Uno spasso infinito

di Paolo Repetto, 18 settembre 2024

A proposito di serialità (quella cui accennavo presentando le ultime recensioni di Vittorio): anche la mia sta diventando – in realtà è sempre stata – una produzione seriale. Nel caso specifico del pezzo che segue, è l’ennesima puntata della serie relativa alla mia biblioteca, con gli stessi protagonisti, io e i miei libri, e solo l’ambientazione leggermente diversa[1]. Ma in fondo io e i miei libri siamo sempre stati protagonisti di ognuno dei pezzi sin qui prodotti, quindi non di serie si dovrebbe parlare ma della composizione di un puzzle che a dispetto del numero enorme di tessere ancora da sistemare si intravvede ormai benissimo. Titolo del puzzle? A infinite jest, tanto per parafrasare qualcuno: “uno spasso infinito”, un’autobi(blio)grafia di ringraziamento per la vita che mi è stato concesso vivere e per i libri che mi è stato dato leggere.

 

P.S. Mi accorgo che stiamo tornando alle origini. Vale a dire che sul sito si torna a parlare prevalentemente di libri. Sarà un bene o sarà un male? Non lo so. So però che è un segnale, e la prima cosa che mi viene in mente è che forse di altro in questo momento non val la pena parlare, pena il rischio di dire fesserie, e che è comunque un modo per marcare la distanza da Sangiuliano e dalla cricca dei non-lettori professi della quale l’ex-ministro è un esemplare perfetto e tutt’altro che unico.

Altre stanze

L’“altra stanza” è quella cui accenno ma che non mostro mai ai visitatori occasionali. Vi accedono raramente anche gli amici e i miei stessi famigliari, con qualche eccezione per mio nipote. Non la mostro per più motivi: intanto per ragioni logistiche, perché è un po’ discosta dal corpo centrale della mia abitazione, e per raggiungerla occorre transitare per il ripostiglio-lavanderia o passare dalla scala esterna; ma soprattutto perché è un autentico bazar dove sono ammonticchiati, sopra e dentro un armadio o direttamente sul pavimento, zaini, valigie e borse di ogni foggia e dimensione, giacconi e tute invernali, imbraghi e ciaspole, tutto l’armamentario insomma, ormai purtroppo dismesso da tempo, per viaggi, escursioni e alpinismo.

La motivazione più vera sta comunque nel fatto che le scaffalature disposte lungo due pareti ospitano gran parte della mia adolescenza: i fumetti, la letteratura poliziesca e quella fantascientifica, gli “umoristi”, da Jerome e Wodehouse a Campanile e Francesco Piccolo. Mancano i libri dell’infanzia: quelli sopravvissuti sono in esilio al Capanno.

Questa disposizione separata non riflette una qualche mia scala di valori dei libri, ma risponde semplicemente a un criterio d’uso. Come ho già spiegato altrove, ho stipato nello studio e nell’ex-tinello, che ne è ormai un’appendice, tutta la saggistica, disposta secondo una collocazione che mi permette di rintracciare immediatamente ciò che serve per le mie ricerche o di individuare con un colpo d’occhio altre fonti di eventuali suggerimenti.

Narrativa e poesia di tutte le letterature mondiali le ho trasferite nel corridoio e nei locali che vi si affacciano, sono meno visibili ma sono raggiungibili con pochi passi e suppongono comunque una frequentazione più saltuaria. Ciò che riempie invece gli scaffali della stanza “segreta” lo conosco talmente bene da non aver bisogno di tenerlo a portata immediata di vista. È probabilmente l’unico settore della mia biblioteca del quale posso affermare di aver letto davvero tutto.

C’è però un’ulteriore ragione, ed è una forma di gelosia che definirei “protettiva”. Per me quei libri e quegli albi hanno significato moltissimo. Sono legati per la maggior parte a una fase particolare della mia vita (e questo, naturalmente, vale allo stesso modo da sempre per qualsiasi lettore) che ha però coinciso anche con un momento particolare della nostra storia comune, quando la lettura si è aperta a tutti, mentre la televisione ancora non c’era (in casa mia no senz’altro), e se c’era aveva un peso e un impatto trascurabili: e questo restringe alla mia generazione il tipo particolare di ricezione. Inoltre, le sequenze con le quali queste letture sono arrivate e il loro intersecarsi con esperienze di tutt’altra natura raccontano una storia che non può essere che individuale: ovviamente la mia.

Insomma, ne sono geloso perché sono certo che ad altri direbbero cose diverse da quelle che hanno detto a me – come è giusto e normale che sia – e io voglio invece lasciarle legate a quell’ordine, a quel significato e a quel ricordo.

Chiarito questo, per una volta vi lascio entrare in visita guidata nell’altra stanza, invitandovi a fare attenzione per non inciampare in un arco o in una piccozza, a non rovesciare un trespolo porta-abiti e a non prendere in testa un trolley. Sarà comunque una visita breve, limitata al settore fumetti. Della giallistica, della fantascienza e degli umoristi ho già parlato altrove, in più occasioni. Anche del fumetto, a dire il vero, ho già parlato, e forse più che degli altri generi: ma mi rimane ancora qualcosa da dire.

