di Marta Della Croce, da Sottotiro review n. 6, maggio 1997
Il sipario si apre lentamente. Sulla scena, due personaggi. A sinistra, il Presunto Lettore [PL], che vestirà una calzamaglia nera, l’altro, a destra, sosterrà la parte della Pagina [P], per cui la sua calzamaglia sarà bianca e interamente scritta. Poco prima che il dialogo inizi, i due camminano avanti e indietro per la scena. Si osservano con titubanza, quasi studiandosi a vicenda. Ah, dimenticavo, la parte della Pagina sarà sostenuta da un’attrice molto giovane. La sua testa sarà di cartone, priva di lineamenti, simile in tutto a quella di un manichino.
P: Il mio unico difetto è che non riesco ad imparare le battute a memoria. Non ci riesco proprio … [esita] … non sono come te … io … io … non ho memoria … Io non ho testa … Io non ho cercello …
PL: [interrompendo] Cervello! non cercello.
P: Oh, sì, sì, cervello, sì chiama così, già … già … dunque, non avendo memoria né testa né cer-ve-llo, è evidente ch’io non abbia neppure una fronte due occhi un naso una bocca due orecchi … dei capelli … oh, come sarebbe bello avere dei capelli … non ho neppure quelli!
PL: Lo vedo!
P: L’unica cosa che ho è questa specie di covetta.
PL: Dalli! Vocetta! volevi forse dire.
P: [timidamente] Sì.
PL: Bé, quella la sento. E allora dimmi un po’, ma chi sei?
P: [allarga le braccia] Sono una pagina, una pagina scritta.
PL: E da me cosa vuoi?
P: Perbacco, essere letta!
PL: Perbacco!
P: Perbacco sì o perbacco no.
PL: Perbacco no. Non so leggerti.
P: Ma … tu ha memoria, cercel … pardon … cervello testa capelli fronte occhi naso bocca e orecchi!
PL: E con ciò?
P: Come! E ti sembra poco?
PL: Sei una pagina complicata …
P: [interrompendo] Complicata? Non mi far ridere, che non ho la bocca. [tra sé] Complicata. Ma se sono fatta di semplice carta bianca, liscia … [avvicinandosi] … guarda, mi hanno strappata da un quadernino dove c’erano altre pagine bianche, lisce come me. Ho lasciato le mie sorelle per farmi leggere da te e tu … tu ora non mi vuoi. Ingrato! [singhiozza leggermente]
PL: Non fare così. Va bene, via, ti leggo. Dove sono i miei occhiali? [si allontana, va verso le quinte, torna di nuovo, esclama:] – Dove ho messo gli occhiali! – [finalmente si tocca la testa] Ah, eccoli [si avvicina alla pagina, fa l’atto di toccarla]
P: Bravo, prendimi tra le dita.
PL: Uhm …
P: Ma non leggi? E leggi!
PL: [leggendo] “La vera ragione per cui sono al mondo è che io non volevo affatto essere al mondo. Il mio parere evidentemente non interessava un gran che ……. Come vedi, hanno finito per avermi con loro, ma …” [smette di leggere, si toglie gli occhiali] Lo vedi, anzi, lo senti quanto sei complicata. Ti avevo già sbirciata, sai? … Che vuol dire, su, dimmi che vuol dire.
P: E che ne so io, io non ho mica cervello testa capelli fronte occhi naso orecchi e bocca, come te. Io sono solo una pagina scritta, liscia, anzi, liscia liscia. Non ho neppure i capelli!
PL: [incrociando le braccia sul petto] Se non capisco, non ti leggo.
P: Suvvia! Hai letto solo tre righe, va’ avanti. Può darsi che leggendo, come si dice, l’appetito vien mangiando. Non si finisce mai d’imparare.
PL: Che pagina ostinata. Testarda!
P: Lo sono sempre stata. Sono fatta di una sostanza buona, mica di velina. Su, continua!
PL: [rimettendosi gli occhiali. Continuando] “… ma forse il mondo aveva bisogno che un giorno uno come me scrivesse una pagina bugiarda come questa” …
P: Eh? Che ti dicevo … parla anche di me. Va avanti.
PL: Ma se m’interrompi.
P: Hai perfettamente ragione.
PL: [riprendendo] Uhm … “che un giorno uno come me scrivesse una pagina bugiarda” …
P: Perché ti fermi? Continua.
PL: Ma perché, bugiarda?
P: E che ne so io, non ho mica cervello testa capelli fronte occhi naso orecchi e bocca, come te.
PL: Come sarebbe! Vorresti dire che siccome io ho memoria cervello testa capelli … sì, insomma tutte quelle cose lì, sono un bigiardo?
P: Questo non l’ho detto.
PL: L’hai pensato.
P: Nemmeno.
PL: L’hai immaginato.
P: Forse … un tantino … gli uomini.
PL: Uh, davvero? Adesso ti metti anche a giudicare? Non siamo tutti uguali, noi uomini. Ora perché sei una pagina scritta, per giunta a macchina, chi credi di essere, la Divina Commedia? Ci vorrebbe poco per distruggerti, basterebbe non leggerti, basterebbe appallottilarti, stracciarti, farti a striscioline sottili sottili e gettarti nel fuoco e là … non esisteresti più … Cenere, cenere! Chi credi di essere per giudicare, eh? chi credi di essere.
