Tempo da lupi

di Nicola Parodi e Paolo Repetto, 8 dicembre 2022

Da uno studio durato venticinque anni sui comportamenti dei lupi di Yellowstone (se ne parla in un articolo pubblicato su Le scienze di dicembre) viene fuori un dato particolarmente interessante (e inquietante). Sembra che negli esemplari infettati dal Toxoplasma gondii, un parassita microscopico che predilige incistarsi nel cervello, scatti una maggiore produzione di dopamina e di testosterone: in altri termini, che diminuiscano le inibizioni, il senso del pericolo, e che aumenti l’inclinazione a comportamenti rischiosi e aggressivi. La cosa non vale naturalmente solo per i lupi, ma per tutti gli animali a sangue caldo, quindi ad esempio anche per i topi o per gli scimpanzé, nonché per i nostri animali domestici, segnatamente per i cani (i gatti, in realtà, come tutti gli altri felini, sono ospiti naturali del parassita, quelli in cui avviene la sua riproduzione sessuata: e non sappiamo quanto il loro comportamento ne venga influenzato). Per il momento tuttavia non sono ancora segnalati effetti alla Stephen King.

A volerli cogliere, però, questi effetti potremmo già avvertirli nella più domestica delle specie, quella umana. Il Toxoplasma infatti risulta essere stabilmente presente in un umano su sei, ed aver contattato un umano su due. In genere la coabitazione non causa danni particolari, tranne quando in pazienti già immunocompromessi evolve in Taxoplasmosi e produce encefaliti che possono essere mortali, o quando il protista parassitario infetta un feto durante la gravidanza provocando l’aborto. Ma questi sono effetti già da tempo conosciuti e per fortuna relativamente rari. È invece molto più recente la correlazione individuata tra l’infezione toxoplasmatica e i comportamenti sociali (o, se vogliamo, asociali), nel senso che questi comportamenti hanno poi una ricaduta sulla coesione e sulla stabilità del gruppo e sulla sua gerarchizzazione.

Cerchiamo di spiegarci meglio. Quando parliamo genericamente di animali, gli effetti dell’incistamento del toxoplasma nel cervello sono un aumento del coraggio e dell’aggressività e una diminuzione della paura nei confronti dei predatori. Questo induce a comportamenti più imprudenti, che il più delle volte sono letali, ma che in molti casi offrono maggiori possibilità di scalare le gerarchie del gruppo e di avere più chanches riproduttive. Nel caso dei lupi, ad esempio, un esemplare affetto da toxoplasmosi, e pertanto più aggressivo, ha probabilità cinquanta volte superiori a quelle dei suoi compagni di diventare in capobranco, o di crearsi un branco proprio (lo studio dal quale siamo partiti evidenziava appunto questo).

Nel caso degli umani la correlazione non è stata ancora scientificamente comprovata, ma anche ad uno sguardo superficiale le analogie con i comportamenti degli altri mammiferi sono clamorosamente palesi. Con una differenza, consistente nel fatto che negli altri animali questa correlazione è condizionata e mitigata poi dai fattori ambientali (la presenza ad esempio di molti predatori sfoltisce il numero degli incoscienti, la loro assenza lo moltiplica) mentre tra gli umani è connessa a fattori storici, che creano senz’altro mutamenti ambientali, ma agiscono anche per altre vie, non naturali ma culturali (costumi, credenze, tradizioni, ecc…, cui oggi si aggiungono la mediatizzazione dei rapporti sociali, la medicalizzazione, ecc…).

Ora, la lettura di questo articolo ci ha indotti ad alcune riflessioni che vorremmo sinteticamente proporvi.

