Élisée Reclus e Pëtr Alekseevič Kropotkin
a cura di Paolo Repetto, 30 ottobre 2018
Jacques Élisée Reclus (Sainte-Foy-la-Grande, 15 marzo 1830 – Torhout, 4 luglio 1905) è stato un geografo e anarchico francese.
Figura complessa e inquieta, fratello di Elia Reclus, fu esiliato dalla Francia, per motivi politici e per le sue idee anarchiche, la prima volta nel 1851.
Grazie all’intervento di altri colleghi scienziati, fra i quali presumibilmente Charles Darwin, la pena gli venne commutata in 10 anni di esilio, durante i quali cominciò a scrivere le sue opere geografiche in giro per il mondo.
Dall’Algeria agli Stati Uniti, dal Canada al Brasile, Uruguay, Argentina e Cile, maturò una grande esperienza nella descrizione dei luoghi e popoli che incontrava e le sue opere divennero punto di riferimento in patria per molti decenni.
Come amava dire, era un legumista convinto, un vegetariano e nelle occasioni in cui venne catturato, si autodefiniva Geografo, ma anarchico.
“L’anarchismo è la forma più alta di ordine”
La gioventù
All’età di tredici anni, Élisée con il fratello e la sorella maggiori iniziò gli studi a Neuwied (Germania) in un istituto retto dai Fratelli Moravi, in quanto il padre, un pastore calvinista, aveva fiducia in questa confraternita religiosa. Élisée, invece, rimase disgustato dai religiosi a cui è stato affidato, secondo lui più avidi di soldi che di volontà educativa. Élisée pertanto ruppe i legami con la sua famiglia, imparò molto in fretta la lingua tedesca e rientrò a Sainte-Foy-la-Grande per proseguire negli studi superiori. Si diplomò nel 1848, dopo un anno passato nel seminario dei padri protestanti di Montauban; in quel lasso di tempo gli è rimasta comunque la convinzione di voler intraprendere la carriera del pastore. Ritorna dai Fratelli Moravi col ruolo di sorvegliante e non di studente a causa di mancanza di fondi per proseguire gli studi. In qualche modo riesce a seguire i corsi di insegnamento di geografia tenuti da Carl Ritter, geografo conosciutissimo e stimato in Germania. Nel frattempo il fratello Elia Reclus finisce i suoi studi di teologia a Strasburgo ed i due fratelli ritornano in Francia a piedi per mancanza di soldi.
L’impegno politico ed il girovagare come esule
Élisée ed Elia son convinti repubblicani e quando vi è il colpo di Stato portato avanti dal futuro imperatore Napoleone III si oppongono a tale avvenimento, non vengono esiliati ufficialmente ma debbono per sicurezza riparare in Inghilterra. Élisée si guadagna da vivere con lezioni e tiene contatti con esuli francesi, quelli fuggiti dopo il 1848, ma si rende conto che in Inghilterra gli esuli non son ben visti e ripara in Irlanda. Trova una sistemazione col ruolo di amministratore di un complesso agricolo, incomincia ad interessarsi della situazione irlandese resa estremamente difficile dalla carestia del 1847 e per nulla alleviata dalla presenza degli occupanti inglesi. Dall’Irlanda va in Louisiana e diventa precettore dei figli di un padrone di una piantagione di canna da zucchero, rimane a far tale lavoro per due anni che gli permettono di rendersi conto della iniquità della società sudista con la presenza di schiavi e rimane stupito dal fatto che il clero locale non solo ammette come normale tale situazione di “proprietari di uomini” ma sta sempre anche dalla parte dei padroni in caso di accenni a moti di protesta da parte degli schiavi, Élisée perde anche i suoi residui di pensiero credente e si rivolge verso l’ateismo. Nel 1855 Élisée va in Colombia in cui tenta l’avventura senza successo di piantatore di caffè; allora la Colombia portava nome Nuova Granata.
La Massoneria
I suoi insuccessi lo riportano in Francia nel 1857 e l’11 marzo 1858, Élisée Reclus è iniziato in massoneria nella loggia Les Émules d’Hiram del Grande Oriente di Francia a Parigi[1][2][3]. Suo fratello Élie già iniziato nella Loggia Renaissance è presente alla sua iniziazione.
Élisée non va oltre l’iniziazione[4]. Dopo un anno lascia la loggia, e non frequenterà più le logge prima del suo ultimo esilio a Bruxelles, quando vi darà numerose conferenze sull’anarchia[5]. Anche se non fu mai un massone molto attivo, la sua presenza a Bruxelles nel 1894 ha avuto un’importanza determinante per la massoneria belga, e particolarmente per la loggia Les Amis philanthropes[6].
Inizio della carriera di geografo
Durante i suoi viaggi ha preso annotazioni e scritto sui paesi visitati e per questo motivo inizia a pubblicare qualche articolo sui suoi scritti, che visto il periodo trattano di posti assai più esotici di quello che possono suonare adesso ai nostri orecchi e cominciano i contatti con scienziati dell’epoca. La casa editrice Hachette intende pubblicare il resoconto dei suoi viaggi e pensa di impiegare i lavori di Reclus per l’arricchimento delle guide Joanne e di altri lavori in campo geografico di cui si occupa la casa editrice stessa. Élisée diventa ufficialmente geografo per la Hachette e attraversa la Francia a piedi per la pubblicazione delle guide, e riesce tramite queste sue attività a diventare membro della Società di Geografia di Parigi che aveva a disposizione, per il tempo, una ricchissima biblioteca geografica dotata di un enorme numero di carte, sempre per quel tempo. Visita la Sicilia in occasione dell’eruzione dell’Etna del 1865, visitando anche Palermo, le Eolie, Messina, Catania, e Siracusa, pubblicandone un resoconto con forti connotazioni di critica sociale.
Il primo lavoro di gran peso di Reclus è La Terre (1869), testo che ottiene un gran successo.
Avvicinamento al pensiero libertario
Nonostante l’ormai oneroso lavoro di geografo Élisée, per quanto riguarda il campo sociale, riprende gli studi di gioventù che lo avevano attirato, Élisée si era occupato dello studio delle opere di Robert Owen, Charles Fourier, Pierre Leroux[7] ed al suo ritorno dall’America, al pari del fratello Elia Reclus, si avvicina agli ideali del’anarchia che gli sembrano i soli adatti ad affrancare l’umanità dalle sue miserie. La stessa iniziale educazione protestante può aver fornito i germi per un pensiero che porti alla realizzazione di eguaglianza e giustizia fra gli uomini. Il padre d’altro canto oltre che i dettami della sua religione aveva sempre seguito con perseveranza la sua coscienza al di sopra di tutto. Ovvero del protestantesimo che lo ha formato Élisée, come Elia, ha trattenuto come nucleo formatore la morale implicante la completa autonomia dell’individuo, diventando quindi, diffidente verso riti e credenze organizzate che altro non possono che servire a dividere gli uomini per poterne applicare un ferreo controllo sulle loro esigenze per cui l’unica strada che sembra possibile esser percorsa da Élisée è quella che lo porta verso gli ideali dell’anarchia. Reclus nel 1864 incontra Bakunin e con Elia diventa membro della società segreta “La Fratellanza Internazionale“, conosce durante i lavori dell’Internazionale i seguaci di Carlo Marx con i quali gli anarchici entrano presto in contrasto teorico. Élisée segue i dettami di Bakunin nelle attività dell’Internazionale dei lavoratori ed entra perciò in contrasto con i seguaci di Marx. In quel periodo i marxisti decidono che non sia da escludere a priori la via legale e prediligono il livello organizzativo nel lavoro mentre gli anarchici ritengono impensabile un progetto ed una organizzazione a priori di un’istanza rivoluzionaria. Sia Marx che Engels sono assai scettici, se non ironici, verso le teorizzazioni dei Reclus.
Partecipazione alle Comune di Parigi e il periodo del carcere
Elie Reclus, fratello di Élisée
Ma le idee di Élisée sembrano assumere forma pratica durante la Comune di Parigi, a cui Élisée stesso partecipa con i due fratelli Paolo ed Elia, i Reclus entrano in un battaglione di federati che si batte contro i prussiani, ma Élisée viene catturato nel 1871, quindi quasi subito, immediatamente è imprigionato a Brest: ormai scienziato famoso gli viene riservato un trattamento di “favore” e gli viene permesso di aver documentazioni atte a proseguire in carcere i suoi lavori. Durante il periodo carcerario incontra Templier responsabile per le edizioni Hachette e stipulano il contratto per la stesura Geografia universale. Nonostante i “privilegi” carcerari riservati all’ormai grande scienziato Élisée nel 1871 viene deportato in Nuova Caledonia. Gruppi di scienziati inglesi ed americani, saputo l’accadimento fanno pressioni presso il governo francese che è quasi obbligato a tramutare la condanna alla deportazione in 10 anni di esilio. Élisée lascia la Francia con i ferri ai polsi nel febbraio 1872, destinazione Svizzera, raggiungendo il fratello maggiore che era riuscito a riparare nel paese, a quei tempi, “amico” degli anarchici. Riprende immediatamente i contatti con Bakunin a Zurigo, ma comunque è preso quasi completamente dal suo lavoro di geografo.
Nuova Geografia Universale
Avendo firmato il contratto per una Nouvelle Geographie Universelle (Nuova Geografia Universale) è impegnato a conservare il lavoro per aver mezzi di sussistenza. Iniziano i viaggi nei paesi su cui deve scrivere per aver notizie e dati aggiornati: in tali viaggi prende contatti con gli anarchici locali oltre che, ovviamente, con i geografi; alcuni di questi sono sia geografi che anarchici e quindi i legami che si instaurano sono doppi, e questo è proprio quanto capita con Kropotkin. Kropotkin aiuta moltissimo Reclus nel redigere il volume dedicato alla Russia. I due scienziati rivoluzionari si incontrano nel 1877 e resteranno legati da enorme amicizia. Nel contempo impostano nuove teorizzazioni per l’evoluzione del movimento anarchico, in particolare gettano le basi per l’anarco-comunismo, questione già in parte affrontata da Bakunin.
« “Il nostro comunismo non è né quello dei falansterii, né quello dei teorici autoritari tedeschi. È il comunismo anarchico, il comunismo senza governo, quello degli uomini liberi. È la sintesi dei due fini perseguiti dall’umanità nei secoli, la libertà economica e la libertà politica. (Kropotkin, La Conquista del Pane). » |
[8]. Reclus è assai impegnato nel suo lavoro di geografo per cui il tempo da dedicare alla politica non è molto soprattutto per la stesura della Nuova Geografia Universale, enorme lavoro in 19 volumi, comunque continua a scrivere articoli per pubblicazioni anarchiche e finanzia il movimento; nel contempo insegna presso l’università di Neuchâtel e tiene relazioni e conferenze, soprattutto sul Mediterraneo. La camera nel 1879 vota una parziale amnistia per i fatti della Comune di Parigi, nella cui norma rientra il caso dei Reclus, ma Élisée rifiuta di rientrare in patria fino a che non solo parzialmente ma tutti i comunardi verranno amnistiati.
Iniziano le visite nei paesi stranieri ed esotici, per il tempo, quali l’Egitto per la stesura del suo enorme lavoro geografico. Soggiorna nel Maghreb mentre la famiglia con una delle figlie prende alloggio in Algeria, va in Portogallo e Spagna per consultare documentazione inerente all’America Latina. Nel 1889 ritorna in Luisiana ma si dedica alla ricerca su nuove regioni quale quella dei Grandi Laghi e consulta la ricca biblioteca di New York. Finalmente nel 1890 lascia l’ospitale Svizzera e torna a Parigi muovendosi per viaggi continui relazionati al suo lavoro di geografo. Pur non disponendo di titoli accademici la sua fama gli poteva permettere l’ingresso nel Collegio di Francia. Ciò non accade in quanto i suoi trascorsi politici e la sua impostazione riguardo ai problemi della società è invisa in Francia. Esce l’ultimo volume della Nuova Geografia Universale, e finalmente nel 1894 viene chiamato dall’Università Libera di Bruxelles. Il fatto che sia uno scienziato libertario provoca resistenze ed opposizioni da parte dei colleghi. Élisée ed Elia Reclus con un altro scienziato libertario fondano quindi la Nuova Università di Bruxelles che per oltre venti anni avrà contatti e collaborazioni con l’Università libera. I docenti non hanno sovvenzioni statali sia per stipendi sia per i lavori di ricerca; ma Reclus trova i fondi indispensabili tramite i suoi articoli che vengono favorevolmente pubblicati ed altri lavori nel campo della geografia applicata, in particolare si dedica alla cartografia. Nel contempo progetta e parte per la realizzazione di un grande globo in rilievo, in quanto uno dei punti di forza del lavoro di Élisée era riuscire ad avere una esatta riproduzione del globo terracqueo.
L’Uomo e la Terra
Reclus si dedica quindi all’ultimo e forse più importante dei suoi scritti: L’Uomo e la Terra, in sei tomi. L’opera è impostata come saggio di geografia sociale nel quale tratta i tre temi per lui indispensabili alla comprensione della geografia in senso reale e non astratto; cioè
« “La lotta tra le classi, la ricerca dell’equilibrio e il ruolo primario dell’individuo” » |
[8]. È un vasto rifacimento critico che tratta della storia, dei progressi e delle lotte dell’umanità dalla preistoria al XX secolo collegato alle situazioni ambientali sociali legate a loro volta a condizioni geografiche della zona presa in considerazione e quindi l’impostazione resta di tipo geografico e non sociologico. Gli ultimi due tomi son più dedicati alla geografia umana generale. Élisée è malato e stremato da una vita vissuta gagliardamente e muore a Thourout, in Belgio il 4 luglio 1905: il nipote Paolo, figlio di Elia prende in consegna il lavoro dello zio e fa in modo che siano pubblicati gli ultimi 5 tomi dell’immane lavoro e, nel frattempo, prende la dirigenza della Nuova Università di Bruxelles, la cui vicenda avrà termine nel 1914.
Pubblicazioni in italiano
- Alcune lettere di Élisée Reclus in Pensiero e volontà,[9] Anno 1 n. 24, p. 14-17 (15 dicembre 1924); n. 2 p. 42-46 (1. Febbraio 1925) CIRA, Lausanne
- L’Anarchia. 7ª edizione. Pescara; Chieti, tipografia Di Sciullo (Bibl. del pensiero, n. 5). 1904. CIRA, Lausanne: Broch i 12405
- Scritti in Labadie Collection[10] CIRA, Lausanne: Broch i 01591; New York Public Libraryfilm reprod.(1905)
- “L’Anarchia e la chiesa”, in Pierre Kropotkin, L’organizzazione della vendetta… Ginevra; Bertoni, 1901. CIRA, Lausanne; New York Public Libraryfilm reprod.
- Un Anarchico sull’anarchia. Bologna: Il Pensiero (Piccola biblioteca sociologica), 1911. 28
- (stesso; Milano: Archivio proletario internazionale[11], s. d. 20 p. ill. 21 cm.
- L’Avvenire dei nostri figli [e] I prodotti dell’industria, Padova: (Biblioteca di propaganda del circolo studi sociali di Padova); 1893. 16 p.
- ” Le Colonie anarchiche “, in Pensiero e Volontà, anno 3, n. 11 ^/ 249-251 (1. Luglio 1926) CIRA, Lausanne
- L’Evoluzione, la Rivoluzione e l’Ideale anarchico, Il Risveglio Comunista Anarchico/Le Réveil communiste anarchiste, Ginevra (Svizzera), (dal n. 423, del 20 genn. 1915, al n. 440 dem 22 lug. 1916). (CIRA, Lausanne; IISG, Amsterdam; Biblioteca Feltrinelli, Milano).
- ” L’evoluzione, la rivoluzione e l’Ideale anarchico “, Pagine libertarie, Milano, dal 5 ag. 1921 (a. I, n. 4) all’8 apr. 1922 (a. II, n. 5).
- “L’Evoluzione delle città, ” in Geografia_sociale p. 151-174.
- L’Evoluzione legale e l’anarchia. Roma: Libreria Editrice sociologica e Libertaria, 1911
- L’Homme: geografia sociale; a cura di Pier Luigi Errani. – Milano: F. Angeli (1983). Trad. de L’homme et la Terre. (Anthologia)
- I Libri di anarchia. Buenos Aires, 1930 in-8º. 171 et 157 p.
- La Lotta contro la Chiesa. Roma: “La Rivolta” (Il Pensiero anticlericale; 14) International Institute of Social History[12], Amsterdam (Holland); An 33/171).
- ” A mio Fratello contadino “, Grido degli oppressi (1893) II,12 et III, 3.
- Sorgiamo! Napoli, I (12 giu. 1910). con prefazione di Carlo Molaschi. (S. I.); Federazione comunista Libertaria Ligure, 1945 CIRA, Lausanne: Broch i 05520
- Nuova Geografia universale, la terra e gli uomini. Trad. italiana con note ed appendici di A. Brunialti. Milano ecc. ; Vallardi ed altri editori (1884-1897). 18 vol. Con carte, indici e tabelle.
- L’Europa centrale. Svizzera-Austria-Ungheria-Germania. Introd. generale di A. Brunialti. 1884. 4 vol, LXXII, 1135 p
- L’Europa del Nord-Ovest. Belgio-Olanda-Isole Britanniche. 1888. 2 voli, 1110 p
- La Francia. 1892. 961 p
- L’Europa scandinava e russa. 1894. 1008 p
- L’Asia russa. 1896. 1032 p
- L’Asia orientale. Impero Cinese-Corea-Giappone. 1892. 992 p
- L’India e l’Indo-Cina. 1888. 2 voli, 108 International Institute of Social History, Amsterdam
- ” L’Opinione de E. Reclus sull’eventuale emigrazione cinese in Europa “, Bollettino della Società geografica italiana, 3ª ser., vol. 8 (Giugno 1895) n. 6, p. 174-175.
- ” L’Origine animale dell’uomo “, Almanaco populare socialista, Torino, 1897. (Bibl. nat. de France)
- Pagine di sociologia preistorica [per Élisée Reclus]. (Mantova: “L’Università popolare”,), 1903. In-8º, p. 596-599.
- ” Il Pensiero di Élisée Reclus in fatto di elezionismo “, L’Azione Operaia, Fabriano,14lug. 1906
- Perché siamo anarchici? Bologna, Libreria internazionale di avanguardia, s. d. 5 p. 16 cm.
- CIRA, Lausanne, Broch i 12408) (1981) Trad. di Genuzio Bentini. I-Barrali (CA). 5 p. 17 cm.
- ” Perché siamo Rivoluzionari “, La Voz del Destierro, São Paulo (Brasile), (6 genn. 1903).
- di La Conquista del pane di Kropotkin. Paterson, N. J. ; 1899. In-16. (Bibl. nat. de France).
- di Parole d’un Ribelle. di Kropotkin; Opera pubblicata con note e prefazione da Élisée Reclus. : 1ª Edizione integra italiana preceduta d’una nuova prefazione dell’autore.
- Paterson, N.J. : Gruppi I Risorti e Verità; Ginevra; Il Risveglio socialista-anarchico; editore tipografia Tessin-Touriste-Lugano, 1904. II, XVI, 273 p. ; 8º. (BNS)
- Max Nettlau, Michel Bakunin Uno Schizzo biografico. Con una prefazione di E. Reclus. Tradotto dal tedesco a cura dell’Avv. Libero Merlino, Messina; Biblioteca dell'” Avvenire sociale “, 1904.
- di Michele Bakunin, Dio e lo Stato. Bologna; 1949 CIRA, Lausanne
- ” I Prodotti della Terra “, L’Operaio, Reggio Calabria, 1888
- Popolo!Popolo! Mantova, Piubega I (9 mar. 1902) n.4.
- I prodotti della terra e dell’industria. Ginevra: L. Bertoni, 1901(Biblioteca Socialista-Anarchica; 9). 32 p. 17 cm. (Bibl. nat. de France): 8º R. 28437; BNS; CIRA, Lausanne Broch i 12409)
- Propaganda socialista. Evoluzione e rivoluzione Torino; A. Mari, 1885. In-16, 16 p. (Bibl. nat. de France): 8º R. Pièce. 14378).
- “La Ricchezza e la miseria “, Il Socialista, Buenos Aires, (1885) a partire dal n. 6. Riprodotto in modo anonimo. intr. di Charles Malato, Religione e patriottismo. Roma; Il pensiero, 1906. (BNS; CIRA, Lausanne)
- Rapporti al Congresso di Parigi. Ginevra: L. Bertoni, [1901]. II, 32 p. ; 8º. Biblioteca Socialista-Anarchica; 5; [1]: L’Organizzazione della vendetta chiamata giustizia — [2]; L’Anarchia e la Chiesa — [3]: L’Evoluzione recente fra i Socialisti di Stato.
- Scritti sociali. 2 vol.
- I Impressioni e ricordi di Luigi Galleani; con due manoscritti, un designo, e tre ritratti fuori testo ” Buenos-Aires; I libri di anarchia, 1930 CIRA, Lausanne Bi 011-1; Università del Michigan, Labadie Coll. : microfilm
- stesso Vol. II ” con delle note biografiche di Giacomo Mesnil; quattro fotografie fuori del testo” *Buenos Aires: i libri di Anarchia, 1930. 157 p. ill. 21 cm. CIRA, Lausanne Bi 011-2; U. of Michigan, Labadie Coll. : microfilm)
- (1951) Scritti sociali, volume unico. Note biografiche di Giacomo Mesnil. Bologna Libreria internazionale di avanguardia. 162 p. CIRA, Lausanne.
- La Sicilia e l’eruzione dell’Etna nel 1865 (ristampa anastatica) 1999 B&B editori Catania
- Viaggiatori italiani e stranieri in Sicilia Giuseppe Pitrè, Aurelio Rigoli, 2000: Edizioni Documenta, Comiso.
- La Sicilia: due viaggi di F. Bourquelot, E. Reclus. Catania, Dafni, 1987, Harvard Depository[13].
- Storia di un ruscello. Trad. di Laura. Milano: Brigola, [1885]. IV, 275 p. International Institute of Social History, Amsterdam
- “Sviluppo della libertà nel mondo”, in Scritti_sociali CIRA, Lausanne
- “Sviluppo del progresso nel mondo “, Pensiero e Volontà, Anno 2 n. 12. P. 279-287. (1º ottobre 1925). CIRA, Lausanne
- Teoria della rivoluzione. Roma, 1905, International Institute of Social History, Amsterdam
- “Verra!” Cronaca Sovversiva (3 lugl. 1905), nat. de France
- su Bakunin da Il pensiero, Roma (1903).
Note^ (FR) Léo Campion, Le drapeau noir, l’équerre et le compas : les Maillons libertaires de la Chaîne d’Union, testo integrale.
- ^ « Élisée Reclus sarebbe dunque stato iniziato nel 1858 ! 1858 o 1861 ? In ogni modo è stato iniziato dopo il suo ritorno dall’esilio che ha seguito il colpo di stato del 2 dicembre 1851, e prima del suo incontro con Bakunin nel 1864 », Revue belge de géographie, Volumes 110 à 112, 1986, page 10.
- ^ Jean-Paul Bord, Raffaele Cattedra, Ronald Creagh, Jean-Marie Miossec, Georges Roques, Elisée Reclus – Paul Vidal de la Blache : Le géographe, la cité et le monde, hier et aujourd’hui, L’Harmattan, 2009, page 13.
- ^ Revue belge de géographie, Volumes 110 à 112, 1986, page 10.
- ^ (FR) RECLUS, Élisée, L’Anarchie, Conférence prononcée le 18 juin 1894 aux franc-maçons de la loge “Les Amis Philanthropes” de Bruxelles, précédée d’une notice préliminaire, testo integrale.
- ^ Revue belge de géographie, Volumes 110 à 112, 1986, page 21.
- ^ il socialismo di Pierre Leroux
- ^ a b biografia Élisée Reclus
- ^ La rivista anarchica“pensiero e Volontà” nacque a cavallo fra il 1924 e 1925, la censura fascista alla fine del 1926 costrinse alla cessazione delle pubblicazioni “pensiero e Volontà”, su cui fra l’altro scrivevano Errico Malatesta e Camillo Berneri
- ^ Labadie Collection
- ^ sito attuale, Viale Monta 255 I – 20126 Milano Italia
- ^ sito di International Institute of Social History
- ^ Harvard Depository
Geografo, ma anarchico. Élisée Reclus, storia di un uomo libero.
Come già fatto in altre simili occasioni, propongo qui i materiali documentali utilizzati per la puntata di RADIO THULE del 17 novembre 2014 dedicata ad Élisée Reclus (QUI il podcast), geografo, scienziato, attivista politico, filantropo tanto misconosciuto quanto fondamentale per la nostra visione e concezione del mondo in cui viviamo – del quale peraltro disquisii anche QUI.
Della sua misconoscenza me ne sono reso conto anche durante la presentazione di un recente lavoro cartografico al quale ho contribuito (curando i testi delle schede di inquadramento geografico e storico-culturali relative), e nella qual presentazione il mio intervento si è basato anche sui dettami grazie ai quali Reclus seppe rivoluzionare la disciplina geografica, appunto. Non c’è alcuna colpa in chi non lo conosca, ovviamente, e pure io mi ci sono imbattuto abbastanza per caso: al solito molti personaggi fondamentali per l’ evoluzione della civiltà umana vengono dimenticati per far posto a tanti altri del tutto evanescenti, se non inutili e/o dannosi… Reclus, invece, fu veramente un rivoluzionario delle scienze geografiche, padre spirituale di una “geografia sociale” in grado di cambiare il punto di vista comune sul nostro pianeta, sulla sua storia e la sua raffigurazione, nonché anticipatore di molte delle discipline legate a quelle scienze geografiche, dalla gestione del suolo all’ ecologia, dall’antropologia culturale in chiave moderna all’ ambientalismo.
Da conoscere, insomma, senza dubbio alcuno, e spero qui di potervi offrire qualche spunto iniziale per “incontrare” Reclus e, magari, approfondire sempre più la sua conoscenza.
Un uomo libero
di Béatrice Giblin
“Ho girato il mondo da uomo libero…”. Così Élisée Reclus si presenta ai suoi lettori. Affermazione assolutamente legittima se si ha presente la sua vita. Che un geografo percorra il mondo è più che normale anche se nel XIX secolo sono ancora in pochi a farlo; ma che rivendichi a piena voce di averlo fatto da uomo libero, questa non è una cosa del tutto ordinaria, tant’è vero che i geografi avevano fama di conservatori, e i pochi che non lo erano, avrebbero trovato incoerente e fuori luogo proclamare le proprie convinzioni politiche al termine dell’introduzione di un libro di geografia fisica! E la stessa cosa vale per oggi.
