di Paolo Repetto, 2008
Vorrei accendere un lumicino nella notte nera del ministro Padoa Schioppa. Non so che razza di figli o di nipoti abbia il ministro, o che gente frequenti. Non deve essere particolarmente fortunato. I miei, di figli, a vent’anni erano in giro per il mondo, perfettamente autonomi; quanto alle frequentazioni, dato che vivo nella scuola invece che nel palazzo, bazzico giovani di tutti i tipi, e non solo bamboccioni. Anzi, ogni volta che rivedo un mio ex-allievo finisco per esserne orgoglioso: sopravvivere con dignità nel mondo che gli ha apparecchiato la nostra generazione, la mia e di Padoa Schioppa, è già un bel merito.
L’ultimo di questi ragazzi, in ordine di tempo, l’ho ritrovato un paio di giorni fa. Si chiama Roberto Buzzone, fa l’alpinista, il trekker, cammina per il mondo: e racconta poi con parole e con immagini i suoi viaggi e le sue imprese. In genere lo fa nel corso di serate per appassionati di alpinismo o di escursionismo, ma stavolta aveva di fronte una platea di studenti e studentesse che una montagna vera, da vicino, non l’hanno vista mai, e probabilmente non avevano in programma di vederla nemmeno per il futuro. Li ha letteralmente affascinati, perché Roberto è un magnifico uomo e un formidabile atleta, ma soprattutto perché ha trasmesso loro un messaggio molto diverso da quelli che sono abituati a ricevere tutti i giorni dalla televisione, dai giornali, in famiglia e qualche volta, purtroppo, anche dalla scuola.
Roberto gira il mondo e sale montagne, ma lo fa su una gamba sola. L’altra l’ha persa in un incidente, qualche tempo fa, a soli vent’anni. Calza una protesi, si carica in spalla uno zaino da venti chili e parte, con l’inseparabile amico-allenatore. Percorre ottocento chilometri sul “camino di Compostela”, sale sulle vette alpine o sul Kilimanjaro, stringe i denti e sul ritmo dei passi canta un inno alla vita.
Guardavo i ragazzi del Boccardo ascoltare incantati questo inno. Seguivano Roberto mentre teneva in mano la sua protesi e ne raccontava i dati tecnici, poi si volgevano ai filmati e vedevano quella protesi, diventata parte di lui, scendere a rotta di collo per sentieri di montagna, avanzare sui ghiacciai, scavalcare alberi morti nelle foreste. Dopo un po’ tutto questo appariva naturale ed eccezionale al tempo stesso, perché Roberto non esibiva la sua protesi, la mostrava semplicemente, non chiedeva ammirazione per sé, e meno che mai compassione, ma marcava la differenza e le difficoltà solo per chiamare gli altri a valersi della loro normalità, a darle un senso. Questo rendeva eccezionale il messaggio. “Credetemi – ha detto ai suoi ascoltatori – i problemi più grossi li avete voi, e non quelli come me. A me il problema è cascato addosso, è qualcosa di estraneo che si è messo di traverso alla mia esistenza, e mi è naturale, anche se non semplice, affrontarlo. Voi il più delle volte i problemi ve li create in testa, li cullate alla ricerca di alibi, e non avete in realtà nessuna intenzione di affrontarli. Guardatevi un po’ attorno, aprite gli occhi sulle cose autentiche che la vita vi offre, quelle più semplici ma che non si trovano sugli scaffali dei supermercati, l’amicizia, la natura, la gioia di mettersi alla prova e quella di aiutare gli altri a farlo. Finitela di piangervi addosso ad ogni intoppo, buttate tutto quel ciarpame di mode e modelli e scempiaggini che vi zavorra il corpo ed il cervello, riempite lo zaino di sogni puliti e di mete da raggiungere e poi via, in marcia”.
Penso che una volta tornati in classe i ragazzi abbiano un po’ faticato a riconnettersi con la matematica o con l’economia, ma questa non sarebbe una novità: la novità è piuttosto nel fatto che difficilmente hanno potuto scaricare, appena suonata l’ultima campanella e appena fuori l’uscita, la lezione di vita appresa. Molti di loro saranno probabilmente ancora lì, magari portandosi dietro i genitori. quando Roberto tornerà a Novi in gennaio per una serata “alpinistica”. Magari, se glielo facciamo sapere, potrebbe arrivare anche Padoa Schioppa.