  • Intanto, avevamo già cominciato a dubitare da un pezzo che l’emersione a livello del gruppo sia correlata ad una qualche affezione mentale, vista la classe politica che ci governa, e non solo a livello italiano. Ma anche negli altri ambiti non sembra andare molto meglio.
  • Questo perché, come dice l’articolo, in mancanza di predatori o di altri rischi il comportamento aggressivo o incosciente (quello che normalmente definiamo idiota) può costituire un vantaggio nei meccanismi che generano gerarchie. Tradotto in umanese, se non ci sono norme che puniscono i comportamenti asociali, scorretti o semplicemente idioti, oppure le norme esistono ma il sistema non è in grado di imporne il rispetto (o non lo vuole), il gioco politico diventa sleale, e vince chi si comporta più slealmente. Sarebbe interessante un controllo sulla diffusione del parassita nei cervelli dei politici o nelle classi dominanti anche in altri settori, dall’economia all’informazione: potrebbe fornire molte spiegazioni.
  • È sempre stato così? In parte, forse, si. Ma se guardiamo indietro non possiamo ignorare che un tempo il comportamento irregolare, asociale, che pure si risolveva di norma nell’esclusione dal gruppo, quando non direttamente nell’eliminazione, finiva almeno in qualche caso per avvantaggiare personaggi di un certo calibro, esploratori, condottieri, scienziati e, certo, anche grandi malfattori, ma nelle debite proporzioni. Oggi il fatto stesso che la qualifica di “eroe”, un tempo appannaggio di chi andava in positivo oltre la norma del comportamento umano, sia attribuita ai protagonisti degli stadi o dello spettacolo, e che a primeggiare siano non i più coraggiosi ma i più spudorati, coloro che non temono per la propria reputazione, la dice lunga sullo snaturamento del concetto.
  • Al di là della condotta delle classi “dominanti” (cui possiamo associare anche quella dei “buffoni di corte”), che sono tali appunto anche, se non soprattutto, per l’effetto toxoplasmatico, quel che inquieta maggiormente è il modello di comportamento “a rischio” (per sé ma principalmente per gli altri) che si va diffondendo a livello di massa. Le statistiche parlano per il nostro paese di una diminuzione della violenza, ma sappiamo come funzionano. Ad esempio, sembra essere diminuito il numero degli omicidi, ma nessuno spiega che un tempo per l’ottanta per cento questi rientravano nelle attività delinquenziali mafiose, erano a carico della criminalità organizzata, a modo loro avevano un senso e uno scopo: mentre oggi la percentuale si è invertita, perché i delinquenti professionali usano altri mezzi, più soft e meno primitivi, per regolare i loro conti o per controllare il territorio, mentre ad esplodere è la violenza privata ed insensata: femminicidi quotidiani, teppismo aggressivo fine a se stesso, reazioni esasperate ad uno sguardo o a una parola di troppo. Nella nuova casistica criminale colpisce soprattutto l’insensatezza, ed è questo probabilmente che enfatizza la percezione della pericolosità.

Come si spiega questa esplosione? Di spiegazioni sociologiche e psicologiche ne sono state date tante, una più complessa dell’altra, mentre quella più semplice ci pare essere stata trascurata. Proviamo dunque a formularla noi.