Ma Élisée Reclus non è affatto un geografo come gli altri; ebbe la strana idea di essere un geografo libertario. E il prezzo di questa audacia fu, dopo la sua morte, il silenzio e l’oblio, malgrado la ampiezza della sua opera. Chi conosce oggi Élisée Reclus? Chi sa che fu un geografo estremamente celebre nel XIX secolo?
Se gli anarchici lo riconoscono come uno dei loro (fu amico di Bakunin e di Kropotkin), i geografi francesi l’ignorano altezzosamente, come se Reclus non fosse stato che un oscuro geografo di un’epoca “prescientifica”. E tuttavia la sua fama è dovuta ben più alla qualità dei suoi lavori geografici che alla portata teorica dei suoi scritti anarchici. Questo scienziato aveva acquisito una notorietà internazionale, gli scienziati dell’epoca lo ritenevano uno dei migliori, tutti lo consideravano un geografo di grande talento. E la gente non si fece ingannare: le sue opere vennero pubblicate in migliaia di copie, furono riedite più volte, tradotte in inglese, in russo, in spagnolo, in italiano. Perché allora questo silenzio, perché questo oblio? Chi era dunque Élisée Reclus, geografo tanto rinomato e tanto presto dimenticato? Da dove viene questo geografo libertario?
Originario del sud-ovest della Francia, Élisée Reclus nasce a Sainte-Foy-la-Grande, cittadina della estremità della Dordogna, il 15 marzo 1830. È il terzo figlio di Jacques Reclus, un pastore calvinista (un vero mistico) e di Zéline Trigant, proveniente da una famiglia borghese di Bordeaux, sicuramente poco preparata a una famiglia numerosa: undici figli. Ella dovette mettersi a fare l’istitutrice per supplire ai bisogni della famiglia, in quanto suo marito era più preoccupato dei suoi rapporti con Dio che dei problemi materiali.
Nel 1831, la famiglia Reclus si stabilisce a Orthez, vicino ai Pirenei. A tredici anni, Eliseo segue suo fratello e sua sorella maggiore a Neuwied, in Germania, in un collegio religioso diretto dai Fratelli Moravi, giacché il pastore Reclus aveva giudicato che solo questa congregazione religiosa fosse degna di fiducia. E in questo si sbagliò parecchio, perché Élisée Reclus rimase nauseato dall’ipocrisia di quei religiosi, più smaniosi di incassare soldi che di educare seriamente i loro allievi. Questo periodo trascorso in Germania non dura che un anno, ma rappresenta un taglio netto colla sua famiglia: scarsa corrispondenza, nessun ritorno in Francia. È costretto a imparare rapidamente il tedesco. Nel 1844, rientra a Sainte-Foy-la-grande per continuare gli studi superiori. Si diploma nel 1848, dopo aver passato un anno nel seminario protestante di Montauban, in quanto a quel tempo pensa ancora di voler fare il pastore, riparte per la Germania, a Neuwield presso i Fratelli Moravi, ma stavolta come sorvegliante; in realtà, i suoi genitori erano troppo poveri per finanziare più a lungo i suoi studi. Dopo sei mesi, è tanto stufo che decide di partire per Berlino e iscriversi all’Università; là segue più o meno fortuitamente i corsi di geografia di Carl Ritter, uno dei primi geografi universitari, famosissimo in Germania. Nel settembre del 1851, ritorna a piedi a Orthez, in compagnia di suo fratello Elia che aveva terminato i suoi studi di teologia a Strasburgo. Per economia ma anche per diletto, i due fratelli attraversano quindi la Francia a piedi, dormendo di notte sotto le stelle. Qualche tempo dopo, scoppia il colpo di stato del 2 dicembre. Repubblicani convinti, i fratelli Reclus si oppongono al colpo di mano del futuro imperatore e, senza essere ufficialmente esiliati, devono rifugiarsi in Inghilterra.
Per guadagnarsi da vivere, Eliseo dà qualche lezione, ha contatti con altri esuli francesi, quelli del 1848 e quelli del colpo di Stato, ma non sta bene in Inghilterra ed è deluso per l’accoglienza che gli inglesi riservano ai rifugiati politici. Alla prima occasione si stabilisce in Irlanda in qualità di amministratore di un’azienda agricola. S’interessa a questo paese di cui esamina la tragica situazione economica e sociale, quattro anni dopo la terribile carestia del 1847 e per tutta la vita manterrà il medesimo interesse per questo paese di cui prevede le difficoltà ineluttabili provocate dall’occupazione inglese. Quindi lascia l’Irlanda per la Louisiana dove si ritrova precettore dei figli di un coltivatore di canna da zucchero per due anni. Analizza con ogni agio la società sudista e, scandalizzato per il comportamento degli uomini di chiesa che difendono i piantatori contro gli schiavi, si volge definitivamente all’ateismo. Aveva già rinunciato ad essere pastore, ma era rimasto credente.
Nel 1855 Reclus parte per la Colombia, che a quel tempo si chiamava Nuova-Granata, dove tenta invano di sistemarsi come piantatore di caffè. Dopo numerosi fallimenti, malato, senza un quattrino, indebitato, rientra in Francia nel 1857. Ma ha dei quaderni di viaggio pieni di note e di osservazioni personali e al suo ritorno cerca di pubblicare qualche articolo basato su quegli scritti. L’interesse di Reclus per la geografia si viene confermando a poco a poco ed ha una gran voglia di descrivere i paesaggi tanto variati attraverso cui ha viaggiato e scrivere sul mondo gli pare un compito esaltante. Prende allora contatto con diversi scienziati famosi e redige qualche articolo. La casa editrice Hachette vuole pubblicare il resoconto dei suoi viaggi e gli propone, intanto, di lavorare alla raccolta delle guide Joanne che essa pubblica e ad altre pubblicazioni geografiche. Eliseo entra da Hachette come geografo nel dicembre del 1858 e comincia a girare, perlopiù a piedi, per la Francia e nei paesi vicini, per compilare le sue guide. La pubblicazione di alcuni articoli di geografia fisica gli permette anche di aderire alla Società di Geografia di Parigi, che era assai attiva a quel tempo e soprattutto possedeva la migliore biblioteca di opere geografiche ed un grandissimo numero di carte.
Nel 1869 esce la prima opera di Élisée Reclus: La Terre. È un vero e proprio trattato di geografia fisica che conosce un enorme successo.
Malgrado il poco tempo che gli lasciano le sue attività geografiche (viaggi, pubblicazioni, ecc.), Élisée Reclus dimostra d’essere un militante attivo nell’ambiente socialista prima e poi anarchico. S’era interessato fin dalla prima giovinezza alle idee socialiste; aveva letto Leroux, Owen, Fourier. Al suo ritorno dall’America, viene affascinato, come suo fratello maggiore Elia, dagli ideali anarchici che gli paiono gli unici ad accordare tanta importanza all’individuo. La sua educazione protestante è indubbiamente all’origine della costante preoccupazione per i diritti dell’individuo e ancor più il protestantesimo personale di suo padre che in ogni circostanza non seguì che la sua coscienza e rifiutò sempre di limitare la propria libertà, non volendo nulla e nessuno tra sé e Dio.
Il protestantesimo in seno al quale Élisée Reclus è stato educato è in realtà una linea di vita, una morale che si basa sull’autonomia totale dell’individuo, effettivamente responsabile di se stesso e che non deve render conto dei suoi atti che a Dio. Diffidenza dunque verso i riti e le organizzazioni che non son altro che barriere destinate a controllare gli uomini e le donne. Questi principi, è chiaro, non han potuto che favorire l’avvicinamento di Reclus all’anarchismo. Ardente difensore di tutti gli oppressi, avversario dichiarato dello Stato e di tutte le leggi che non siano naturali, egli milita cogli anarchici.
Nel 1864, Reclus conosce Bakunin e aderisce, col fratello, alla società segreta “La Fratellanza Internazionale”, lo segue nelle attività dell’Internazionale dei lavoratori, in cui incontra i sostenitori di Marx, coi quali gli anarchici entrano ben presto in contrasto. Marxisti ed anarchici divergono sul cammino da seguire per arrivare alla liberazione dei lavoratori. I primi ritengono che non si debba trascurare la via legale e attribuiscono un ruolo primario all’organizzazione, mentre gli anarchici son convinti che sia illusorio progettare la rivoluzione per tale cammino. Marx ed Engels del resto parlano dei fratelli Reclus in termini ironici e spregiativi.
Le idee anarchiche di Élisée Reclus si radicalizzeranno ancor più all’epoca della Comune di Parigi. Naturalmente, segue con partecipazione gli inizi del moto, coi suoi fratelli Elia e Paolo. Dinanzi all’atteggiamento rinunciatario dei versagliesi nei confronti dei prussiani, i fratelli Reclus entrano in un battaglione di federati. Ma per Élisée Reclus il combattimento è brevissimo, perché vien fatto prigioniero fin dai primi d’aprile del 1871 e imprigionato nella rada di Brest. La sua fama di scienziato gli permette di godere di condizioni detentive relativamente favorevoli. Può persino disporre di una parte della sua documentazione per proseguire il suo lavoro. È in prigione che negozia con Templier, delle edizioni Hachette, il suo contratto per la redazione di una Geografia universale.
Nel novembre del 1871, viene condannato alla deportazione in Nuova Caledonia.
Questa condanna non passa sotto silenzio e un gruppo di scienziati stranieri (inglesi ed americani) ottiene dal governo francese, nel febbraio del 1872, la commutazione della sua pena in dieci anni di esilio. Reclus ammanettato, lascia la Francia per la Svizzera, dove raggiunge suo fratello maggiore che vi si era già rifugiato.
Ben presto Reclus riprende i contatti con i suoi amici anarchici (Bakunin è a quel tempo a Zurigo), ma si dedica soprattutto al suo lavoro di geografo. Nell’estate del 1872 ha firmato un contratto con le edizioni Hachette per la redazione di una Nuova Geografia universale. Deve conservare questo lavoro e guadagnarsi da vivere. Per entrare in possesso di informazioni aggiornate, Reclus non esita ad andare nei paesi che deve descrivere. Quindi viaggia enormemente, s’informa presso i suoi amici geografi o anarchici. Quando costoro riuniscono ambedue le qualità, è l’ideale. È il caso di Kropotkin. I due si incontrano nel 1877 e resteranno amici fedelissimi. Kropotkin ha aiutato moltissimo Reclus nella redazione del volume della Geografia universale dedicato alla Russia. Insieme, collaborano pure a mettere in piedi un nuovo orientamento del movimento anarchico, l’anarchismo comunista, che condanna la proprietà privata: “Il nostro comunismo non è né quello dei falansterii, né quello dei teorici autoritari tedeschi. E il comunismo anarchico, il comunismo senza governo, quello degli uomini liberi. È la sintesi dei due fini perseguiti dall’umanità nei secoli, la libertà economica e la libertà politica. (Kropotkin, La Conquista del Pane).
Malgrado l’interesse che ha verso il movimento anarchico, Reclus non ha tempo da dedicargli. Tuttavia scrive qualche articolo e sostiene finanziariamente alcune pubblicazioni anarchiche. La massima parte del suo tempo va alla stesura della Nuova Geografia universale, opera colossale: 19 grossi volumi. Insegna anche all’università di Neuchâtel dove per parecchi anni tiene conferenze di geografia sul Mediterraneo. Nel 1879, la Camera dei deputati vota un’amnistia parziale che si applica ai fratelli Reclus, ma Eliseo rifiuta di rientrare in Francia finché tutti i comunardi non saranno amnistiati: bell’esempio di rettitudine politica.
Sempre per la redazione della sua Geografia universale visita l’Egitto, soggiorna varie volte nel Maghreb, (una delle sue figlie sta con la famiglia in Algeria); in Spagna, in Portogallo, dove consulta gli archivi della colonizzazione dell’America del Sud allo scopo di accrescere la sua documentazione. Nel 1889, parte per gli Stati Uniti. Ritorna in Louisiana, ma scopre soprattutto nuove regioni, i grandi Laghi, New York e lavora moltissimo anche in biblioteca.
Nell’estate del 1890, Reclus lascia la Svizzera e rientra a Parigi pur continuando a viaggiare moltissimo. Non rimane che quattro anni a Parigi, dove l’istituzione universitaria non gli offre alcun posto d’insegnamento. Naturalmente non ha titoli accademici ma la sua notorietà eccezionale gli poteva aprire le porte del Collegio di Francia. Non è così: si deve considerare che questo geografo di talento, ma libertario e abbastanza originale, non trova collocazione nell’istituzione. Dopo l’uscita dell’ultimo volume della Nuova Geografia universale, nel 1894, viene chiamato dall’Università libera di Bruxelles.
In realtà, l’arrivo di un geografo libertario viene contestato e in definitiva respinto da numerosi docenti. Così Eliseo, suo fratello Elia e qualche altro insegnante dalle stesse idee, fondano la Nuova Università di Bruxelles, che d’altronde coesiste pacificamente per vent’anni con l’Università libera. I professori non vengono pagati dallo Stato e questa università non riceve alcuna sovvenzione. Così Reclus deve darsi da fare per guadagnarci un po’ di denaro con le sue pubblicazioni e i suoi lavori di cartografo per assicurare delle entrate al corpo insegnante che lavora con lui. È anche assorbito moltissimo nella realizzazione di un gigantesco globo in rilievo, perché Élisée Reclus s’è sempre preoccupato dei problemi connessi ad un’esatta riproduzione della terra.
Ma soprattutto dedica le sue ultime forze a un’opera che egli considera come il coronamento delle sue fatiche. L’Uomo e la Terra, in 6 tomi. Reclus la definisce “Un’opera di geografia sociale” in cui tratta tre temi da lui considerati fondamentali: “La lotta tra le classi, la ricerca dell’equilibrio e il ruolo primario dell’individuo”. È un vasto affresco storico delle lotte e dei progressi dell’umanità dalla preistoria fino agli inizi del XX secolo. Ma è pure (i due ultimi tomi) un trattato di geografia umana generale.
Malato da qualche tempo, muore a Thourout, in Belgio, il 4 luglio 1905. Suo nipote Paul Reclus, figlio di Elia, si incaricherà di far uscire gli ultimi cinque volumi e gli succede alla testa dell’Istituto di geografia della Nuova Università di Bruxelles, che scompare nel 1914.
Alle origini della geografia sociale
di Yves Lacoste
Élisée Reclus è nato 150 anni fa ed è morto 75 anni fa, l’anno in cui portava a termine L’homme et la terre, che è il coronamento della sua opera enorme e, oggi, ancora misconosciuta.
Per ciò riteniamo utile che i geografi e, più in generale, coloro che si interessano, per diversi motivi, alla geografia, prendano coscienza di quale è stata, veramente, l’evoluzione della Scuola geografica francese dal momento della sua costituzione, dei suoi progressi ma anche dei suoi passi indietro.
Per lungo tempo, fino agli anni ’60, i geografi non si son neppure curati di conoscere la storia della loro disciplina, come se fosse una preoccupazione del tutto accademica, motivo per intrecciare corone e rendere omaggio a questo o quel maestro. Si faceva e si fa ancora geografia, senza troppo chiedersi che cosa sia: prima si descrive, ovvero si sceglie nella realtà estremamente complessa che ci circonda, ciò che è geografico. Ma che cosa è geografico e che cosa non lo è? Questo dilemma fondamentale i geografi universitari non l’hanno mai chiaramente risolto e, per la massima parte, essi non prendono in considerazione che quelle categorie di fenomeni che i loro maestri hanno loro insegnato ad esaminare. Ogni geografo è stato innanzitutto uno studente che ha subito l’influenza dei suoi professori e, una volta terminato il suo periodo di istruzione, continua a far riferimento, anche inconsciamente, ad opere che la corporazione considera come modelli di descrizione e di ragionamento geografici. Questo “saper vedere” e questo “poter vedere” dei geografi (come dice C. Raffestin), e in realtà molto selettivo: a ragione ma anche a torto, essi lasciano in disparte una grandissima parte della realtà; a ragione, per quanto riguarda fenomeni non proiettati in cartografia, a torto per quei fenomeni che svolgono un importante ruolo nell’organizzazione dello spazio terrestre e che sono, tra l’altro, già rappresentati in cartografia, proprio a motivo della loro importanza politica. In effetti, i geografi non prendono in considerazione che le categorie di fenomeni che essi hanno imparato a considerare come “interessanti”, ossia quelli che è utile tenere in conto da un punto di vista ritenuto scientifico, secondo le tradizioni della corporazione e secondo l’idea che i loro maestri si fanno della scienza.
Una delle caratteristiche principali della geografia universitaria, da quando esiste in Francia ossia da circa un secolo, è l’esclusione dei fenomeni politici dal campo dei suoi interessi. La corporazione considera, contro ogni evidenza, che essi non sono affatto geografici e ritiene che prenderli in considerazione sia la negazione di un comportamento scientifico. Il termine geopolitica ha connotazioni obbrobriose, in quanto ci si ostina a non vederci altro che le argomentazioni che giustificano l’espansionismo hitleriano.
Pertanto è della massima importanza, non solo per i geografi ma anche per tutti quelli che si interessano di scienze sociali, spiegare quali siano state la grandezza e la ricchezza dell’opera di Élisée Reclus. Essa è rimasta completamente ignorata dalla corporazione dei geografi universitari e questo è un passo indietro notevole nell’evoluzione della loro disciplina, poiché, sotto moltissimi punti di vista, il metodo di Reclus è ancor oggi un esempio da seguire. Élisée Reclus e Vidal de la Blanche sono quasi contemporanei (il primo è nato 15 anni prima e il secondo è morto 14 anni dopo). Tuttavia Reclus, che è davvero il più grande geografo francese, è completamente sconosciuto, mentre Vidal viene considerato non solo come il fondatore della Scuola geografica francese, ma anche come il modello cui ispirarsi persino oggi. È da notare che la corporazione non ha conservato che una parte dell’opera di Vidal e che ignora del tutto, tuttora, il suo libro principale (La France de l’Est) poiché egli vi tratta, da geografo, un grave problema geopolitico. L’esclusione del politico è proprio il problema epistemologico centrale della geografia universitaria.
Riguardo al modello “vidaliano”, quanto meno quale lo concepisce la corporazione per giustificare il suo rifiuto ad affrontare i problemi geopolitici, l’opera di Élisée Reclus costituisce un modello alternativo. I geografi d’oggi dovrebbero ispirarvisi per meglio comprendere il mondo ed il ruolo che essi potrebbero avere.
Reclus è un grandissimo filosofo e ciò che ha scritto, soprattutto L’homme et la terre, dovrebbe suscitare l’interesse anche di coloro che non si dedicano alla geografia.
Federico Ferretti
Riscoprire Reclus ovvero che cos’è la geografia
In un incontro preliminare del congresso di Lione, gli organizzatori hanno spiegato il senso di un loro appello, diffuso mesi prima, per fare il punto su “Élisée Reclus e le nostre geografie”.
Reclus è stato riscoperto in Francia negli anni 70 come geografo impegnato politicamente e socialmente, che aveva una concezione molto larga della geografia, che per lui si deve occupare di un largo spettro di questioni, dalla storia all’antropologia fino ai problemi politici, ambientali e sociali che pone lo sviluppo industriale. Lo si è contrapposto ai geografi accademici successivi, più attenti agli stili di vita rurali, e se ne è fatto in qualche modo un “padre spirituale”. Secondo i lionesi occorre però approfondire veramente quello che ha detto, contestualizzarlo e vedere di volta in volta cosa può essere utilizzato.
Paul Boino in questo senso ha rimarcato come Reclus si distingue dal metodo marxista perché partiva dai fenomeni empirici senza applicarvi schemi o sistemi dati: c’è un approccio complesso e molto problematizzato che oggi è acquisito in quasi tutte la discipline ma all’epoca assolutamente innovatore. In particolare nell’analisi dei fenomeni sociali Reclus non utilizza la chiave economica al di sopra di tutte le altre questioni: prende in considerazione una larga serie di ambiti e di strumenti, ha un approccio interdisciplinare, con l’idea di una interazione dinamica fra il genere umano e l’ambiente.
Jacques Défossé ha sottolineato la svolta che si è verificata negli ultimi decenni ad opera di molti geografi, che hanno scelto di occuparsi di pianificazione e progettazione territoriale, e di una serie di questioni come il rapporto fra la popolazione, l’ambiente e le risorse. La disciplina geografica si propone di nuovo, “reclusianamente”, come una scienza utile, che tenta di farsi carico dei problemi politici, ecologici e sociali dell’immediato futuro: in generale, dare delle risposte sul mondo. È stata anche inaugurata, nel dipartimento di geografia dell’università Jean Moulin, una esposizione con pannelli sulla vita e le opere di Reclus, e una mostra di lettere, oggetti appartenuti al geografo ed alcune edizioni di raro pregio delle sue opere, in collaborazione con la famiglia. Essendo impossibile rendere conto in questo spazio di tutti gruppi di studio e gli incontri plenari, citeremo qualche intervento fra i più significativi.
Reclus e l’ambiente
Nell’atelier “Fabbrica e ottica dell’oggetto geografico” è stata perfettamente tempista la relazione di Yves-François Le Lay sui fiumi. Riguardava gli scritti sul Mississippi e la zona di New Orleans, visitate da Reclus negli anni 50 del XIX secolo. C’è uno studio attento e dettagliato delle opere necessarie alla salvaguardia di un tale bacino idrografico, nonché dei problemi della stabilità idrogeologica di una città come New Orleans: uno dei tanti aspetti profetici che sono stati sottolineati (forse anche all’eccesso) nell’opera di Reclus.
La tensione fra la necessità da una parte della vita e della giustizia sociale e dall’altra la salvaguardia e gestione dell’ambiente è stata sottolineata nelle relazioni sul pensiero urbano di Reclus, presentate da Paul Claval e Ignacio Homobono. Lo studio della storia della città attuale, specchio delle contraddizioni di classe, serve qui a costruire la città del futuro, idea che ha avuto una forte influenza sul pensiero urbanistico del XX secolo.
Reclus, l’educazione, le mappe.
L’Universitè Nouvelle, poi, teneva stretti contatti con la Scuola Moderna di Ferrer y Guardia ispirando analoghi esperimenti, purtroppo non sempre abbastanza studiati, in diverse parti d’Europa.
Anche di questa esperienza si è parlato in un atelier, ricordando quanto Reclus considerasse importante agire sulla formazione e l’istruzione. Al punto che all’Institut des Hautes Études si affianca per qualche tempo una Ecole des Petites Études frequentata in primo luogo dai numerosi rampolli della famiglia Reclus, che a Bruxelles si era trasferita in massa (il fratello Elie insegnava come antropologo, il nipote Paul si può considerare l’unico vero allievo del geografo).
Fra le altre cose, Henri Nicolaï e Soizic Alavoine-Muller hanno studiato quella che è stata definita l’”utopia geografica” alla quale si lavorava nel laboratorio di cartografia: Reclus non credeva nella carta geografica, che è falsa perché riduce la realtà selezionandola secondo i criteri ideologici della ragion di Stato, non a caso tutti gli istituti cartografici nazionali sono stati fondati monopolizzati dai militari. Il sogno (solo progettato) era presentare all’esposizione universale di Parigi un enorme globo in rilievo, di 127,5 metri di diametro, con una rappresentazione reale del mondo in scala 1:100.000.
Il laboratorio produsse comunque globi, e atlanti con proiezioni sperimentali. Da notare che nonostante la critica della mappa, che già caratterizzava Ritter e che sarà poi uno dei “piatti forti” dalla geografia radicale negli anni ’70, le opere reclusiane sono ricche di carte tematiche (in alcuni casi “geopolitiche”) estremamente innovative.
Élisée Reclus, geografo e anarchico
Per secoli, l’Occidente ha guardato al mondo come spazio da occupare e i geografi sono stati spesso a servizio di conquistatori e colonizzatori alla ricerca di risorse da sfruttare. Si poteva invece essere geografi anarchici e attivisti contro il potere del capitale. Il francese Élisée Reclus, nato a Sainte-Foy-la-Grande, nella regione della Gironda, il 15 marzo 1830 e morto a Torgout in Belgio il 4 luglio 1905, è stato geografo libertario, comunardo, militante e teorico anarchico. Fu anche insegnante e scrittore prolifico, ma soprattutto è stato cittadino del mondo ante litteram. Precursore cioè di un particolare tipo di globalizzazione, quella democratica, anti capitalista e fatta dagli uomini e non dalle grandi imprese. Fu anche anticipatore della geografia sociale, della geopolitica, della geostoria e finalmente dell’ecologia. Con oltre duecento articoli di geografia, quaranta su argomenti diversi e ottanta di politica su periodici anarchici, ha lasciato un corpo sterminato di opere, tra cui le maggiori sono La Terre (1867-1868) in due volumi, Nouvelle Géographie Universelle (1875-1893) in diciannove volumi e L’Homme et la Terre (1905-1908) in sei.
Figlio di un pastore protestante, il giovane Élisée crebbe in una famiglia molto numerosa, studiò teologia in un collegio di preti ma scoprì presto di essere ateo e contrario al precetto del matrimonio in accordo con le idee libertarie e paritarie tra generi. Studiò geografia per un semestre a Berlino nel 1851, allievo di Carl Ritter, fondatore con Alexander Von Humbolt della geografia moderna. Insieme al fratello Élie, a lui maggiore di tre anni ed etnografo, nell’estate di quello stesso anno rientrò a piedi da Strasburgo fino a Orthez nei Pirenei Atlantici. La traversata a piedi della Francia intera deve aver contribuito a fortificare il suo carattere di geografo attento alla libertà personale e alle comunità. Per lui, «l’anarchia è la più alta espressione dell’ordine», di un ordine però fondato sulla volontà e la responsabilità individuali e non sul potere imposto da uno Stato.
Vista la temperie del periodo, tuttavia, l’esilio per motivi ideali era incombente. Dopo il colpo di stato del 2 dicembre 1851 di Luigi Napoleone Bonaparte, Élisée e il fratello furono infatti costretti ad espatriare per aver manifestato a favore delle idee repubblicane. Prima a Londra poi a Nuova Orléans e quindi nell’attuale Colombia e in altri stati del Sudamerica, Reclus girò buona parte del mondo in cerca di fortuna come coltivatore. Non ne trovò mai molta.
