di Antonio Cammarota, da Sottotiro review n. 4, giugno 1996
Immaginiamo. Immaginiamo di camminare lungo viali alberati, lungo prati rasati di fresco, immersi nel verde e nel silenzio della natura.
Immaginiamo strade pulite, vicini di casa gentili e cani tenuti al guinzaglio. Ottime le abitazioni intorno: tutte ville monofamigliari, più o meno grandi. E poi il box per le automobili, i campi da tennis, la piscina. Dimenticavo la jacuzzi e la sauna per tutti.
Non è male vero, come passaggiata virtuale?
Immaginiamo ancora di camminare e camminare e camminare, senza pericolo alcuno di essere investiti, senza essere asfissiati dallo smog e assordati dal rumore di migliaia di feroci automobilisti in lotta tra loro. Lassù nell’azzurro del cielo, poi, c’è sempre il sole, non piove mai ed il vento serve solamente a riempire le vele delle barche ancorate nel porticciolo.
Immaginiamo insomma (a parte l’idromassaggio, la sauna e la piscina: un po’ troppo snob, lo ammetto) un luogo tranquillo dove vive gente felice ed operosa.
Ma ecco – come in un vecchio film – comparire all’improvviso un’automobile di grossa cilindrata, enorme, nera, guidata da un autista tutto pieno di se (Ambrogio con i cioccolatini?) e sul sedile posteriore un ricco uomo d’affari.
Ecco comparire da un lato la vicina di casa gentile e silenziosa: si stava preparando per andare all’Opera, trucco e gioielli di ordinanza compresi. Ecco il cane – rigorosamente – al guinzaglio: è un dobermann. Un cucciolo, ma pur sempre un dobermann!
Non potevano mancare le forze dell’ordine: carabinieri, vigili urbani, guardie forestali? No, muscolosi vigilantes con tanto di walkie-talkie e di pistola. “Chi sei, cosa ci fai qui?” Pochi suoni gutturali ed eccomi “accompagnato” all’uscita.
Addio prati verdi, addio silenzio, addio sole perenne …
L’enorme cancello in acciaio si chiude con violenza alle mie spalle. Non mi hanno portato in galera: ripeto, mi hanno accompagnato all’uscita. Eccomi infatti fuori da Fort Apache, in balia degli eventi e degli indigeni violenti.
Ho detto “immaginiamo”, ma questo non è un sogno e non è neppure una fantasiosa ricostruzione dell’isola che non c’è.
Questo luogo, o meglio, questi luoghi esistono davvero. A nord come a sud, nelle grandi e nelle piccole città, a Los Angeles e a Johannesburg, nel Montana e in Florida. Si chimano – i luoghi di felicità recintate – Waterford Crest, Laguna Nigel, e – in futuro – (grazie Disney!) Celebration … Sono piccole città “indipendenti”, quartieri residenziali privati, agglomerati urbani di soli bianchi-ricchi-conservatori.
Rappresentano il nuovo apartehid mondiale. Un nuovo apartheid invisibile e per questo più becero e più schiettamente egoista. Chi se lo può permettere fugge. Fugge da tutto, dai pericoli, dalla criminalità, dall’inquinamento, dal diverso. Chi se lo può permettere.
Questa sfacciata e irresponsabile balcanizzazione della società (soprattutto statunitense) rappresenta però – per loro – un’utopia realizzata. L’utopia dell’autogestione (tali comunità private eleggono piccoli parlamenti e propri governanti, istituiscono regole generali, e provvedono ad una autotassazione per realizzare poi vari progetti), l’utopia della sicurezza (vigilantes, cancelli elettronici, telecamere e cani da guardia), l’utopia di una vita più tranquilla, di una vita migliore, immersi nel verde e avvolti dal silenzio (operoso).
Chi non invidia le loro utopiche città del sole alzi la mano.
Chi non invidia almeno i capisaldi generali che le reggono (s’intende: piscine e guardaspalle esclusi)?
Peccato che loro piccole fortezze siano destinate a rimanere isolate. Non sono arcipelaghi che vogliono diventare continenti: sono piccoli scogli e insulse isolette decisissime a rimanere tali.
Le loro strade e i loro cancelli poggiano su un grande e spesso strato di dollari. Un’utopia costruita con moneta sonante, con conti in banca a sei e nove zeri. Esiste l’Utopia, poveri disillusi che non siamo altro, il “nostro” (o quasi) sogno è già realtà.
A proposito, che carta di credito avete in tasca? Nessuna! Mi dispiace allora, non sarete tra gli abitanti della futura Celebration, la più grande città – privata del mondo che sarà costruita dalla Disney in Florida. Non temete però, saremo in buona compagnia: né Paperino, né Pippo, ma neanche Minnie e Nonna Papera andranno a vivere in quella città-acquario. Zio Paperone invece pare proprio di sì.
Tre cose occorrono per essere felici: essere imbecilli, essere egoisti e avere una buona salute; ma se ti manca la prima, tutto è finito. GUSTAVE FLAUBERT