  • Fermo restando che il tasso di infetti dal toxoplasma sia rimasto uguale nel tempo, almeno negli ultimi cento anni, i danni che il parassita produce sono aumentati in maniera esponenziale. Perché nel frattempo è cambiato l’ambiente nel quale si incista, e per ambiente intendo evidentemente il cervello. I motivi per cui ciò accade sono svariati:
  • Intanto, c’è stata una progressiva e generalizzata caduta delle difese immunitarie mentali, messe sotto attacco dalla colonizzazione mediatica. L’effetto delle dosi massicce di violenza verbale e visiva inoculate per via televisiva, informatica o cinematografica è quello di una sempre maggiore confusione e sovrapposizione tra la realtà e la dimensione virtuale. E violenza non è solo la brutalità, ma lo sono anche la stupidità, l’arroganza, l’inciviltà nei comportamenti che questi mezzi contrabbandano.
  • Nell’ultimissimo periodo il crollo è stato accelerato da una serie di circostanze destabilizzanti; la pandemia, col suo corollario di vaccini e no-vaccini e bare ammucchiate sui camion e lockdown; l’emergenza ambientale, che si porta dietro oltre le siccità e i fenomeni meteorologici estremi anche la sensazione di una fine imminente per l’umanità; la crisi politica, con la guerra che è ricomparsa in Europa dopo ottant’anni; la crisi economica, che si direbbe aver imboccato una strada di non ritorno. Par di vedere i neuroni che di fronte ad una serie ininterrotta di scariche adrenaliniche ad alta intensità si arrendono totalmente scoraggiati.
  • Questo, naturalmente, là dove i neuroni ancora ci sono. Non so se ci sia stata una diminuzione della capacità cerebrale (sembra di si), ma per certo negli ultimi centomila anni il volume utile della nostra scatola cranica non è aumentato. Sono invece aumentati gli acceleratori (o gli inibitori) artificiali del movimento neuronale: si consumano certamente più coca o erba o stimolanti o “equilibratori” di vario tipo che pomodori o zucchine, e questi additivi fanno strage di una popolazione neuronale già assottigliata per i motivi di cui sopra.
  • Ecco allora che in un ambiente così degradato, in qualche caso quasi deserto, dal quale sono spariti tutti i cartelli indicatori e i segnali di divieto, il Toxoplasma ha piena libertà d’azione. Può schiavizzare i pochi neuroni che vagano disorientati e imprimere loro velocità e direzioni assurde. In questo modo i comportamenti incauti o irresponsabili o prevaricatori si moltiplicano: e se nel primo caso (esemplificato dal ricorrere periodico di mode demenziali, quali quelle del salto dal balcone o del pisolino sulle rotaie o in mezzo alle autostrade) la strategia del parassita è perdente, perché colpisce solo il suo veicolo, negli altri ha un effetto moltiplicatore, anche in assenza di una trasmissibilità genetica: il comportamento toxoplasmatico, infatti, produce una reazione mimetica anche in individui non infetti, segnatamente in quelli nei quali è già presente una forte disposizione all’irresponsabilità.

Tempo da lupi 02

Come si è potuto verificare con lo studio sui lupi, il Toxoplasma non solo influenza le gerarchie del gruppo ma ne favorisce anche la dispersione, arrivando in questo modo a condizionare gli equilibri e le dinamiche di interi ecosistemi. Lo stesso accade rispetto alle interazioni sociali umane, e tanto rispetto all’ambiente naturale che a quello culturale. Il problema è che mentre nel caso dei lupi la diffusione dell’infezione sembra incontrare un tetto naturale (i lupi di Yellowstone si infettano mangiando le carcasse dei puma, che sono gli ospiti naturali del parassita, e la diminuzione di questi ultimi, causata anche dalla concorrenza predatoria su uno stesso territorio proprio con i lupi, fa diminuire le possibilità di infezione), nel caso degli umani la tendenza all’aggressività e alla irragionevolezza, Toxoplasmosi o no, non sembra trovare ostacoli o limiti. Questo perché sono saltati i meccanismi sociali di controllo del comportamento individuale, quello della “reputazione”, che funzionava informalmente all’interno del piccolo gruppo, ma anche quelli formalizzati in normative e leggi. Non sono allo sbando solo i neuroni dei singoli infetti, lo siamo tutti quanti.

Adesso però occorre fare sì che i risultati dello studio non vengano diffusi troppo (un rischio che col nostro sito non si corre). Ci sono genitori che per assicurare alla loro progenie uno spirito fortemente competitivo farebbero dormire i gatti nella culla coi neonati. Ma soprattutto sarebbe una pacchia per gli avvocati difensori: avrebbero a disposizione l’attenuante ideale per la miriade di sciagurati, tra uxoricidi, parricidi, teppisti da discoteca e altra varia disumanità, che sta intasando i nostri tribunali.

C’è in definitiva qualche speranza di contenere gli effetti del Toxoplasma triumphans? Ben poche, a quanto è dato vedere: e affidate più alla fantascienza che al buon senso. In America sono stati ritrovati i resti del Panmthera atrox, un felino di due quintali, estintosi dodicimila anni fa, nella cui dieta i lupi erano un piatto forte. Con le nuove tecniche bioingenieristiche dal suo DNA si potrebbe farne rivivere qualche esemplare, come in Jurassik Park, e castigare gli eccessi lupeschi di audacia.

A noi umani sarebbe però sufficiente ritrovare e riesumare i resti di Hammurabi, molto più recenti. O anche, più semplicemente, qualche articolo del suo codice. Ce ne sono un paio che per scoraggiare la propensione al comportamento antisociale risulterebbero molto efficaci.