Fu riammesso in Francia nel 1856 e nel 1857 è finalmente a Neuilly-sur-Seine, cioè a Parigi, sempre con il fratello Élie. Nel 1858, sposò civilmente Clarisse Brian per stabilire un ménage communautaire con il fratello andato in sposo alla cugina Noémi Reclus. Da quest’anno l’editrice Hachette lo recluta come redattore delle guide turistiche, le Guide Joanne, favorendo la sua attività di scrittore instancabile di geografia. Nel 1871 prese parte alle barricate per le strade di Parigi in supporto alla Comune. Catturato dai gendarmi fu condannato all’ergastolo da scontare in Nuova Caledonia, arcipelago sperduto nell’Oceano Pacifico nei pressi dell’Australia. La terribile sentenza fu tuttavia mutata nell’esilio dalla Francia per il sostegno di molti intellettuali inglesi. Trovò asilo in Svizzera dove frequentò i circoli anarchici e dove scrisse la sua monumentale Nouvelle Géographie pervasa da uno spirito di grande umanità e comprensione, libera da pregiudizi nazionalisti e razziali. Che cosa sono le frontiere e le identità etniche se non invenzioni umane?
Reclus riuscì ad indicare che cosa gli uomini hanno in comune e non che cosa li divide, prima ancora che l’antropologia si distinguesse dalla vecchia visione etnologica dei libri di testo dell’epoca. L’ideale che guida la sua analisi socio-geografica è fondato sulla completa libertà individuale e sull’azione volontaria di una comunità sociale. La soppressione del privilegio, dell’autorità arbitraria, della proprietà privata, può liberare l’azione spontanea, il mutuo rispetto e la cooperazione intelligente con le leggi naturali. L’uomo che diventa padrone di sé stesso pone fine all’apparente dualismo tra conservatorismo/moderazione e liberalismo/progresso. Anche l’idea di socialismo è troppo piccola: sono poche briciole invece dell’intera fetta di libertà. L’uomo padrone di se stesso non ha bisogno di prostrarsi davanti a Dio né ha bisogno dello Stato. Ma deve capire fino in fondo di far parte della natura.
Una delle immagini più famose tratte dai lavori di Reclus è posta sopra la prefazione de L’Homme et la Terre ed è quella di due mani che sostengono la terra abbinata al motto «L’umanità è la natura che prende coscienza di sé». Il destino della terra è nella mani dell’umanità, ma questa può solo assolvere la propria gravosa responsabilità solo se consapevole di essere parte integrante della natura, invece di coltivare l’illusione di essere un potere che la sovrasta. Le mani sono quelle della natura che agisce tramite l’umanità, ma lascia a noi eventuali lettori dare più enfasi all’umanità o alla natura.
Un’altra immagine dall’interpretazione meno ambigua orna la copertina del primo volume dell’opera. Qui è la natura stessa che contempla il mondo mentre lo tiene tra le mani. La lezione geografica ancora attuale è che contemplare e tenere in mano sono parti inseparabili di un medesimo processo. L’attitudine a tenere nelle braccia le cose care, i figli, è tipica dell’atteggiamento materno e la terra è madre perché si prende cura del mondo, dell’umanità, delle future generazioni. Il mondo va protetto, preservato e riparato.
La visione geografica di Reclus inquadra un’umanità che sviluppa l’autocoscienza di essere parte della terra e per questo in grado di comprendere come i costi del dominio economico, politico e tecnologico sul mondo esploderanno inevitabilmente come crisi ecologica. Il limiti dello sviluppo sono i limiti del pianeta, e l’attività umana potrà continuare solo all’interno di questi per evitare la catastrofe, il collasso globale. La coscienza di questo pensiero è oggi molto diffusa. Ma non è questo il problema, perché la coscienza non è automaticamente azione.
La cultura consumistica e produttivistica continua a colonizzare il pianeta e va di pari passo con la l’espandersi dei fondamentalismi identitari, nazionalistici e religiosi. Consumismo ed enfasi identitaria sono l’effetto dell’espansione del capitalismo e dei meccanismi di sorveglianza, controllo e annientamento sociale, incapaci di autoriformarsi. L’ideale anarchico di Reclus vede la sostituzione del dominio capitalistico sul mondo con la formazione di comunità socio-ecologiche multilaterali, coinvolte e compartecipi della solidarietà tra umanità e natura. La visione profetica di Élisée Reclus indica una meta che può essere lontana e utopica, ma lascia intuire molti singoli passi che ogni essere umano può compiere quotidianamente.
ELISEO RECLUS, UN GEOGRAFO PER L’ANARCHIA
Di Francesco Lamendola
A dispetto del fatto che l’Enciclopedia Italiana, alla voce “Anarchismo”, reciti (anche nell’edizione del 1949), che tale ideologia politica aveva attirato “i cervelli più infiammabili e i cuori meno generosi”, la storia del movimento libertario nel XIX secolo vanta, accanto alla schiera dei lavoratori sfruttati, alcuni dei più bei nomi della scienza e dell’arte. Uomini dalla cultura così profonda e dalla sensibilità tanto acuta da avere compreso, prima e meglio di tanti loro colleghi accademici parrucconi, quanto urgente fosse una svolta sociale in senso libertario, quanto precario un ordine politico che continuava a basarsi, in piena era scientifica e industriale, su una visione burocratica e centralistica della vita sociale. Non è un caso che diversi di loro venissero dallo studio della geografia, la più “umanistica” delle scienze, anzi, il vero anello di congiunzione tra cultura scientifica e artistico-letteraria. La geogragfia che, nella prima metà del XIX secolo, sulla scorta dell’insegnamento di von Humboldt e Karl Ritter, si avviava a una visione complessiva, “organica”, del rapporto uomo-natura, a una concezione dinamica dell’interazione fra società e ambiente, fra Storia e Natura.
Elisée Réclus nasce a Sainte-Foy-la-Grande, nella Gironda, nel 1830, secondogenito di una nidiata di dodici fratelli. Il padre è un pastore protestante, il fratello maggiore, Michel-Elie (nato nel 1827) sarà anch’egli attratto dagli studi geografici, ma prevalentemente a indirizzo etnologico (sciveràLes primitifs, étude d’ethnologue comparée, 1885). Altri due fratelli diverranno celebri: Onésime, nato nel 1837, lui pure geografo di valore e viaggiatore (La Terre a vol d’oiseau, 1877); e Paul, nato nel 1847, che sarà famoso chirurgo e ricercatore nel campo dell’anestesia e nella cura di varie malattie.
Elisée viene mandato a studiare in Germania col fratello Elie. A quei tempi, di solito, accadeva il contrario: i giovani tedeschi, cioè, venivano mandati a studiare in Francia. Ma il padre voleva metterli a studiare in un istituto protestante dei Fratelli Moravi. Dopo un breve ritorno in Francia, Elisée frequenta l’Università di Berlino, dove ha per maestro il famoso Ritter, che gli comunica un amore inestinguibile per la geografia.
Rientrato in Francia, frequenta i primi circoli socialisti-anarchici e vi aderisce pieno d’entusiasmo, superando l’originale, generico repubblicanesimo. Ma passata l’illusione rivoluzionaria del 1848, Luigi Napoleone Bonaparte realizza il colpo di Stato nel 1851, e Reclus è costretto all’esilio. Viaggia molto, in Europa e fuori; è, tra l’ altro, negli Stati Uniti e in Colombia, sinché nel 1857 un’ amnistia non gli riapre le frontiere della Francia. Si dedica allora a un’intensissima attività di scrittore, pubblicando libri di geografia divulgativa (Histoire d’un ruisseau, Storia di un ruscello, nel 1876; La terre, description des phénomènes de la vie du globe, nel 1867-68), studi scientifici relativi ai suoi viaggi in Sud America, articoli per numerose riviste. Il suo stile scorrevole e piano, ricco d’immagini e riflessioni filosofiche, avvince ed entusiasma; esso ricorda ad un tempo la grande tradizione enciclopedistica dell’Illuminismo e l’ardente fantasia e generosità del Romaticismo, cui egli cronologicamente appartiene.
Intanto intensifica la sua militanza anarchica, pur senza mai abbandonare del tutto gli studi geografici e l’insegnamento. S’incontra con Bakunin in Svizzera, e nel settembre 1867 partecipa al Congresso democratico internazionale della pace. Parteggia ovviamente per Bakunin nel dissidio, sorto in seno alla Prima Internazionale, rispetto a Marx e ai suoi seguaci. Un valido aiuto gli viene, anche in campo politico, dai fratelli Elie, Onésime e Paul, anch’essi conquistati dalla bellezza dell’ideale anarchico.
La sua vita di militante è senza macchia, addirittura puritana secondo Kropotkin che lo conobbe e l’ebbe amico e collaboratore- una derivazione sin troppo evidente dell’educazione paterna, improntata a una moralità rigorosa. Unico neo, a nostro avviso, quel suo accorrere volontario nel 1870 sotto le bandiere dell’esercito francese, l’esercito di quel Napoleone III che aveva riportato la Francia in pieno clima reazionario, che aveva moltiplicato le aggressioni coloniali – dal Messico all’Indocina -, e che lo aveva personalmente mandato in esilio. Come potè un internazionalista convinto, un uomo di così ampie vedute, aderire con entusiasmo a una guerra fra Stati, da cui nulla i lavoratori potevano aspettarsi? Certo, nel 1870 la Francia parve paese aggressore, mentre l’abile politica di Bismarck aveva fattoi di tutto per indurre Napoleone III a una dichiarazione di guerra. Ma se anche il vero aggressore era la Prussia, la difesa del suolo patrio non poteva costituire un valido argomento per un anarchico convinto. Il fatto è che Reclus, in questa occasione, si lascia trasportare dalle stesse motivazioni emotive che saranno di Kropotkin nel 1914: pensare che tra i vari imperialismi ve ne sia uno peggiore degli altri – il tedesco – e che occorra preservare l’Europa democratica dal tallone del militarismo e dell’assolutismo prussiano.
Comunque, quando la disfatta di Napoleone strappa il velo della falsa grandeur francese, Reclus è tra i primi ad accorrere sotto le bandiere rosse della Comune di Parigi. Imbraccia un fucile e va a combattere come uno qualsiasi (mentre il fratello Elie è nominato direttore della Biblioteca Nazionale). Durante uno scontro con le truppe del governo di Versailles, vien fatto prigioniero a Chatillon. Thiers, con l’aiuto dei veterani fatti prigionieri dai tedeschi e generosamente “restituiti” da Bismarck, “ristabilisce l’ordine” a Parigi con un memorabile bagno di sangue, e spedisce migliaia e migliaia di comunardi alla deportazione oltremare. Anche Reclus, in un primo tempo, subisce questa condanna, ma le molte voci di protesta levatesi dal mondo della cultura inducono Thiers a commutargliela nell’esilio (1872).
A quarant’anni, Elisée Reclus è di nuovo un esule. Si stabilisce in Svizzera, prima a Lugano e poi a Clarens, sul Lago di Ginevra, dove collabora con numerose testate anarchiche e si dedica contemporaneamente alla sua monumentale Nouvelle Géographie Universelle in 19 volumi (1875-94). Ancor oggi sembra quasi incredibile che un sol uomo abbia potuto compiere un’impresa così ciclopica. Se, com’è naturale, essa appare oggi largamente superata dal punto di vista scientifico, non cessa però di stupire per la bellezza dello stile, la vastità della concezione, l’unità profonda che la pervade, la ricchezza della cartografia e delle magnifiche incisioni che la illustrano. Fu tradotta in Italia, a cura di A. Brunialti, fra il 1883 e il 1904, e mai più ripubblicata. Poche biblioteche possono vantare la fortuna di possederla, e fra queste segnaliamo, per i lettori di Umanità Nova, quella Comunale di Conergliano, in provincia di Treviso.
Ancora più sorprendente della sua possente opera di studioso è il fatto che Reclus, in quegli stessi anni, trova il tempo di dedicarsi efficacemente alla propaganda anarchica, viaggiando fra la Svizzera, Londra e Bruxelles, dove si stabilisce nel 1894 come insegnante, e partecipando nel 1894 alla fondazione della “Alliance Internationale Ouvrière”; è pure in Italia e in altri paesi d’Europa. All’interno del movimento anarchico, egli – insieme a Kropotkin e a Paul Brousse – capeggia la fazione comunista-anarchica, la cui influenza giungerà presto anche in Italia, dove già opera in tal senso Errico Malatesta, e, prima di lui, aveva operato il povero Carlo Cafiero, poi internato in manicomio.
Lavoratore instancabile, terminata la Geografia Universale intraprende un’altra opera notevole, L’Homme et la Terre, che risente la lezione del Ritter circa la stretta e costante connessione fra uomo e ambiente, e che terminerà di scrivere pochissimi giorni prima della morte, avvenuta il 4 luglio 1905. Essa uscirà postuma in due volumi, nel 1905-06. Terminato l’esilio, aveva fatto qualche ricomparsa in Francia, ma ormai aveva designato il Belgio quale sua patria d’elezione, e là chiude gli occhi, a Thourout presso Ostenda. Vale la pena di ricordare che sua è la bellissima espressione: “L’anarchismo è la forma più alta di ordine”, che ci dà al tempo stesso la misura del suo generoso idealismo.
Ma com’era l’ uomo Reclus, com’era lo studioso Reclus nella vita di ogni giorno? Così lo descrive, commosso, l’amico Kropotkin nelle sue celebri Memorie di un rivoluzionario (Londra, 1899; trad. it. Feltrinelli, 1976, pp. 288-89): “Uomo che animava gli altri, ma che non ha mai comandato nessuno, né mai lo farà. È l’anarchico la cui fede è l’essenza della sua conoscenza vasta e profonda della vita umana in tutte le sue manifestazioni, in tutti i paesi e a tutti i gradi di civiltà, i cui libri sono fra i migliori del secolo; il cui stile, di notevole bellezza, colpisce la mente e la coscienza; che quando entra nella redazione di un giornale anarchico dice al direttore – che di frontea lui è forse un ragazzo: “Ditemi che cosa devo fare”, e siede, come un collaboratore qualunque, a scrivere poche righe per riempire una lacuna sul numero che si sta stampando. Durante la Comune di Parigi si armò di un fucile e prese il suo posto fra i combattenti. Se invita qualcuno a collaborare alla sua Geografia di fama mondiale, e il collaboratore chiede timidamente: “Che cosa devo fare?”, egli risponde: “Ecco i libri, ecco una tavola. Fate quel che volete.”
Una disponibilità, una fiducia, una modestia oggi veramente rare, anche nel campo anarchico, dove persiste il vecchio vizio borghese di pensare: “Io sono un intellettuale, che siano gli altri a sporcarsi le mani.”
BIBLIOGRAFIA.
– L. F. DE MAGISTRIS, Eliseo Reclus, Jesi, 1905;
– F. S. MERLINO, Eliseo Reclus, in Divenire sociale, 16/07/1905;
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– P. GHIO, En souvenir d’Elisée Reclus, in Etudes italiennes et Sociales, Parigi, 1929;
– L. GALLEANI, Eliseo reclus (1830-1905), in Figure e figuri, Newark, 1930;
– G. CARACI, Introduzione alla traduzione italiana della “Storia di un ruscello”, Firenze, 1933,
– L. FABBRI, L’anarchismo di Eliseo Reclus, in Volontà, nr. 6, 1949;
– E. RECLUS, Scritti sociali, trad. it. Con note biografiche di G. Mesnil, Bologna, 1951;
– J. MAITRON, Histoire du mouvement anarchiste en France (1890-1914), Parigi, 1951.
2 Jean-Didier Vincent, Élisée Reclus, géographe, anarchiste, écologiste, 2010, Paris : Flammarion, coll. Champs-Biographie, 522 pages,
La biographie de Jean-Didier. Vincent (Prix Femina Essai en 2010) retrace la vie de Reclus et de sa famille, des débuts à Ste Foy la Grande dont l’auteur, neurobiologiste, est également originaire, jusqu’à sa mort près de Bruxelles. L’ouvrage, écrit comme un hommage passionné à son concitoyen, est organisé en trois parties autour de la métaphore du cours d’eau (1. La source et le torrent, 2. A river runs through it, 3. Le fleuve). On y découvre surtout l’homme, jusque dans l’intimité de sa vie privée et de sa sexualité, à travers ses nombreux voyages en Allemagne, aux Iles Britanniques, en Amérique du Nord et du Sud, en Méditerranée, son emprisonnement à Brest, ses exils suisse et belge, son désamour de Paris, ses liens complexes avec un père déçu que ses deux fils aînés, Élie et Élisée, n’aient point embrassé sa carrière d’austère pasteur protestant pour au contraire adhérer à la pensée anarchiste, partagée par la majorité de la fratrie. On y côtoie un Reclus anarchiste libertaire et tolérant, nudiste et végétarien, « doux entêté de vertu », prisonnier et célèbre, enraciné dans sa Gironde natale et citoyen du monde, anticolonialiste mais exploitant agricole en Algérie après avoir échoué à monter une plantation en Colombie, de santé fragile et courageux, qui n’hésite pas à sacrifier le confort d’une carrière paisible et respectable pour suivre ses sulfureux idéaux, tant politiques que conjugaux. Les femmes jouent un rôle important dans sa vie, sa mère, ses sœurs, ses filles, mais aussi ses amours fugaces (Amérindiennes de Colombie), les deux mères de ses enfants mortes jeunes, dont une mulâtre d’origine sénégalo-américaine, et ses deux compagnes de l’âge mûr et de la vieillesse, de plus en plus élevées dans la hiérarchie sociale au fur et à mesure que le banni Reclus devient une célébrité. Reclus dénonçait le mariage bourgeois et prônait une union librement consentie, parfois proche de la polygamie, mais pour la paix de tous, avait accepté des cérémonies officieuses d’union civile pour lui-même et ses proches. L’ouvrage, rédigé par non-spécialiste, est plus discret sur le contenu et l’importance de son œuvre géographique, qui est au contraire au cœur du livre suivant.
3 Federico Ferretti, Élisée Reclus, pour une géographie nouvelle, 2014, Paris : Éditions du CTHS, 447 pages
La biographie écrite par Federico Ferretti, moins riche en détails personnels, replace plutôt l’œuvre de Reclus dans son contexte idéologique et montre avec force, dès le premier chapitre (« Un réseau intellectuel entre science et militantisme ») que Reclus, longtemps considéré comme un auteur isolé car « maudit », a en fait bénéficié d’un riche réseau de collaborateurs, y compris familiaux, dans la famille internationale des révolutionnaires et anarchistes, comme les Russes Kropotkine et Bakounine. Sans eux, la rédaction de la Géographie Universelle eut été impossible (chapitre 2 : « La fabrique de l’œuvre : comment on écrit une géographie universelle »). Les frères Reclus, qui travaillaient en équipe, ont aussi joui d’un appui de ses éditeurs, malgré l’ostracisme dont Reclus était victime dans certains cercles de la bonne société française du second XIXe siècle. En fait, si Reclus, emprisonné lors de la Commune de Paris, a échappé au bagne, c’est grâce à l’appui du monde de l’édition (Ernest Desjardins chez Hachette, Alfred Dumesnil, gendre de l’historien Jules Michelet et Pierre-Jules Hetzel, l’éditeur de Jules Verne) et de l’ambassadeur … des États-Unis, au nom de la dénonciation de l’esclavage par Reclus lors de son voyage nord-américain. Dans le troisième chapitre du livre, Frederico. Ferretti se penche sur la présentation de l’Orient et de l’Occident par Reclus dans la Géographie Universelle. Plus d’un siècle avant Ph. Pelletier et C. Grataloup, Reclus s’interroge sur la pertinence de ces notions, sur les « limites » géographiques, sur une coupure est-ouest de l’Europe et en fin de compte sur l’identité européenne et l’hégémonie coloniale.
4 Christophe Brun, Élisée Reclus, Les grands textes, 2014, Paris : Flammarion, coll. Champs-Classiques, 503 pages, 2014
Dans le troisième ouvrage, si une brève introduction et un tableau synoptique de la vie et de l’œuvre de Reclus en fin d’ouvrage (tableaux généalogiques de la complexe famille Reclus, lieux de vie et territoires visités par Élisée Reclus), font aussi figure de biographie complétant les livres de Jean-Didier. Vincent et Frederico. Ferretti, c’est davantage le travail de géographe de Reclus qui est en mis en valeur avec la sélection de textes opérée par Christophe Brun. En préambule, une série de citations donne déjà une idée de la complexité et de la personnalité de notre géographe, de « pas moyen d’éviter les reporters » à « ma dignité de géographe quoiqu’anarchiste, d’anarchiste quoique géographe », et de réflexions plus ou moins favorables sur Reclus. Quarante-deux textes sont présentés, regroupées en dix sections. Parmi eux, des textes de Reclus sur ses rapports au calvinisme de son père, sur ses voyages (« cette joie profonde qu’on éprouve à gravir les hauts sommets »), sur sa vision de géographe universel (« la brutalité avec laquelle s’accomplit cette prise de possession de la terre », « Asie orientale et Occident unis en un seul monde »), sur le professeur sans estrade (ses rares élèves ont été de petits Colombiens et les enfants de sa famille à qui il apprenait à lire et compter), sur ses choix légumiste, naturiste et féministe, sa réclusion en tant que Communard, son engagement comme anarchiste non-violent anti-bombiste, et enfin sur ses dernières années à Bruxelles.
5Une lecture des trois ouvrages présentés, réalisée dans l’ordre ci-dessus dont nous sommes fort satisfaits a posteriori, permet ainsi de mieux connaître un auteur que les auteurs rendent aisément sympathique. Les trois ouvrages analysés, de format commode en train ou en avion, sont tous de lecture aisée, dotés d’une bibliographie conséquente et présentent des visions complémentaires de la vie et de l’œuvre de Reclus. Ils nous invitent à aller plus loin dans la redécouverte de l’œuvre du géographe, y compris dans la dimension poétique et environnementaliste de « Histoire d’un ruisseau » et « Histoire d’une montagne », réédités en 1995 et 1998 chez Actes Sud.
“L’egemonia dell’Europa nella Nouvelle Géographie Universelle (1876-1894) di Elisée Reclus: una geografia anticoloniale?”
University College Dublin
Abstract
Elisée Reclus, geografo eterodosso e anticonformista nella sua biografia e nel suo impegno politico, dedica però, nella sua poderosa Nouvelle Géographie Universelle, una posizione preponderante all’Europa, continente egemone alla sua epoca sulla quasi totalità del mondo per il potere dei suoi imperi coloniali. Si tratta di una geografia che si potrebbe tacciare di “eurocentrismo” se non di “colonialismo”, come hanno fatto alcuni critici? O presenta invece degli elementi di anticonformismo in coerenza con il pensiero anarchico del suo autore? Si cerca di rispondere analizzando in primo luogo la rappresentazione generale del continente e dei suoi confini nel testo dell’opera. Si affronta poi il problema dell’egemonia europea e del colonialismo confrontando questo testo ad altre fonti contemporanee, come articoli e corrispondenze di Reclus con i suoi collaboratori scientifici. Si scoprono, infine, in questa geografia, i germi di un pensiero critico precoce sul ruolo del continente alla sua epoca.
Rivista Geografica Italiana, 117 (2010), p. 65-92. Page 1
FEDERICO FERRETTI – Bologna, Dipartimento di Discipline storiche, antropologiche e geografiche dell’Università; Paris, Université Paris 1 – Panthéon – Sorbonne UMR 8504 Géographie-Cités, Équipe E.H.GO – Épistémologie et histoire de la géographie
- PREMESSA. – La Nouvelle Géographie Universelle (d’ora in poi NGU) uscita in 19 volumi fra il 1876 e il 1894, è stata senza dubbio l’opera geografica più importante prodotta in Europa nella seconda metà del XIX secolo. Porta la firma di Elisée Reclus (1830-1905), celebre geografo anarchico che intraprende questo lungo lavoro in Svizzera, dove si trova esiliato in seguito alla sua partecipazione alla Comune di Parigi del 1871, affiancato per buona parte del tempo da una rete di collaboratori i cui principali componenti condividono con lui, oltre al mestiere di geografi, anche la fede politica, come Charles Perron, Léon Metchnikoff e Pëtr Kropotkin, o il fratello Elie Reclus (Dunbar, 1978; Ferretti, 2007).
Paradossalmente quest’opera è stata anche la meno studiata del geografo, sia per le sue dimensioni, sia perché già nei primi decenni del Novecento gli esponenti della scuola francese della géographie humaine la consideravano “superata”, sia perché alcuni dei fautori della riscoperta di Reclus negli anni Settanta e Ottanta l’hanno ritenuta un’opera “censurata”, a causa dell’accordo stipulato dal geografo con l’editore Hachette di non parlarvi esplicitamente di politica. La vera opera di Reclus è stata dunque considerata L’Homme et la Terre, che però è uscita dopo la morte dell’autore, che vi ha lavorato solo gli ultimi anni di vita, mentre alla scrittura dell’opera maggiore aveva dedicato più di un ventennio, in collaborazione con alcuni fra i componenti di spicco dell’anarchismo internazionale. Il problema di questo articolo è capire, da una analisi critica del suo testo, se su una questione come la definizione dell’Europa e dell’egemonia planetaria che esercita in quel periodo, quest’opera rimanga su un piano convenzionale rispetto alla geografia della sua epoca, o contenga elementi di una visione anticonformista del suo continente, più coerenti con le idee di un autore politicamente eterodosso.
- I CONFINI DELL’EUROPA. – Per definire l’Europa serve innanzitutto delimitarla: essa è considerata fisicamente, nella NGU, come una penisola dell’Asia. Per buona parte del suo perimetro non si pongono particolari problemi: i confini sono in gran parte disegnati dal mare e l’unica difficoltà potrebbe essere l’attribuzione all’uno o all’altro continente di qualche isola dell’Egeo.