Ad esempio, che quasi tutte le mie raccolte hanno in realtà una storia recente. In qualche caso sono la ricostruzione sofferta e testarda di quelle originali (vale per GimToro, per il Vittorioso, per Pecos Bill, per Nat del Santa Cruz e per altre testate), costruite all’epoca pazientemente con scambi, favori, zelo di chierichetto e prestazioni d’opera per l’edicolante, ma qualche volta anche con sotterfugi e scommesse insensate e persino con estorsioni (in famiglia non era prevista alcuna voce di spesa per i fumetti): tutte quelle sono andate poi perdute per vicende varie o per stupida disaffezione al momento del passaggio dall’adolescenza alla maturità. In altri casi le raccolte sono invece il frutto di un desiderio coltivato lungo decenni per storie e personaggi che avevo avuto la ventura di conoscere ma non la possibilità di seguire, e meno che mai di acquistare. Parlo ad esempio di Tintin, di Blake e Mortimer e di Blueberry, o più in generale della scuola fumettistica franco-belga, scoperti tramite un amico monegasco che trascorreva a Lerma le vacanze e leggeva riviste leggendarie come Pilot e più tardi MétalHurlant. Questi li ho pazientemente recuperati nelle edizioni italiane, integrando spesso le collezioni con gli originali in francese (da loro, forse, le mie passioni per Magritte e per Jacques Brel). Altre collane, come quella di Corto Maltese e della Storia del West, datano ai tardi anni Sessanta, e sono quelle che mi hanno spinto a tornare a leggere i fumetti, sia pure con uno spirito nuovo; o ai settanta, quando finalmente ero anche in grado di investire nelle mie passioni un piccolo budget. Parlo di saghe importanti, come quelle di Ken Parker (figlio riconosciuto di Jeremiah Johnson, uno dei miei film di culto), di Jonathan Cartland, di Mac Coy o de I pionieri del nuovo mondo; oppure degli albi di Rino Albertarelli per serie de I protagonisti e di Dino Battaglia o di Sergio Toppi per Un uomo, un’avventura (non solo i loro, naturalmente: possiedo la serie completa). Infine, tra le cose più recenti che hanno solleticato lo spirito collezionistico ci sono le produzioni di Attilio Micheluzzi, di Vittorio Giardino e di Renzo Calegari, per le quali la caccia è ancora aperta.

Ho citato, naturalmente, solo le testate che reputo più significative, quelle che torno a sfogliare più spesso: ma ce ne sono diverse altre. La considero già una discreta collezione, soprattutto per quanto concerne il western, anche se per un amante del fumetto è il minimo sindacale. Ciò che la distingue e la rende particolare è lo spazio riservato alla produzione dei primi anni Cinquanta, perfettamente comprensibile dal momento che a quell’epoca risale la mia fascinazione per le bande disegnate. Quella fascinazione, al contrario di molte altre, non è mai venuta meno, e anzi, si ripete, sia pure esercitandosi su stati d’animo ben diversi, ogni volta che rileggo un albo. Soprattutto poi se ho in mano quelli originali. Ne possiedo ancora molti, anche se il mio tesoro, custodito un tempo dentro robuste casse da birra in legno, quelle in uso sulle navi, a prova di topo, è andato quasi totalmente disperso: conservo o ho recuperato vecchie strisce di Nat o di Gim Toro, di Akim, Miki, Blek, de Il piccolo sceriffo, di Kinowa e de Il piccolo Ranger, albi di Pecos Bill e del favoloso Oklahoma, nonché numeri de Il Monello e de L’Intrepido, del Vittorioso, del Pioniere e dell’Avventuroso. Sono diligentemente imbustati e inseriti in raccoglitori, come sacre reliquie. Ho persino scaricato da internet e poi stampato storie ormai irrintracciabili anche nei mercatini, delle quali conservavo una vaga memoria perché lette nel circolo parrocchiale, nei primissimi anni di scuola: ricordavo non le immagini, le trame o i personaggi, ma l’impressione che mi avevano prodotto. E a distanza di tutto questo tempo quell’impressione si è ripetuta, vivida, e giustificata non più dallo stupore infantile ma dalla eccezionalità delle cose che stavo ritrovando.

Mi riferisco ad esempio a certe storie comparse settant’anni fa sul Vittorioso (l’unica pubblicazione a fumetti ammessa nel circolo parrocchiale: tutto il resto era “sconsigliato” o “escluso”). Erano pensate senza dubbio per un pubblico di adolescenti, con chiaro intento didattico, ma per un ragazzino di sette o otto anni avido di racconti e di immagini rappresentavano comunque la porta d’ingresso in un’altra dimensione. Dopo aver conosciuto le storie scritte e disegnate da Franco Caprioli, quello che la scuola mi passava diventava quasi superfluo.

Ripeto, qui non si tratta solo di nostalgia. La loro rilettura mi ha lasciato stupefatto tanto per la qualità delle immagini che per la cura linguistica e la felicità inventiva. E mi ha anche illuminato sull’origine di certe mie passioni e di conoscenze che ogni tanto emergevano misteriosamente dalla mia memoria.

In Una strana avventura tre giovani amici imbarcati su un cutter finiscono alla deriva durante una tempesta che flagella il Mediterraneo e si ritrovano sbalzati su un’isoletta dove incontrano, guarda caso, un loro insegnante di storia. Guidati da costui si addentrano in una terra rimasta all’età del neolitico, e qui incontrano gli ultimi superstiti dei cacciatori nomadi vissuti in Europa all’età della pietra, che cacciano i mammut e gli uro e devono difendersi da rinoceronti bicorne. Il professore sa tutto delle diverse “razze” che hanno successivamente abitato l’Europa (Chancelade, razza di Grimaldi, Cro-magnon, ecc ), e scorta i nostri eroi in un avvincente viaggio verso l’interno, costellato di incontri straordinari con uomini e animali “primitivi”, che si rivela anche un viaggio nel tempo, dalle caverne e dalle palafitte villanoviane sino ai primordi delle civiltà storiche. Ecco lì da dove nasce la mia curiosità paleoantropologica. Non è questione di geni, ma di giornalini.