P: [mortificata] Quand’ero tutta bianca, anonima, dimenticata nel cassetto in mezzo ad altre pagine simili a me, non sapevo che con le parole si potesse fare il giro del mondo e perché no, parlare anche con te [una pausa]. Pensa, pensa a quante cose io, umile pagina bianca, se scritta, posso diventare … Posso diventare un libro, un diario, una semplice, ma non per questo meno importante, lettera d’amore. Ah, l’amore, l’amore! … quante volte sono rimasta gelosamente piegata in quattro sul seno di una donna e quanto palpitavo su quel cuore, quanto palpitavo! Ho imparato ad esprimermi, a farmi capire, a dire cose serie e cose buffe, e questo grazie alle parole …
PL: [interrompendola] Ma non a giudicare. Questa funzione spetta a noi uomini. E poi l’hai detto e ripetuto mille volte che tu non hai memoria cervello testa eccetera, eccetera.
P: Sicuro! Ma non colui che m’ha scritta. Anzi, a dir la verità, io ho qualcosina in più rispetto a colui che m’ha scritta.
PL: E sarebbe?
P: L’immortalità.
PL: [ridendo] Oh, ah, questa è bella … l’immortalità! Parola grossa, cara mia, che ne sai tu, paginuzza, dell’immortalità?
P: [in tono evasivo] L’ho vista scrivere tante volte …
PL: Ah, ecco, l’hai vista scrivere, ma il significato eh? il significato eh? il significato … me lo sai dire, il significato?
[qui la pagina non risponde; si piega in due, quasi volesse chiudere il discorso. L’uomo insiste:] Bè, allora? Sto’ significato?
P: [rialzandosi] Di preciso non lo so, posso soltanto ripetere le parole che ha scritto l’inchiostro, ma ripeto, non ho memoria, tenterò. Dunque, il significato … [come cercasse le parole] … il significato sta nel grado di dolore … nella vita … nelle parole che uno sa mettere insieme … nel concetto … ecco, sì! nell’essenza dell’anima.
PL: Ma guarda un po’, ho davanti una pagina filosofica.
P: Ti sbagli. Io non so niente. Sta scritto nella vita irreale il significato delle cose e le cose, a loro volta, fanno la vita reale. Io credo che l’uomo per vivere la vita debba dimenticarla. Anzi, bisognerebbe persino che dimenticasse di vedersi vivere nella vita. In una parola: dimenticarsi. Ossia, dimenticare la vita reale per viverne un’altra: inafferrabile e gigantesca, proprio come quando ti guardi nello specchio e osservi te stesso in carne e ossa, eppure se allunghi una mano e sfiori quel vetro non ti senti, non ci sei, non esisti, se non come immagine riflessa, raggiungibile solo con lo sguardo, col pensiero, con l’immaginazione. Così è la vita di colui che si dimentica. Si cerca nell’ignoto per ritrovarsi sotto forma di idea. [d’un tratto si zittisce, poi riprende] Ma perché voi uomini esistete?
[qui il dialogo assume un tono confidenziale]
PL: Mi hai confuso, cara, ma questa è una bella domanda. Ebbene, il perché non lo so. Chi ci comanda è qualcuno più grande di noi, e forse è il passato che ci spinge a vivere, quelle lunghe mani degli anni, della vita che non è più … [sospira]
P: Non capisco … ma allora l’uomo è costretto a vivere una vita di ricordi e una di speranza, come dire, sta in mezzo: tra una vita morta e una davanti che sta per morire?
PL: Pressappoco.
P: Ecco perché torno a ripetere che il significato delle cose resta nascosto nella vita irreale.
PL: Spiegati, il significato o l’immortalità.
P: Tutt’e due. Sono la medesima cosa. Se una cosa “significa” vuol dire che ha in sé una storia e allora è viva. Ne consegue che la sua verità verrà tramandata. E con che? Con gli scritti!
PL: [un po’ ironico] E tu credi di contenere dei validi pensieri?
P: Io non credo, io sono … sono soltanto una paginetta scritta e forse anche male, altro non conosco. Tocca a te, uomo, farmi nascere o morire.
PL: In che modo. Come?
P: Leggendomi! Giudicandomi! Elaborandomi!
PL: Io non leggo un gran che. Leggo così.
P: Così … come?
PL: Così.
P: Ah … così!
PL: Sì, così!
P: Bè, sono stanca. Oggi sono uscita pensando di trovare qualcuno che mi potesse leggere e rileggere. Qualcuno che mi portasse al mare, in tram, a letto oppure in giardino. Qualcuno che mi portasse con sé. Qualcuno con cui fantasticare un’oretta. [una pausa] O che hai da fissarmi a codesto modo?
PL: Ti leggo.
P: Allora fallo a voce alta, così mi ascolto.
PL: Uhm … vediamo, dov’ero rimasto? Ah, sì, ecco qua … “che un giorno uno come me scrivesse una pagina bugiarda come questa, ma non fraintendetemi, non bugiarda nel senso che esprime menzogne, no davvero! [ripetono queste ultime battute insieme] Bugiarda, perché quello che volevamo dire l’abbiamo detto e bugiarda perché sulla Pagina nulla di ciò che abbiamo detto v’era scritto.
[La Pagina si avvicina al proscenio, si rivolge al pubblico]
P: La vita è fatta di piccole conquiste e di grandi sconfitte. Se quello che abbiamo detto v’è piaciuto, raccontatelo. A noi ci basta così. [sipario]