Il problema di definire un confine terrestre coerente fra Europa e Asia sembrerebbe banale se non ci accorgessimo che ancora in tempi recenti presso gli storici e i geografi tale definizione non è per nulla scontata. La separazione tradizionale che si trova tuttora negli atlanti lungo il crinale degli Urali presenta una serie di problemi. Ancora Lucien Febvre, nelle sue lezioni del 1944 al Collège de France, parlava di questa linea come di un «confine assurdo, e peraltro superato» (Febvre, 1999, p. 99). L’idea di Europa è per lo storico annaliste un concetto costruito storicamente e culturalmente che non è dato per natura, visto che il suo confine orientale non si percepisce. Anche quando nell’antichità l’Europa è tenuta in qualche modo a battesimo, con la sua separazione dall’Asia proposta da Ecateo (nei poemi omerici non v’è traccia della definizione di Europa, che compare invece nei miti esiodei) e poi utilizzata da Erodoto, non si risolve il problema di questo confine esterno, perché l’autore delle Storie presupponeva l’ esistenza di un mare settentrionale separante le due masse continentali.
Sarà Strabone a proporne una prima delimitazione orientale passante, come ricorda Reclus, «par les palus Méotides et le cours du Tanaïs» (NGU, vol. I, p. 10), cioè gli attuali mare d’Azov e fiume Don. Oltre questi limiti c’erano terre sconosciute e quasi inaccessibili, che tra l’altro si riteneva non fossero percorribili per raggiungere altre parti del mondo perché terminavano nel mare iperboreo. Dunque non esisteva nell’antichità l’idea di una frontiera terrestre dell’Europa; oltre alle testimonianze degli antichi ci sono prove geologiche della presenza ancora in tempi storici di quell’unico mare che occupava il bacino aralo-caspico, la cui essiccazione è stata oggetto di studio in una delle fonti principali dei volumi della NGU dedicati all’impero russo, gli studi di Pëtr Kropotkin. «In Western Central Asia we have in the lake Aral and the Caspian sea only small survivals of the immense marine basin which once occupied the place now taken by the Turcoman deserts. The evidence of the ancient Greeks and the Arab geographers (…) leaves, in fact, no doubt» (Kropotkin, 1904, p. 723).
La delimitazione straboniana avrà una straordinaria persistenza nella storia della geografia: nei mappamondi medioevali “T in O” la tripartizione del mondo fra Asia, Europa e Africa è affidata di solito alle strisce d’acqua del Nilo, del Mediterraneo e dello stesso Tanais. Essa è considerata valida ancora nel XVI secolo, come si può vedere nella carta di Johannes Bucius del 1537, poi inserita in alcune edizioni della Cosmografia di Sebastian Münster, che raffigura l’Europa come una regina il cui confine orientale sono i lembi della gonna, costituiti successivamente dal Bosforo, dal Pontus eux., dal Mar d’Azov, e appunto dal Tanais fl. Anche in altre opere dell’epoca, come il Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius del 1579, questo fiume sarà preso come punto di riferimento.
Poi, sempre nella ricostruzione di Reclus, «les limites tracées par les géographes modernes entre l’Europe et l’Asie ont été reportées plus à l’est» (NGU, vol. I, p. 10). Il riferimento è agli autori del XVIII secolo, per primo Tatiščev, geografo di Pietro il Grande, che per rafforzare il progetto di europeizzazione di quest’ultimo aveva fornito la rappresentazione di un’Europa estesa fino agli Urali, limite dell’espansione zarista del momento, che viene adottata in Europa occidentale dagli Illuministi, favorevoli a comprendere l’area russa nella cultura europea. Si tratta appunto di una costruzione storica, come già aveva sostenuto Ritter nella sua lezione sui Grenzen von Europa, in cui si suggerisce, come prima indicazione metodologica, di relativizzare il concetto di confine all’ambito per cui lo si utilizza: quello storico-politico o quello fisico-naturale. «Die Ostgrenzen Europas sind nur relativer, nicht absoluter Art, je nachdem man aus Völker, Staaten, oder Naturgrenzen Rücksicht nehmen wollte» (Ritter, 1863, p. 54).
Ma bisogna decidere almeno un limite convenzionale; per trovarlo Reclus enuncia un concetto abbastanza importante nel suo metodo di regionalizzazione. «D’ordinaire, les cartographes s’en tiennent aux limites administratives qu’il plait au gouvernement russe de tracer entre ses immenses possessions européennes et asiatiques : c’est dire qu’ils se conforment à des caprices» (NGU, vol. I, p. 10). Per il geografo anarchico, i confini amministrativi sono dunque “capricci” e ad essi i cartografi si devono attenere quando piaccia al loro governo. Anche l’idea del crinale montano come confine naturale è qui relativizzata: citando i geografi, fra i quali Malte-Brun, che fanno passare la frontiera eurasiatica sulle linee degli Urali e del Caucaso, si conclude che «cette division, qui semble plus raisonnable au premier abord, n’en est pas moins absurde: les deux versants d’une chaîne de montagnes ne sauraient être désignés comme appartenant à une formation distincte et, le plus souvent, ils sont habités par des populations de même origine» (ibidem).
E’ il caso di dire, provocatoriamente, che Reclus propone di ritornare, per disegnare i confini dell’Europa, ai geografi greci e al loro mare iperboreo. «La véritable zone de séparation entre l’Europe et l’Asie n’est point constituée par des systèmes de montagnes, mais au contraire, par une série de dépressions, jadis remplies en entier par le bras de mer qui rejoignait la Méditerranée à l’Océan Glacial» (ibidem).
La carta esemplificativa riprodotta mostra appunto la zona di depressione altimetrica corrispondente per Reclus all’estensione del braccio di mare in oggetto, con evidenziata al centro, tramite un tratteggio più scuro, la parte centrale rimasta sotto il livello del Mediterraneo. Possiamo quindi notare che a sud questa striscia comincia proprio dal confine straboniano su Tanais e Palude Meotide, per attraversare la depressione caspica aggirando il Caucaso a nord e gli Urali a sud, dove fra il Caspio e l’Aral si ricongiunge al bacino del Tobol per scorrere parallelamente agli Urali, ma più a est, e arrivare appunto al mar glaciale artico.
Troviamo in questa “banda” l’idea ritteriana di un confine come qualcosa di mobile, che non può essere compreso appieno in una logica cartografica, alla quale rimane invisibile in quanto tale, perché formato dal punto di vista morfologico dai resti di una situazione che non è più quella presente. Per quanto infatti si tenti di approssimare una rappresentazione, Reclus ribadisce che anche per quanto riguarda la sua proposta «maintenant la limite entre l’Europe et l’Asie ne peut être qu’une ligne idéale ou purement conventionnelle» (NGU, vol. V, p. 280). L’idea del confine mobile, e non semplicemente lineare, sarà espressa in seguito anche da un altro geografo seguace dall’insegnamento ritteriano, nonché attento lettore della NGU, Friedrich Ratzel. «Il confine è per sua essenza mutevole (…) tanto nella natura che nella vita dei popoli il confine trova una sua ragione di essere solo in taluni momentanei arresti e nella miopia del nostro intelletto (…) lo spostamento dei confini non può separarsi dal movimento, e in ciò i fenomeni della natura inorganica ed organica si rassomigliano completamente» (Ratzel, 1914, p. 260). A questo si aggiunge la possibilità che un confine possa non essere necessariamente una di quelle linee astratte e puramente cartografiche che sono le frontiere fra gli Stati, ma una fascia, come ad esempio, sempre secondo il geografo tedesco, quelle aree miste che segnano i limiti della diffusione di una data lingua o di una data etnia. «Per rappresentare tali confini non è mai sufficiente una linea unica, ma si richiede almeno un paio di linee, le quali vengono così a racchiudere una striscia di confine» (ibid., p. 261). Ratzel teorizza anche l’assenza di confini fra i popoli senza Stato e in quelle estensioni che non sono state ancora riempite da entità politiche territorialmente continue. Anche per Reclus questo concetto ha una certa importanza, perché ciò che sta fuori da quello che i geografo greci chiamavano ecumene, ossia il mondo abitato, interessa il geografo molto meno dello studio di qualsiasi altra terra insediata dall’uomo. Nella NGU infatti non ci si preoccupa nemmeno di delimitare i confini dell’Europa sul versante artico, ironizzando sull’attitudine degli esploratori e dei cartografi a piantare la propria bandiera e tracciare il proprio confine nel mezzo di distese desolate. «Sans doute, des États d’Europe ont pu revendiquer la possession du Spitzberg, y faire planter leurs drapeaux ; mais ces terres lointaines n’en restent pas moins des solitudes» (NGU, vol. V, p. 245).
Da questa fascia rimane fuori anche un altro confine in quel periodo abbastanza riconosciuto, quello meridionale sul Caucaso. Reclus se ne occupa all’inizio del volume VI sull’Asia russa: si chiarisce qui che il problema non è quanto siano alte o impervie le montagne, perché contrariamente agli Urali ci troviamo di fronte a una catena che comprende vette più considerevoli anche di quelle alpine. In questo caso abbiamo un “istmo”, quello ponto-caspico, che un tempo era un braccio di mare di cui è rimasta la depressione centrale che serve da confine. «Les deux bras principaux du Kalaous, auxquels on donne les noms de Manîtch oriental et de Manîtch occidental, constituent de mer à mer un canal temporaire, remplaçant l’ancien détroit de jonction» (ibid., p. 671). Reclus si rifà del resto, oltre che al parere di Strabone, a quelli di Humbolt e Ritter, che nei rispettivi lavori sull’Asia Centrale propendono per l’asiaticità del Caucaso proprio in seguito alle ultime rilevazioni altimetriche che hanno fatto conoscere con più precisione il rilievo della contrada. «Depuis que les voyages de Pallas et d’autres explorateurs ont révélé le véritable relief de la contrée, il n’est plus permis de douter que le Caucase appartienne à l’Asie. Il reste nettement séparé de l’Europe par la profonde dépression dans laquelle les eaux du Manîtch, tantôt séjournent, tantôt s’écoulent lentement» (NGU, vol. VI, p. 60).
- DIVISIONI INTERNE: LE DUE EUROPE. – La definizione dei “limiti” esterni dell’Europa per Reclus corrisponde anche a una prima suddivisione interna: nella fattispecie fra un territorio ampio e omogeneo, come tutta la parte compresa all’epoca nella porzione “europea” dell’Impero Russo, e il resto dell’Europa, ricca di penisole e articolazioni, ossia «l’Europe proprement dite, que Strabon qualifiait déjà de bien membrée» (NGU, vol. V, p. 278). Questa bipartizione dell’Europa trova un limite abbastanza preciso: anche in questo caso non si tratta di una frontiera lineare, ma di una fascia individuata da una “depressione” fisica che corrisponde a uno di quelli che Braudel avrebbe definito gli “istmi” mediterranei. L’istmo a volte può essere un confine « in apparenza meno perentorio perché non corrisponde a nessun visibile limite materiale » (Farinelli, 2003, p. 112) ma non per questo meno significativo, come abbiamo visto nel caso dell’istmo ponto-caspico. Questa divisione interna all’Europa, per Reclus, è marcata dalla regione « où passe la voie historique entre la mer Noire et la Baltique (…) dépression qui divise le continent en deux moitiés et où s’entremêlent les sources de la Vistule et de ses affluents avec celles du Dnestr et du Dnepr » (NGU, vol. V, pp. 308-309).
Come vedremo, se l’articolazione del territorio per Reclus corrisponde alle libertà politiche e alle autonomie municipali, l’uniformità del territorio favorisce lo sviluppo di un potere centralizzato. Per quanto riguarda la Russia, « l’uniformité de son relief, la pénétration réciproque de ses bassins fluviaux facilitaient les conquêtes et le mouvement de centralisation. es vastes plaines sarmates, il tendait à s’approprier le territoire entier » (ibid., p. 303). Ricordiamo, per evitare che questo metodo venga interpretato come l’applicazione di un determinismo meccanico, che come per Ritter nella storia cambiano gli orientamenti del cammino della civiltà, così per Reclus con la storia e lo sviluppo dei popoli cambiano gli effetti delle influenze ambientali. Come in età moderna e contemporanea l’uniformità del territorio russo aveva favorito la crescita di un impero centralizzato, così la stessa pianura nel corso del Medioevo, quando le comunicazioni erano più difficili e la popolazione meno densa, aveva invece impedito tutto ciò. « Tant que les communications étaient encore très difficiles dans les plaines de l’Europe orientale et que la population, peu considérable, se trouvait arrêtée de tous les côtés par des forêts et de marécages, la constitution d’une forte nationalité slave était impossible » (ibidem).
Una ripartizione successiva riguarda l’Europa “propriamente detta”, cioè quella occidentale, fra una parte meridionale e mediterranea e una parte settentrionale e atlantica, più aperta verso le pianure dell’est. La barriera di questa separazione è lo stesso sistema orografico che nella metafora anatomica di Reclus fa da “colonna vertebrale” al continente, individuato da un asse immaginario che parte a est dal sistema Carpazi-Alpi transilvaniche-Tatra, prosegue lungo il crinale alpino e termina con la catena pirenaica. Si tratta di una distinzione fondamentale, secondo Reclus, per comprendere lo sviluppo storico dell’intero continente. Questo “bastione” centrale ha fatto sì che il popolamento più antico della parte mediterranea fosse più semplice via mare, mentre le migrazioni dalle steppe asiatiche, trovando questa barriera, si orientassero verso le pianure germaniche, col risultato di creare un’altra Europa: quella oceanica. «L’épaisseur des Alpes et de tous ses avant-monts, du Pinde aux Carpates, séparait donc vraiment deux mondes distincts où la marche de l’histoire devait s’accomplir différemment» (NGU, vol. I, p. 16). Siamo qui in linea ancora una volta con l’ espressione di Ritter per il quale «das Alpengebirge teilt Europa in seine großen natürlichen Provinzen» (Ritter, 1863, p. 178).
Una divisione che per Reclus non è mai assoluta e netta, trattandosi di barriere non sempre invalicabili. Una parte importante della storia è stata quella dei movimenti commerciali e umani che passavano dai valichi di questo sistema, permettendo i primi scambi storici fra Nord e Sud, sempre in crescita dato che all’ epoca della scrittura della NGU già vengono costruiti i trafori ferroviari transalpini. Questi monti costituiscono nondimeno un corpo dotato di una sua unitarietà e organizzazione, grazie a fiumi come il Po, il Rodano, il Reno, il Danubio che si dispongono a ventaglio attorno a questo sistema dal quale nascono per poi fertilizzare le terre dei loro bacini. Un organismo vivente che ci fa ritornare ad alcune immagini già viste, che per Reclus rappresentano la coerenza dell’individuo geografico Europa, dal drago di Strabone alla dama di Bucius. «Elle est organisée, pour ainsi dire, et l’on croirait voir en elle un grand corps pourvu de membres. Strabon comparait l’Europe à un dragon. Les géographes de la Renaissance aimaient à la figurer comme une Vierge couronnée dont l’Espagne était la tête et la France le cœur, tandis que l’Angleterre et l’Italie étaient les mains tenant le sceptre et le globe» (NGU, vol. I, p. 20).
- ALLE ORIGINI DELL’EGEMONIA: ARTICOLAZIONE COSTIERA E LIBERTÀ CITTADINE. – La geografia della seconda metà del Novecento ha a lungo criticato quella che era la prospettiva eurocentrica delle rappresentazioni del mondo, proprio a partire da immagini come quella citata dell’Europa regina. Poi da quelle proiezioni cartografiche che da Mercatore in avanti ponevano il continente europeo al centro dei planisferi, con proporzioni che a causa della tecnica delle “latitudini crescenti” facevano apparire maggiore l’estensione delle terre più vicine ai poli, dunque in questo caso soprattutto quelle comprese nell’emisfero boreale, e minore quella dei Paesi compresi attorno alla fascia tropicale. Per autori come Brian Harley i geografi e i cartografi sono considerati da quel momento come dei soldati al seguito degli eserciti coloniali. «As much as gun and warship, maps have been the weapons of imperialism» (Harley, 2001, p. 57). Per vedere quale sia in questo ambito l’originalità di Reclus possiamo proporre un paragone con quanto sostenuto nella prima delle Géographies Universelles da Conrad Malte-Brun, che tra l’altro scrive nella prima metà dell’Ottocento, quando la potenza dell’Europa non é ancora al suo culmine, come invece lo sarà ai tempi della NGU. Questa piccola penisola dell’Asia ha saputo diventare la métropole du genre humain et la législatrice de l’univers. L’Europe est présente dans toutes les parties du monde; un continent entier n’est peuplé que de nos colonies; la barbarie, les déserts, les feux du soleil ne soustrairont pas longtemps l’Afrique à nos actives entreprises ; l’Océanie semble appeler nos arts et nos lois; l’énorme masse de l’Asie est presque traversée par nos conquêtes; bientôt l’Inde britannique et la Russie asiatique se toucheront, et l’immense mais faible empire de la Chine ne saurait résister à notre influence s’il échappe à nos armées (Malte-Brun, 1845, p. 2).
Sono pochi gli scritti di Reclus dedicati al tema specifico dell’Europa, ma vi si trovano affermazioni abbastanza significative già dalla Introduzione alla NGU, dove il geografo giustifica la sua scelta di far cominciare l’opera da lì, prevenendo l’accusa di voler fare della propria terra il centro del mondo. Non essendo ancora in uso termini come “eurocentrismo” o “etnocentrismo”, si fa l’esempio della tendenza a ritenersi superiori che caratterizza i più svariati gruppi umani. «La moindre tribu barbare, le moindre groupe d’hommes encore dans l’état de nature pense occuper le véritable milieu de l’univers, s’imagine être le représentant le plus parfait de la race humaine» (NGU, vol. I, p. 5). Allo stesso modo si forniscono esempi dei termini dispregiativi con cui gran parte dei popoli designa i propri vicini, per precisare pragmaticamente che : «Si nous donnons la première place à l’Europe civilisée dans notre description de la Terre, ce n’est point en vertu de préjugés semblables (…) le continent européen est le seul dont toute la surface ait été parcourue et scientifiquement explorée, le seul dont la carte soit à peu près complète» (NGU, vol. I, p. 6).
Il principio tramite il quale si definisce la prima caratteristica peculiare dell’identità dell’Europa è quello dell’articolazione costiera già enunciato da Ritter: pur essendo meno estesa dell’Asia e dell’Africa, possiede uno sviluppo costiero in proporzione molto maggiore sia sul versante mediterraneo sia su quello oceanico. Questo ha costituito un vantaggio per le comunicazioni e i primi commerci storici e per la varietà di esperienze e di scambi che era consentita agli abitanti di questa parte del mondo. Mentre l’Asia, per le sue dimensioni e la ricchezza agricola di aree come la Mezzaluna fertile, poteva essere la culla dei primi passi della civiltà, l’Europa era destinata a trasmettere questa civiltà.
L’Europe est le large prolongement de l’Asie centrale, mais plus elle s’avance vers l’ouest, plus elle se développe d’une manière indépendante ; elle dépasse relativement sa voisine d’Orient en richesse d’articulations et de chaînes de montagnes qui n’empêchent ni par leur hauteur, ni par leur étendue, aucune de ces parties différentes de communiquer entre elles. C’est ainsi que ce corps ouvert de tous les côtés (…) et que l’harmonie de la forme triomphant des forces de la matière a donné à la petite Europe la prépondérance sur les grands continents (Ritter, 1859, pp. 259-260).
Un movimento che dicevamo è tanto storico quanto geografico, perché corrisponde a uno spostamento del baricentro della “civiltà”, dunque dei temporanei “centri del mondo”, lungo l’asse che va da sud-est a nord-ovest, dal Mediterraneo orientale all’Italia, prima con l’Impero romano e poi ancora in parte, nel Medioevo, con le repubbliche marinare italiane. Il testimone passerà alla penisola iberica fra XV e XVI secolo e successivamente alle moderne talassocrazie oceaniche olandese ed inglese. «La Grèce, la plus belle individualité de l’ancien monde, pouvait, à l’époque de sa grandeur, réclamer le titre de dominatrice d’une partie de la Méditerranée. Aujourd’hui le groupe des Iles Britanniques, le plus découpé et le plus riche en ports de l’Europe, s’est distingué entre toutes les nations» (ibid., p. 261).
Oltre che da penisole e promontori l’articolazione, o compenetrazione dell’elemento liquido e di quello solido, è data anche dai sistemi insulari. La prima distinzione che fa Ritter è fra isole vicine e isole lontane alla terraferma di riferimento. L’isola vicina favorisce gli scambi e i passaggi, e in questo senso l’Europa è avvantaggiata perché è fornita di questi sistemi sia nel Mediterraneo sia nell’Atlantico. «Ses côtes et ses îles entourent le continent comme des satellites, et lui servent de stations, de prolongements océaniques» (ibidem).
Ma proprio per questo movimento, le cose cambiano: la geografia è qualcosa di mobile e sarà Reclus stesso a trovare alcune delle metafore geografiche più adeguate a esprimere questo. Metafore prese dalla geometria o dall’anatomia, simili a quelle utilizzate spesso sia da Strabone sia da Ritter, come quella delle isole e penisole dell’Egeo paragonate ai circuiti cerebrali con i quali l’umanità ha cominciato a pensare (NGU, vol. I, p. 47). Metafora che trova la sua continuazione in un articolo scritto da Reclus per « La Société Nouvelle » negli anni in cui termina la NGU, intitolato Hégemonie de l’Europe, dove si precisa che se lì era l’origine del pensiero, sempre da lì partivano le vie storiche sulle quali i saperi sono transitati ovunque. « Les voies historiques, sur lesquelles fluaient et refluaient les migrations et se propageaient les courants du commerce et de la pensée entre les peuples, eurent dans le grand organisme terrestre le rôle que prennent les filets nerveux dans le corps humain » (Reclus, 1894, p. 437).
Dunque anche l’egemonia può spostarsi: Ritter osservava che con l’ascesa dell’America, disposta da Nord a Sud, la vecchia linea est-ovest seguita per millenni dalla storia eurasiatica si era rotta, e « nous pouvons prévoir la prépondérance future du double continent de l’Amérique, jeune encore, mais vraiment gigantesque dans son épanouissement longitudinal » (Ritter, 1859, p. 266). Previsione che alcuni decenni dopo proprio nella NGU viene ripresa e ulteriormente “globalizzata”, nonostante l’ancora forte egemonia europea. « L’égalité finira par prévaloir, non-seulement entre l’Amérique et l’Europe, mais aussi entre toutes les parties du monde » (NGU, vol. I, p. 8).
Bisogna qui considerare, per capire il pensiero reclusiano, che a questo concetto della “egemonia” sono inscindibilmente associati valori universali quali: il pensiero “positivo”, transitato dalla filosofia greca all’Illuminismo e culminato nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino; il concetto di civiltà collegata all’idea ottimistica di un progresso tecnico e scientifico che diventa anche progresso sociale; infine l’importanza della mobilità delle popolazioni nella storia, per arrivare in futuro al mélange dei diversi popoli sempre auspicato dal geografo.
Di qui l’idea del Mediterraneo antico come culla delle idee “progressive”: gli insegnamenti degli antichi pensatori greci, secondo Reclus, erano caratterizzati da uno spirito laico che faceva della religione una dimensione molto personale, differente da quella delle grandi religioni monoteistiche le cui divinità incutono terrore e i cui dogmi, secondo il geografo anarchico, inibiscono lo sviluppo della scienza e del libero pensiero. Seguono i primi passi nelle scienze fisiche e naturali, che nella visione di Reclus saranno proprio la luce destinata a scacciare le tenebre dei dogmi e delle superstizioni. Infine una certa idea di cosmopolitismo, che si ricollega direttamente a passaggi storici ancora più avanzati della citata Dichiarazione.
Jamais le principe de la grande fraternité humaine ne fut proclamé avec plus de netteté, d’énergie et d’éloquence que par des penseurs grecs: après avoir donné les plus beaux exemples de l’étroite solidarité civique, les Hellènes affirmèrent le plus hautement le principe de ce que deux mille ans après eux on appela «L’internationale». Démocrite était « citoyen du monde » et Socrate, d’après la tradition, aurait déclaré que sa patrie était «toute la terre» (Reclus, 1902).
Per Reclus, che ora va oltre Ritter, l’articolazione del territorio è legata anche a un altro fenomeno, le libertà politiche: l’Europa, che riprendendo un’immagine già cara a Strabone «brille entre tous les pays par sa forme étonnamment vivante, si bien comparée à la feuille découpée du platane» (Reclus, 1894, p. 435), era fornita sì di porti riparati e di buone stazioni sulle vie commerciali. Ma da questa conformazione era allo stesso tempo protetta. «A l’ époque où se développait la vie nationale de ses petites républiques, l’art de la navigation militaire n’était pas encore assez avancé pour que ces populations fussent mises en danger de conquête par de grandes flottes de guerre ; la seule tentative vraiment redoutable, celle des Perses, n’eut lieu qu’à l’époque où la civilisation grecque était déjà dans toute sa splendeur et sa force» (ibidem).
Tutta l’Europa mediterranea era poi riparata sul lato di terra da un sistema di montagne che per Reclus spiega sia i vantaggi territoriali di cui godeva Roma antica sia la possibilità di mantenere la libertà durante i periodi delle invasioni dall’est per le piccole comunità cittadine che sarebbero poi diventate, nel pieno Medioevo, i Comuni italiani. Non è un caso che nel definire che cosa sia l’Europa anche studi successivi di storici e geografi, da Henri Pirenne (Pirenne, 1939) a Lucien Febvre (Febvre, 1999), si siano rifatti ad essa come concetto difensivo. Citiamo solo un geografo, Jacques Lévy, che si è ritrovato pochi anni fa alle prese con il problema di dire cos’è l’Europa e ha concluso che la principale caratteristica fondatrice dell’identità europea sia stata proprio la conformazione riparata di una serie di pianure e valli, che hanno permesso nei secoli delle migrazioni da est a differenti comunità agricole di « resistere alle invasioni » (Lévy, 1997, p. 43). Comunità che sono state all’origine di tutto un movimento di esperienze cittadine, da lì fino all’età moderna, caratterizzate da forme di libertà repubblicana che Reclus connette alle successive rivoluzioni.
Sienne et Florence, Gênes et Venise ! Les communes d’Espagne et des Baléares, celles de France et de Flandres, la Hanse germanique furent aussi pour un temps les grands centres de la vie sociale, réalisant déjà, sans le savoir, comme une aurore de la société future des communautés libres et fédérées (…) Plus tard, les Provinces-Unies, presque imperceptibles sur la carte, n’en furent pas moins, pendant une ou deux générations, les représentants les plus glorieux du genre humain, et Paris, après avoir été la ville des encyclopédistes, devint celle de la révolution (Reclus, 1894, p. 440).