Allo stesso modo una storia western, Il segreto del pugnale, oltre ad essere avventurosissima e avvincente per gli scenari insoliti nei quali si svolge e per la bellezza delle tavole (Caprioli usava una tecnica tutta sua, quasi un pointillisme), si rivela una vera e propria lezione di etnologia, per l’accuratezza filologica negli abbigliamenti, nei rituali, negli oggetti e negli ambienti. Con quello che ne ricordavo, e col resto che avevo appreso da Il tesoro di Tahorai-Tiki-Tabù ho fatto un figurone anni dopo all’esame universitario di Civiltà precolombiane, e ho stabilito quello che ritengo essere un record mondiale di esame con esito positivo a Etnologia: un minuto e dieci secondi, cronometrati da un amico.

Per non parlare poi del linguaggio. La mia lingua madre è il dialetto, e in dialetto si svolgevano all’epoca in tutti i rapporti, in famiglia e con gli amici. A scuola ho ricevuto i rudimenti dell’italiano, ma l’ho poi parlato correntemente apprendendo non dai libri di lettura delle elementari o da I promessi sposi, ma da fumetti nei quali la storia era narrata così: “La notte cala insolitamente nera, causa una fitta cortina di nubi portate dallo scirocco”. “La terra con i suoi neri dirupi ha un aspetto sinistro e strano, da incubo”. “I tre ragazzi bordano le vele debitamente terzarolate e si accingono a salpare”. E i dialoghi: “Professore! … come mai qui?! … e perché s’è vestito in cotesto modo?” Ancora al Liceo la mia insegnante di lettere mi rimproverava l’uso nei temi di certe espressioni “vetuste”, di un linguaggio con velleità letterarie, e io ci rimanevo male, perché per me l’italiano era quello – e in qualche misura è rimasto tale.

Ora, tutto questo può odorare di stantio, della patetica nostalgia di un vecchio per i bei tempi della gioventù. E magari un po’ è anche così. Ma fatte le debite tare, al netto rimane che la cultura trasmessa da quelle tavole disegnate era ben altra cosa rispetto a quella che i ragazzini e gli adolescenti assorbono oggi sui social, e anche a quella che la generazione che li ha preceduti, i nostri figli e loro genitori, ha succhiato dalla televisione. Non è una percezione deformata del passato, è la realtà. Mi si obietterà magari che si trattava di una cultura basata su valori totalmente occidentali, che seppur declinati in maniera diversa (tra Il Vittorioso e Il Pioniere ne correva), rimanevano comunque vincolati a una concezione “imperialistica” dei rapporti con la natura e col resto dell’umanità: e che oggi tutte queste cose sarebbero bruciate sul rogo della cancel culture (cosa che vale naturalmente anche per il cinema dell’epoca, oppure per la letteratura e persino per l’infarinatura storica impartiteci a scuola). Non sarebbe difficile smontare questa obiezione – anche se, considerando da chi in genere queste accuse sono mosse, penso sarebbe del tutto inutile: ma non è questo che qui mi importa. È invece il fatto i miei fumetti alcuni valori comunque li trasmettevano, un messaggio etico lo inviavano, e chi ne è stato l’entusiasta destinatario ha poi avuto tutto il tempo e l’agio di rifletterci su, di correggerne le storture, di modificare le proprie convinzioni. Aveva una base su cui poggiare i piedi e da cui muovere. In fondo, la condizione necessaria per poter cambiare idea è averne una.

Eppure, anche prima dell’arrivo della furia cancellatrice, l’influenza del fumetto, di quei fumetti in quel particolare periodo storico, è sempre stata sottovalutata o considerata con sospetto. All’epoca era ritenuta nociva per motivi differenti, quasi opposti: distraeva e diseducava le menti e inquinava le certezze storiche. La scuola per prima lo ostracizzava, e questo naturalmente contribuiva a farcelo amare ancor più. Era un’esperienza proibita, che prometteva paradisi artificiali di carta e intanto creava adrenalina e piacere già per il fatto stesso di praticarla. Le uniche punizioni di cui ho ricordo rimediate alle elementari o alle medie erano legate agli scambi di fumetti che avvenivano sottobanco. Quando, se pur raramente, venivano scoperti, quei traffici erano implacabilmente stroncati dagli insegnanti, e giù ramanzine e comunicazioni ai genitori: ma la vera punizione era il sequestro e la distruzione dei corpi del reato. Dopo che fui obbligato a gettare nella stufa della classe due albi di Pecos Bill ho sofferto di crisi depressive per mesi.

Gli scambi non si sono mai interrotti, avvengono anche oggi, ma riguardano ben altri stupefacenti: e sono purtroppo molto più tollerati dei nostri innocenti traffici.

Da parte della cultura “alta” la diffidenza e la distanza nei confronti del fumetto sono state mantenute ben oltre gli anni Cinquanta, persino dopo che il genere aveva ricevuto una legittimazione da semiologi di fama come Eco e Morin o da artisti come Roy Lichtenstein. La riabilitazione è arrivata molto tardi. Basti pensare che la voce “fumetto” è comparsa nella Treccani solo dopo il 1978, affidata peraltro a un collaboratore qualificato come esperto di ingegneria, che infatti si limitò a compilare un lungo elenco di testate e di autori (citando solo di sfuggita Il Vittorioso e ignorando del tutto Franco Caprioli). E una volta mutato l’atteggiamento le cose sono andate solo peggio, com’era logico aspettarsi. È scattata l’omologazione, si è tentato di impiegare il fumetto a fini didattici (le strisce in latino, le Storie d’Italia, ecc…, con risultati penosi), di animarlo per una destinazione televisiva (Gulp! Fumetti in tv), di speziarlo per una fruizione morbosamente edonistica (da Barbarella a Guido Crepax e Manara) o dissacrante alla maniera “post-moderna” (Moebius e LesHumanoïdesAssociés, lo Zanardi di Andrea Pazienza), di piegarlo da ultimo al messaggio politico (Zero Calcare). Il paradosso sta nel fatto che questi in fondo non possono nemmeno essere definiti usi impropri, perché il fumetto ha avuto un senso e un ruolo culturale propositivo per un paio di generazioni, la mia e quella che l’ha preceduta (quest’ultima però con una fruizione più elitaria); poi questo ruolo lo ha esaurito, soppiantato da media meno liberi e ben più potenti, più accattivanti perché il loro consumo non richiedeva alcuno sforzo attivo. Per sopravvivere ha dovuto evolversi (ma sarebbe più corretto dire involversi), ripiegandosi su se stesso, andando sempre più a caccia di un riconoscimento artistico e culturale ufficiale, complicando le vicende e affinando le tecniche di rappresentazione. Non ha più guidato il percorso di crescita di adolescenti affamati di valori, ma ha seguito e assecondato quello di adulti disincantati e bulimici di effetti speciali.

