È ancora possibile educare al civismo?

di Paolo Repetto, 30 luglio 2022

Nella precedente puntata mi chiedevo cosa si può ancora fare per i nostri ragazzi. Bene, potremmo ad esempio cercare di riabilitare ai loro occhi la politica: quella seria, s’intende, non quella postribolare che si fa nei salotti televisivi. Non è un impegno da poco, ma è quello più urgente che dovremmo assumerci, e quando scrivo “dovremmo” mi riferisco ad una categoria anagrafica particolare, alla quale appartengo da un pezzo, quella dei nonni. Non tanto perché come pensionati abbiamo del tempo (ancora poco, purtroppo) che dovremmo spendere anziché perdere, ma perché abbiamo maturato esperienze, nel bene e nel male, che conferiscono – almeno a chi le ha digerite – una qualche credibilità: e soprattutto perché a quanto pare non ci sono altri con la capacità o la volontà di farlo. Non lo possono fare i nostri figli, che abbiamo cresciuto nel rifiuto e nel disprezzo della politica: un disprezzo più che motivato dai miasmi che ristagnano in quella dimensione, ma mai unito ad una vera responsabilizzazione personale. E meno che mai lo possono le istituzioni, che pure, all’insegna del “civismo” da restaurare, bandiscono periodicamente delle svogliatissime crociate: manifesti di facciata, per dare una parvenza di senso alla propria esistenza.

L’esempio che arriva della scuola è eclatante. L’educazione civica è stata ultimamente reintegrata al rango di disciplina curricolare, con tanto di specifica valutazione: ciò che di per sé ne nega il ruolo di ispiratrice di base e di scopo finale di tutte le discipline, ma soprattutto travisa completamente il concetto stesso di educazione. In più, tutto questo è stato fatto senza badare minimamente alla realtà del contesto nel quale si andava ad agire e senza prevedere alcuna azione correttiva concreta là dove quel contesto appare irrimediabilmente degradato. Si è finto di ovviare con un tratto di penna all’oggettiva impreparazione dei docenti, allo straripare nei media di proposte di comportamenti incivili, alla rottamazione di ogni valore portata avanti senza alcun distinguo dalla cultura post-moderna della spettacolarizzazione e del successo mediatico. Il risultato è che agli occhi della stragrande maggioranza degli studenti l’educazione civica si riduce ad un inserto particolarmente uggioso in quello che è già di per sé un mare di nebbia.

Meno che mai, poi, c’è bisogno di “scuole di politica”, nelle quali quest’ultima sia trattata come una professione. Anzi, va combattuto proprio questo distorcimento, perché nella realtà la politica è già interpretata così dalla maggioranza dei suoi praticanti, ma non certo nel senso di “un’etica della convinzione” o di “un’etica della responsabilità” come predicato da Max Weber. Al contrario, è considerata una scorciatoia per il successo, per il potere e per l’ascesa economica.

È contro queste interpretazioni che possiamo e dobbiamo ancora lottare. Perciò, senza la pretesa di fare scuola ad alcuno, rimango convinto sia mio dovere di nonno trasmettere a un nipote le poche cose che ho imparato e che presumo di aver capito. E indirizzo allora a Leonardo e ai molti che sento come nipoti spirituali, agli studenti di cui parlavo sopra e ai tantissimi come loro che sono certo esistano, alcune modestissime riflessioni.

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