L’egemonia politica che esercita in quel momento il continente europeo con il suo corollario di violenze che come vedremo sono criticate da Reclus, è accompagnata da un’egemonia culturale che il geografo anarchico vede con un certo favore, ritenendola portatrice del citato pensiero laico e federalista che nella sua idea di evoluzione generale dovrà portare l’umanità verso forme sempre più alte di solidarietà, fino al socialismo. Un concetto di egemonia, dunque, che assume un connotato chiaramente ambivalente a seconda che lo si applichi all’ambito politico o a quello culturale e sociale.
- FRA COLONIE E CONQUISTE. – A questo proposito, è questione abbastanza dibattuta come mai Reclus abbia visto con una certa simpatia l’installazione di coloni europei in terre come il Maghreb, al punto che si è aperto fra gli storici della geografia un dibattito in cui ci si domandava se Reclus fosse o meno un “colonialista” (Giblin, 1981; Liauzu, 1984; Nicolaï, 1986; Baudouin e Green, 2004; Deprest, 2005). Non entreremo qui nel merito della questione di definire il geografo “colonialista” o “anticolonialista”, perché ci pare forte il rischio dell’anacronismo, soprattutto negli anni in cui viene scritta la NGU, quando non esistono neppure termini come “anticolonialismo”. Non si tratta qui di “difendere” il geografo da questa o quest’altra accusa, ma di considerare che non possiamo aspettarci da un autore nessuna idea che non sia in relazione al contesto storico in cui la sua opera nasce e interagisce. Non possiamo considerare Reclus un precursore o un profeta, ma non possiamo neppure leggerlo con le lenti dell’attualità come hanno fatto ad esempio i geografi di « Hérodote », quando sulla scia della radicalizzazione della disciplina avvenuta negli anni Settanta si pretendeva che un geografo anarchico, anche se vissuto un secolo prima, rispecchiasse necessariamente le posizioni dell’anticolonialismo “terzomondista” di quel momento. Possiamo invece tentare di capire quanta parte possano avere avuto le opere geografiche di un autore politicamente eterodosso, ma comunque calato nella sua epoca, nel nascente dibattito sugli effetti della colonizzazione europea.
Se nella sua opera si vuole vedere il rovescio della medaglia della citata egemonia, lo si deve cominciare a fare dalla nazione che in quegli anni la rappresenta meglio, patria della rivoluzione industriale e detentrice dell’impero più grande e cosmopolita che sia mai nato da una nazione così piccola: l’Inghilterra. Paese che Reclus conosce bene, ammira come nuova Grecia proponendo nell’articolo citato un ardito paragone fra la moderna Londra e l’antica Atene, ma della quale non nasconde le responsabilità. «Nous savons quel a été et quel est encore le sort de l’Irlande, ce que fut la conquête de l’Inde, ce que fut hier l’extermination des Australiens et des Maori, ce qu’est aujourd’hui même le massacre des Matabélé; ous connaissons les workhouses et les sentines de Whitechapel» (Reclus, 1894, p. 438). Ma il suo dominio è paradossalmente destinato a portare in se stesso i germi della sua stessa fine, con l’insegnare ai popoli che qualcuno ancora considerava “inferiori” quelle tecniche e quei saperi con i quali essi si emanciperanno a scapito dei loro presenti padroni: «la civilisation européenne en est arrivée à la négation de son point de départ. Elle visait à la domination, à la prépondérance, et par ses conquêtes mêmes elle constitue l’égalité» (ibidem).
Ci troviamo di fronte ad una posizione sicuramente troppo ottimista, ma certo originale rispetto a quella della stragrande maggioranza dei geografi contemporanei, solitamente appiattiti sull’apologia dei rispettivi imperi coloniali. Tale visione è proposta anche nel testo della NGU, dove si parte da una critica del colonialismo britannico dai toni anche più aspri qui, in un’opera pubblicata da Hachette e secondo alcuni “censurata”, che sul giornale anarchico citato sopra.
En beaucoup de contrées malheureusement, les Anglais n’ont su que détruire, faire le vide. En Tasmanie, ils ont exterminé jusqu’au dernier indigène. Dans le continent australien, quelques tribus de naturels fuient encore devant eux comme des bandes de kangourous ; mais la première espèce de gibier est menacée de destruction prochaine. En Océanie, que d’iles ont été également dépeuplées par eux, et dans leurs colonies américaines, devenues maintenant les États-Unis, que de nations indiennes ils ont odieusement massacrées, sans parler de celles qu’ils ont fait périr par l’eau-de-vie et les vices d’importation européenne ! (NGU, vol. IV, p. 359).
Il contrasto con le piccole dimensioni della madrepatria inglese è fatto risaltare anche tramite l’utilizzo di carte che oggi si direbbero “tematiche” ed è un ulteriore esempio del contrasto fra la scarsa estensione dell’Europa e il suo immenso potere. C’è poi un’attenzione alle differenze fra settled colonies e invaded colonies: il geografo anarchico vede una distinzione anche etica fra l’occupazione contraddistinta dalla dominazione militare e la migrazione di famiglie di coloni che vanno a popolare territori oltreoceano, ferma restando la condanna dei citati stermini. E’ nel caso britannico che si evidenzia più chiaramente questa differenza. «Parmi les possessions anglaises, il en est, telles que le Canada, les diverses colonies de ’Australie, la Nouvelle-Zélande, qui ont acquis une existence réellement indépendante et qui se développent en liberté (…) Mais il n’en est pas ainsi de l’Inde. Là les Anglais ne sont pas chez eux : en nombre de quelques milliers, ils sont établis en dominateurs» (Reclus, 1894, p. 434).
Questo ci permette di chiarire una fondamentale distinzione terminologica. Se oggi passa sotto il nome di “colonialismo” tutta o quasi l’espansione europea di quel periodo storico, per Reclus il termine “colonia” sta propriamente a indicare un’altra cosa e lo spiega proprio nel volume della NGU dedicato all’India. Vista l’assoluta inconsistenza demografica degli europei insediati là, che sono essenzialmente militari e amministratori, per Reclus «souvent on parle de l’Inde comme d’une “colonie” britannique, et (…) l’on cite l’Inde comme un éclatant témoignage du “génie colonisateur” des “Anglo-Saxons”. C’est du fait contraire que la péninsule Cisgangétique pourrait être donnée en exemple» (NGU, vol. VIII, p. 629). Ci sono più piantatori bianchi, prosegue il geografo, nell’isola di Guadalupa che in tutto l’Indostan. Lì, proprio per il motivo prima sottolineato, gli inglesi vi si sentono come una casta a parte, e « verraient avec déplaisir des compatriotes compromettre par le travail manuel le prestige de leur autorité. L’Inde est un pays de conquête, non une colonie» (ibidem).
Una differenza sostanziale fra conquista e colonizzazione che bisogna tenere presente se si vuole poi capire Reclus, che utilizza, nella critica del fatto coloniale, una terminologia che non è quella dell’anticolonialismo della seconda metà del XX secolo, nonché il suo atteggiamento nei confronti della presenza francese in Algeria. L’idea che una colonia si possa fare anche senza una conquista militare, un apparato burocratico e uno Stato di supporto ci sembra abbastanza coerente con le idee anarchiche di Reclus. Aggiungiamo che in quel periodo storico molti gruppi anarchici teorizzavano, o fondavano, colonie agricole sperimentali in aree tropicali, come ad esempio l’esperienza della “Cecilia” tentata in Brasile da un gruppo di anarchici italiani (Rossi, 1993). Lo stesso Reclus, nei suoi anni giovanili di viaggio sulle tracce di Humboldt, aveva progettato di costruire sulla Sierra Nevada di Santa Marta, in Colombia, una simile sperimentazione agricola, che se fosse riuscita avrebbe dovuto coinvolgere la sua famiglia e altri esuli repubblicani (Reclus, 1861). L’insediamento di lavoratori europei in terre oltreoceano, o oltremare, non scandalizzava del resto un fautore delle migrazioni e del mélange di tutti i popoli, che vedeva dall’altra parte con simpatia l’insediarsi in quegli anni sul suolo francese dei primi immigrati provenienti dalle colonie.
E’ anche il contatto fra popoli diversi che deve portare alla lunga, per Reclus, sviluppi progressivi; l’esempio qui é proprio quello dell’incontro fra la cultura inglese e la cultura indù. Queste nazioni sono talmente diverse che per molto tempo non si potranno comprendere. Ma in cinquant’anni la presenza di europei, la costruzione di scuole e vie di comunicazione e lo sconvolgimento di un ordine sociale rigidamente diviso in caste, ha cambiato nel subcontinente più cose di quante non se ne fossero modificate nel corso di secoli, portando anche un nuovo modo di pensare. Reclus conclude che se mai «les diverses populations de l’Inde apprennent à se gouverner elles-mêmes, à vivre libres et en paix les unes avec les autres dans leur admirable péninsule, à quelle nation, si ce n’est aux Anglais, devront-elles l’impulsion qui leur aura permis de conquérir l’indépendance nationale, depuis si longtemps perdue?» (NGU, vol. IV, p. 359).
Come hanno fatto notare di recente alcuni studi, nel caso dell’India si potrebbe citare Provincializing Europe di Dipesh Chakrabarty, è stato nel propagandare al resto del mondo i valori dell’Illuminismo e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che le potenze coloniali europee li hanno contemporaneamente smentiti “sul campo” con le politiche applicate in loco, ma insegnandone la teoria a popoli che in molti casi poi l’hanno usata. Recentemente, Vincenzo Guarrasi ha proposto una lettura dell’opera di Reclus proprio con gli strumenti dell’autore bengalese, che ha visto come uno dei pilastri intellettuali della dominazione l’impostazione storicistica di quella cultura europea nella quale Reclus era pienamente inserito. Il geografo siciliano riconosce a Reclus lo sforzo “titanico” di aver tentato, svolgendosi tutta la sua carriera nella precisa fase storica di cui abbiamo parlato, di «non farsi stringere all’angolo dalla storia. Condividere una tradizione intellettuale e, al tempo stesso, contrastare la prassi politica che ad essa si ispira, è l’impresa titanica a cui dedica la sua vita» (Guarrasi, 2007, p. 94).
Per quanto riguarda invece la Francia, é abbastanza vivo negli anni ’70 il dibattito sull’utilità o meno dell’espansione coloniale, dopo la sconfitta con la Prussia e la perdita di gran parte dei possedimenti del Canada, della Louisiana e dell’Indostan. Il volume della NGU dedicato alla Francia esce nel 1877, fase di relativa compressione dell’impero coloniale francese, più di metà del quale, dal punto di vista dell’estensione, è rappresentata dall’Algeria.
Anche economicamente, molto meno rilevante doveva essere il possesso di colonie come la Cambogia, il Senegal e qualche isola dei Caraibi e dell’oceano Indiano. Reclus, nella NGU, si schiera chiaramente con il fronte degli scettici, che nei primi anni della Terza Repubblica non doveva essere marginale, se i sostenitori delle colonie dovettero vincere «l’indifférence ou l’hostilité des Français envers la colonisation» (Berdoulay, 1981, p. 47).
Il geografo anarchico presenta infatti le colonie francesi come un fatto ormai residuale. Al momento, «par la population et le commerce l’ensemble de ce domaine étranger n’accroît que bien faiblement la force de la métropole» (NGU, vol. II, p. 913). Anzi, potrebbe essere la sua debolezza, visti i costi del mantenimento di questi possessi lontani e di popolazioni tenute in soggezione, dunque lasciate fuori, nella visione reclusiana, dalla possibilità di partecipare con un proprio contributo autonomo al “movimento della civiltà”. «La plupart des colonies sont fort coûteuses pour la mère patrie, et leurs populations, maintenues dans un état de grande dépendance, ne contribuent que pour une part insignifiante à ’accroissement de la puissance française. La force d’expansion de la France ne peut donc se mesurer par l’étendue de ces domaines éloignés où flotte son drapeau» (ibidem).
- ALGERIA E DINTORNI – E’ stato soprattutto a proposito dell’Algeria che si è concentrato il dibattito sul presunto colonialismo di Reclus. Secondo la gran parte degli storici della geografia francese è chiaro che «Reclus était opposé à l’expansion coloniale. Il se démarquait ainsi de son frère Onésime qui était un ardent partisan de l’expansion française en Afrique» (Berdoulay, 1981, p. 70). Secondo altri avrebbe avuto la tendenza a essere più “morbido” nei confronti del colonialismo francese che di quello ad esempio britannico, come nel caso dei quattro articoli citati di Giblin, Nicolaï, Liauzu e Baudoin. Questi lavori sono stati di recente criticati dal punto di vista metodologico in occasione di un convegno per il centenario del geografo anarchico.
Tout d’abord, en faisant le choix de travailler sur un ensemble d’ouvrages représentant une masse considérable d’écrit, les quatre auteurs se condamnent le plus souvent à picoter les textes, fondant leurs analyses sur des « morceaux choisis » issus des chapitres de généralités (…) Ensuite, les trois premiers articles souffrent de l’absence d’analyse rigoureuse du contexte idéologique, politique voire éditorial. La position de Reclus est envisagée quasiment en soi ou mise en perspective avec une doxa libertaire, elle-même a-historique et nécessairement anticolonialiste (Deprest, 2005).
Affrontando il corpus completo degli scritti di Reclus sull’Algeria (NGU, vol. XI, pp. 293-652; Reclus, 1905), in effetti, risulta che se da una parte egli vede con simpatia la colonizzazione di popolamento effettuata in quegli anni da proletari, fra i quali sua figlia Magali con il genero Paul Regnier, dall’altra questo fenomeno è separato dall’occupazione spesso violenta effettuata dai quadri coloniali, dai militari e dai proprietari, sui quali la critica e il sarcasmo di Reclus restano sempre acuti anche nel caso algerino.
Per approfondire la questione, nello scritto citato di Florence Deprest si dimostra che l’idea di insediare con colonizzazioni di lavoro e unire con i moderni mezzi di trasporto le regioni meno popolate del globo era in linea con il pensiero “progressista” degli anni in cui veniva redatta la NGU, nei quali appunto non esistevano concetti come “anticolonialismo” o “teoria dell’imperialismo”. Poi che l’idea di un Maghreb pronto ad ospitare un numero consistente di nuovi abitanti venuti dall’Europa è coerente con l’idea reclusiana di unità storica e dinamica del bacino mediterraneo, teatro di scambi e spostamenti dall’inizio della storia. Infine, che nel testo della NGU sull’Algeria ci sono decine di passaggi in cui si fa riferimento ad azioni violente e abusi di vario genere da parte dei conquistatori, che in quel periodo vengono di solito passati sotto silenzio dalla stampa francese. Dal racconto di alcuni dei massacri della guerra di conquista, come lo sterminio di un’intera tribù imprigionata e fatta morire di soffocamento dentro a una caverna data alle fiamme, in cui «d’après le récit de quelques survivants, il y avait en tout 1150 personnes dans la caverne enfumée» (NGU, vol. XI, p. 502), alla constatazione dei numerosi arbitri: «nombreuses injustices se commettent encore et que les vainqueurs abusent toujours de leur force contre les faibles» (ibid., p. 630).
Fino alla denuncia di alcune leggi coloniali, come quella che considerava collettivamente responsabili tutti i componenti delle tribù dichiarate ribelli, ai quali venivano automaticamente requisiti i terreni, «mesure cruelle (…) barbare (…) en même temps qu’inutile» (ibid., p. 603). E soprattutto si parla degli indigeni come soggetti portatori di diritti e di una propria volontà, negando dunque sia l’idea del suddito da dominare sia quella paternalistica del popolo arretrato da educare, perché per Reclus questi popoli avevano le carte in regola per potersi conquistare l’emancipazione.
Affirmer les indigènes, berbères et arabes, capables d’une conscience politique, exposer comment le régime colonial évince leur(s) voix, c’est reconnaître qu’ils devraient avoir des droits politiques, non pas dans un futur hypothétique, mais maintenant, et voir qu’on les en prive. L’écrire, c’est ouvrir une brèche dans le principe de domination coloniale. Impossible à refermer, elle mine la séparation fondatrice sur laquelle reposent toutes les autres, et donc tout l’édifice colonial (Deprest, 2005).
A confermare la validità di questo modo di affrontare il problema sembrano venire alcune delle corrispondenze inedite di Reclus con Paul Pelet, che abbiamo trovato nel corso di questa ricerca. Il cartografo di Hachette, simpatizzante delle idee libertarie, convince Reclus ad aderire alla Société française pour la protection des indigènes des colonies, fondata il 29 novembre 1881 da Paul Leroy-Beaulieu e Victor Schoelcher. Questi personaggi dalle forti entrature politiche nella sinistra repubblicana sostenitrice ell’espansione coloniale, essendo il primo consigliere di Jules Ferry e il secondo senatore, da subito non convincono il geografo, che in una lettera scritta fra dicembre 1881 e gennaio 1882 ne parla all’amico con un certo sarcasmo: «Votre société de protection des Indigènes a fait quelque chose? Je le désire vivement, mais… ici l’anarchiste montre le bout de l’oreille, comment faire quelque chose quand on commence par nommer des présidents-réclame?» (lettera di E. Reclus a P. Pelet, s.d., BNF, DM, NAF, 16798 f. 19)
A far prendere a Reclus la decisione di allontanarsi dalla benemerita associazione è proprio il suo primo soggiorno in Algeria effettuato per la redazione dell’undicesimo volume della NGU sui Paesi del Maghreb. L’osservazione della realtà algerina fa pensare a Reclus che non sempre i buoni propositi corrispondono alle azioni, come scrive all’amico da Algeri.
«Vous savez que pour diverses raisons, je n’ai jamais fait partie que à contrecœur de la Société protection des Indigènes, mais je me disais qu’à priori il serait toujours honorable et bon de me mettre du côté des faibles. Mais ici je m’aperçois que la question est fort complexe et que en disant protection, on peut quelquefois seconder l’œuvre d’oppression» (lettera di E. Reclus a P. Pelet, 28 maggio 1884, BNF, DM, NAF, 16798, f. 74).
Il paternalismo non gli sembra potersi applicare a popoli che ha scoperto in questo viaggio e che gli sembrano composti già per loro cultura da cittadini piuttosto che da sudditi, o “primitivi” da educare. «Je suis tout émerveillé de la mystique kabyle ; je serai fort heureux de pouvoir y retourner et d’y étudier sur place ces admirables citoyens » (ibidem). Reclus allega una copia della lettera di dimissioni per il segretario della Società, partendo nella riflessione proprio dalla riva sud del Mediterraneo: «étudiant les questions algériennes je constate que je ne les ai jamais connues et que je suis loin de les connaître encore. J’ai donc eu tort d’entrer dans la Société protectrice des Indigènes» (ibid., f. 75).
Continuando nei mesi successivi questa corrispondenza, Reclus fornisce nuove motivazioni alla scelta, torna sulla ripugnanza che gli crea il titolo di protettore e sulla scarsa stima nei confronti degli amministratori dell’associazione. Cita, con una buona dose di autoironia, conversazioni avute con amici in Maghreb, probabilmente legati all’entourage degli anarchici trasferitisi lì.
Je me suis frappé de l’unanimité de leur jugement à l’adresse de la Société protectrice. Tous l’accusent de faire par ignorance le contraire de ce qu’elle veut ; tous y voient une mauvaise queue de l’empire ; tous lui reprochent de prendre pour agents indigènes les pires des oppresseurs, tous ont trois bêtes noires, le militaire, le jésuite et le «protecteur». «Peste !» me suis-je dit «me voilà en bonne compagnie» (lettera di E. Reclus a P. Pelet, 21 giugno 1884, BNF, DM, NAF,, 16798, f. 77).
Ed è qui che anticipa molte delle critiche al colonialismo che saranno espresse esplicitamente negli ambienti rivoluzionari solo dagli anni successivi. E’ significativo che proprio la presa di contatto con la realtà algerina gli faccia affermare questi concetti, con i quali chiude la discussione riguardo alla società protettrice. «Je reviens de l’Algérie avec l’horreur de la conquête, plus profonde que je ne le prouvais avant. J’ai là souvent entendu répéter par des bouches guerrières : “Il faut les tuer tous !” que je tiens absolument à éloigner mon nom de la liste de ceux qui admettent le principe de la conquête» (ibidem).
Reclus è assolutamente rapito dagli usi comunitari dei cabili, che gli ricordano la democrazia diretta che tanto aveva apprezzato nella storia delle città europee dalla polis greca al comune medioevale. L’istituzione comunitaria della djemâa, l’assemblea di villaggio delle popolazioni cabile e berbere, è vista come una sopravvivenza dell’antica tradizione di libertà, precedente all’invasione araba. E non si sa mai che siano proprio i disprezzati indigeni a fare come un tempo la Graecia capta con il fiero vincitore romano. «Je me rappelle avec bonheur les deux ou trois jours passés dans la Grande Kabylie. Il me faudra d’y retourner pour m’instruire auprès des braves gens (…) Puissent les Kabyles civiliser leurs vainqueurs !» (ibidem). Le discussioni con Pelet sulla questione dell’Algeria proseguono fino al dicembre del 1884, quando il geografo anarchico afferma che approverebbe gli indigenisti «si les indigénistes concédaient aux indigènes tout le droit, y compris celui de nous mettre à la porte» (lettera di E. Reclus a P. Pelet, 7 dicembre 1884, BNF, DM, NAF, 16798, f. 80). Il pensiero dell’estensore della NGU riguardo all’occupazione francese dell’Algeria sembra dunque nella corrispondenza di questi mesi delinearsi con una certa chiarezza. Pochi anni dopo, nel 1888, Reclus spedisce a un giornale inglese un articolo (di cui non conosciamo la sorte) in cui accenna alla fine della Comune, quando militari abituati al massacro degli Arabi, tornati a Parigi «balayaient les faubourgs de leur artillerie, ainsi qu’ils avaient balayé les pauvres brodji des Arabes. La France paiera de même pour le Tonkin et pour Formose. Le reflux de l’histoire amènera le châtiment des fautes commises» (Reclus, 1911, p. 339). Se consideriamo questo vichiano riflusso della storia e lo paragoniamo alle decine di affermazioni in cui nella NGU si sostiene che la civiltà universale porterà all’ emancipazione e alla liberazione dei popoli soggetti, l’impressione è che si esprima lo stesso concetto in altra forma.
Si potrebbe ancora affermare che Reclus, che nelle lettere citate esprime un pensiero già radicalizzato sul problema coloniale, si premuri di ammorbidire in parte le sue affermazioni in funzione degli impegni presi con l’editore della NGU. Ma se vogliamo tentare di valutare l’entità di questo ipotetico “compromesso”, dobbiamo anche ricordare che esiste un aspetto, non a-storico ma almeno di lunga durata, della doxa libertaria citata in precedenza.
Ossia che il problema coloniale non sarà mai neppure nel ventesimo secolo la priorità dei movimenti anarchici europei, perché nella concezione che ha elaborato questo movimento l’urgenza della liberazione nazionale è subordinata a quella della rivoluzione sociale: in sintesi, si ritiene che l’interesse di un proletario algerino sia ribellarsi al padrone che si tratti di un francese o di un connazionale. Alla luce di queste considerazioni, il quadro ci sembra nel suo insieme più coerente. Aggiungiamo che nel caso dell’Algeria Reclus non è solo un commentatore, è anche un protagonista del tentativo, assieme ai suoi parenti in loco, di fare attecchire fra gli emigrati francesi un movimento libertario sulle cui prospettive il geografo si dimostra particolarmente ottimista nella sua corrispondenza con l’anarchico ginevrino Jacques Gross. «Quand j’ai quitté Alger l’année dernière nous étions bien deux ou trois. Maintenant nous sommes une bonne cinquantaine et dans une récente conférence nous étions bien, du moins par les mouvements initiaux, quatre ou cinq cent» (lettera di E. Reclus a J. Gross, 7 aprile 1887, CIRA, papiers Jacques Gross).
Per il complesso della NGU dobbiamo poi storicizzare ulteriormente il problema: negli anni della stesura dell’opera l’espansione coloniale non è ancora arrivata ovunque al suo culmine e i suoi effetti sono spesso poco conosciuti e poco dibattuti anche negli ambiti progressisti. Ad esempio a metà degli anni ’80, quando vengono redatti i due volumi della NGU sull’Africa subsahariana, la penetrazione europea, compresa quella che darà ai francesi dei territori così vasti in Africa occidentale, è ancora lontana dal suo apice e spesso limitata agli empori costieri. Per quanto riguarda la Costa d’Avorio, «les comptoirs français, appartenant presque tous à une maison de la Rochelle sont peu nombreux» (NGU, vol. XII, p. 416). Nella antica Costa degli Schiavi, benché quattro nazioni europee si stiano contendendo l’influenza della zona, « du côté du nord, dans l’intérieur, leur domaine est encore sans limites précises. Bien peu nombreux sont les voyageurs qui ont pénétré dans ces contrées » (ibid., p. 462). Anche in uno dei più antichi approdi marittimi degli europei, il Senegal, si constata che «les possessions françaises de la Sénégambie n’ont encore qu’une ville digne de ce nom, la capitale» (Ibid, p. 248).
In altre situazioni, come quella dell’Indocina francese, il testo che se ne occupa, redatto all’inizio del decennio, rivela un’evidente carenza di notizie e informazioni precise, al punto che le pagine dedicate alla parte orientale della penisola sono solo poche decine (NGU, vol. VIII, pp. 839-908). E’ chiaro che non ci si può aspettare in questi casi una critica di ciò che l’autore probabilmente ancora non conosce.
E’ invece nel 1899, oltre dieci anni dopo la redazione dei volumi della NGU dedicati all’Asia e all’Africa, ma comunque in anticipo rispetto ai dibattiti del primo decennio del secolo successivo, che Reclus matura prese di posizione pubbliche molto radicali sull’insieme della question coloniale. Lo fa in una serie di recensioni per l’Humanité Nouvelle, trattando di recenti volumi di letteratura coloniale che portano informazioni di cui possiamo supporre il geografo non disponesse nel decennio precedente, in particolare, come dicevamo, riguardo l’Africa Occidentale e l’Indocina. Nelle recensioni si demoliscono senza troppi complimenti testi come i Jours de Guinée di Pierre d’Espagnat, un libro che per Reclus si termina di leggere con un sospiro di sollievo per chi, invece che in colonia, abbia la fortuna di vivere in terre où l’outrage adressé aux nègres ne soit pas de bon ton. Ces pages nous en disent long sur la « Civilisation » que nos compatriotes apportent dans le continent africain. Elles nous décrivent les petits captifs de sept et de huit ans, dont les parents ont été égorgés, et que l’on amène au village des traitants, pour les vendre à quelque roitelet noir ou à quelque marchand européen qui continuera leur éducation à coups de trique (Reclus, 1899a).