Insomma, dobbiamo ammettere che anche gli autori che più amiamo, da Pratt a Battaglia e Toppi e a Berardi e Milazzo, al di là del fatto che possano aver coinvolto anche una parte (sempre più ristretta) delle generazioni successive, parlano essenzialmente a noi, che in effetti abbiamo continuato ad esserne i principali fruitori. E che la cultura che trasmettono, ormai in veste ufficiale e legittimata, non è più una cultura “altra”, magari infarcita di valori che troppi oggi ritengono obsoleti, ma capace di per sé, per la sua natura genuinamente underground, di aprire alla realtà e contemporaneamente al sogno menti ancora acerbe, ma è quella allineata alle più recenti mode di un pensiero davvero “debole”. I loro lettori vi cercano non la sorpresa, ma conferme di ciò che già sanno e si attendono. Non l’avventura, ma surrogati che giustifichino la loro compiaciuta pigrizia mentale.

Parliamoci chiaro: noi non abbiamo dovuto aspettare la revisione hollywoodiana del western degli anni Settanta, da Soldato blu a Balla coi lupi, o le fumisterie della New Age, e neppure Ken Parker o Cartland, per stare dalla parte degli indiani. Avevamo già letto vent’anni prima Tex e Il segreto del pugnale, e visti i film di John Ford, e avevamo appreso intuitivamente alcune rudimentali verità: che da una parte come dall’altra ci sono i buoni e i cattivi, gli onesti e i mascalzoni, che dei primi bisogna fidarsi e degli altri no, che gli uni vanno soccorsi e gli altri combattuti, indipendentemente dal colore della pelle, dai costumi e dalle credenze religiose. Quelli che non avevano appreso queste cose evidentemente leggevano di fretta (o non leggevano affatto), saltando a piè pari i cartigli e lasciando spazio nelle loro menti per imboniture e assuefazioni di ben altro genere. E infatti. Grafic novels come quelle di Zero Calcare possono piacere solo a coloro che i fumetti non li hanno letti al momento giusto o non li hanno comunque mai amati, e non possono capire che c’era più contenuto politico, e se vogliamo anche rivoluzionario, ne Il grande Blek o in Liberty Kid che in tutte la produzione “impegnata” che circola oggi nei salotti “progressisti”. E soprattutto che quelle storie avevano un senso perché rivolte a chi non voleva distrarsi, ma immergersi nella vita.

Ancora un’ultima cosa. Tra le altre accuse, negli anni Cinquanta circolava quella che il fumetto fosse diseducativo anche rispetto alla formazione di un gusto estetico: che abituasse cioè ad una percezione semplificata, a linee pesanti di contorno, a un segno approssimativo o quando andava bene “calligrafico”. Questo proprio nel momento in cui stava esplodendo l’arte astratta, si stravolgeva l’ordine delle linee e dei colori, si rifiutava sprezzantemente il figurativo. Insomma, il fumetto distoglieva dal percepire i messaggi dell’arte “autentica” (o autenticata). Ora, in casa mia quei messaggi non arrivavano: non c’erano riproduzioni di opere d’autore, al più qualche immagine di santi o di madonne, e nessuno di noi ha mai visitato un museo almeno sin dopo i vent’anni. Anche i libri e i sussidiari scolastici erano illustrati da disegni, purtroppo di autori che non sarebbero stati in grado di disegnare un fumetto. La storia dell’Arte l’ho incontrata poi, al liceo, dopo i quindici anni, quando ormai mi ero autoeducato esteticamente. Mi ero abituato presto a cogliere le differenze di segno dei diversi disegnatori o degli illustratori dei libri d’avventura, ad apprezzare o meno certe caratteristiche (per me la cartina di tornasole tra il buono e il mediocre era la rappresentazione dei cavalli, oppure quella degli scenari naturali), a capire che un tratto sbrigativo era congeniale alle storie di pura azione, mentre una tecnica più elaborata mi induceva a riflettere maggiormente, a non inseguire solo lo sviluppo serrato della vicenda.

Da allora sono rimasto seduto sulla sponda del fiume, e ho visto mano a mano passare le spoglie delle avanguardie più rivoluzionarie, arte povera, body art, minimalismo, arte mimetico-visuale, concettualismo, transavanguardia, ecc… Di tutte queste cose non ho il minimo ricordo, sono scivolate via senza lasciare traccia, rivelando la loro natura di espedienti certificati da una critica mercenaria per lo spaccio del nulla in un mercato drogato. Ultimamente ho assistito alla riesumazione della pittura figurativa, celebrata dagli stessi critici ruffiani come la novità del terzo millennio, anziché come la resa a un ruolo che era stato ovvio per millenni. Perché in effetti di una resa si tratta, non di un ritorno: credo che nemmeno di queste immagini rimarrà traccia. Dovrei provare una maligna soddisfazione, e invece ho capito che prima ancora di quello del fumetto era già venuto meno il ruolo dell’arte. L’uno e l’altra sono diventati cose diverse, e mentre il fumetto ne ha preso atto e ha già cambiato nome, per l’arte dovremmo cominciare ad inventarci una o più denominazioni sostitutive. Ma non è un problema mio: ci penseranno (?!) le generazioni future.

