L’occhio del lupo

di Gianni Repetto, da Sottotiro review n. 4, giugno 1996

<<… È da un’ora, ormai, che il lupo trotta. Un’ora che gli occhi del ragazzo lo seguono. Il pelo grigio del lupo sfiora la rete. I muscoli guizzano sotto il pelame invernale. Il lupo grigio trotta come se non dovesse fermarsi mai… “Lupo della steppa” sta scritto sulla targhetta di ferro, sulla rete… Un occhio giallo, rotondo, con una pupilla nera proprio al centro. Un occhio che non si chiude mai. È come se il ragazzo stesse fissando una candela accesa nella notte; non vede che quell’occhio: gli alberi, lo zoo, il recinto, tutto è scomparso. Non resta che un’unica cosa: l’occhio del lupo. E l’occhio si fa sempre più grande, sempre più rotondo, come una luna rossa in un cielo vuoto con, nel mezzo, una pupilla sempre più nera, con macchioline di colori diversi che appaiono nel bruno giallastro dell’iride…>>. Nel suo andirivieni il lupo guarda il ragazzo ora con un occhio, ora con l’altro. Il ragazzo non ha paura. Rimane immobile, non abbassa lo sguardo. E scopre quello che finora nessuno aveva mai scoperto nell’occhio del lupo: la pupilla è viva, si scuote, è in movimento. È… un uomo che alza il pugno chiuso gridando. Uno schiavo romano che brandisce il gladio strappato ad un centurione. Un contadino tedesco che colpisce con la forca il suo feudatario. Un cardatore fiorentino che scaccia il padrone dalla sua bottega. Una donna milanese che ruba il pane imboscato da un fornaio. Un sanculotto parigino che taglia la testa ad un nobile imparruccato. E questo? Che cos’è questo? “L’iride” pensa il ragazzo, “l’iride intorno alla pupilla…”. Scorrono veloci le immagini e tutte hanno contorni rossi e accesi. C’è Robespierre che si difende fino all’ultimo nel municipio di Parigi, e poi Babeuf che attacca la Convenzione al grido di “Tutti uguali!”, mentre Filippo Buonarroti sfugge ancora una volta alla polizia (francese? olandese? tedesca? austriaca? piemontese?) e s’incontra con Mazzini in una località segreta. C’è lo sguardo amareggiato di Pisacane davanti ai forconi dei contadini del Cilento, c’è la barba grigia e maleodorante di Bakunin appena fuggito dalla Siberia, che diventa rossa, ricciuta, come se ringiovanisse. C’è Carlo Marx, che con il suo “Manifesto” suscita un fantasma che fa ancora tremare le vene ai signori, e Robert Owen, con le sue città ideali, e poi Proudhon, per il quale la proprietà è un furto. C’è Amilcare Cipriani, con un cappellaccio tirato sugli occhi, che risponde sprezzante ai giudici del regno. C’è Malatesta sui monti del Matese ad organizzare un’impossibile rivolta. C’è un lupo che trotta avanti e indietro, chiuso in un vagone blindato che attraversa l’Europa: Vladimir Ilic piomba a Pietroburgo, la Russia s’infiamma, è la rivoluzione. Ci sono i corpi senza vita di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, assassinati dai compagni socialisti. C’è il sorriso pulito di Giacomo Matteotti quando enuncia alla Camera i brogli elettorali. Ci sono i capelli arruffati di Gobetti prima delle bastonate dei fascisti. C’è la gobba travagliata di Gramsci che non riesce a trovar pace neanche dopo morta. C’è il cadavere di Durruti, fasciato nella bandiera rossa e nera, e il popolo anarchico che rimane muto, per una notte intera, sotto l’acqua a dirotto, a presidiare il cimitero. C’è una folla di partigiani antifascisti cadti con negli occhi il sol dell’avvenire. Ci sono i morti di Reggio Emilia, di Afragola e di Portella delle Ginestre, quelli di Piazza Fontana, di Bologna e di Ustica, che invocano ancora giustizia. Ci sono i ragazzi del Maggio francese, che volevano la fantasia al potere. C’è la faccia sorridente del Che, con il basco e la stella rossa sulla fronte, la folla ondeggia, “el pueblo unido jamà serà vencido… venciidoo… venciiidooo”. La pellicola stride, come se fosse rovinata. I fotogrammi sono sempre più sbiaditi. Irriconoscibili. Bianchi. Ciak, bianchi, ciak, bianchi. L’OCCHIO SINISTRO È ORMAI UN OCCHIO CIECO, L’OCCHIO CIECO DELLA SINISTRA INESISTENTE.