Ironica è anche una nota su La colonia Eritrea dell’italiano Meldi, nel cui resoconto dei tentativi coloniali dell’Italia crispina, «il va sans dire que, d’après l’auteur imbu de foi patriotique, les Italiens ont toujours eu le droit pour eux dans cette campagne, aussi bien contre les populations indigènes que contre leurs rivaux d’Europe» (Reclus, 1899b).
Il problema della tratta ritorna quando si parla dell’Indocina, sulla quale il geografo è rattristato dalla lettura di un libro che enumera «les industriels et spéculateurs assoiffés d’or qui se sont établis dans le pays pour exploiter à fond les vingt millions d’Annamites et de Tonkinois» (Reclus, 1899d). Questo dà testimonianza del caos amministrativo della colonia, ma soprattutto del fatto che anche «sous le gouvernement du républicain radical Doumer, la traite des Annamites est instituée au profit de quelques sacripants bien recommandés par les banquiers de Paris. Pour acheter un homme, il suffit de lui faire signer un papier rédigé en français» (ibidem). Ecco come viene esportata la civiltà: si viene ridotti in schiavitù firmando fogli scritti nella lingua della Déclaration! Ma l’opera che fa più inferocire il geografo anarchico è la Psychologie de la colonisation française di Léopold de Saussure, nella quale «les fanatiques de l’empire colonial peuvent y trouver en abondance les exemples des bévues commises dans l’éducation de nos frères inférieurs» (Reclus, 1899c). Al sarcasmo segue l’invettiva nei confronti di tutti quegli europei, francesi, inglesi, tedeschi o olandesi, che sbarcano su terre straniere considerandosi infinitamente superiori alle popolazioni locali. Non stupiamoci, conclude Reclus, che quel po’ di istruzione europea che arriva loro acutizzi lo spirito di rivolta: «Comment pourrait-il en être autrement? Cette haine de l’esclave qui se redresse contre nous est méritée, et nous prouve du moins que tout espoir de relèvement n’est pas perdu (…) C’est justice!» (ibidem).
- CONCLUSIONE. – Abbiamo visto come a una definizione dei limiti e delle grandi suddivisioni dell’Europa basata sul recupero degli autori antichi e delle idee di Humboldt e Ritter, Reclus unisca il suo anticonformistico rifiuto di limitare il découpage regionale ai confini politici e amministrativi.
Possiamo poi pensare sul problema dell’espansione oltremare che, anche alla luce di questa chiara evoluzione dell’autore verso una denuncia del colonialismo, la NGU abbia contribuito, come tappa di un percorso progressivo, a porre le basi per lo sviluppo del successivo pensiero anticoloniale. Nel ridimensionare l’Europa come una parte del globo che occupa poco più di un quarto dell’ opera; nel presentare le popolazioni di tutto il pianeta secondo il principio dell’unità umana, del rispetto delle differenti culture, dell’amore per il cosmopolitismo; nella ricerca costante del mélange storico che le ha perennemente spostate e rimescolate; nel presentare un globo sul quale la civiltà non ha più un centro e una periferia e sul quale si ripetono appelli alla “fraternità fra i popoli”; nell’ inserire dove è possibile, come abbiamo visto nel caso dell’India e dell’Algeria, richiami ed episodi che dimostrano la natura non così benevola della civiltà europea. Non risparmiando nel testo dell’ opera le invasioni più antiche, come quella dell’America dove, dai Norvegesi dell’XI secolo ai Conquistadores del XVI « le massacre commença avec l’arrivé des blancs » (NGU, vol. XV, p. 13), né gli Stati colonialisti più piccoli, come l’Olanda « parasite de Java » (NGU, vol. IV, p. 336). E non in un pamphlet rivoluzionario, ma in un’edizione Hachette ad ampia diffusione.
FONTI MANOSCRITTE
Paris – Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits Occidentaux, Nouvelles Acquisitions Françaises (BNF, DM, NAF): Dossier 16798, Lettres d’Elisée Reclus à Paul Pelet.
Lausanne – Centre International de Recherches sur l’Anarchisme (CIRA).
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PËTR ALEKSEEVIČ KROPOTKIN
Pëtr Alekseevič Kropotkin, in russo: Пётр Алексеевич Кропоткин? (Mosca, 9 dicembre 1842 – Dmitrov, 8 febbraio 1921), è stato un filosofo, geografo, zoologo, militante e teorico dell’anarchia russo.
Libertario, fautore di un’analisi sociologica e di una proposta poggiata su basi scientifiche dell’evoluzione sociale nelle comunità umane, con una propaganda fondata sui fatti, è stato uno dei primi sostenitori dell’anarco-comunismo.
« Perché la rivoluzione possa essere più che una parola, perché la reazione non ci riporti domani alla situazione di ieri, la conquista di oggi deve comportare lo sforzo di esser difesa; il povero di ieri non può essere il povero di domani » |
Indice
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- 1 Biografia
- 2 Il pensiero
- 3 Opere
- 4 Note
- 5 Bibliografia
- 6 Voci correlate
- 7 Altri progetti
- 8 Collegamenti esterni
La Rivoluzione è più che la demolizione di un regime. È una rivoluzione negli animi, più ancora che nelle istituzioni.
Biografia
Nato da famiglia aristocratica, nel 1857 entrò in qualità di nobile imparentato con la Corte nel Corpo dei paggi (collegio imperiale) dove terminò il suo corso nel 1861, dal quale uscì nel 1862 per entrare a far parte dei Cosacchi, prestando servizio da ufficiale in Siberia. In questo periodo abbracciò gli ideali anarchici, ed ebbe modo di compiere una serie di studi di geografia, geologia e zoologia che avrebbero avuto in seguito un’influenza fondamentale nello sviluppo della sua filosofia. Nel 1868 rientrò in Russia, a Pietroburgo, riprese gli studi universitari nella facoltà di scienze, e successivamente venne nominato segretario della sezione geofisica della Società russa di geografia.
Con gli anni maturò la decisione di impegnarsi nell’attività politica: nel 1872 abbandonò i suoi incarichi e si recò a Ginevra, dove aderì alla corrente di Michail Bakunin nella I Internazionale, impegnandosi per la partecipazione degli anarchici ai movimenti sindacali e rivoluzionari (partecipava alle conferenze operaie clandestine, in cui si faceva chiamare «Boradin», propagandando la rivoluzione sociale); entrò poi a far parte della Federazione del Jura. Al suo ritorno in Russia si unì al Circolo Čajkovskij, del quale ricevette l’incarico di scriverne il programma.
Nel 1874 venne arrestato ed imprigionato a San Pietroburgo (scoprire che dietro il rivoluzionario Boradin si nascondeva il principe Kropotkin suscitò la sorpresa e lo sdegno dello zar); riuscì ad evadere nel 1876, raggiungendo la Svizzera con lo pseudonimo di Levachov. Diventò segretario generale del IX Congresso generale dell’Internazionale dei lavoratori, prima di essere costretto alla fuga in Inghilterra dalle minacce d’arresto della polizia svizzera. Stabilitosi in Inghilterra iniziò una serie di viaggi attraverso l’Europa per tornare a Ginevra nel 1878, dove l’anno successivo fondò e diresse Le Révolte. Nel 1880 collaborò insieme a Élisée Reclus alla stesura della Geografia universale.
Nel 1881 fu espulso dalla Svizzera a seguito dell’assassinio dello zar Alessandro II da parte di alcuni anarchici; venne processato (durante il processo gli imputati, Emilio Gautier, Felix Tressaud, Martin, Fager, Sala, lessero una dichiarazione di principi che terminava con il celeberrimo «il pane per tutti, la scienza per tutti, il lavoro per tutti, e per tutti anche l’indipendenza e la giustizia») e incarcerato a Clairvaux nel 1883. Lo stesso anno Victor Hugo presentò al ministro della giustizia francese una petizione per la sua liberazione, firmata da numerosi intellettuali. Dal carcere, nel 1885, scrisse Parole di un ribelle.
Il 15 gennaio 1886 Kropotkin ottenne la grazia e si stabilì di nuovo in Inghilterra, dove fondò la rivista Freedom e, insieme ad altri amici, la casa editrice anarchica Freedom Press. Iniziò un lungo periodo di feconda produzione letteraria durante il quale scrisse alcune tra le sue opere più importanti, tra le quali La morale anarchica; Campi, fabbriche e officine; Il mutuo appoggio.
Nei primi anni del XX secolo i tentativi rivoluzionari in Russia risvegliarono l’interesse di Kropotkin per la situazione del suo paese d’origine; nel 1914 prese posizione in favore della guerra contro la Germania, innescando numerose polemiche all’interno del movimento anarchico e un’aspra lite con l’amico Errico Malatesta; il suo atteggiamento interventista trovò ancora riscontro nel 1916 con la sua firma al Manifesto dei Sedici. Anni dopo Kropotkin avrebbe ammesso di aver compiuto un errore.
Nel 1917 tornò in Russia dove prese immediatamente posizione contro la piega autoritaria che avvertiva nel movimento rivoluzionario, osteggiando in particolare i bolscevichi. Strinse amicizia con Aleksandr Kerenskij, dal quale rifiutò sia l’offerta di assumere un ministero, affermando di considerare «molto più utile e onesta la professione del lustrascarpe», che quella di percepire una pensione annua di diecimila rubli.[1]
Nel 1919 si trasferì definitivamente a Dmitrov, dove scrisse la Lettera ai lavoratori d’occidente; il documento più importante di questo periodo, o Lettera ai lavoratori di tutto il mondo (1920), in cui Kropotkin esortava tutti i progressisti occidentali a porre fine al blocco e alla guerra d’intervento, che avrebbe solo rafforzato la dittatura e reso più difficile il compito di coloro che stavano lavorando ad una genuina ricostruzione sociale. Illustrava poi la sua visione di una Russia anarchica organizzata in liberi comuni federali, e ammoniva gli uomini d’altri paesi a imparare dagli errori della Rivoluzione Russa. Di quest’ultima lodava i passi verso l’uguaglianza sociale e il ruolo dei Soviet, che avrebbero potuto portare all’emancipazione dei produttori nell’amministrazione della loro attività se solo non fossero caduti sotto il controllo della dittatura. Nella sua prima lettera a Lenin, datata 20 marzo 1920, scrisse infatti che: «Se la situazione attuale continuerà, la stessa parola “socialismo” diventerà una maledizione, come capitò in Francia alla parola “uguaglianza”, dopo quarant’anni di giacobinismo».[2]
Nonostante tutto Kropotkin era ancora ottimista ed invitava i lavoratori a creare una nuova Internazionale. Le sue parole però non influenzarono né gli eventi interni, né quelli esterni ed egli non poté far nulla neppure per gli anarchici che erano in prigione, in esilio o a combattere nell’esercito rivoluzionario ucraino di Nestor Makhno. La sua morte, avvenuta l’8 febbraio 1921, gli impedì di completare quella che considerava la sua opera più importante, L’etica. Il suo feretro attraversò le strade di Mosca scortato da nere bandiere incise del motto Dove c’è autorità non c’è libertà.
Il pensiero
Kropotkin, che sviluppa le proprie idee all’apogeo del clima positivista e scientista dell’Ottocento, fu fortemente influenzato dal suo essere contemporaneamente scienziato e anarchico, per questo si legò fortemente al razionalismo illuministico. In questo “clima” egli lancia la sua sfida intellettuale: dimostrare che l’anarchismo è in perfetta sintonia con lo sviluppo e i metodi della scienza, che esso ha basi scientifiche indiscutibili e, soprattutto, dimostrare che la vita umana ed animale è prevalentemente basata sulla cooperazione e la solidarietà, piuttosto che sulla lotta.
In questa maniera l’anarchico russo vuole criticare sia le teorie del socialismo scientifico, in particolare quelle del metodo dialettico e del determinismo economico, sia le teorie dei discepoli del “darwinismo sociale” che giustificano l’oppressione del forte sul debole. Gli elementi cardine del pensiero kropotkiniano sono: il determinismo scientifico, l’etica e l’anarco-comunismo.
Il determinismo scientifico
Per Kropotkin l’anarchia è un modo d’organizzazione sociale “imposto” dalla stessa natura ed è quindi una verità scientifica: “l’anarchia è una concezione dell’universo, basata sulla interpretazione meccanica dei fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita della società“. Il suo metodo è quello delle scienze naturali; secondo questo metodo ogni conclusione scientifica deve essere verificata. La tendenza kropotkiniana è di fondare una filosofia sintetica che si estenda a tutti i fatti della natura, compresa la vita delle società umane e i loro problemi economici, politici e morali”.
Per Kropotkin in natura non esistono leggi prestabilite bensì fenomeni non determinati e l’armonia non può non essere che la conseguenza di un lungo processo. Ugualmente la società umana, che si regge sull’armonia spontanea, non può che sfociare nell’Anarchia, poiché anche gli esseri umani tendono a respingere le forme cristallizzate.
La Conquista del pane, edizione francese
L’anarchia quindi si realizzerebbe come conseguenza deterministica, ovvero senza alcuna volontà possibile. Quest’ultima, che determina la condotta degli individui e della società, secondo il determinismo, non sarebbe altro che un’illusione. Passato, presente e futuro non sarebbero altro che una sequenza di cause ed effetti di natura meccanica, secondo cui la volontà non può incidere in alcun modo. Tuttavia per Kropotkin il pensiero meccanicista non è così “rigido”: egli ritiene che i fini possono essere raggiunti solo attraverso l’adeguamento dei mezzi alla natura dei fini. In pratica i fini non sono dati, ovvero è l’azione cosciente (prassi rivoluzionaria) dell’uomo che determina i fini.
L’etica
Secondo Kropotkin, tre sono gli stadi dell’etica umana:
- il mutuo soccorso;
- la giustizia;
- la morale.
Il mutuo soccorso, tradotto anche come mutuo appoggio, è presente in tutti gli animali con pochissime eccezioni. Solo le tigri, alcuni uccelli e alcuni pesci, afferma Kropotkin, non hanno istinti sociali e vivono isolati. Tutti gli altri però vivono in branchi e si aiutano a vicenda, perché questa è l’arma migliore per sopravvivere; anzi, si tratta di una vera e propria legge della natura e di un fattore determinante dell’evoluzione. i più atti o adatti, pertanto, non sono i più forti fisicamente, né i più scaltri, ma coloro che imparano ad unirsi in modo da sostenersi reciprocamente, tanto i forti quanto i deboli, per la prosperità della comunità.
Kropotkin, rifacendosi soprattutto agli studi di Charles Darwin, nota che gli istinti sociali sono via via più presenti man mano che una specie è evoluta; così, le specie più evolute di ogni classe animale, possiedono istinti sociali fortissimi. Questi istinti sono indubbiamente presenti anche in ogni uomo.
La giustizia deve essere intesa come uguaglianza; non vi è alcuna giustizia senza equità. Questo è un passaggio successivo, che non deriva dagli istinti né dai sentimenti, ma dalla ragione. Anche la giustizia, afferma Kropotkin, è presente in molti animali, particolarmente quelli più evoluti. Parla ad esempio di uccelli che si dividono le scogliere, zona di caccia, in modo che nessuno abbia un territorio migliore o peggiore degli altri; quindi se il territorio di un uccello è particolarmente buono per la caccia, sarà meno esteso rispetto a quello di un uccello che ha un territorio peggiore. Nelle civiltà primitive, poi, la giustizia intesa come equità era la norma. Lo deduce da studi effettuati di persona e da altri studiosi, in cui sono state analizzate le culture considerate più “primitive”. Ciò non toglie che l’uomo ha sempre vissuto in società, come gli animali.
La morale è qualcosa che nasce successivamente. Essa va addirittura oltre la giustizia e va intesa come abnegazione o sacrificio di se stessi per gli altri. È ciò che avviene quando un individuo rinuncia alla propria vita per salvarne un altro (si tratta naturalmente di un caso estremo). La morale, però, non è che un “di più”, che non si può chiedere ad una persona.
Tale distinzione non è nuova. Era già presente in Pierre Joseph Proudhon e in Jean-Marie Guyau, ma Kropotkin l’ha approfondita. Avrebbe voluto chiarire, nel secondo volume de L’Etica, da quali processi psicologici nascano la giustizia e la morale nell’uomo, ma purtroppo di quel volume non abbiamo che poche bozze. Sappiamo però che intendeva fondare una nuova etica (la morale realistica, o morale anarchica) rifacendosi principalmente all’abbozzo di Guyau di una morale senza obbligazione né sanzione.
L’anarco-comunismo
Il comunismo anarchico o comunismo libertario è il “comunismo senza governo, quello degli uomini liberi, è la sintesi dei due scopi ai quali mira l’umanità attraverso i tempi: la libertà economica e la libertà politica” ed è anche il completamento dell’anarchia, ovvero l’uguaglianza che completa la libertà. È quindi inoltre l’opposto dell’individualismo esattamente come il mutuo appoggio è l’esatto contrario della lotta per l’esistenza.
Per Kropotkin il comunismo è l’unico sistema privo di contraddizioni sociali, poiché, secondo il principio “da ognuno secondo le sue forze, ad ognuno secondo i suoi bisogni“, abolisce la schiavitù del salario e la dipendenza dal bisogno, mediante la spontanea azione delle masse. Kropotkin, nella sua visione deterministica, è contrario alla rivoluzione, tuttavia la ritiene fondamentale in certe epoche, in quanto mezzo di accelerazione del processo evolutivo.
Il comunismo kropotkiniano vuole abolire non solo la differenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale (come Bakunin) ma anche quella tra città e campagna. Per il pensatore russo ogni individuo deve integrare il lavoro manuale con quello intellettuale (ciò per evitare pericolose specializzazioni che possano creare privilegi); anche l’integrazione geografico-sociale della città con la campagna sono due aspetti complementari perché mirano al superamento della divisione della società in una scala gerarchica. Questi due aspetti, così integrati tra loro, costituiscono la struttura federalistica ed armonica del piano kropotkiniano, che comporta la fine di ogni dominio: abolizione delle classi, abolizione dello Stato e di ogni altra forma gerarchica socio-economica, decentramento e federalismo dal basso verso l’alto, abolizione della duplice divisione del lavoro, pratica immediata di comunismo libero e di mutuo appoggio.
OpereRicerche sul periodo glaciale (1871);
- Parole di un ribelle (1885);
- La morale anarchica (1890) (ISBN 88-7226-477-4);
- La conquista del pane (1892);
- La filosofia e l’ideale dell’anarchia (1896);
- Lo Stato e il suo ruolo storico (1897)
- Campi, fabbriche e officine (1898);
- Memorie di un rivoluzionario (1899);
- Il mutuo appoggio (1902) (ISBN 88-7641-301-4);
- L’orografia dell’Asia (1904);
- La grande Rivoluzione (1911);
- La scienza moderna e l’anarchia (1912) (ISBN 88-85861-79-2);
- L’etica (incompiuta);
- Pierre Kropotkine. Œuvres, présentation et choix de textes par Martin Zemliak (alias Frank Mintz), La Découverte, 2001 (1976) (ISBN 27-07135-27-5).
Note^ “Note biografiche di Pëtr Alekseevič Kropotkin
- ^ Préposiet Jean, Storia dell’anarchismo, Dedalo, Bari, 2006, p. 303; Pierre Kropotkine. Œuvres, présentation et choix de textes par Martin Zemliak (alias Frank Mintz), La Découverte, édition de 2001 (première édition 1976), nota n° 27, p. 339.
Bibliografia
- Kropoktin P.A., Memorie di un rivoluzionario. Introduzione di Enzo Santarelli, Editori Riuniti; Categoria STORIA; 1968
- Kropoktin P.A., Il pane per tutti, Ortica Editrice; 2012
- Kropotkin P.A., La grande Rivoluzione 1789-1793, Edizioni Anarchismo, 2012
- Kropotkin P.A., Parole di un ribelle, Edizioni Anarchismo, 2012
- Kropotkin P.A., La conquista del pane, Edizioni Anarchismo 2008 (II ed.)
- Kropotkin P.A., Il mutuo appoggio, Edizioni Anarchismo 2012 (II ed.)
- Kropotkin P.A., Lo Stato e il suo ruolo storico, Edizioni Anarchismo 2009 (II ed.)
- Hug Heinz; Kropotkin e il comunismo anarchico; Curato da: Grasenack M., Angelone R. Editore Massari, 2005
- Préposiet Jean, Storia dell’anarchismo, Dedalo, Bari, 2006.
PËTR ALEKSEJEVIC KROPOTKIN
A cura di Silvia Ferbri
“È il fatto che ci darà la vera misura dell’idea”.
Introduzione
Pëtr Kropotkin è stato un rivoluzionario anarchico russo (possiamo considerarlo uno dei “padri fondatori” dell’anarchismo e dell’anarcocomunismo in particolare), ma anche uno scienziato e un filosofo. Il suo è però un pensiero poco conosciuto, pur essendo ricco e fecondo. La sua vita e la sua collocazione politica hanno probabilmente contribuito a metterlo in ombra, al punto che è praticamente ignorata anche la sua intensa opera geografica (a Kropotkin dobbiamo l’esatta conoscenza dell’orografia asiatica e delle varie fasi dell’era glaciale in Europa; compì infatti diverse esplorazioni nella prima parte della sua vita) così come il suo notevole contributo all’antropologia e all’etologia. Le sue ricerche e le sue riflessioni spaziano dall’analisi critica dell’evoluzionismo darwiniano (in occasione della quale emerge il concetto del “mutuo appoggio” come fondamentale fattore evolutivo) alle riflessioni sull’etica (proponendo un’etica solidale, dopo aver esaminato i vari stadi dello “sviluppo” etico); dall’anarchia e l’autogestione a un’approfondita e profetica analisi sociale ed economica; dalla ricerca di una filosofia anarchica della storia fino all’ipotesi di un fondamento scientifico vero e proprio per la teoria anarchica, da contrapporre al socialismo scientifico marxista; dalla sua particolare concezione antropologica a una sensibilità ecologica difficile da riscontrare ai suoi tempi.
Dal punto di vista filosofico rivestono un particolare interesse i suoi scritti sulla storia e la storiografia (quindi il suo concetto di rivoluzione e la sua teoria, sostenuta e messa in pratica con la sua stessa vita, dell’agire umano, che illustreremo più avanti), il concetto del “mutuo appoggio”, e senz’altro la sua opera incompiuta sull’Etica. Ugualmente notevoli, anche se riguardano altre discipline, sono la sua analisi e la sua concezione economica (un’opera come Campi, fabbriche e officine era estremamente all’avanguardia per l’epoca in cui è stata scritta) e, come abbiamo accennato, la sua attività di geografo. Le sue opere e i suoi studi spaziano quindi in svariati campi, a dimostrazione del suo amore per il conoscere e per il sapere, oltre a quello, altrettanto intenso, per la vita e per la lotta.
Kropotkin nei suoi lavori fa un costante riferimento alla scienza naturale, ponendo la scienza come base per le sue argomentazioni, approccio che venne spesso criticato da altri pensatori o attivisti anarchici. Se non può essere considerato quindi un “idealista”, come vedremo, neppure è corretto definirlo un “empirista” tout court. Potremmo qualificarlo come “naturalista”, ma se il suo naturalismo si basa sull’evoluzionismo, come vedremo meglio in seguito, neppure lo si può considerare del tutto un precursore dell’attuale epistemologia evoluzionistica di Campbell, Lorenz, Riedl e altri, in quanto l’evoluzionismo moderno, a differenza di Kropotkin, manifesta solo raramente un interesse sociale e politico. Interessante è poi la questione dell’individualismo e del rapporto individuo-società in Kropotkin, che analizzeremo tra breve, e che allo stesso modo il più delle volte non è stata valutata e compresa pienamente. Ma ciò che è più importante rilevare è che il suo pensiero e il suo punto di vista non hanno perduto oggi la loro attualità e meritano di essere tutt’ora conosciuti e ricordati. Il suo ottimismo e il suo entusiasmo, nonostante le mille difficoltà che ha dovuto affrontare nel corso della sua vita, affascinano e coinvolgono, in particolare la sua descrizione di un uomo davvero libero e capace di vivere sul serio la libertà, un uomo in grado di gestire totalmente l’intera organizzazione sociale ed economica, oltre alla sua vita privata, senza delegare alcunché a politici di mestiere o a veri o presunti esperti. Descrizione che non muove da una qualche teoria formulata astrattamente, ma dalla sua esperienza, diretta o indiretta, che egli costantemente pone non soltanto come concreto esempio da seguire ma anche come obiettivo da continuare a raggiungere. La sua ricerca di modelli di comunità autogestita, basata sulla conoscenza della natura sociale dell’uomo, può fornire importanti stimoli per la società intera, non soltanto per le varie reti o quei gruppi politicamente impegnati che provano al giorno d’oggi (di fronte alle attuali sfide poste dalla crescente emergenza ecologica e dall’espansione dell’imperialismo, da alcuni definito “globalizzazione”) a sperimentare al loro interno l’autogestione e il mutuo appoggio tentando di escludere qualsiasi rapporto di potere. E’ anche fondamentale, nell’attuale crisi della politica e a seguito dei cambiamenti dovuti alla cosiddetta “fine delle ideologie” e al crollo del comunismo sovietico, tentare finalmente (e non solo per la “sinistra” nelle sue varie componenti) di arrivare ad una fondata conoscenza dell’uomo, soprattutto riguardo la sua capacità di convivere pacificamente e in libertà, di cooperare e autoorganizzarsi in uguaglianza, senza costrizione esterna (capacità non riconosciuta da Marx e dai suoi discepoli, ma che andrebbe seriamente rivista, al fine di non ripetere i ben noti vecchi errori).