La solitudine del lupo nel circo di whatsapp

foto di Francesca Marucco

di Fabrizio Rinaldi, novembre 2017, da sguardistorti n. 01 – gennaio 2018

Recentemente sono stato testimone di una accesa discussione su whatsapp fra le madri delle compagne di scuola delle mie figlie. L’evento scatenante era l’uccisione di due cani da parte di fantomatici lupi avvistati vicino all’abitato di Cremolino, sull’appennino ligure-piemontese. A cascata sono arrivati messaggi di questo tenore: i lupi si avvicinano alle case, quindi sono pericolosi per i bambini, possono assalire chi cammina nei boschi, c’è chi li libera per predare caprioli e cinghiali (un tempo c’era chi lanciava le vipere dagli aerei, presumibilmente col paracadute) … e via così, in un crescendo di allarmi e scempiaggini.

Non sono un esperto di lupi, ma basta informarsi un po’ di più – su internet si trovano anche dei dati sensati … – per sapere che fino agli anni ’70 del Novecento il predatore era confinato nell’Appennino del centro Italia e ridotto a pochissimi esemplari; poi – grazie a leggi di tutela e all’abbandono delle campagne e delle montagne – ha lentamente riconquistato il suo antico areale, arrivando fino alle Alpi Marittime e alla Valle d’Aosta. Quindi nei nostri boschi e nelle nostre montagne, da alcuni anni, transitano effettivamente alcuni esemplari in dispersione, cioè animali “solitari” che lasciano il branco per cercare nuovi territori. E cosa fa questa bestia nel suo peregrinare? Fa ciò che la sua natura le comanda: caccia per nutrirsi e uccide per espandere la sua zona. È dunque possibile che i poveri cani sbranati abbiano davvero avuto la sfortuna di incontrare dei lupi, e in tal caso ovviamente spiace per loro. Quello che fa specie, però, è la dimensione dell’allarme per un episodio poco certo, quando i rischi reali non suscitano invece alcuna preoccupazione.

Pochi anni fa’ un branco semiselvatico di cani tenuti in cattività in condizioni ignobili e per questo costantemente in fuga, ha fatto strage dei conspecifici e ha creato problemi anche agli umani a pochi chilometri di qui, nella zona di Lerma. Ci sono voluti anni di proteste e segnalazioni prima che le autorità intervenissero: ma non è nato alcun dibattito sul web e le madri dormivano sonni tranquilli.

Esattamente come avviene a livello nazionale: il rapporto numerico tra lupi e cani inselvatichiti nel nostro paese è all’incirca di uno a tremila. Non si registra un attacco di un lupo, non solo in Italia ma in tutta l’Europa, da almeno un secolo, mentre solo da noi le ultime due vittime di un branco inselvatichito risalgono a non più di cinque anni fa. Stiamo parlando di un fenomeno che riguarda centinaia di migliaia di animali, e di animali che a differenza del lupo non hanno alcuna soggezione dell’uomo, e invadono tranquillamente non più solo le zone boschive degli Appennini, ma le periferie e ora anche i centri delle città. Per tacere poi di un problema enormemente più diffuso, quello delle aggressioni, soprattutto a bambini, da parte di cani domestici selezionati per la ferocia e l’aggressività, talmente più frequenti da non meritare più nemmeno le prime pagine dei giornali o la segnalazione nei notiziari televisivi. Provate però a cercare nell’agenda parlamentare la richiesta di messa al bando di certe razza canine, o un qualche dibattito sui social.

Come si spiega? Al solito, col vecchio “dagli al lupo”. Trattandosi di un modo di dire molto antico, dobbiamo supporre che il vizio di scaricare ogni nefandezza su un colpevole designato fosse già diffuso quando almeno una qualche ragione per temere i lupi ancora c’era. È qualcosa di radicato, come l’antisemitismo in Polonia, dove di ebrei non ce ne sono proprio più, per le ben note ragioni. Qualcosa di atavico, che risale ad epoche nelle quali la competizione tra le due specie era quasi paritaria. Di diverso c’è solo l’amplificazione sproposita creata dai nuovi “media”, che per loro natura si nutrono di allarmi falsi ed emergenze inventate, possibilmente esotiche, e alla quale dà alimento la molta ignoranza da parte della popolazione dei meccanismi naturali.

