di Maurizio Castellaro, 11 dicembre 2021
Le “ariette” che postiamo dovrebbero essere, negli intenti del loro estensore, «un contrappunto leggero e ironico alle corpose riflessioni pubblicate di solito sul sito. Un modo per dare un piccolo contributo “laterale” al discorso». (n.d.r).
Una candela accesa
Mirco Marchelli, “Di luce naturale”, 2021
C’era un tempo in cui arte, poesia e letteratura erano espressione di una comunità che condivideva valori e certezze, orizzonti di senso politici e religiosi. In alto stava Dio, appena sotto Trono e Altare. Lo confermavano chiaramente pittori, musicisti e poeti, in ogni dipinto, nota o parola presenti in ogni chiesa e in ogni reggia. C’erano ingiustizia, miseria, ignoranza, violenza. Nulla da rimpiangere, certo. Ma questo tempo di certezze bambine ha reso meravigliose e uniche le infinite città d’Europa, per conoscerle tutte non basta una vita. Poi siamo cresciuti, e la tela del senso che ci teneva insieme si è strappata. Il sacro si è dileguato dai templi, il potere si è trasformato in forme, ogni Io è diventato Dio e la tecnica ci ha lanciato in questa corsa magnifica e inarrestabile verso la consunzione. L’arte, la poesia, la musica resistono, ma non c’è più una comunità che attende la loro parola. Ogni artista è chiamato ad autolegittimare il proprio gesto, a costruire in solitaria fatica i propri codici, ad utilizzare metafore che non rimandano che a se stesse. E se questo fosse sufficiente? E se fosse questo oggi l’umanesimo possibile? Contemplare con lucidità pacificata un’assenza, tenere comunque sempre accesa la nostra candela, rischiarare attorno a noi, dare senso all’ossigeno che miracolosamente ci tiene in vita.
Sulla collina
Un Edoardo Sanguineti d’annata (1974), polemizzando ironicamente con Alberto Moravia, evidenzia i rischi che si corrono a prendere come modello di intellettuale Amleto che, con il suo “essere o non essere?” consapevole e vile diventa figura del divorzio tra ideologia e prassi, tra cultura e politica. “Morire, dormire, sognare forse”, non significa solo fuggire dalla realtà, rifugiarsi in giochi consolatori e velleità inconcludenti, metafore e oggetti simbolici che aiutano a dare un senso all’esistenza personale e sociale. Per il militante Edoardo l’intellettuale amletico borghese, non solo non fa presa sulla realtà, ma non è neppure in grado di tenere a bada i dèmoni della storia (il fascismo nelle sue infinite forme). Anzi, da questi dèmoni rischia nuovamente di essere sedotto alla prima occasione. Nell’inesorabile ragionare di Edoardo oggi noi vediamo chiaramente il baco della fine dell’ideologia marxista che ne era il presupposto, ma mi sono fatto qualche domanda su quel che resta. Poi ho pensato che nel 1943 sulle nostre colline sono saliti a farsi ammazzare ragazzi analfabeti, avvocati, poeti, meccanici e soldati. Alcuni erano comunisti pronti alla rivoluzione, ma in maggioranza erano semplicemente uomini indignati. Alcuni perché l’educazione al bello era stata sufficiente (perché anche il bello è “simbolo della libertà”, come ci ricorda Kant, con buona pace dell’estetismo parassita del tempo). La maggior parte perché semplicemente sentivano dentro di sé che quella era la cosa giusta da fare, la più degna. Anzi, l’unica in grado di dare ancora senso alla loro esistenza. Insomma, la storia ci insegna che alla fine Amleto ha deciso di passare all’azione, anche se le cose alla fine non sono andate proprio come si era immaginato. In fondo è capitata la stessa cosa anche ai piani dei ragazzi che sono saliti sulle colline nel 1943. Ma valeva la pena provarci. Con questa tranquillizzante convinzione sono andato a dormire, a sognare forse.