Quanto a me, se ogni tanto vorrò risentirne il gusto, anziché intrupparmi in quelle mostre-evento che ammanniscono sempre gli stessi piatti, come alle sagre paesane, e in confezioni predigerite, potrò sempre rifugiarmi nell’altra stanza, spostare un po’ di ingombri e tornare a stupirmi piacevolmente davanti a una tavola di Franco Caprioli.

P.S. In tutta questa tirata viene citato solo una volta, e di sfuggita, Tex, che pure è stato uno dei pilastri della mia educazione, In effetti le raccolte di Tex (non gli originali, quelli li ha fatti suoi mio figlio, assieme ai Ken Parker) sono al Capanno, perché qui avrebbero occupato troppo spazio. Ma c’è anche il fatto che Tex è stato sì importante sì nella mia formazione, ma a livello più epidermico, nel senso che ne ho appreso e mutuato, nel mio piccolo, certi atteggiamenti, un decisionismo a volte sin troppo sbrigativo, una primitiva e solida distinzione tra il bene e il male, senza sfumature; ma non mi ha certo insegnato a riflettere. Ha costituito un modello, inarrivabile come Achille, dell’azione, non del pensiero. E non essendo lui mai invecchiato in settantacinque anni, ci siamo persi di vista. Non so quanto oggi possa ancora parlare ai giovani, credo molto poco, e penso non abbia più granché da dire nemmeno agli altri. Eppure è l’unico eroe di carta della mia generazione (siamo nati lo stesso anno, ma lui è uscito già armato come Pallade Atena, e già a cavallo) che sia sopravvissuto. Probabilmente sopravviverà anche a me. Qualche motivo ci sarà. Forse davvero è cresciuto senza invecchiare, al contrario di noi che tendiamo a invecchiare senza crescere.

Dovrei andare a rileggermi anche lui.

[1]Mi riferisco a Elisa nella stanza delle meraviglie; Ritorno alla stanza delle meraviglie; Che belle figure; Cocco Bill contro i trafficanti di utopie; Il pellegrinaggio a Lucca; Incursioni nell’immaginario; Provaci ancora, Wile!

Le immagini di questo articolo sono tratte da Il Vittorioso, dalle storie disegnate da Franco Caprioli Una strana avventura, Il segreto del pugnale e L’elefante sacro.

Natura e letteratura per cammini di viandanza

Copertina per incontri tematici2di Fabrizio Rinaldi, 10 dicembre 2022

Pubblichiamo la trascrizione di un momento dell’incontro “Natura e letteratura”, nell’ambito della mostra sentieri in utopia.

Ad avvicinare coloro che sarebbero poi diventati i Viandanti delle Nebbie, prima ancora che nascesse l’amicizia, furono le comuni letture di libri nei quali il rapporto con la natura veniva proposto senza eccessive epiche parolaie. È stato quindi decisivo per ciascuno, oltre alla frequentazione di Paolo, individuare le coordinate per le proprie letture in scrittori che avevano messo al centro della narrazione il rapporto con il bosco, la montagna, il mare o semplicemente con la quotidianità contadina, magari con approcci differenti e in tempi non troppo lontani.

C’era chi si riconosceva nella tendenza di Hemingway a raccontare la lotta con gli elementi e quindi le resistenze, le sconfitte o le pochezze umane. Chi si ritrovava nelle parole di Chatwin, per il quale le descrizioni dello spazio naturale (anche cantato, come per l’Australia) erano l’espediente per indagare la propensione umana all’inquietudine, l’irrequietezza che assale quando si è costretti a sostare in un posto per troppo tempo e a soffocare l’istinto di cercare ciò che sta oltre il conosciuto (magari – come nel suo caso – dormendo a scrocco da amici accondiscendenti). Oppure chi amava i racconti di Conrad e Melville, nei quali le superfici acquee su cui si svolgevano le cacce all’uomo o alla balena permettevano di immergersi nelle linee d’ombra dell’anima. C’era anche chi si immedesimava nel vivere appartato (ma non troppo) di Thoreau, che aveva fatto scuola (wilderness) con la sua propensione a ricaricare i neuroni vivendo nel bosco, eludendo la crescente frenesia della modernità e la compulsione a fagocitare tutto ciò che ci sta attorno, senza badare alle reali necessità.

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I miei occhi sono nuovi.
Tutto quello che vedo è come non veduto mai;
e le cose più vili e consuete,
tutto m’intenerisce e mi dà gioia.

Personalmente a queste vette della letteratura mondiale accosto due autori italiani. Nelle antologie scolastiche Camillo Sbarbaro è inserito tra i poeti del Novecento con una smilza paginetta e con una poesia dedicata al padre, legata ancora a quella metrica classica che appariva superata rispetto al suo contemporaneo Ungaretti. Traduttore dei classici greci, Sbarbaro ha saputo conciliare una vita estremamente ritirata con le intense amicizie che lo legavano a intellettuali come Montale, Campana e Pound; ma soprattutto inviava e riceveva dagli Stati Uniti dei pacchi contenenti croste secche apparentemente insignificanti, con indecifrabili nomi in latino, tanto che venne indagato dalla polizia fascista per atti ostili al regime. Dietro la sua pacatezza nello stare al mondo celava un’immensa conoscenza del mondo dei licheni. Autodidatta, ne divenne uno dei più importati esperti, tanto che la sua collezione è suddivisa oggi tra il museo di Storia Naturale di Genova e altre collezioni sparse nel mondo. Uno così non poteva non entrare nel novero degli ispiratori del nostro pensiero, per la sua propensione verso le cose insignificanti che gli capitavano e che vedeva. Oltretutto, era stato anche un gran camminatore lungo i sentieri liguri, sempre alla ricerca delle sue amate e naturali esistenze in sordina.