La ragione fondamentale di questa percezione distorta sta però nel fatto che i cani inselvatichiti sono in fondo un nostro rifiuto, nel senso più letterale del termine, e quindi li seppelliamo come tutte le altre nostre responsabilità sotto l’indifferenza, e le razze da combattimento sono il frutto di tutte le peggiori espressioni del carattere e della presunzione umani, un vistoso prolungamento della sua aggressività e una stupida affermazione di dominio: mentre il lupo è qualcosa che ancora sfugge (temo per poco) al nostro controllo.

Il mondo ha bisogno del sentimento di orizzonti inesplorati, dei misteri degli spazi selvaggi. Ha bisogno di un luogo dove i lupi compaiono al margine del bosco, non appena cala la sera, perché un ambiente capace di produrre un lupo è un ambiente sano, forte perfetto.

G. WEEDEN – da MARCUS PARISINI, L’anima degli animali, Edizioni Biblioteca dell’Immagine 2002

Un altro motivo è, più genericamente, l’incapacità di convivere, in questo caso da parte di chi sceglie di abitare le nostre colline (ma la cosa vale per ogni tipo di ambiente), con gli aspetti meno positivi e con le difficoltà logistiche che questa scelta comporta: tra i quali c’è anche la remota possibilità di tali incontri, così come c’è quella, assai meno improbabile, di impattare con l’auto contro caprioli o cinghiali, con relativi ingenti danni al mezzo. Che facciamo allora? Sterminio totale della fauna, anche di quella avicola che sporca i nostri poggioli, e magari sterilizzazione dell’aria per eliminare quei fastidiosissimi moscerini che imbrattano il parabrezza? E i ciclisti, e i pedoni che intralciano?

Certo, questi incontri, specie quelli col lupo, possono far emergere le paure connaturate nell’essere umano, causare danni a piccole economie (predazione di alcuni capi di greggi: là dove greggi o mandrie in libertà ancora ci sono, non certo da noi) o, come in questo caso, comportare attacchi ad altri animali a noi molto cari come i cani domestici, con inevitabili implicazioni emotive.

Ma, ripeto, per quanto riguarda gli attacchi all’uomo nell’ultimo secolo ne hanno sentito parlare solo i lettori di Jack London. E anche gli incontri per il momento sono molto più frequenti quelli col cane lupo cecoslovacco, che sempre più sovente capita di vedere al guinzaglio di qualche esemplare di Homo sapiens(?), aggirarsi spaventato e umiliato non nel bosco, ma in bella mostra fra i banchetti di qualche fiera di paese.

Uno spettacolo desolante: ci compiacciamo di aver addomesticato l’animale selvaggio per eccellenza e ci stupiamo e indigniamo quando l’esemplare originario manifesta la sua natura intrinseca.

Il lupo è il ribelle per eccellenza, fuorilegge e fuori tempo, perché rappresenta quello che non siamo più: la natura selvaggia, il coraggio di andare, l’emozione primordiale. La bestia ribelle abita terre ribelli.

ENRICO CAMANNI, Alpi ribelli, Laterza 2016

Proviamo invece un po’ a cambiare l’angolo prospettico. In primo luogo, il problema dei rapporti. Il lupo sarà anche selvatico e feroce, ma è tutt’altro che stupido: e quindi ha capito da un pezzo che l’uomo, appena possibile, è meglio evitarlo. La paura atavica ce l’ha anche lui, e nel suo caso è del tutto giustificata. Non è un caso che dalle nostre parti sino ad oggi li abbiano segnalati o avvistati di lontano, ma quasi mai incontrati faccia a faccia: se ne guardano bene.

Poi, aspetto non secondario e positivo, la presenza del lupo in un territorio certifica l’elevata biodiversità ambientale dello stesso. Proprio perché non è stupido, il lupo arriva solo quando ci sono sufficienti condizioni per garantirgli la sopravvivenza. Provvede poi lui stesso, sempre che non ci siano interferenze insensate da parte degli umani (cosa che è invece accaduta, ad esempio, con i cinghiali), a mantenere equilibrata questa presenza.

