Appunti sulla letteratura russa di oggi
di Marcello Furiani, da Sottotiro review n. 8, gennaio 1998
I.
La letteratura russa si muove per deflagrazioni. A prolungati secoli di sonnolenza e di immobilismo seguono improvvisamente epoche di straordinaria concentrazione di testi fondamentali, anni di creatività felice e furiosa.
Essere contemporanei è creare il proprio tempo, non rispecchiarlo. MARINA ZVETÀEVA
Nell’ottocento, nel breve volgere di pochi anni, tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, appaiono sulla scena letteraria – e producono incessantemente per un trentennio – Dostoevskij, Tolstoj, Goncarov, Turgenev, Saltykov-Scedrin e altri. Mai come nei primi quarant’anni del novecento la poesia russa ha conosciuto un periodo così ricco e serrato di produzione poetica di notevole valore.
A partire dal simbolismo, dall’acmeismo e dal futurismo – momenti straordinariamente fecondi – passando attraverso la grande utopia di una totale palingenesi, in cui ogni forma artistica sogna il suo Ottobre sperimentando nuovi strumenti espressivi ed esprimendo il furore iconoclasta, la tensione verso nuove rotte, l’ansia di linguaggi in rivolta, si arriva all’arduo cammino interiore, fatto di isolamento, concentrazione, volontà spesso disperata di non perdere il contatto con il proprio lettore a cui è costretto chi è sfuggito in qualche modo alla burocrazia, alla censura, agli arresti, ai gulag.
Fino agli anni sessanta la letteratura sovietica si è mossa per lo più per sentieri scialbi e secchi, spinta dai propositi di un malinteso realismo, in cui la retorica dell’ottimismo ad ogni costo, tesa a scacciare ogni indizio di pena e di critica, si accompagna a piatte rappresentazioni oleografiche, ad un’Arcadia apocrifa e pretenziosa priva di mistero, di gioco, di profondità psicologica, dentro rassicuranti forme attempate che si plasmano su canoni ottocenteschi.
Successivamente un sentimento di rivolta – insieme ai temi dello scacco, dell’incomprensione, dell’angoscia, dell’indifferenza – esterna un’esperienza di estraneità che l’individuo prova nei confronti del vivere, a conferma di un evolversi della sensibilità problematica sul piano esistenziale e sociale. Le immediate caratteristiche sociologiche di questa evoluzione sono, innanzitutto, il suo emergere a coscienza letteraria e la tendenza espansiva dei gruppi legati a questo fenomeno. Anche lo sforzo sperimentale da un punto di vista linguistico va considerato alla luce di questo atteggiamento di rivolta, attento a temi e problemi per anni trascurati, dalle miserie fisiche e spirituali a un rinnovato interesse per la storia.
II.
La letteratura russa è oggi attraversata da domande che mai erano state sollevate, pur se sempre percorsa da un’insicurezza morale che si interrogava sulle ragioni stesse della sua esistenza, tormentata dall’ansia di essere più che letteratura, a fondersi con la vita, trasfigurandola, e a fare di se stessa il mezzo e la misura per riconoscere le più abissali voragini metafisiche dell’uomo, attingendo istintivamente alle sue fonti religiose e filosofiche. La piena libertà spirituale, nonostante le censure del potere statale o antistatale, e la frequentazione creativa di altre letterature e culture europee le permisero di non sacrificare nemmeno sul piano formale l’opera letteraria, ma di assicurarle esiti originali come quello del romanzo russo dell’ottocento e del primo novecento.
Dopo anni di letteratura d’opposizione o di supporto allo Stato – che, guscio di un partito, aveva assicurato non solo il senso dell’attività letteraria, ma anche i presupposti di esistenza materiale grazie a un’assistenza che, sostituendosi al mercato letterario e al mecenatismo privato di un tempo, assegnava alla letteratura un inedito statuto sociale – l’attuale crisi della letteratura russa scaturisce dall’epilogo dell’epoca storica fondata settant’anni fa e dalla riacquisizione della dissolta libertà senza che si sia ancora consolidato un sistema differente.
Esiste inoltre – ed è a mio avviso l’elemento più significativo – una difficoltà non risolta di definire l’eredità letteraria non solo dell’epoca sovietica, ma, particolarmente, di quella pre-rivoluzionaria. Se il realismo socialista è stato archiviato e rifiutato con un capovolgimento delle scale gerarchiche, la grandezza etica e poetica della letteratura russa classica diventa paradossalmente ingombrante, smisurata, ambigua, inopportuna e polverosa, quasi le venissero attribuite come implicite, con il massimalismo morale dei suoi ideali, le conclusioni dell’ideologia rivoluzionaria. La grande tradizione della letteratura russa, indubbiamente grande, viene osservata come fosse infetta da una sorta di celato protototalitarismo, i cui indizi sono composti da un utopismo etico massimalistico, da un’inabilità a rivolgere lo sguardo con distacco poetico verso il mondo e da una velleità di annullare i confini tra arte e vita in virtù di una vita e di un’arte a venire che siano affrancate dall’angosciante disarmonia e dallo spietato disordine del presente. È pur vero che questo sogno appartenne e venne condiviso anche dal romanticismo e in seguito dall’avanguardismo europeo occidentale, ma in Russia questa utopia viene oggi accusata di scontare l’arretratezza patriarcale della sua cultura che, se da un lato rendeva organica la critica della modernità e il fervore verso un “totalmente altro” rispetto ad essa, dall’altro le impedì di restare nel luogo compensatorio dell’arte, ma intrise gli animi, rendendoli condiscendenti all’illusione rivoluzionaria di cui in seguito furono vittima. In altri termini, la letteratura russa viene incolpata di essersi ciecamente esaltata per valori che si sono rivelati ingannevoli ed effimeri, a differenza dell’Occidente che, pur non estranea ai sogni e alle utopie che hanno attraversato la Russia, ha saputo muoversi con il disincantato sguardo di una presunta modernità.
III.
Senza rispondere con indignazione o sorpassata nostalgia a quest’interpretazione, consapevoli che una restaurazione del passato non è né augurabile né realizzabile, occorre però sottolineare alcune riflessioni. Se la Russia è destinata a non essere più quella grandiosa anomalia – come alcuni critici sostengono con una sicurezza priva di dubbi – che è stata in senso positivo e negativo e se la fine della grande letteratura è prossima nella direzione di un’omologazione ai modelli dello sviluppo socio-culturale e della produzione letteraria dell’Occidente, il pericolo non remoto è quello di adagiarsi in un vuoto spirituale e di valori e di contenuti, adeguandosi alla realtà dell’ovest o vivendo soltanto di recuperi di grandi scrittori novecenteschi russi e occidentali prima proibiti.
La letteratura russa non potrà sradicarsi dalla letteratura russa passata, nemmeno da quella del periodo sovietico e su di essa, al di là dei possibili sviluppi, ancora interpretata in una molteplicità di libere letture, si svilupperà solo apparentemente in maniera imprevedibile, similmente alle improvvise catastrofi che si abbattono nei romanzi dostoevskiani e che in realtà sono state velatamente concertate da tutto il precedente cammino della narrazione.
Attualmente la crisi appare tanto più grave quanto più l’odierna letteratura russa è ordinaria e quanto più rifà il verso alla letteratura medio bassa d’Occidente; ciononostante anche oggi è importante una rilettura della tradizione russa alla luce della vicenda generale del secolo e con gli strumenti ermeneutici di un’appropriata criticità, in cui nei romanzi russi dell’ottocento e del novecento, come nella poesia, si potranno trovare i segni del presente, lontano da retoriche contenutistiche e da frivolezze formalistiche.