  • Il lichene prospera dalla regione delle nubi agli spruzzati dal mare. Scala le vette dove nessun altro vegetale attecchisce. Non lo scoraggia il deserto; non lo sfratta il ghiacciaio; non i tropici o il circolo polare. Sfida il buio della caverna e s’arrischia nel cratere del vulcano. Teme solo la vicinanza dell’uomo. Per questa sua misantropia, la città è la sola barriera che lo arresta. Se lo varca ci rimette i connotati. Il lichene urbano è sterile, tetro, asfittico. Il fiato umano lo inquina.
  • Più tardi, preso a mano dalla mia predilezione per le esistenze in sordina, mi volsi a forme più scartate di vita.
  • Mi ingombra la stanza, la impregna di sottobosco un erbario di licheni. Sotto specie di schegge di legno, di scaglie, di pietra contiene pocomeno un Campionario del Mondo. Perché far raccolta di piante è farla di luoghi.

159 Mario Rigoni Stern

Il momento culminante della mia vita non è quando ho vinto premi letterari o scritto libri, ma quando sono partito dal Don con 70 alpini e ho camminato verso occidente per arrivare a casa. Sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita.

L’altro mio autore di riferimento è Mario Rigoni Stern. È conosciuto soprattutto per Il sergente nella neve, in cui ha descritto il “capolavoro” della sua vita, l’aver riportato in patria tutti i suoi commilitoni durante la ritirata dalla Russia. Ma al di là di questo ci è affine soprattutto per la denuncia dei dissesti ambientali (quando ancora non era una moda), per le attente descrizioni di ciò che avviene nel bosco, e soprattutto per la corrispondenza fra ciò che scriveva e ciò che faceva: una coerenza esemplare, che quasi metteva soggezione perché presente in ogni suo gesto, a partire da come accatastava la legna o coltivava l’orto.

  • inserto dolomitiCome vivere? Allora questa domanda ce la dobbiamo porre non soltanto alla fine di un millennio, di un secolo, di un anno, ma tutti i giorni, e tutti i giorni svegliandoci, si dovrebbe dire: “Oggi che cosa ci aspetta?”. Allora io considero che si dovrebbero fare le cose bene, perché non c’è maggiore soddisfazione di un lavoro ben fatto. Un lavoro ben fatto, qualsiasi lavoro, fatto dall’uomo che non si prefigge solo il guadagno, ma anche un arricchimento, un lavoro manuale, un lavoro intellettuale che sia, un lavoro ben fatto è quello che appaga l’uomo. Io coltivo l’orto, e qualche volta, quando vedo le aiuole ben tirate con il letame ben sotto, con la terra ben spianata, provo soddisfazione uguale a quella che ho quando ho finito un buon racconto. E allora dico anche questo: una catasta di legna ben fatta, ben allineata, ben in squadra, che non cade, è bella; un lavoro manuale quando non è ripetitivo è sempre un lavoro che va bene, perché è anche creativo: un bravo falegname, un bravo artigiano, un bravo scalpellino, un bravo contadino. E oggi dico sempre quando mi incontro con i ragazzi: voi magari aspirate ad avere un impiego in banca, ma ricordatevi che fare il contadino per bene è più intellettuale che non fare il cassiere di banca, perché un contadino deve sapere di genetica, di meteorologia, di chimica, di astronomia persino. Tutti questi lavori che noi consideriamo magari con un certo disprezzo, sono lavori invece intellettuali.

  • Per diventare amici, prima bisogna annusarsi, come i cani poi, se non ci si è morsi, può nascere l’amicizia.

Con Primo Levi e Nuto Revelli sognava di andare per boschi e montagne, in silenzio. Ecco, credo che non si potrebbe desiderare nulla di meglio che questa visione di sobria eternità: vagare con le persone care facendo esperienze. Era il suo “pensiero anarchico”.

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È questo che – istintivamente e senza una dichiarazione esplicita – ispira l’immagine dei due viandanti nella locandina della mostra sentieri in utopia. L’uno indica all’altro ciò che attrae la sua attenzione: in questo caso una luce conduce fuori dalla nebbia, ma da sempre i Viandanti hanno segnalato ai sodali degli “stupa”, quelle letture che sapevano essere di comune interesse. Non è un semplice consigliare libri, ma il desiderio di condividere un percorso da fare assieme, uno accanto all’altro. Per questo la maggior parte delle pubblicazioni dei Viandanti è accompagnata da una bibliografia, e nella rivista “ufficiale”, sguardistorti, la rubrica finale Punti di vista segnala anche i luoghi per i quali vale la pena mettersi in viaggio.

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Questa carrellata di “maestri” non può concludersi  senza citarne uno di fantasia, il Ken Parker creato da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo. Lui viveva il west che stava ormai scomparendo, cacciando per sopravvivere e rifiutando un progresso di cui intravvedeva le incongruenze. È lui che ci ha accompagnato durante le escursioni e nelle letture, grazie al fatto che i suoi album sono zeppi di allusioni ai classici della letteratura di viaggio. E poi, era l’unico protagonista del west che pensava prima di premere il grilletto e che la sera, davanti al fuoco, leggeva un libro.

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Questi, naturalmente assieme a molti altri, sono stati gli intermediari fra storie personali spesso molto distanti. Senza di loro probabilmente non sarebbe stato intrapreso alcun percorso comune. La loro conoscenza è stata il nostro mezzo per “individuare ciò che non è inferno e dargli spazio”, come direbbe Calvino. E per dare vita a una forma genuina di amicizia.