Non ultimo, il pensiero di Kropotkin può farci riflettere se sia ancora valido (come ritengono invece molti neokantiani e idealisti) continuare ad insistere sulla divisione tra naturale e sociale. Il materialismo di Kropotkin a questo proposito è ancora qualcosa d’altro e di più: egli non fu solo un seguace del principio antropologico di Cernysevskij, ma fu come abbiamo visto un geografo, esponente pertanto di una scienza che allora si definiva interdisciplinare, ovvero proprio una sintesi tra il sociale e il naturale. Le componenti del pensiero e dell’esperienza di Kropotkin sono quindi variegate e complesse, e la sintesi che ne deriva è particolarmente ricca e feconda, un patrimonio da non disperdere, ma da cui attingere e non da un unico punto di vista.
La vita e le opere
Pëtr Aleksejevic Kropotkin nacque a Mosca il 9 dicembre 1842, da una famiglia dell’aristocrazia russa. Fin da piccolo sviluppò quindi un rapporto molto intenso con i servi-contadini della famiglia paterna e un’istintiva empatia per le loro drammatiche condizioni di vita. Frequentò una esclusiva scuola militare (il corpo dei Paggi di Alessandro II, avendo così un contatto diretto con la famiglia imperiale e il mondo dell’autocrazia russa), quindi, nel 1862, rinunciando temporaneamente per motivi di rapporti familiari agli studi universitari, entrò a far parte del corpo dei Cosacchi e si recò in Siberia, esperienza determinante sia per i suoi studi di geografia, geologia e zoologia (che avranno in seguito un’influenza fondamentale nello sviluppo del suo pensiero filosofico), sia per i suoi primi atteggiamenti critici verso la società zarista e le sue enormi ingiustizie, stimolati proprio dal soggiorno siberiano. Restò inoltre particolarmente impressionato dall’organizzazione semicomunista della popolazione autoctona. “Gli anni che passai in Siberia“, scrisse in Memorie di un rivoluzionario, “mi insegnarono molte cose che non avrei potuto imparare altrove. Mi convinsi ben presto dell’assoluta impossibilità di fare qualcosa di veramente utile per il popolo servendosi del meccanismo amministrativo. Mi liberai per sempre di quella illusione. Incominciai poi a capire non solo gli uomini e la natura umana, ma anche le intime origini della vita della società. Il lavoro costruttivo delle masse ignorate, di cui così poco si parla nei libri, e l’importanza di quel lavoro costruttivo nello sviluppo delle forme sociali, mi si delineò con chiarezza.“. Kropotkin qui si riferisce a una comunità che si era stabilita nella regione dell’Amur. “Vedere gli immensi vantaggi della loro organizzazione fraterna semicomunista e constatare i buoni risultati della loro colonizzazione in mezzo ai tanti falliti della colonizzazione di stato, fu una lezione che avrei cercato inutilmente nei libri. E poi, vivere con gli indigeni, osservare le forme complesse di organizzazione sociale che essi hanno elaborato lontano dall’influenza di qualsiasi società, era fare provvista di una luce che avrebbe poi rischiarato i miei studi futuri.“. Dopo essere rientrato in Russia e aver intrapreso finalmente gli studi universitari nella facoltà di scienze (successivamente verrà nominato segretario della sezione geofisica della Società russa di geografia), nel 1872, dopo una spedizione in Finlandia, feconda e determinante soprattutto per la sua riflessione sulle scelte future, si recò in Svizzera, avendo nel frattempo maturato la decisione di impegnarsi nell’attività politica. La decisione di rinunciare all’offerta della Società geografica maturò in seguito al seguente quesito: “Ma quale diritto avevo io a queste gioie profonde, mentre intorno a me non vi era che miseria e lotta per un tozzo di pane ammuffito; quando tutto quello di cui io potevo aver bisogno per poter vivere in questo mondo di altissime emozioni doveva essere tolto dalla bocca di quelli che fanno crescere il grano e non hanno abbastanza pane per i loro bambini?” Vediamo così da subito qual’è il suo metodo di studio (partire sempre dalla realtà concreta, dalla vita vissuta, mai da teorie o principi astratti) e il suo atteggiamento di uomo, fortemente intriso fin dalla più giovane età di un profondo senso di giustizia. A Ginevra aderì alla corrente bakuniana della I Internazionale, ed entrò a far parte della Federazione del Jura. Abbracciò gli ideali di fratellanza socialisti e anarchici, e si impegnò per la partecipazione anarchica ai movimenti sindacali e rivoluzionari. Tornato nel suo paese, dove si unì al Circolo Cajkovskij, vivendo una delle sue esperienze più straordinarie in condivisione con tutti quei giovani, in gran parte ragazze, che rinunciarono a tutto, in molti casi alla loro stessa vita, per dedicarsi anima e corpo all’emancipazione del popolo, nel 1874 venne arrestato e rinchiuso (senza processo) nella fortezza di S. Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Durante la prigionia continuò, nonostante le difficoltà, a scrivere i suoi lavori sulla glaciazione in Europa. Nel 1876 riuscì ad evadere con una fuga spettacolare e con l’aiuto dei suoi compagni di lotta, e raggiunse la Svizzera sotto pseudonimo, dopo un breve ma intenso soggiorno in Inghilterra. Diventò segretario generale del IX Congresso generale dell’Internazionale dei Lavoratori, prima di essere costretto a fuggire ancora in Inghilterra. Effettuò numerosi viaggi attraverso l’Europa, sostò a Parigi, dove conobbe Turgheniev, tornando poi a Ginevra nel 1878, dove l’anno successivo fondò e diresse «Le Révolté» (dal 1887 «La Révolte», poi dal 1895, «Les Temps Nouveaux»). La Federazione del Jura era stata ridotta al silenzio dalle persecuzioni, e Guillaume, che da otto anni teneva in vita il «Bollettino della Federazione», aveva dovuto abbandonare la Svizzera e rifugiarsi in Francia. Nel 1880 collaborò con Elisée Reclus, un grande geografo francese di idee anarchiche, anch’egli ingiustamente dimenticato, con il quale instaurò un rapporto di profonda amicizia, alla stesura della sua Geografia Universale.
Espulso nel 1881 dalla Svizzera (a seguito dell’uccisione dello zar Alessandro II), venne poi processato e condannato in Francia l’anno seguente per attività sovversiva. In carcere scrisse Paroles d’un révolté, (Parole di un ribelle). Victor Hugo presentò al ministro della giustizia francese una petizione per la sua liberazione, firmata da numerosi intellettuali. Nel 1886 Kropotkin ottenne la grazia e dopo un breve soggiorno a Parigi si trasferì in Inghilterra, dove fondò la rivista «Freedom». Seguì un periodo di intensa produzione letteraria, durante il quale scrisse alcune tra le sue opere più importanti, tra cui La conquête du pain, (La conquista del pane), La morale anarchiste in «La Révolte», (La morale anarchica), Fields, Factories and Workshops, (Campi, fabbriche e officine), Memoires of a Revolutionist, (Memorie d’un rivoluzionario), Mutual Aid. A Factor of Evolution, (Il mutuo appoggio), La grande révolution. 1789-1793, (La grande rivoluzione. 1789-1793).
I tentativi rivoluzionari in Russia nei primi anni del XX secolo risvegliarono l’interesse di Kropotkin per il suo paese d’origine; nel 1914 prese posizione in favore della guerra contro la Germania (nel 1916 aderì al Manifesto dei Sedici) suscitando numerose polemiche all’interno del movimento anarchico e una lite piuttosto aspra con l’amico Errico Malatesta. Nel 1917, allo scoppio della rivoluzione, Kropotkin tornò in Russia, dove prese immediatamente posizione contro la piega autoritaria che il movimento rivoluzionario stava assumendo, in particolare contro i bolscevichi; entrò in contatto con Alexander Kerenskij (dal quale rifiutò un ministero); e con Lenin, al quale scrisse denunciando il regime, quindi si stabilì a Dmitrov, dove scrisse la Lettera ai lavoratori d’occidente e dove visse i suoi ultimi anni in un isolamento che non poteva essergli proprio.
La sua morte, avvenuta l’8 febbraio 1921 a causa di una polmonite, gli impedì di completare L’etica (Etika, I), quella che lui stesso considerava la sua opera più importante.
La filosofia kropotkiniana della storia
Kropotkin, interrogandosi sul ruolo del popolo durante la Rivoluzione francese, si mise in contrasto con la maggior parte degli storici del tempo, sia per il suo approccio che per le conclusioni a cui giunse. Nel suo libro La grande rivoluzione riscopre ed esalta infatti il ruolo del popolo e della dimensione collettiva, svalutando invece la volontà rivoluzionaria della borghesia.
La borghesia per Kropotkin è controrivoluzionaria, ciò a cui mira è togliere il governo all’aristocrazia cortigiana ma non andare oltre; le sue aspirazioni non sono quelle del popolo; la borghesia ha le idee ben chiare ed è più forte: il popolo, senza il quale la rivoluzione non sarebbe avvenuta, viene utilizzato e sacrificato. L’unione della corrente delle idee con la corrente dell’azione è stata fondamentale, ma quest’ultima proveniva espressamente dalle masse popolari, dai contadini e dai proletari delle città. “E quando queste due correnti si incontrarono in un obiettivo inizialmente comune, quando praticarono per un certo periodo un appoggio mutuo, il risultato fu la rivoluzione.” Le idee dei filosofi del XVIII secolo, i principi di uguaglianza, libertà, sovranità della ragione da soli non potevano essere sufficienti: per provocare la rivoluzione, occorreva “dare inizio alla realizzazione dell’ideale.” E questo poteva avvenire soltanto, secondo l’analisi di Kropotkin, con l’azione rivoluzionaria proveniente dal popolo. Ma poi la rivoluzione autentica venne fermata, e la vera storia popolare della rivoluzione non venne mai scritta. Per Kropotkin, quest’ultima è la storia dei primi sintomi della corrente di pensiero e azione che nel secolo successivo prenderà il nome di anarchismo, è l’origine dei principi comunisti, socialisti, anarchici, la “nostra madre comune“; appartiene alla storia di tutti i libertari, che da sempre, secondo la visione di Kropotkin, è contrapposta a quella degli autoritari, i loro eterni nemici. Giacobini, quindi, contro antigiacobini (hebertisti, “arrabbiati”, anarchici..). E’ la storia delle istanze egualitarie del popolo, degli esperimenti di democrazia diretta e di vero socialismo dal basso e autogestionario. La storia che è sempre stata raccontata dagli storici, reazionari, liberali o marxisti, ritiene Kropotkin, è invece quella dell’involuzione rivoluzionaria compiuta dall’autoritarismo dietro la mistificazione della “necessità”.
L’anima della rivoluzione era nelle Comuni, realtà ben diverse dai corpi municipali realizzati in seguito, dove “i cittadini, dopo pochi giorni di eccitamento dovuto alle elezioni, ingenuamente affidano l’amministrazione di tutti i propri affari, senza occuparsi più di niente. La folle fiducia nel governo rappresentativo che caratterizza la nostra epoca non esisteva durante la Grande Rivoluzione. La Comune nata dai movimenti popolari non si separerà mai dal popolo.”
Kropotkin esaltava la meravigliosa attitudine del popolo per l’organizzazione rivoluzionaria, e la capacità delle masse di fare a meno dei corpi rappresentativi e di mettere in pratica l’autogoverno. L’unità dell’azione era cercata non sottomettendosi a un comitato centrale, ma all’interno di una confederazione. La Comune era una, composta dall’insieme di tutti i suoi distretti, ma il governo rappresentativo era ridotto al minimo indispensabile: era ai cittadini riuniti in assemblea che apparteneva il diritto ultimo di legiferare e amministrare nella Comune.
Kropotkin descriveva poi l’energia interiore che si era accumulata nei villaggi, a dispetto del lungo periodo di guerra seguito alla rivoluzione, e quindi la ricchezza e la produttività, dovute all’amore per la terra. “La rivoluzione ha portato un mutamento profondo, e il vecchio regime non verrà più restaurato.“.
Kropotkin illustrava il momento in cui ci si trova di fronte ad una svolta: riforma o rivoluzione. C’è sempre un momento, sosteneva, in cui la riforma è ancora possibile, ed è di quel momento che è necessario approfittare.
“Una riforma è sempre un compromesso con il passato, mentre il progresso ottenuto tramite una rivoluzione è sempre una promessa di progresso futuro.”.
Evoluzione e rivoluzione, libertà e dominio
Secondo la teoria di Kropotkin, sia i cambiamenti nel cosmo e nella natura vivente, che quelli nella società umana, sono un susseguirsi complementare di evoluzione e rivoluzione. (Intendendo la rivoluzione come conseguenza di un percorso evolutivo, o, più precisamente, un periodo di evoluzione accelerata). Questo è stato il cammino della storia.
Ma non abbiamo a che fare con una teoria astratta: le conclusioni a cui Kropotkin giunge, in questo, come negli altri casi, sono dovute sia ad uno studio approfondito che, in primo luogo, alla sua esperienza personale (non solo e non tanto una verifica, quanto una frequente e reale scoperta). La meravigliosa attitudine del popolo per l’azione rivoluzionaria, ad esempio, cui fa spesso riferimento, deriva dai suoi contatti e dai suoi rapporti, prima con i rivoluzionari russi, poi con il movimento dei lavoratori in Occidente.
Lo schema evoluzione-rivoluzione non è dato per scontato, e nulla può assicurare che continui: se per tutto un insieme di circostanze e di scelte (o non-scelte) si va verso la regressione, l’involuzione o la stagnazione, ecco che una rivoluzione non seguirà.
“Tutta la storia della nostra cultura è attraversata da due tradizioni, da due correnti opposte: la tradizione romana e quella popolare, l’imperiale e la confederativa, la tradizione autoritaria e quella libertaria.” Uno sviluppo, quindi, lungo la linea di conflitto tra libertà e dominio. Quella di Kropotkin è una concezione antagonistica della storia, che non si basa però esclusivamente sulla lotta di classe o sullo scontro delle varie élite per il potere: questo conflitto tra libertà e dominio attraversa e contiene anche gli elementi culturali e soprattutto quelli mentali e psichici.
Per Kropotkin, il cambiamento della società parte dagli individui: non vi sono “motori” esterni. L’agire umano è fondamentale: da esso dipendono le diverse condizioni sociali. Kropotkin si opponeva quindi alle concezioni deterministiche, pur essendo stato sovente accusato del contrario. E respingeva anche la «naturale necessità economica» chiamata costantemente in causa dagli storici e dagli economisti politici, sia borghesi che socialisti. Il «fattore umano» per lui era significativo e determinante, soprattutto nei movimenti rivoluzionari. (Lo «spirito della rivolta» descritto in Paroles d’un révolté).
L’andamento di una autentica rivoluzione, secondo la sua analisi, si svolge in tre fasi:
con l’immediata soddisfazione dei bisogni del popolo (e non attraverso una «dittatura del proletariato»), quindi con l’esproprio dei proprietari;
subito dopo, con una intensa produzione alla quale ciascuno contribuisce volontariamente secondo le proprie possibilità;
terza fase, nelle comunità così costituite (autonome, il più possibile autarchiche, in un equilibrio armonico tra città e campagna circostante) si sviluppano liberi accordi tra i membri che vi fanno parte. Liberi, senza costrizione alcuna.
Kropotkin non ipotizzava la costituzione di istituzioni di ordine “superiore”, che organizzino e controllino lo svolgimento delle diverse fasi rivoluzionarie, e questo a causa della sua fiducia nella maggiore età delle masse popolari. Fiducia nata e rafforzata durante la sua vita in comune con così tanti individui che lottarono e sacrificarono la propria vita per costruire una nuova società e una vera libertà, come egli ci racconta in Memorie di un rivoluzionario, che è molto di più di un romanzo autobiografico. Diversamente dallo scetticismo di altri pensatori anarchici, Kropotkin era assolutamente convinto della grande forza rivoluzionaria del popolo, e più precisamente del fatto che fosse lo spirito collettivo, il cuore del popolo intero, a far emergere le grandi idee nella storia, e non i concetti dei filosofi. “La ribellione proviene sempre dagli oppressi, dal popolo.”.
Chi è questo popolo, questa forza in grado di plasmare la storia? Per Kropotkin non si trattava di una astratta e confusa nozione generale, o di una specifica classe rivoluzionaria, ma di comunità costituite da uomini, da singoli individui concreti: quegli esseri umani che egli ha incontrato e con cui ha condiviso gioie e dolori, speranze e sconfitte, nel corso delle sue esplorazioni geografiche e nel corso delle vicende della sua vita. La sua antropologia è autentica, perché si basa su dati oggettivi. La sua è una conoscenza dell’uomo “scientificamente” fondata. Qualcosa che è in qualche modo mancato ai teorici del socialismo (per quanto definito “scientifico”) così come ad altri filosofi o pensatori che non sono mai usciti dalle aule universitarie. Kropotkin a volte è stato accusato di autoritarismo, in altri casi riduttivamente considerato un “positivista”. Il naturalismo di Kropotkin si basa sull’evoluzionismo, su un individuo, come abbiamo visto, formato via via dalla progressione delle sue conoscenze e da una crescita dovuta all’esperienza, quella propria e quella di chi l’ha preceduto, dotato pertanto sia di un certo numero di “a-priori” che di una serie pressoché illimitata di “a-posteriori”, questi ultimi suscettibili di variazioni che non possono essere previste o predeterminate. La libertà e la creatività umana sono quindi fondamentali. Nessun innatismo, nessun determinismo, né finalismi o teleologismi di alcun tipo.
Kropotkin ha vissuto un’esperienza molto vasta, che si potrebbe definire “completa”. Ha spaziato in quasi tutti i campi del sapere, è stato uno scienziato, un geografo, un geologo, un antropologo, un sociologo, un economista; ha avuto contatti strettissimi sia con l’aristocrazia che con i contadini, gli operai, gli studenti, gli esuli e gli emarginati; è stato un rivoluzionario in mezzo ad altri rivoluzionari; è stato probabilmente difficile valutare la sua opera per coloro che hanno provato a farlo partendo però da esperienze o visioni molto più circoscritte.
Egli ha esplorato la complessità e la molteplicità, ed è queste (non l’uniformità, come hanno voluto osservare alcuni critici) che ci descrive e su cui si basano i suoi lavori.
La ricerca di Kropotkin sulla natura dell’uomo, ricerca seria, ostinata, rigorosa, che ha impegnato tutta la sua vita, basata su esperienze concrete e su costanti verifiche, trova conferme nella psicologia del profondo e nell’antropologia culturale, così come le sue analisi e le sue previsioni economiche in primo luogo nei fatti.
Può essere difficile comprendere come possano coesistere la dimensione rivoluzionaria e quella evoluzionistica (vedi più avanti, ultimo capitolo), e si può ritenere, fraintendendo, che per Kropotkin l’etica e la libertà (che implicano coscienza e volontà) siano unicamente il risultato di un’evoluzione organica universale, che trascende quindi l’ambito della scelta e della conquista individuali, si può pensare che la società ipotizzata da Kropotkin sia un ulteriore esempio di oppressione del singolo individuo, che la socialità non possa essere una scelta ma soltanto una necessità della specie, ma leggendo le sue opere con piena attenzione si scopre che egli non intendeva affatto questo, che la sua visione è originale e svincolata dai consueti canali di pensiero e di interpretazione, così come dalle correnti filosofiche più accreditate. E non è mai una visione slegata dalla realtà: appartiene piuttosto a una realtà che è sempre molto rara, fragile, difficile da difendere e da estendere, perché continuamente ostacolata dal potere.
Individuo e società
Kropotkin non analizza il dualismo individuo/società come altri pensatori hanno fatto (possiamo citare Fourier, seguito da Freud, Marcuse, Foucault, quindi la problematica della repressione esercitata dalla società sulle passioni umane), partendo cioè dall’analisi di una società repressiva e gerarchica; egli ha un’altra visione del mondo e da questa sceglie di partire, pur non disconoscendo la realtà che lo circonda (che anzi critica e combatte) e non ritiene che la libera soddisfazione dei bisogni dell’uomo sia per forza incompatibile con qualsiasi tipo di società “civile”.
Qual’è il suo presupposto? Una società senza individui non può esistere: è chiaro perciò che sono gli individui stessi a formarla. La società è quindi il risultato, la somma, delle azioni e delle scelte degli individui che la compongono. Se la società si basa su rapporti gerarchici, di sfruttamento e dominazione, tutti coloro che sono dalla parte degli sfruttati, dei dominati, o in ogni caso sono esclusi dalle decisioni politiche, economiche e via di seguito, svilupperanno un sentimento di estraneità, di avversione, o di accettazione passiva. La società diviene un qualcosa di estraneo. Diviene un elemento a sé, il simbolo stesso della coercizione sull’individuo e della privazione della libertà (che in effetti è ciò che si realizza).
Più le decisioni, le scelte, le gestioni sono accentrate e autoritarie, e meno le singole persone sono in condizioni di parteciparvi, più si sviluppa questo sentimento nei confronti della società. Nello stato accentratore, con la sua legislazione, i suoi corpi militari, la sua burocrazia onnipervasiva, l’individuo, in quanto parte del corpo sociale, in realtà ne occupa un posto infinitamente piccolo, in qualche modo cessa quasi di esistere.
La convinzione che lo stato con le sue istituzioni sia assolutamente necessario per la gestione del vivere sociale, per evitare il caos, non essendo gli individui in grado di occuparsi delle questioni “pubbliche”, che pure li riguardano!, è un fatto ormai dato per scontato, pur rappresentando una vera e propria contraddizione in termini.
La società è vissuta come “aliena”, né si riesce ad ipotizzarla in altro modo, proprio per questa “separazione”, per questa frattura che è avvenuta nel corso della storia.
In una società di tipo gerarchico, l’individuo non ha occasione di sviluppare se stesso pienamente. Ma nessun essere umano può svilupparsi pienamente, come tale, in solitudine. Può farlo soltanto in unione con gli altri esseri umani. Lo sviluppo individuale e quello sociale sono complementari, dipendono uno dall’altro. Questo però non può avvenire attraverso alcun tipo di imposizione dall’alto. La coercizione, a qualsiasi livello e in qualsiasi grado venga subita, è del tutto opposta allo sviluppo e alla crescita. L’autodeterminazione, la capacità di assumere decisioni e responsabilità non hanno modo di realizzarsi in una società gerarchica e accentrata, tendono anzi ad esaurirsi e scomparire. (Cosa questa che avviene in misura analoga in una relazione più circoscritta, che siano rapporti familiari, di lavoro, personali; la gerarchia e la dominazione, essendo ormai parte di noi stessi, non si esercitano soltanto a livello politico o economico).
In una società non gerarchica, in una comunità libera, sviluppata in modo armonico, formata da uomini liberi, che hanno scelto da se stessi il proprio modo di vivere e di gestire la vita comune, questa frattura tra individuo e società non avrebbe ragione di esistere, non potrebbe probabilmente neppure venire pensata.
Kropotkin intendeva questo (come tanti altri prima e dopo di lui). Voleva ricostruire da cima a fondo la società (come ogni rivoluzionario e come ogni utopista; qualità che vanno necessariamente insieme), non abolirla del tutto.
Voleva una società libertaria, senza più contrapposizione tra dominanti e dominati.
Voleva che gli uomini riacquistassero la loro piena capacità di gestire ogni aspetto della vita sociale, e, prima ancora, la fiducia in questa capacità, che ritrovassero il loro istinto alla comunione e alla solidarietà, il loro antico se non innato rifiuto verso ogni forma di ingiustizia, di sopruso, di disuguaglianza. E’ importante sottolineare che questa visione non è astratta, idealizzata, “utopistica”, ma basata su alcune precise e circoscritte esperienze che Kropotkin stesso ha conosciuto e vissuto oltre che sui suoi studi. Esperienze circoscritte e limitate, abbiamo detto, ma non per questo meno vive e concrete, e da queste egli scelse di partire proprio per permettere di recuperare quello che era per lui l’autentico rapporto di ogni individuo con i suoi simili, onde evitare di dovervi rinunciare per sempre.
Kropotkin mirava ad una immediata realizzazione sociale (comprensiva di ogni attività umana) del comunismo anarchico, ma senza alcuna sottovalutazione dell’indipendenza individuale. La sua idea di “pianificazione” era del tutto opposta alla tradizione collettivistica autoritaria così come a quella comunista statale, in quanto non imposta dall’alto, ma delineandosi in risposta all’insorgenza dal basso, dal popolo.
La descrizione di Kropotkin nel Mutuo Appoggio e nell’Etica della capacità di vivere in società come di una tendenza naturale degli esseri viventi, quasi un qualcosa di innato, è stata talvolta fraintesa, ma la socievolezza a cui si riferiva Kropotkin non ha nulla a che vedere con la società deformata e gerarchica che conosciamo e a cui ormai siamo fin troppo abituati, è esattamente il suo contrario, ed è la negazione dell’esistenza di una malvagità intrinseca dell’uomo, pensiero centrale della filosofia politica dell’età moderna, dai giusnaturalisti, da Machiavelli e da Hobbes fino a Kant. Anche Kropotkin partiva dallo stato di natura (e dalle sue osservazioni dirette sul campo, come abbiamo visto), negando però la necessità di una forma di autorità al fine di controllare l'”asocialità” umana e garantire la convivenza “civile”. La libera convivenza è possibile per Kropotkin; anzi, l’irrinunciabile presupposto per lo sviluppo di ogni potenzialità dell’uomo e per la felicità di tutti è proprio l’abolizione di ogni forma di stato e di centralizzazione. L’uomo, in quanto prodotto di una natura in cui la cooperazione e il mutuo appoggio (e non la lotta e la crudeltà, come vedremo meglio più avanti), sono elementi determinanti al fine della conservazione e dell’evoluzione, è dotato di forti istinti sociali o meglio solidali, anche se questi possono venire meno per innumerevoli cause esterne. La natura quindi non è qualcosa di estraneo (da dominare e sfruttare; la lotta contro una natura avara e crudele è un altro mito da cui dobbiamo liberarci). E la storia non è un semplice prolungamento della natura, la storia dell’uomo aggiunge la creatività, la responsabilità, la razionalità, la scelta umana. L’uomo può ritrovare se stesso (riscoprendo il valore della solidarietà, della cooperazione e della complementarietà), e vivere pienamente la sua vita. Formando quindi una società piena, con la quale coesistere in armonia. Armonia che si compone del rispetto per la libertà e la diversità individuale, incoraggiata a svilupparsi nella sua ricchezza inestimabile, unito alla piena solidarietà, un’unione solo a prima vista impossibile a realizzarsi.
Una società libertaria, sviluppata in modo armonico, favorisce lo sviluppo dell’individualità, non lo inibisce. Si tratta però di un individualismo ben diverso da quello borghese, che è inevitabilmente egoistico, in quanto prodotto di una società e di una sensibilità gerarchiche e verticistiche.