Il lupo svolta, cambia occhio. Il ragazzo è sempre fermo che lo guarda. Ma non sorride più, sembra che abbia paura. Fissa la pupilla del lupo che s’allarga, che pian piano si mette in movimento. Una luce strana sprigiona dal vortice, come un lampo sinistro nella notte. È… il luccichìo di un cranio pelato, di una faccia dalla mascella volitiva. Il simbolo del socialismo interventista. È il Giuda del proletariato, è Mussolini, il fascista. È Hitler con i baffetti da moscone, seduto su una svastica che si stende sul mondo. Che finisce ad Auschwitz, che finisce a Mathausen. “L’olocausto può succedere ancora” diceva Hannah Arendt solitaria. Nessuno le credette veramente. Ma ecco che avanzano due baffoni georgiani, è Josif Giugasvili, detto Stalin. Un gulag a trenta gradi sotto zero, la rivoluzione si suicida a testa in giù. L’occhio destro è Leon Blum che si sveglia nella notte e piange il sangue dei miliziani spagnoli. È Franco che avanza a Guadarrama mentre la repubblica arresta gli anarchici della CNT. È Petain che lascia ai nazisti mezza Francia per seviziare più “liberamente” l’altra. È Salazar che instaura il suo regime così come “sostiene Pereira”. Ma è anche Togliatti, ministro della giustizia, che vara l’amnistia per i fascisti. O Saragat, che a palazzo Barberini vende l’anima per una poltrona. O Nenni, che con il centro-sinistra puntella una DC moribonda. C’è invece solo il carcere per i camalli che fermano a Genova la svolta autoritaria. E il ‘69 delle lotte operaie svanisce dieci anni dopo con la marcia dei quarantamila. L’occhio destro è la polizia dei colonnelli che “ripulisce” il politecnico di Atene. È Pinochet che assalta la “Moneda” contro Salvador Allende, il “presidente”. Sono le mani dei generali argentini che grondano del sangue dei “desaparecidos”. Sono gli squadroni della morte in Guatemala e i killer di bambini del Brasile. Sono le raffiche dei mitra brigatisti che distruggono ogni possibilità di “Movimento”. Sono gli anni della “deregulation”, con Reagan e la Thatcher a farla da padroni. Sono i naziskin che nelle città tedesche danno la caccia ai turchi o ai nigeriani. L’occhio destro è Re Mida Craxi che trasforma la scala mobile in tangenti per il suo partito. “Mani pulite” rompe l’incantesimo, ma nulla può contro il mago delle televisioni. “Forza Italia” dice Berlusconi, prendendo sottobraccio il camerata Fini. La bandiera rossa ammainata sul Crem lino, la svolta del PCI alla Bolognina. La faccia di Fede incipriata, quella di Sgarbi apPannellata, quella di Ferrara maleducata, quella di Liguori malfidata, quella di Mike Bongiorno asservita, quella di Baudo democristianata, quella di Magalli rincoglionita, quella di Frizzi imbambolata, quella di Santoro arruffianata, quella di Prodi… di Prodi? Sì, di Prodi, appaccioccata, quella di Veltroni arcipretata, quella di D’Alema supercontrollata, quella di Buttiglione inCasinata, quella di Bianco addormentata, quella di Bertinotti assignorata, quella dell’Avvocato liftata… C’è una gran confusione dentro l’occhio destro, tutti spingono per stare in prima fila. E l’occhio gonfia, gonfia a dismisura, esce fuori dall’orbita, s’ingrossa finchè esplode e spande materia dappertutto. Il ragazzo stramazza, colpito in pieno, e per un attimo crede di essere morto. Non appena si riprende s’accorge di essere ricoperto da una sostanza molliccia. La tocca con cautela, forse teme si tratti del suo sangue; poi si porta le dita al naso e l’annusa: è merda, È PROPRIO MERDA SCHIETTA.

 

Compagno, se ci sei batti due fogli

di Paolo Repetto, da Contro n. 4, 1980

Mi permetto ancora un breve intervento su quello che avrebbe dovuto essere il dibattito sullo stato della nuova sinistra e sul suo ruolo, auspicato e lanciato qualche mese fa da questo giornale. Dico “avrebbe dovuto essere”, perché in effetti l’iniziativa si è arenata subito, e al momento sembra che i compagni non abbiano alcuna intenzione di farla marciare.

Ora, non mi nascondo che la cosa potrebbe anche sembrare positiva, visto che i dibattiti, assieme al colera, alle inchieste e ai congressi vanno ormai annoverati tra le calamità endemiche del nostro paese, e che ci si “dibatte” a sinistra, al centro, nel sindacato, sull’ecologia, sulla masturbazione, sulla Panda, ecc… , coi risultati che si conoscono. Sono anche convinto che sia senz’altro difficile prendere ancora seriamente in considerazione uno “strumento d’analisi” che è stato usato persino da Craxi (!!), quando faceva Livingstone alla ricerca delle sorgenti ideologiche del suo partito (le ha poi ritrovate nel petrolio arabo). In linea di massima, quindi, ogni dibattito che non si fa potrebbe essere considerato un successo, un trionfo del buon senso e della serietà. E tuttavia, confesso di aver nutrito una mezza speranza che questa volta la noia e il sospetto, e soprattutto quel pizzico di “puzza al naso” che la banalizzazione e l’abuso osceno del dibattere hanno indotto, potessero essere ancora superati. Credevo cioè che di fronte alla possibilità di dimostrare come il riflusso abbia portato con sé solo i sugheri i compagni si sarebbero sentiti stimolati ad un ripensamento e ad un tentativo serio di analisi sul perché e sul come del loro essere nella sinistra.

