di Paolo Repetto, 28 febbraio 2020
Premesse / Promesse
A partire da questo numero offriremo una serie di presentazioni prematuramente pensate per libri che non sono poi stati scritti, e con ogni probabilità non lo saranno mai. Potrebbe essere lo stimolo a farvene carico, e a scriverli voi stessi.
Fu il critico tedesco Ernst Robert Curtius (i nomi vanno citati entrambi, perché i Curtius nelle discipline archeologiche e linguistiche si sprecano) ad usare per primo il termine greco “topos” (luogo) in una accezione simbolica allargata, applicabile in letteratura, ad indicare un “luogo comune”. Curtius era un uomo tutto di un pezzo, un grande camminatore e uno studioso tanto valente quanto libero e serio, erede di quella tradizione classicistica tedesca che fa capo a Winckelmann ed è passata attraverso Goethe, Novalis, Holderlin, Seume e infiniti altri. Venne cacciato dall’insegnamento universitario in Germania nel 1937, perché il suo modo di concepire il rapporto tra la cultura classica e quella germanica era diametralmente opposto a quello del regime nazista. Può sembrare che tutto questo c’entri poco col nostro discorso, ma mi piace comunque sottolineare le eccezionalità, quando ci sono.
Quindi il topos è un “luogo comune”, ma non ha nulla a che vedere con la frase fatta, ecc. Sta invece ad indicare un soggetto letterario, o anche un semplice motivo, che viene ripetuto in forme più o meno stereotipate e a più riprese nell’opera di uno scrittore (ad esempio, l’adolescenza in Twain, ecc.) o ricorre in una particolare letteratura, o caratterizza trasversalmente un’epoca. La caratteristica del topos è però proprio quella di non scadere nello stereotipo, di proporre delle costanti di base che vengono poi declinate in una varietà di ambientazioni e interpretazioni sempre nuove. È un topos ad esempio quello del letterato che combatte contro l’ottusità e l’incomprensione dei suoi contemporanei (vedi ad esempio l’Hamsun di Fame), mentre è uno stereotipo quello dello studioso sfigato, occhialuto e inetto alla vita pratica e ai sentimenti.
A dispetto della loro natura estremamente duttile i topoi esistono, e quelli più ricorrenti sono facilmente riconoscibili: si può farne un elenco a partire dal nostos (il viaggio di ritorno), la queste, l’età dell’oro, il locus amoenus, l’avventura (o disavventura) notturna, e così via.
A mio giudizio, però, i topoi esistono anche sotto altra forma, chiamiamola “passiva”, In questo caso sono l’espressione delle inclinazioni mentali e caratteriali dei singoli. Voglio dire che un lettore (o un cinefilo) finisce per privilegiare dei filoni che per ragioni diverse lo attraggono in maniera particolare. Le motivazioni di queste preferenze possono essere opposte: perché si riferiscono a situazioni di cui il lettore ha esperienza, o perché cerca almeno sulla pagina o sullo schermo le esperienze che non ha fatto nella vita reale.
Io naturalmente, stante anche la mia natura onnivora, mi sono costruito un sacco di topoi personali: e proprio di questi voglio parlare in queste pagine. Non intendo però proporre una rassegna arida, per cui mi permetterò di raccontarli nel loro intreccio con la mia vita, con le mie esperienze e con il mio percorso culturale. Per farla breve: più che descrivere questi topoi, questi luoghi, ciò che mi interessa è raccontare il modo in cui li ho raggiunti. È sottinteso che certe indicazioni di percorso potrebbero risultare utili anche ad altri. Credo proprio che questo non costituirà una sorpresa per chi già conosce qualche altro mio scritto.
E gli uomini? Quelli non ho bisogno di spiegarli, e anche se volessi sarebbe impossibile. Racconterò invece di alcuni di loro, e di come abbiano, ciascuno a modo suo, contribuito alla costruzione dei topoi.