di Paolo Repetto, 21 dicembre 2014
È nato tutto da un ritrovamento. Come per i “I Promessi Sposi” o per il “Manoscritto di Saragozza”. In questo caso però di tratta di un ritrovamento reale, e di un dattiloscritto. Sono una trentina di fogli sbucati fuori durante il vano tentativo di mettere ordine tra stipi e cassetti, in un’appendice periferica del mio studio. Il testo è stato battuto con una Lettera 22 circa quarant’anni fa, ed è la bozza di una introduzione alla raccolta di articoli di Maxim Gorkij che avevo tradotto dal francese per le edizioni Jaka Book, poi pubblicata col titolo “Pensieri intempestivi”; senza il saggio introduttivo, però, che non poté essere inserito per i miei continui ripensamenti.
Andò così. L’editore voleva qualche cenno al rapporto storico tra gli intellettuali e il potere in Russia, un sorta di riassunto delle puntate precedenti che rendesse più comprensibile la faccenda: io avevo altre ambizioni, ma non le necessarie competenze, e finii giustamente per arenarmi. Nessuna censura. All’epoca la Jaka Book si presentava già come un ridotto della cultura cattolica in un territorio tutto dominato dalla sinistra, ma non era ancora stata egemonizzata da “Comunione e Liberazione”, e sia pure in una sua ottica strumentale (tutto ciò che non coincideva col pensiero dominante faceva aggio) era aperta a contributi di pensiero libertario che non trovavano spazio altrove: ad esempio, al pensiero anarchico o agli eretici della sinistra.
Torniamo però al dattiloscritto. Ero convinto da un pezzo che della mancata introduzione non esistesse più traccia, come per tanti altri lavori lasciati incompiuti in quegli anni. Invece eccola li, sia pure in una versione tutt’altro che definitiva. I fogli sono sottilissimi, leggermente ingialliti, pieni di correzioni a matita e di cancellature: interi paragrafi sono rimandati con frecce e asterischi a punti diversi della trattazione, altri sono cassati con righe diagonali, non troppo marcate. Mi è sempre costato tagliare qualcosa. Il dattiloscritto si interrompe a pagina trenta: credo ne contasse altre tre o quattro.
Alla prima rilettura ho convenuto che in fondo quarant’anni fa la storia della cultura russa e quella del marxismo non si erano perse granché, e che il non consentire a pubblicare quel pezzo era stata da parte mia l’unica possibile dimostrazione di intelligenza. Poi, però, da buon contadino che non butta nulla, ho deciso di trascriverlo comunque sul computer; non certo per riciclarlo, solo per rispetto, o per nostalgia, o comunque per non perderlo un’altra volta. Naturalmente, mentre lo trascrivevo non ho potuto evitare di risistemare un po’ i periodi, di essere incuriosito da particolari dei quali avevo perso ogni memoria o da qualche spunto non del tutto banale; di maturarci sopra insomma una riflessione più generale. Così, poco alla volta mi ha preso la mano. Tanto da indurmi adesso a inserirlo integralmente in un discorso che da quel testo prende le mosse, ma viaggia poi in una direzione totalmente diversa.
La versione che propongo è quella originale. Non ho tagliato né aggiunto nulla, se non qualche riga finale per arrivare ad una parvenza di conclusione: ho preferito invece introdurre alcune note, anziché intervenire direttamente sul testo, perché mi sono reso conto che a distanza di poche decine di anni la vicenda sarebbe risultata quasi incomprensibile. All’epoca della stesura la conoscenza di Radiščev e di Michailovskij, per non parlare di quella di Alexander Herzen, poteva essere data per scontata (magari ero solo io a considerarla tale). Oggi dubito che possa esserlo ancora: e comunque, non sarà certo questo recupero a ravvivarla.
Ma di che tipo di conoscenza si trattava? Questo mi sembra più interessante, e appunto su questo ho cominciato a riflettere; intanto, sul perché si fosse scelto di tradurre quel testo (non credo di averlo proposto io); poi perché avessi concepito quel tipo di introduzione; e infine perché dopo averci lavorato per un po’ avessi deciso di non farne nulla.
Le risposte che mi sono dato sono contenute nella seconda parte di questo scritto, quella nata come postilla al testo ritrovato. Nel frattempo però la testa ha continuato a lavorare per conto suo, nel disordine solito e nell’incapacità di selezionare gli spunti e di rinunciare a qualcosa. E così, la rivisitazione della biografia di Gorkij mi ha fatto intravvedere le molte similitudini e le profonde differenze rispetto a quelle di due scrittori suoi contemporanei, nati in altre parti del mondo, egualmente famosi nello stesso periodo e protagonisti di vicende umane e spirituali altrettanto complesse. E di seguito, il confronto tra le biografie e i destini ha mosso una serie di considerazioni più generali sul ruolo dell’intellettuale e sui suoi rapporti col potere, indipendentemente dalle vesti che il potere assume. Queste considerazioni costituiscono la terza parte.
Su queste riflessioni, sulla distanza rispetto agli interessi e alle posizioni espresse nella mancata introduzione, pesano evidentemente sia il tempo soggettivamente vissuto che quello oggettivamente trascorso (la differenza non sta soltanto nella durata di riferimento). Spero solo che la somma di tanti pesi non renda il tutto illeggibile.