Kropotkin non si arrogava il diritto e la capacità di stabilire aprioristicamente e una volta per tutte quali fossero i reali bisogni dell’uomo, la sua ricerca antropologica non era una astratta teoria che giungeva a una valutazione valida per tutti.. Kropotkin infatti non ha mai smesso di confrontarsi con altri uomini, vivi e reali, di imparare da loro e di condividere interamente le loro condizioni di vita e di lotta, i loro bisogni, le loro aspettative.
La storia, secondo l’analisi di Kropotkin, è colma di dimostrazioni della disponibilità e della capacità umana alla cooperazione, nonché dei continui tentativi di realizzare l’utopia anarchica comunista, lottando contro tutte quelle forme di potere che da sempre cercano di contrastarla. La linea di conflitto tra libertà e dominio di cui abbiamo già parlato.
Tutto questo non ha mai voluto dire però che la cooperazione implicasse l’annullamento della libertà individuale o la repressione delle differenze; ogni volta che si è cercato di seguire la via cooperativa, gli autori di questi tentativi erano proprio coloro che non si riconoscevano in alcun modo nell’autoritarismo, anzi lo combattevano e si sforzavano di realizzare il suo opposto.
Libertà non significa isolamento: significa essere liberi di partecipare a qualcosa di più grande del nostro ristretto spazio vitale; non subire, ma determinare in prima persona (e insieme ad altri) le modalità di vita, di lavoro, di studio della società di cui si è parte. E’ una libertà completa, quindi, ed è innanzitutto mentale e morale, per cui non esiste più la necessità di isolarsi o contrapporsi.
Kropotkin non riteneva di certo che tutte le persone fossero o dovessero essere uguali tra loro, ma desiderava che riuscissero ad unire in un tutto comune le loro molteplicità e le loro differenze, che avrebbero così arricchito la comunità tra di essi costituita. Comunità che non doveva necessariamente avere determinate caratteristiche al posto di altre. La sua convinzione che nessuna evoluzione può darsi nell’isolamento e nella solitudine, è anch’essa dovuta ai riscontri pratici e concreti delle sue numerose e variegate esperienze. La sua critica alla divisione del lavoro, alla condanna inflitta agli esseri umani a svolgere la stessa identica attività per tutta la vita, all’impedimento per alcune classi sociali a godere della bellezza dell’arte o della soddisfazione dello studio e della ricerca scientifica, il suo desiderio che ciascuno potesse avere l’occasione concreta di sviluppare al meglio le sue inclinazioni e le sue capacità, smentiscono in pieno simili affermazioni.
Solidarietà e fratellanza, inoltre, non significano affatto appiattimento e perdita della propria individualità, individualità che si perde molto più facilmente in una società basata sulla gerarchia e sul dominio, all’interno di uno stato accentratore, e sotto ogni tipo di oppressione.
Una libertà comune avrebbe favorito, e contenuto in sé, sotto qualsiasi aspetto, l’autentica libertà individuale. In altre parole, tante differenti libertà che si uniscono a formare una libertà più grande, una comunità libera e libertaria, realmente a “misura d’uomo”.
Kropotkin ha dimostrato con la sua stessa vita l’importanza e il valore che attribuiva all’autodeterminazione dell’individuo. L’individualismo di Nietzsche, ad esempio, più che non compreso da Kropotkin (come è stato affermato) diremmo piuttosto che non poteva essere condiviso, in quanto Kropotkin partiva dalla sua visione ideale di società (riscontrata per altro nell’ambito delle sue ricerche antropologiche; più reale, quindi, che ideale) e non dalla società contraddittoria e distorta da cui partivano Nietzsche ed altri. Se è esistita una critica dell’individualismo da parte di Kropotkin, per comprenderla occorre innanzitutto riuscire a distinguere tra individualismo borghese e individualismo anarchico. E poi tra un individualismo estremo e un individualismo inteso come libertà assoluta di spirito e di pensiero, ma non come isolamento e rinuncia, o distruzione, al posto di una qualsiasi progettualità.
L’individualismo borghese ed egoistico, l’individualismo degli “oppressori”, di chi vuole dominare i suoi simili, inoltre, è ben altro che “autodeterminazione”.
Kropotkin del resto si occupa ben poco di quell’individualismo che porta al nichilismo estremo (a proposito del nichilismo russo dei suoi tempi, così battezzato da Turgheniev in Padri e figli, secondo Kropotkin in Europa venne frainteso, non trattandosi di “terrorismo” ma di una guerra dichiarata a tutte le menzogne convenzionali e alle ipocrisie della civiltà; Kropotkin comunque non condannò mai totalmente la “propaganda del fatto” o le azioni terroristiche, comprendendo la lotta a cui dovette darsi la gioventù russa dopo averla rifiutata fintanto che ciò fu possibile, “quando il calice delle sue sofferenze fu troppo colmo.”), proprio per il suo personale approccio che è profondamente diverso da quello di un Nietzsche o anche di uno Stirner, così come si è interessato altrettanto poco della dialettica marxista. Egli non muove infatti dalla dialettica di tipo hegeliano, prodotto della cultura germanica e impregnata di metafisica, non essendosi svolta la sua formazione nel solco dell’idealismo tedesco: Kropotkin si basa sulle scienze naturali, sul metodo induttivo se vogliamo, sulla conoscenza diretta ed empirica; in lui troviamo poi tracce di quegli elementi così caratteristici del populismo e del romanticismo rivoluzionario russo, che si fondono e si intrecciano in modo quasi inscindibile e con particolare e feconda originalità allo scientismo evoluzionista occidentale. Il marxismo e poi il leninismo, inoltre, avrebbero ucciso la rivoluzione; questo fu un grande dolore per Kropotkin. Nelle Memorie scrisse: “La lotta fra bakunisti e marxisti (all’interno dell’Internazionale) non era una questione di uomini. Era la lotta inevitabile fra i principi del federalismo e quelli del centralismo, fra il Comune libero e l’autorità paternalistica dello stato, fra l’azione libera delle masse popolari e il miglioramento delle condizioni sociali attraverso la legislazione, una lotta fra lo spirito latino e quello tedesco.” La scelta di conquistare il potere negli stati attuali, spogliò i partiti socialisti del loro ideale originario e li condusse verso il socialismo o meglio capitalismo di stato e al tradimento delle masse lavoratrici. Il primato della società sull’individuo (tratto ricorrente nelle critiche rivolte dagli individualisti, anarchici e non, al pensiero di Kropotkin), è senz’altro riscontrabile nel comunismo autoritario, ma ha ben poco a che vedere con il comunismo anarchico e libertario propugnato da Kropotkin nel corso di tutta la sua vita.
L’etica di Kropotkin non è un’etica della ragione (in senso astratto): si basa sul risultato delle sue ricerche empiriche. Kropotkin in tutto il suo lavoro si è distaccato nettamente e coerentemente da ogni metafisica. Egli partiva dal fatto concreto e tangibile; ad esso seguiva la formulazione teorica.
Egli conobbe e studiò le caratteristiche del mutuo soccorso, della solidarietà, della fratellanza, dell’esperienza comunitaria e autogestionaria, e riscontrò che erano espressamente questi aspetti (piuttosto che i rapporti autoritari e burocratici) a poter mutare profondamente la società. Non giunse mai però ad affermare che queste caratteristiche sarebbero emerse in modo inevitabile e che il percorso della storia fosse segnato. Tutt’altro! E nessuno poteva saperlo meglio di lui.
Ma il “progresso” umano vero ed autentico, il “progresso” per tutti (lo sviluppo integrale di ogni singolo uomo) non poteva passare che di lì.
Se avesse creduto nel determinismo, non avrebbe compiuto tutta una serie di scelte e non avrebbe ritenuto necessario scrivere ciò che ha scritto. Le sue opere dovevano servire anche come stimolo alla riflessione sulle diverse possibilità di decisione. Egli sapeva bene che esistevano il rischio e una possibilità estremamente concreta di optare per altre vie, di non riuscire a contrastare la strada che la società stava prendendo. Per Kropotkin era decisivo l’agire umano, l’agire di ogni singolo individuo concreto, e non solo di coloro che condividevano le sue idee politiche. Egli scrisse per tutti, perché ogni coscienza si svegliasse. Per Kropotkin era anzi fondamentale che gli appartenenti alle classi privilegiate dalla storia (egli stesso era nato all’interno di una di quelle classi) arrivassero a condividere le istanze delle classi sfruttate e oppresse o addirittura si unissero a queste, mettendo a disposizione le loro forze migliori per intelligenza ed energia (così come aveva visto fare a molti giovani russi), affinché la società potesse realmente trasformarsi.
Scienza, progresso, economia
La fiducia nella scienza e nel progresso era tipica dell’epoca in cui visse Kropotkin. Si era inclini a pensare a una scienza al servizio dell’uomo e della sua necessità di utilizzare al meglio le risorse dell’ambiente naturale, piuttosto che a una scienza al servizio del potere e del profitto. Oggi forse è difficile per molti pensare alla scienza (e alla comunità scientifica) in modo positivo e propositivo. Il progresso, in maniera analoga, può essere inteso sia come aumento dei profitti e dello sfruttamento del lavoro e dell’ambiente, che, come lo intendeva Kropotkin, come miglioramento delle possibilità di vita materiali, intellettuali e psichiche dell’uomo nella sua interezza e di tutti gli uomini. Un progresso che abbraccia l’intera vita umana, e che è ben altro rispetto al mito ingannevole in cui erano indotti a credere tanti suoi contemporanei.
Un progresso che non può avere un percorso lineare (nessuno spirito e nessuna ragione guidavano il mondo secondo Kropotkin); l’antagonismo e la lotta, come abbiamo visto, sono inevitabili: l’evoluzione positiva dell’uomo può arrestarsi, può regredire; la lotta contro le tendenze autoritarie non avrà mai fine fintanto che queste tendenze non saranno state sconfitte. Se vincere questa lotta è possibile, non vi è però alcuna garanzia che ciò avvenga.
Per Kropotkin, le aspirazioni fondamentali di ogni uomo sono la sicurezza e il benessere, e la libertà individuale. Libertà di pensare, di esprimersi, di associarsi, di gestire la propria vita e il proprio lavoro. Come è possibile ottenerle? Attraverso la socializzazione della produzione e del consumo (a ciascuno secondo i suoi bisogni); attraverso l’abolizione del sistema salariale e di ogni forma di sfruttamento e disuguaglianza, attraverso liberi accordi tra gli individui o tra gruppi di individui, attraverso la conoscenza scientifica messa a disposizione di chiunque e vissuta come un dono, che nessuno scienziato desidererebbe tenere soltanto per sé (qualcosa di ben più ampio rispetto alla “comunità scientifica”, concetto che emerge in seguito alla ”rivoluzione scientifica” del seicento, che rimane però pur sempre ristretta ed escludente). Kropotkin descriveva nel dettaglio una possibile umanizzazione del lavoro, insistendo sull’abolizione della divisione gerarchica tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, descriveva l’integrazione del lavoro, la decentralizzazione, i vantaggi della piccola produzione e della piccola industria, la socializzazione della produzione e del consumo, una nuova e più completa istruzione, che non scindesse mai la teoria dalla sua applicazione pratica, che accogliesse l’innato desiderio dei giovani di “fare”, tutti argomenti ancora oggi di estrema attualità. Studiò infatti a lungo un possibile nuovo ordine economico, una nuova economia sociale, l’importanza dell’unità tra sviluppo industriale e agricolo, occupandosi sempre dei bisogni reali e concreti dell’uomo, rifiutando con rigore e coerenza ogni idealismo e ogni costrizione dogmatica, ogni analisi che non partisse dall’osservazione diretta della realtà, senza rinunciare però alla indispensabile capacità di previsione e alla costante preoccupazione per le conseguenze dei nostri atti e quindi alla responsabilità nei confronti del domani.
Il mutuo appoggio e l’etica
Come abbiamo già accennato, l’antropologia kropotkiniana nasce dalla discussione critica del darwinismo e dei suoi successivi sviluppi, o meglio delle sue successive falsificazioni. Si occupò del darwinismo in una serie di saggi per la rivista The Ninteenth Century, pubblicati nel 1902 nel volume Mutual Aid: a factor of evolution. Continuerà ad occuparsi di questi problemi fino ai capitoli introduttivi della sua Etica.
La teoria evoluzionistica di Darwin era stata accolta dalla comunità scientifica e anche dalla società in modo sorprendentemente rapido, ma molto spesso, anziché accoglierla nel suo complesso, se ne erano privilegiati solo alcuni aspetti parziali, in particolare il concetto di lotta per l’esistenza, un fatto che non può sorprendere più di tanto, considerate le condizioni socio-culturali del tempo. Il “darwinismo sociale” diventava una possibile risposta alle esigenze di emancipazione dei gruppi sociali sfruttati e forniva una “teoria” in grado di legittimare le pratiche imperialistiche degli europei nei territori d’oltremare. Non era facile, pena l’isolamento scientifico, contrapporsi al darwinismo sociale dell’epoca. Kropotkin non fu il solo a contestare le concezioni proprie di tale teoria, ma fu l’unico a farlo nel modo più completo. Kropotkin non effettuò una critica ideologica: egli accettò la teoria evoluzionistica darwiniana quale fondamento “scientifico” dell’analisi della convivenza umana, ma ne modificò da un lato il concetto di “lotta per l’esistenza” e dall’altro aggiunse un secondo fattore, altrettanto importante, proprio dell’evoluzione: il mutuo appoggio. Tradusse quindi anch’egli il processo evoluzionistico (profondamente mutato) dalla storia naturale a quella umana. Kropotkin, partendo dall’analisi della lotta per l’esistenza come fattore evolutivo, arrivò a criticare l’accento posto sulla lotta tra individui della medesima specie (dimostrando che lo stesso Darwin si era distaccato in seguito da questa concezione) fino a concludere che la specie più adatta alla sopravvivenza non era quella caratterizzata dalla lotta interna tra gli individui della specie stessa, ma quella maggiormente capace di attuare al suo interno il mutuo soccorso e la cooperazione. Lo stesso Darwin aveva definito l’uomo un “animale sociale” e aveva affermato che il fondamento della socievolezza animale e umana è di tipo biologico, aggiungendo che l’istinto di reciproca simpatia negli animali sociali emerge più spesso del mero impulso egoistico all’autoconservazione. Queste concezioni darwiniane verranno ampliate da Kropotkin sino a una Teoria del mutuo appoggio quale fattore dell’evoluzione, valida non soltanto per la natura ma anche in ambito umano.
Con “mutuo appoggio” si intendono quindi due ambiti concreti: nell’evoluzione della specie, mutuo appoggio e reciproco sostegno costituiscono, accanto alla lotta per l’esistenza, un fattore di grande rilevanza per la sussistenza della vita e lo sviluppo della specie; nella storia dell’uomo, allo stesso modo, sono ugualmente rilevanti per lo sviluppo progressivo delle istituzioni sociali. Per Kropotkin il mutuo appoggio ha un’influenza predominante, e l’istinto sociale ha un peso maggiore rispetto all’impulso all’autoconservazione. Egli si impegnerà a dimostrarlo con un’accurata e dettagliata analisi del mutuo appoggio nella storia naturale e in quella umana, raccogliendo una grande quantità di materiale tra gli animali e tra diverse culture umane (aborigeni australiani, eschimesi) così come sulle comunità di villaggio e le città medievali, quest’ultime, secondo la sua analisi, la continuazione delle prime.
Proprio la teoria darwiniana dell’evoluzione costituirà per Kropotkin il presupposto per una nuova etica. Egli sentiva l’esigenza di un’etica scientificamente fondata, un’etica realistica, come lo stesso Kropotkin la definì. Quest’etica realistica si distingue da molti altri progetti etici per il fatto che Kropotkin non intendeva fondarla su un qualche criterio extranaturale o extraumano per la valutazione dell’agire umano buono e giusto, ma voleva ricavare tale criterio dalla natura stessa, partendo da ciò che è bene e male in natura. Il concetto del bene e del male ovviamente cambia, quindi ciò che Kropotkin si propone non è tanto di prescrivere, con l’aiuto di teoremi normativi, un agire qualificabile come buono, ma di osservare l’agire umano, di studiarlo, di valutarlo e di spiegarlo. Per questo l’etica è per Kropotkin anche scienza degli impulsi etici, scienza che esplora le fonti naturali del sentimento etico dell’uomo. L’etica diventa efficace quando all’uomo si dà un ideale: ma questo ideale, che guida quindi l’agire etico dell’uomo, appartiene comunque al mondo reale, deve cioè essere ottenuto per via empirica. Kropotkin non disdegna la ragione, anzi ad essa attribuisce un ruolo fondamentale, ma secondo il suo pensiero non è decisiva per il comportamento etico dell’uomo. L’etica di Kropotkin non è un’etica della ragione. Le motivazioni per l’agire etico, come abbiamo visto, sono infatti ulteriori sviluppi degli impulsi e delle abitudini propri degli animali sociali: la motivazione per l’agire umano è in primo luogo condizionata dalla natura, essa è cioè emozionale e impulsiva.
Kropotkin ritiene che la motivazione che sta alla base dell’agire etico dell’uomo non consista né in un sentimento innato né in un qualche vantaggio personale o generale razionalmente compreso. L’etica è un percorso, un complicato sistema di sentimenti e nozioni che si è sviluppato nella storia dell’umanità. Egli individua tre stadi di questo sviluppo: 1)la socievolezza e il mutuo appoggio, 2)la giustizia nel senso dell’uguaglianza dei diritti, 3)la generosità, la benevolenza, la rinuncia a se stesso (l’etica nel senso più stretto).
Si tratta quindi di una scala graduale dello sviluppo etico, non una costruzione arbitraria, come abbiamo visto, ma il risultato di una storia che si è svolta nel tempo, e soprattutto di una necessità organica che ha trovato in se stessa la sua giustificazione. La natura ci ha insegnato quindi qualcosa di più della semplice socievolezza. Anche elementi del secondo stadio dello sviluppo etico, quello della giustizia, sono infatti osservabili in natura. Kropotkin conferma quindi l’ipotesi di Herbert Spencer di una “giustizia preumana”. Questa nozione di giustizia si sviluppa gradualmente nel tempo (e l’evoluzione dell’eticità avviene in dipendenza dai mutamenti della vita sociale) fino ad arrivare al punto in cui solo la nozione consapevolmente acquisita dell’uguaglianza dei diritti di tutti i membri di una comunità garantisce la loro sopravvivenza. La relazione tra dignità personale e dignità umana che si viene a costituire nel corso di questo sviluppo (come già in Proudhon, la cui nozione di giustizia è valutata da Kropotkin come la più progredita, anche se egli non condivise in toto le teorie proudhoniane) porta ad un’unione armonica degli interessi comunitari con quelli individuali. Il punto estremo di arrivo è la capacità di sacrificarsi per gli altri, che Kropotkin ha visto mettere in atto con i suoi occhi nel corso della sua vita. Tutto questo è espresso nella sua etica del rivoluzionario, strettamente legata al discorso della giustizia sociale, dove l’accento è posto sulle qualità emozionali, sulla capacità di comprendere i sentimenti altrui e di immedesimarsi in questi fino in fondo.
Pëtr Alekseevic Kropotkin
Pëtr Alekseevic Kropotkin nacque nel 1842, a Mosca. Di famiglia aristocratica, fu sin da subito in stretto contatto con la famiglia imperiale e con lo zar, e può sembrare paradossale ma è proprio da questo contesto che proviene uno dei padri dell’anarchismo e dell’anarco-comunismo, un rivoluzionario vicino all’Internazionale di Bakunin e al manifesto dei sedici […]
di Lorenzo Vitelli –
Pëtr Alekseevic Kropotkin nacque nel 1842, a Mosca. Di famiglia aristocratica, fu sin da subito in stretto contatto con la famiglia imperiale e con lo zar, e può sembrare paradossale ma è proprio da questo contesto che proviene uno dei padri dell’anarchismo e dell’anarco-comunismo, un rivoluzionario vicino all’Internazionale di Bakunin e al manifesto dei sedici della prima guerra mondiale.
Quanto sembrano stonate queste parole, anarchia, comunismo, ed ormai vengono superate sprezzantemente senza un’analisi concreta, perché il comunismo è un modello morto, e l’anarchia un’utopica illusione distaccata da qualsivoglia forma reale. Ma c’erano uomini che nell’Ottocento hanno dato la vita per questi ideali, e di certo non si può pensare che personalità come Tolstoj, Thoreau, Godwin, e lo stesso Kropotkin, volessero seminare il caos e la violenza in tutto il tessuto sociale, con dottrine distruttiviste e bombe a mano.
Il girondino Brissot, ai tempi della rivoluzione francese del 1789, diceva dell’anarchia: “Leggi non tradotte in effetto, autorità prive di forza disprezzate, il delitto impunito, la proprietà minacciata, la sicurezza dell’individuo violata, la moralità del popolo corrotta, nessuna costituzione, nessun governo, nessuna giustizia”
Ma gli anarchici, attivisti e teorici, non erano certo un branco di terroristi senza arte né parte, ma dei pensatori morali, ed invero l’anarchia, più che una dottrina meramente politica, è una filosofia effettivamente etico-politica. Kropotkin, ma anche Bakunin, Proudhon, e l’italiano Errico Malatesta, furono i primi studiosi di questo senso pratico dell’anarchia.
Il filosofo russo, frequentata la scuola militare, si arruolò nel corpo dei cosacchi, e nella vasta e fredda Siberia condusse quella vita arcaica e tradizionale, ancora impegnata di un forte ritualismo, che Tolstoj nei suoi romanzi descriveva così profondamente. Tra gli ampi spazi glaciali e le piccole popolazioni arroccate sulle montagne, il giovane aristocratico entrò in contatto con un tipo di vita che influenzerà molto il suo pensiero: “Vedere gli immensi vantaggi della loro organizzazione fraterna semicomunista e constatare i buoni risultati della loro colonizzazione in mezzo ai tanti falliti della colonizzazione di stato, fu una lezione che avrei cercato inutilmente nei libri. E poi, vivere con gli indigeni, osservare le forme complesse di organizzazione sociale che essi hanno elaborato lontano dall’influenza di qualsiasi società, era fare provvista di una luce che avrebbe poi rischiarato i miei studi futuri.“
Cresciuto nella cultura razionalista e postivistica ottocentesca, a cui il filosofo francese Comte aprì le porte del secolo, Kropotkin studiava geografia, geologia, zoologia, e la sua vena anarchica, che segue tutta una tradizione storica di pensiero, si legò sempre di più alla scienza. Questa infatti, motore della filosofia positivista, era la vera, grande verità del tempo, e il giovane Kropotkin, dopo l’esperienza siberiana, criticò aspramente lo zarismo e le disuguaglianza sociali dei sistemi politici europei, per mostrare scientificamente come poi, anche lo stesso socialismo marxista, di matrice deterministico-engelsiana, debba sfociare per forza di cose nell’anarchia. L’armonia e l’equilibrio naturale, si danno infatti senza nessuna legge prestabilita e nessun tipo di predeterminazione e, allo stesso modo, anche la società umana reagisce male alle forme organizzative e sociali cristallizzate.
La libertà e l’uguaglianza, nella filosofia kropotkiana, sono giustificate sempre attraverso un’analisi naturalistica, fisico-naturale. Dalla pura illusione idealista che fu sempre la più aspra critica mossa alle tendenza anarchiche, ora anche esse, grazie agli studi di Kropotkin, non solo vennero scientificamente dimostrate, ma si identificarono in tutto e per tutto con la scienza: “l’anarchia è una concezione dell’universo, basata sulla interpretazione meccanica dei fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita della società. Il suo metodo è quello delle scienze naturali; e, secondo questo metodo, ogni conclusione scientifica deve essere verificata. La sua tendenza è di fondare una filosofia sintetica, che si estenda a tutti i fatti della natura, compresa la vita delle società umane e i loro problemi economici, politici e morali”.
Se in Marx evoluzione e rivoluzione sono processi dialettici predeterminati, in cui la volontà umana è del tutto assente, per Kropotkin l’anarchia deriva dall’evoluzione incessante della scienza, e la rivoluzione, come azione cosciente delle masse, è l’accelerazione del processo evolutivo.
Questa concezione storica vicina ad una visione sociale basata sulla morale e sul mutuo appoggio, fecero si che Kropotkin si avvicinò sempre di più all’ideologia comunista, come modello politico economico e sociale senza contraddizioni, che dispone “da ognuno secondo le sue forze, ad ognuno secondo i suoi bisogni”, ma anche come riscontro organizzativo e pratico della weltanschauung anarchica: “comuni indipendenti per gli aggruppamenti territoriali, vaste federazioni di mestieri per gli aggruppamenti di funzioni sociali -gli uni allacciati agli altri per aiutarsi a vicenda nel soddisfare i bisogni della società- e aggruppamenti di affinità personali, varianti all’infinito, di una durata o effimeri, creati a seconda dei bisogni del momento per tutti gli scopi possibili. Queste tre specie di raggruppamenti formerebbero come una rete tra loro e giungerebbero a permettere la soddisfazione di tutti i bisogni: il consumo, la produzione, lo scambio; le comunicazioni, le misure sanitarie, l’educazione; la protezione reciproca contro le aggressioni, il mutuo appoggio, la difesa del territorio; la soddisfazione, infine, dei bisogni scientifici, artistici e letterari.”
Kropotkin fu condannato ed arrestato più volte per attività sovversive, sotto l’occhio dello zar sdegnato, e si avvicinò molto agli ambienti internazionalisti europei, fin quando dopo la rivoluzione bolscevica del 1917 si ritrovò emarginato per le sue critiche alla piega autoritaria che il regime stava prendendo
Ma il filosofo russo dette un contributo fondamentale all’evoluzione del pensiero anarchico, dissociandolo da una prima matrice marxista, puramente determinista, e in un’analisi scientifica, sociologica ed antropologica delle comunità umane e dell’uomo stesso, tornò ad incentrarsi sulla volontà e sulla scelta come momenti di vero progresso storico. La scientificità e la concretezza dello studio di Kropotkin influenzarono molto i successivi movimenti rivoluzionari novecenteschi ed aiutarono l’anarchismo, prima solo ragionamento astratto, a divenire una possibile dottrina etico-politica, scientificamente dimostrata.