Opportunità

di Nicola Parodi, 27 gennaio 2024

La novità di questa settimana sono gli autovelox. Quelli abbattuti, perché gli altri, quelli ancora in piedi, un po’ tutti li abbiamo conosciuti. Non dico che tirassimo sempre un sospiro di gioia al loro apparire, ma ci eravamo abituati all’idea che una qualche funzione deterrente nei confronti degli imbecilli potessero svolgerla. C’è chi però non la pensa così. Sono comparsi infatti in varie zone del Nord, e soprattutto nel Nordest, dei “giustizieri” di autovelox, che implacabilmente li atterrano lavorando di flessibile sui pali (meraviglia l’assenza di segnalazioni nel Sud: ma forse non si erano accorti della loro esistenza). Naturalmente i media si sono buttati sulla faccenda, e hanno immediatamente battezzato i boscaioli stradali con l’appellativo di “Fleximan”, quasi fossero personaggi della serie cinematografica de “I Vendicatori” (in inglese gli Avengers). È prevedibile che in questo modo i nuovi eroi troveranno stuoli di imitatori, almeno per le due settimane nelle quali durerà la visibilità mediatica delle loro imprese: poi, appena qualche idiota avrà un’altra alzata d’ingegno, la cosa si calmerà, gli autovelox saranno sostituiti e noi tutti (noi tutti i contribuenti, intendo) pagheremo il conto.

Non è lo specifico della vicenda a meravigliarmi. Ormai siamo abituati a tutto. È invece questa abitudine, questa assuefazione a preoccuparmi. Il fatto che l’idea dei rapporti sociali che sta prevalendo sia quella delle “regole fai da te”.

Se il rispetto dei limiti di velocità ostacola la tua impazienza, “te ne freghi” dei rischi per l’incolumità altrui e ti senti autorizzato ad abbattere l’autovelox. Se un divieto di sosta ti impedisce un parcheggio comodo per soddisfare le tue esigenze, “te ne freghi” del fastidio che puoi dare agli altri e ti senti autorizzato a segare il cartello di divieto di sosta. Non ti va di fermarti a quel semaforo con il rosso troppo lungo e ti senti autorizzato a metterlo fuori uso. Sono tutti lacci e lacciuoli che ostacolano il tuo desiderio di libertà. Le regole le devono rispettare gli altri per non creare problemi a te.

Con le guerre a due passi da casa, e lo sconvolgimento climatico, e lo spettro di una migrazione planetaria, questo potrebbe sembrare un problema secondario. Ma non è affatto così. È la spia di una deriva molto più grande. Adottando la “deregulation” si corre verso il baratro etico e sociale. Si comincia segando un paletto e si finisce con l’accoltellare la moglie, o i vicini di casa, o il passante che ci urta. La logica è sempre quella: mi ostacoli, mi dai fastidio, non mi piaci, ti elimino.

La sensazione è che gli individui che s-ragionano in questo modo siano in crescita esponenziale, e non mi si venga a dire che è solo una “percezione”. Basta guardarsi attorno. Contemporaneamente non vedo da parte di chi dovrebbe contrastare questo fenomeno, se non altro per il ruolo che riveste, una reazione adeguata: sembra che nessuno voglia assumersi la responsabilità di combattere questi atteggiamenti. E quando parlo di ruolo non mi riferisco solo ai corpi di polizia o alla magistratura: comprendo tutti, dai giornalisti agli insegnanti. Non è questione di cattiva volontà dei singoli o di inadeguatezza delle risorse di personale e di fondi, o almeno, non è questa la causa principale. È invece che tutti si muovono come sul ghiaccio (quello che c’era una volta). Viaggiano con scarpette leggere e guanti di velluto per paura di ledere qualche diritto fondamentale, o forse di essere comunque chiamati a rispondere, a differenza peraltro dei trasgressori, di un qualche abuso di potere.

Dietro tutto questo c’è una malintesa interpretazione della libertà. che viene vissuta come un “liberi tutti” all’interno del quale vale solo quella individuale. Un’idea del diritto del singolo che non tiene più in alcun conto quello collettivo. Tutti debbono essere “tutelati”, ma questo “tutti” è inteso come somma di individui, e non come collettività. E allora la tutela riguarda i singoli, idioti e delinquenti compresi, che vanno difesi anche quando ledono l’interesse comune. In ciò una buona parte della colpa va anche a quella sedicente sinistra che gabella l’idiozia come un effetto collaterale e accettabile della democrazia, e differisce dalla destra solo per il fatto che ci vede magari anche una “opportunità”. Ma qui la democrazia non c’entra per un accidente. Anzi, se c’è un assetto istituzionale che esige comportamenti corretti e rispettosi del bene comune è proprio quello democratico.

Quindi, niente scusanti. Se vogliamo evitare che il super-eroe di domani, il modello per i nostri nipoti, sia Superciuk, sarà bene che cominciamo ad esigere oggi interventi pesantemente rieducativi nei confronti dei nuovi Terminator, senza farci stupidamente condizionare dal solito timore di apparire in linea con la Meloni. Non è affatto questa la linea della destra, che viaggia semmai sulla corsia opposta, del diritto senza regole.

Allora: cominciamo ad esigere qualcosa anche come collettività. Costi per il ripristino naturalmente tutti a carico dei vandali, e possibilmente anche l’esecuzione diretta dell’operazione, con verifica finale del lavoro ben fatto. Sarebbe un modo per addestrare professionalmente un po’ di manodopera operaia, della quale abbiamo un gran bisogno, e per mandare messaggi chiari agli aspiranti boscaioli. Non lederemmo alcun diritto: al massimo, nel caso di zucche particolarmente dure, un paio di costole.

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