(davanti a casa mia)
di Paolo Repetto, 2002
Elisa è uscita dall’infanzia. Ieri sera è rientrata fischiettante alle nove e mezza, esibendo il primo centesimo guadagnato con una improvvisata bancarella, e annunciando per domani l’apertura di nuovi settori di vendita. Il guadagno può sembrare scarso, ma è il frutto di un consolidato (e in fondo equo) sistema di ripartizione degli introiti. Elisa ha quattro anni e mezzo, ed è la più piccola del gruppo.
Non è il centesimo (che sarà comunque debitamente incorniciato, come quello di Paperone) o il milione di euro a marcare la differenza. È il fatto di cominciare ad agire per una finalità, con uno scopo, e a programmare di conseguenza il futuro. Non so cosa ne pensino il Piaget o gli altri studiosi della psicologia infantile, ma io ho una convinzione, maturata attraverso un’intensa esperienza di infante prima (mezzo secolo fa) e di padre e di zio poi. Dopo che hai allestito il primo banchetto di cianfrusaglie e hai assaporato il gusto dello scambio regolamentato, della legge del mercato, sei un altro. La tua innocenza e la tua spensieratezza vanno a farsi benedire: non agisci più per istinto, ma per calcolo. Sei entrato nella società degli umani.
Elisa lo ha fatto un po’ prematuramente, ma ognuno ha i suoi tempi. Lei ha già cominciato a dubitare dei poteri delle bacchette magiche, dopo averne sperimentato l’inefficacia su una collanina rotta. Presto verrà il turno dei babbinatale e delle cicogne (se già non è venuto). E allora sarà definitivamente uscita dal mondo infantile. Le rimarrà solo (per quanto?) l’illusione dell’amore, ma questo è un tipo di favola che si proietta sempre nel futuro, si risolve in un’attesa, e non ha quindi a che vedere con l’infanzia, che è regno dell’eterno presente.
Entrare nel mondo degli adulti, o perlomeno in quel limbo temporaneo che è la fanciullezza, non significa adottare un comportamento egoistico. Egoisti lo siamo sin dalla nascita, per legge di natura e per caratteristica marcata della specie. Significa invece scoprire che il nostro comportamento è tale, esserne più o meno lucidamente consapevoli, e soprattutto prendere coscienza che anche gli altri sono mossi dallo stesso istinto, e che questo ci porta necessariamente in competizione. Significa prendere atto che la vita è lotta, più o meno sublimata e mascherata, e che non sempre, o non in tutti i campi, siamo attrezzati a combatterla. In genere si postdatano queste scoperte, e le delusioni conseguenti, all’età adolescenziale. In realtà l’adolescenza non esiste, è un’invenzione degli psicologi per definire una noncondizione, una situazione di passaggio nella quale stazionano più o meno a lungo, in condizione semilarvale, degli umanoidi brufolosi e storditi, giustamente scontenti di sé e incazzati senza una ragione precisa col mondo intero. Costoro le regole del gioco le hanno capite da un pezzo, e questo forse giustifica la loro incazzatura: solo hanno creduto ancora per un po’ che davvero di un gioco si trattasse, e che finita la mano si potesse con una rimescolatina alle carte ricominciare da capo. Quando hanno realizzato che ogni game over chiama un altro gettone, e che i gettoni non crescono nelle tasche e sono in genere la contropartita di uno scambio, hanno cessato di essere fanciulli e sono diventati adulti. Piagnucolosi e antipatici, ma adulti.
Elisa naturalmente, e per sua fortuna, è ancora lontana dall’essere adulta, anche se a vederla camminare impettita o ad ascoltarla mentre argomenta le sue ragioni sembra il bonsai di una giovinetta petulante e maliziosa. Ma ha già rotto il cerchio magico del gioco assolutamente disinteressato, comincia ad attendersi in qualche modo dei risultati, e questa attesa infrange a sua volta la beatitudine di un presente intenso e dilatato, sgombro di ansie, di calcoli e di rimpianti. In più fischietta, che è come dire che è passata da un uso elementare, puramente denotativo, dei suoni, a quello virtuosistico e strumentale, pronto a tradursi in conflittuale e mistificante.
So che è ridicolo, ma non posso fare a meno di intristirmi un poco: sento che sto già perdendo la mia bambina. Ma la cosa veramente tragica è che ieri sera io non sapevo assolutamente cosa avrei fatto o avrei voluto fare oggi, e non avevo conseguito alcun guadagno dalla mia giornata. Forse sono io quello che sta veramente uscendo: o che non è mai entrato, nella maturità.