Se provassimo allora a vederlo come una possibile risorsa? Accertata la sua presenza, potrebbe essere interessante favorire un turismo di nicchia, ma di elevata qualità, tra chi ama mettersi alla ricerca delle sue tracce e anche solo respirare l’ambiente dove esso vive. Sarebbe un’offerta idonea ad accogliere il bisogno crescente di natura e di wilderness, rivolta a chi riesce ancora a pensare ad un bosco o ad un torrente come a qualcosa da non insozzare e segnare con la propria presenza.

Non è facile. Per molti abitanti di questi luoghi fare questo salto prospettico comporta il superamento di caratteristiche da tempo acquisite, antiche almeno quanto la paura del lupo, e di altre più recenti, ma non meno paralizzanti: la rassegnazione nell’agire, l’assenza di capacità visionarie, il sospetto che ci sia sempre un qualche retro pensiero negativo in chi prova a smuovere l’inerzia sulla quale galleggiamo, il timore di dover rinunciare alle ottuse “comodità” e alle apparenti “sicurezze” nelle quali ci ovattiamo.

Forse è chiedere troppo, ma sogno ancora che qualcuno voglia cercare il lupo che è in noi.

L’esempio del lupo è comunque solo uno dei tanti che rivelano quanto siamo facilmente preda di suggestioni reciproche, senza curarci di approfondire la veridicità di un episodio che ci è stato riferito o ha trovato spazio sui mezzi di comunicazione, in televisione o in rete. È questo ad essere veramente pericoloso: il totale disinteresse ad approfondire e a verificare la notizia.

Un altro esempio attualissimo è la paura nei confronti di chi non si conosce, verso chi arriva “da fuori”, che oggi ha le sembianze dell’immigrato.

[…] sono anche persuaso che il dicibile sia la quota di umanità che tutti abbiamo in comune, con sfumature diverse, a qualunque latitudine si sia capaci di darle precedenza. Invece diventiamo delle isole, separate e inaccessibili, tutti pronti a difendere confini immaginari e precisissimi da qualunque tipo d’invasione o anche soltanto d’interferenza.

GIANMARIA TESTA, Da questa parte di mare, Einaudi 2016

Accettiamo come vero ogni dato che ci propinano, senza ragionare di quali numeri stiamo parlando. Nella zona dove abito l’impatto reale è molto relativo, perché gli stessi “foresti” sono restii a rimanere, preferiscono spostarsi in luoghi dove ci sia una maggiore possibilità di guadagno e di sopravvivenza; ma la paura nei loro confronti non nasce da un pensiero razionale, quanto piuttosto dalla loro pura e semplice “diversità”, dalla loro distanza dal nostro modo di agire e pensare. Non ci soffermiamo a pensare che hanno lasciato un mondo effettivamente diverso per ambienti naturali, storia, costumi, economia e cultura non per togliersi uno sfizio, ma la più elementare delle necessità, quella di sopravvivere, e che si ritrovano sbattuti in un altro mondo del quale non conoscono lingua, tradizioni, leggi e abitudini. Non proviamo mai, neppure per un istante, ad immaginarci al loro posto. Li percepiamo semplicemente come corpi estranei, che possono creare scompensi nel nostro equilibrio (e che equilibrio …) e che vanno quindi rimossi, allontanati.

Ma stavamo parlando degli immigrati o del lupo? E poi, a che servirà mai questo lupo? “A nulla, come Mozart”, mi disse un amico.


Collezione di licheni bottone

disegni di Marcus Parisini

Sitografia

http://www.lifewolfalps.eu/

http://www.parchionline.it/lupo-appenninico.htm

https://www.settimanalelancora.it/2017/11/03/i-lupi-sono-arrivati-nella-zona-di-ovada/

http://www.alessandrianews.it/cronaca/cremolino-lupi-sbranano-cane-152208.html

http://www.lastampa.it/2017/05/20/cronaca/torinoalps/in-piemonte-il-maggior-numero-di-lupi-RaTeSLpYJMSC5WrUyP6PvL/pagina.html

