, 104, 123, 125

Sonno  77, 79

Stoppie  65, 112

T

Terra  99, 100, 134, 136

Tetti  15, 33, 42, 67

Tiglio  59, 60, 62, 140, 141

Tramonto  16, 18, 37, 45, 81

V

Vento  129, 137

Verde  39, 48, 49, 50, 51, 99, 102, 122, 130, 134, 139, 149

Z

Zolle  92, 134