Natura e letteratura per cammini di viandanza2

Faccio una parentesi di commento sulla mostra. L’altro giorno mi sono concesso il privilegio di guardarmela senza che ci fosse nessuno. A dire il vero la possibilità mi è stata data spesso, perché non l’abbiamo promossa nei canali mediatici, non abbiamo fatto comunicati stampa, non abbiamo invitato le rappresentanze pubbliche, ma abbiamo volutamente diffuso l’evento semplicemente con il passaparola tra amici, conoscenti e simpatizzanti del nostro viatico. Risultato? Non l’hanno vista in molti.

È snobismo, questo? Non credo. È semplicemente coerenza con l’intento di raggiungere solo chi è realmente interessato a visioni del mondo magari divergenti, ma accomunate dalla consapevolezza che viviamo in una realtà complessa. E che quindi il pensiero, per coglierla, non può essere semplicistico e sbrigativo: nessuna delle nostre pubblicazioni si potrebbe liquidare con un twitter.

Ebbene, esaminando la mostra mi sono stupito di quanto materiale sia stato prodotto in tutti questi anni. Lo sapevo già, naturalmente, perché ne ho curato la grafica, ma nel vedere esposte tutte assieme le copertine di 79 Quaderni, 31 Album, 30 numeri fra Sottotiro review e sguardistorti, per un totale di oltre 7200 pagine, senza contare un bel po’ di articoli sparsi e i 14 testi della Biblioteca, mi ha impressionato l’incredibile varietà dei temi trattati.

Quella mole di riflessioni e l’idea del tempo che sta alle loro spalle mi ha confermato che i Viandanti hanno occupato una parte importante della nostra vita: di quella di Paolo senz’altro, visto che ha scritto o curato molti di questi testi, ma non solo della sua. Negli anni hanno contribuito in molti, attivamente o come semplici fruitori: e questo ha fatto sì che le nostre pubblicazioni continuino ad essere gratuite e siano stampabili liberamente. Per apprezzarle necessita solo una sufficiente dose di curiosità per ciò che non appare sotto i riflettori dei consueti media.

Si potrà notare che nessuno degli scrittori di cui ho parlato prima è originario dei nostri luoghi: non si tratta di un intenzionale rifiuto del campanilismo. Non ho citato Fenoglio e Pavese, che sono comunque nostri riferimenti imprescindibili, solo perché non volevo farla troppo lunga, e perché in qualche modo li do per scontati, in quanto hanno raccontato colline e storie simili alle nostre. Che è quello che anche i Viandanti hanno cercato di fare, narrando un territorio che viene spesso dimenticato.

Concludo con le parole delle mie figlie che alla domanda su cosa stessimo combinando Paolo ed io nell’altra stanza, risposero: “Stanno facendo la mostra. Si divertono così”. In effetti “divertire” significa volgere altrove, deviare. Ecco, questo facciamo: non marciamo lungo percorsi obbligati, muovendoci in branco verso mete che altri hanno fissato, ma camminiamo di lato, ai margini, pronti a deviare sui sentieri che ci danno maggiore soddisfazione. Quelli anche dell’amicizia, che sono la realizzazione della nostra utopia.

1-Le-colline-sacreCollezione di licheni bottone

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Ritratti di famiglia

La storia è una galleria di quadri,
dove ci sono pochi originali e molte copie.

Ritratti di famiglia copertinaIn concomitanza con la mostra-rassegna delle loro attività (la prima, e con ogni probabilità anche l’unica) i Viandanti delle Nebbie offrono ai “followers” una strenna natalizia. L’idea iniziale prevedeva una plaquette sul modello dei vecchi calendarietti profumati dei barbieri, per i quali proviamo tanta nostalgia (per i libretti, ma anche per i barbieri): poi abbiamo optato per una linea meno frivola.
Distribuiremo quindi cinquanta libretti (il che significa presumere, molto ottimisticamente, un numero di lettori doppio rispetto a quelli del Manzoni) che vogliono suggerire da dove arrivano i Viandanti, chi c’è idealmente alle loro spalle. Certi dell’impunità, perché quasi tutti gli interessati non sono più in vita, ci siamo permessi di vantare nobili ascendenze.
Rispetto a molti dei personaggi evocati i gradi di separazione sono almeno quattro o cinque. Il sesto ci avrebbe portato direttamente a Gesù, e ci pareva un tantino esagerato. E tuttavia …

03 Quadri in mostraL’albero genealogico dei Viandanti è fittissimo e composito. Risalendo di due secoli (non abbiamo voluto andare oltre, era già abbastanza complicato così) si incontrano un po’ tutte le tipologie e le varietà umane: scrittori, artisti, esploratori, viaggiatori, rivoluzionari, filosofi, storici, fumettisti, ecc…). In un modo o nell’altro coloro che abbiamo rintracciato hanno contribuito a indicare percorsi, a suggerire svolte, a portare ristoro e a orientarci nella nebbia. Non sono gli unici, naturalmente, perché la nostra è una famiglia molto allargata. Potremmo citarne almeno altrettanti, e anzi, quella dei gradi meno prossimi di parentela potrebbe già essere un’idea per una strenna futura.

Abbiamo volutamente omesso ogni indicazione biografica o bibliografica relativa ai personaggi presentati. Il bello del gioco sta proprio qui: ciascuno potrà fare eventuali ricerche di approfondimento per conto proprio.
Questo è lo spirito dei Viandanti.

Nella Galleria non hanno trovato posto figure femminili. Chiamatelo maschilismo, se volete, ma di fatto non ci è venuta in mente alcuna protagonista significativa dei nostri percorsi culturali. Questo non significa che non abbiamo incontrato donne eccezionali: significa solo che queste donne non hanno lasciato il segno. Per un difetto nostro di sensibilità, indubbiamente: ma ci sembrava terribilmente ipocrita inserirne qualcuna solo in ossequio al politicamente corretto.01a Tin Tin

P.s: Il fatto che Tintin o Milù compaiano sia in prima che in quarta di copertina non è casuale: sono tra gli antenati più nobili, non potevano mancare all’appello.