Forse mi ero fatto delle illusioni, forse, va a sapere, il ripensamento si presenta ponderoso, e allora dobbiamo aspettarci, senza fretta, dei parti teorici di grossa levatura. Vorrei sperarlo: ma in verità ci credo poco. Ho l’impressione invece che la sfiducia e l’afasia si siano veramente impadronite dei compagni. Che anche coloro che non si sono dati alla meditazione trascendentale o all’apicoltura intensiva siano ridotti ad una militanza abitudinaria, vadano avanti per forza d’inerzia.

L’impressione non nasce solo da questo fatto assolutamente contingente del mancato dibattito: si è maturata anche nei contatti personali, negli incontri, nei tentativi di aggancio, di ricostituzione di un tessuto umano e politico della nuova sinistra locale meno sfilacciato di quello attuale. C’è molta stanchezza, veramente, in giro. Si incontra troppa gente che non capisce come per uscire da questo torpore occorra riscoprire la necessità, magari anche solo ad uso personale, dell’impegno concreto, rivedendone senz’altro i termini, legandolo al privato quanto si vuole, evitando di connotarlo in senso missionario o penitenziale, ma dando un senso a questa benedetta esistenza, a questo trascorrere dei giorni e delle leggi speciali.

E molti hanno magari paura di fare discorsi inutili, o scontati, o utopistici, e per questo non parlano. È anche vero, ci sono già quelli che parlano troppo e inutilmente, basta accendere il televisore o aprire un qualsiasi giornale: ma non è diventando muti che li si combatte. Diventando muti li si lascia solo parlare. e anche se dicono cazzate diventano loro i padroni del discorso. Invece bisogna togliere loro la parola proprio parlando, gridando, sussurrando, sibilando, usando il linguaggio in tutte le sue potenzialità, distruttive e creative. Parlando soprattutto tra noi, incontrandoci, discutendo, dibattendo. Può darsi che serva a poco o niente, ma cristo, perlomeno ci si prova.

Bisogna ritrovare la forza di arrabbiarsi. Ogni volta che appaiono Andreotti o Longo o Emilio Fede o Costanzo o tutti gli altri sul video le viscere debbono rivoltarsi, il cibo deve andare di traverso, il colesterolo deve salire; ogni volta che leggiamo le loro dichiarazioni o i commenti alle loro dichiarazioni sul giornale un senso di nausea deve scendere fino al nostro stomaco. Se ci abituiamo a digerirli con il cappuccino o con la cena siamo spacciati. Loro non cercano altro: vogliono essere assimilati. Gliene frega assai del consenso: quello è un problema che al più può ancora interessare Berlinguer. Non vivono mica sul consenso: vivono sulla paura, sull’ignoranza, sugli interessi capillarmente diffusi, sulla malafede e sulla rassegnazione e sui silenzi nostri.

Che c’entra questo col dibattito? C’entra eccome! Il dibattito dovrebbe servire se non altro a scaldarci, a risvegliarci, a rispolverare vecchie ire e vecchie speranze, a mandare in culo il telegiornale, il tam tam e il telefilm serale, a riprendere contatto con la realtà senza esserne fagocitati o annichiliti, vedendola non come ciò che è e si impone, ma come ciò che va cambiato. A trovare, nella coincidenza o nella discordanza d’idee con altri compagni, stimoli e indicazioni. A ridarci un parametro sul quale misurare e rifiutare e irridere i vaniloqui dei segretari politici, delle triadi sindacali, dei sommi pontefici, dei procuratori capi e via dicendo.

Quanto ai primi interventi, magari erano poco stimolanti, presuntuosi, vaghi, noiosi, tutto quel che si vuole. Ma c’erano, che diavolo, non fosse altro per essere controbattuti o ridicolizzati; insomma, un senso, positivo o negativo, lo avevano, una indicazione, da elaborare o da rifiutare, la davano. Invece, niente! Sembra che chiunque possa ormai azzardare qualsiasi oscenità, fare qualsiasi proposta, non succede niente! E allora questo spiega tutto: spiega Piccoli ed Evangelisti, spiega il morto quotidiano da eroina e tutto il resto. Che sia davvero già troppo tardi?