L’occhio del lupo

di Gianni Repetto, da Sottotiro review n. 4, giugno 1996

<<… È da un’ora, ormai, che il lupo trotta. Un’ora che gli occhi del ragazzo lo seguono. Il pelo grigio del lupo sfiora la rete. I muscoli guizzano sotto il pelame invernale. Il lupo grigio trotta come se non dovesse fermarsi mai… “Lupo della steppa” sta scritto sulla targhetta di ferro, sulla rete… Un occhio giallo, rotondo, con una pupilla nera proprio al centro. Un occhio che non si chiude mai. È come se il ragazzo stesse fissando una candela accesa nella notte; non vede che quell’occhio: gli alberi, lo zoo, il recinto, tutto è scomparso. Non resta che un’unica cosa: l’occhio del lupo. E l’occhio si fa sempre più grande, sempre più rotondo, come una luna rossa in un cielo vuoto con, nel mezzo, una pupilla sempre più nera, con macchioline di colori diversi che appaiono nel bruno giallastro dell’iride…>>. Nel suo andirivieni il lupo guarda il ragazzo ora con un occhio, ora con l’altro. Il ragazzo non ha paura. Rimane immobile, non abbassa lo sguardo. E scopre quello che finora nessuno aveva mai scoperto nell’occhio del lupo: la pupilla è viva, si scuote, è in movimento. È… un uomo che alza il pugno chiuso gridando. Uno schiavo romano che brandisce il gladio strappato ad un centurione. Un contadino tedesco che colpisce con la forca il suo feudatario. Un cardatore fiorentino che scaccia il padrone dalla sua bottega. Una donna milanese che ruba il pane imboscato da un fornaio. Un sanculotto parigino che taglia la testa ad un nobile imparruccato. E questo? Che cos’è questo? “L’iride” pensa il ragazzo, “l’iride intorno alla pupilla…”. Scorrono veloci le immagini e tutte hanno contorni rossi e accesi. C’è Robespierre che si difende fino all’ultimo nel municipio di Parigi, e poi Babeuf che attacca la Convenzione al grido di “Tutti uguali!”, mentre Filippo Buonarroti sfugge ancora una volta alla polizia (francese? olandese? tedesca? austriaca? piemontese?) e s’incontra con Mazzini in una località segreta. C’è lo sguardo amareggiato di Pisacane davanti ai forconi dei contadini del Cilento, c’è la barba grigia e maleodorante di Bakunin appena fuggito dalla Siberia, che diventa rossa, ricciuta, come se ringiovanisse. C’è Carlo Marx, che con il suo “Manifesto” suscita un fantasma che fa ancora tremare le vene ai signori, e Robert Owen, con le sue città ideali, e poi Proudhon, per il quale la proprietà è un furto. C’è Amilcare Cipriani, con un cappellaccio tirato sugli occhi, che risponde sprezzante ai giudici del regno. C’è Malatesta sui monti del Matese ad organizzare un’impossibile rivolta. C’è un lupo che trotta avanti e indietro, chiuso in un vagone blindato che attraversa l’Europa: Vladimir Ilic piomba a Pietroburgo, la Russia s’infiamma, è la rivoluzione. Ci sono i corpi senza vita di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, assassinati dai compagni socialisti. C’è il sorriso pulito di Giacomo Matteotti quando enuncia alla Camera i brogli elettorali. Ci sono i capelli arruffati di Gobetti prima delle bastonate dei fascisti. C’è la gobba travagliata di Gramsci che non riesce a trovar pace neanche dopo morta. C’è il cadavere di Durruti, fasciato nella bandiera rossa e nera, e il popolo anarchico che rimane muto, per una notte intera, sotto l’acqua a dirotto, a presidiare il cimitero. C’è una folla di partigiani antifascisti cadti con negli occhi il sol dell’avvenire. Ci sono i morti di Reggio Emilia, di Afragola e di Portella delle Ginestre, quelli di Piazza Fontana, di Bologna e di Ustica, che invocano ancora giustizia. Ci sono i ragazzi del Maggio francese, che volevano la fantasia al potere. C’è la faccia sorridente del Che, con il basco e la stella rossa sulla fronte, la folla ondeggia, “el pueblo unido jamà serà vencido… venciidoo… venciiidooo”. La pellicola stride, come se fosse rovinata. I fotogrammi sono sempre più sbiaditi. Irriconoscibili. Bianchi. Ciak, bianchi, ciak, bianchi. L’OCCHIO SINISTRO È ORMAI UN OCCHIO CIECO, L’OCCHIO CIECO DELLA SINISTRA INESISTENTE.

Il lupo svolta, cambia occhio. Il ragazzo è sempre fermo che lo guarda. Ma non sorride più, sembra che abbia paura. Fissa la pupilla del lupo che s’allarga, che pian piano si mette in movimento. Una luce strana sprigiona dal vortice, come un lampo sinistro nella notte. È… il luccichìo di un cranio pelato, di una faccia dalla mascella volitiva. Il simbolo del socialismo interventista. È il Giuda del proletariato, è Mussolini, il fascista. È Hitler con i baffetti da moscone, seduto su una svastica che si stende sul mondo. Che finisce ad Auschwitz, che finisce a Mathausen. “L’olocausto può succedere ancora” diceva Hannah Arendt solitaria. Nessuno le credette veramente. Ma ecco che avanzano due baffoni georgiani, è Josif Giugasvili, detto Stalin. Un gulag a trenta gradi sotto zero, la rivoluzione si suicida a testa in giù. L’occhio destro è Leon Blum che si sveglia nella notte e piange il sangue dei miliziani spagnoli. È Franco che avanza a Guadarrama mentre la repubblica arresta gli anarchici della CNT. È Petain che lascia ai nazisti mezza Francia per seviziare più “liberamente” l’altra. È Salazar che instaura il suo regime così come “sostiene Pereira”. Ma è anche Togliatti, ministro della giustizia, che vara l’amnistia per i fascisti. O Saragat, che a palazzo Barberini vende l’anima per una poltrona. O Nenni, che con il centro-sinistra puntella una DC moribonda. C’è invece solo il carcere per i camalli che fermano a Genova la svolta autoritaria. E il ‘69 delle lotte operaie svanisce dieci anni dopo con la marcia dei quarantamila. L’occhio destro è la polizia dei colonnelli che “ripulisce” il politecnico di Atene. È Pinochet che assalta la “Moneda” contro Salvador Allende, il “presidente”. Sono le mani dei generali argentini che grondano del sangue dei “desaparecidos”. Sono gli squadroni della morte in Guatemala e i killer di bambini del Brasile. Sono le raffiche dei mitra brigatisti che distruggono ogni possibilità di “Movimento”. Sono gli anni della “deregulation”, con Reagan e la Thatcher a farla da padroni. Sono i naziskin che nelle città tedesche danno la caccia ai turchi o ai nigeriani. L’occhio destro è Re Mida Craxi che trasforma la scala mobile in tangenti per il suo partito. “Mani pulite” rompe l’incantesimo, ma nulla può contro il mago delle televisioni. “Forza Italia” dice Berlusconi, prendendo sottobraccio il camerata Fini. La bandiera rossa ammainata sul Crem lino, la svolta del PCI alla Bolognina. La faccia di Fede incipriata, quella di Sgarbi apPannellata, quella di Ferrara maleducata, quella di Liguori malfidata, quella di Mike Bongiorno asservita, quella di Baudo democristianata, quella di Magalli rincoglionita, quella di Frizzi imbambolata, quella di Santoro arruffianata, quella di Prodi… di Prodi? Sì, di Prodi, appaccioccata, quella di Veltroni arcipretata, quella di D’Alema supercontrollata, quella di Buttiglione inCasinata, quella di Bianco addormentata, quella di Bertinotti assignorata, quella dell’Avvocato liftata… C’è una gran confusione dentro l’occhio destro, tutti spingono per stare in prima fila. E l’occhio gonfia, gonfia a dismisura, esce fuori dall’orbita, s’ingrossa finchè esplode e spande materia dappertutto. Il ragazzo stramazza, colpito in pieno, e per un attimo crede di essere morto. Non appena si riprende s’accorge di essere ricoperto da una sostanza molliccia. La tocca con cautela, forse teme si tratti del suo sangue; poi si porta le dita al naso e l’annusa: è merda, È PROPRIO MERDA SCHIETTA.