04 Bustin in mostra

Giancarlo Berardi & Ivo Milazzo

Isaiah Berlin

Camillo Berneri

Renzo Calegari

Albert Camus

Nicola Chiaromonte

Stig Dagermann. 12

Charles Darwin

Franz De Waal

Hans Magnus Enzensberger

Patrick Leith Fermor

Caspar David Friedrich

Piero Gobetti

Knut Hamsun

William Henry Hudson

Alexander von Humboldt 20

Pëtr Kropotkin

Furio Jesi

Toni Judt

Gustav Landauer

Giacomo Leopardi

Primo Levi

Jack London

Herman Melville

Albert Frederic Mummery

George Orwell

Hugo Pratt

Élisée Reclus

Mario Rigoni Stern

Albert Robida

J.D. Salinger

Camillo Sbarbaro

Erwin Schrödinger

Johann Gottfied Seume

George  Steiner

Robert Louis Stevenson

Henry David Thoreau

Sebastiano Timpanaro

Alexis De Tocqueville

Sergio Toppi

Alfred Wallace

Charles Waterton

Titn Tin con bandiera dei pirati con sfondo uniforme

Giancarlo Berardi & Ivo Milazzo

08 Ken Parker06 Milazzo05 BerardiHo impugnato il fucile per tutta la vita, eppure, il mio popolo è stato distrutto, la mia sposa torturata a morte…
Se mio figlio vivrà dovrà trovare un altro modo di combattere…Addio, “Lungo fucile” …

Isaiah Berlin

12 Isaiah BerlinGarantire la libertà ai lupi significa condannare a morte le pecore.

Non esiste alcuna istanza primaria in base a cui la verità, una volta scoperta, debba per forza essere anche interessante

11 Isaiah Berlin

Camillo Berneri

14 Camillo BerneriL’anarchismo è il viandante che va per le vie della Storia, e lotta con gli uomini quali sono e costruisce con le pietre che gli fornisce la sua epoca. Egli si sofferma per adagiarsi all’ombra avvelenata, per dissetarsi alla fontana insidiosa. Egli sa che il destino, che la sua missione è riprendere il cammino, additando alle genti nuove mete.

 

16 Camillo Berneri

Renzo Calegari

17 Renzo CalegariQuesta storia è finita come doveva, con dei vincitori e dei vinti … il mio guaio è che non appartengo né agli uni né agli altri.

19 Renzo Calegari

Albert Camus

21 Albert CamusPerché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Bisogna che si cambi in esempio.


Nicola Chiaromonte

25 Nicola ChiaromonteQuando giunge l’ora in cui la morte comincia a guardarci negli occhi con una certa continuità, e quindi noi lei, se non vogliamo distogliere lo sguardo e far finta che tutto è come prima e non c’è niente da cambiare, la domanda che per pri-ma ci si articola nella mente è: Che cosa rimane?… Rimane, se rimane, quello che si è, quello che si era: il ricordo d’esser stati “belli”, direbbe Plotino… Rimane, se rimane, la capacità di mantenere che ciò che è bene è bene, ciò che è male è male, e non si può fare che sia diversa-mente (e non si deve fare che appaia diversamente).

24 Nicola Chiaromonte

La nostra non è un’epoca di fede, ma neppure d’incredulità. È un’epoca di malafede, cioè di credenze mantenute a forza, in opposizione ad altre e, soprattutto, in mancanza di altre genuine. 

Stig Dagermann

26 Stig DagermanLe auguro due cose che spesso ostacolano il successo esteriore e hanno tutto il diritto di farlo perché sono più importanti: l’amore e la libertà.

  27 Stig Dagerman

L’inconfutabile segno della mia libertà è che il timore arretra e lascia spazio alla calma gioia dell’indipendenza. Sembra che io abbia bisogno della dipendenza per provare infine la consolazione d’essere un uomo libero, e questo sicuramente è vero.

 

Charles Darwin

30 Charles DarwinNella lunga storia del genere umano (e anche del genere animale) hanno prevalso coloro che hanno imparato a collaborare ed a improvvisare con più efficacia.

  

 

32 Charles Darwin

Lo stadio più elevato di cultura morale si ha quando riconosciamo che dovremmo controllare i nostri pensieri.

 

Franz De Waal

33 Franz de WaalTutti sanno che gli animali hanno emozioni e sentimenti, e che prendono decisioni simili alle nostre. Gli unici a fare eccezione, sembrerebbe, sono alcuni universitari. 

35 Franz de Waal

Tutto conferma la mia visione della morale “venuta dal basso”. La legge morale non è né imposta dall’alto, né dedotta da principi accuratamente razionalizzati, ma nasce da valori ben radicati, presenti da tempo immemorabile. Il più fondamentale deriva dal valore della vita collettiva per la sopravvivenza. Il desiderio di appartenenza, la voglia di capirsi, di amarsi e di essere amati ci spingono a fare tutto ciò che possiamo per restare nel miglior rapporto possibile con le persone dalle quali dipendiamo.


Hans Magnus Enzensberger

38 Han Magnus EnzesbergerLa televisione è puro terrorismo. La parola scompare, e con la parola ogni possibilità di riflessione.

39 Han Magnus Enzesberger e Umberto Eco

Negli ultimi duecento anni le società più evolute hanno suscitato attese di uguaglianza che non si possono soddisfare; e al contempo hanno fatto sì che ogni giorno per ventiquattro ore la disuguaglianza venga dimostrata su tutti i canali televisivi a tutti gli abitanti del pianeta. Ragione per cui la delusione umana è aumentata con ogni progresso.

Al perdente, per radicalizzarsi, non basta quello che gli altri pensano di lui, siano essi concorrenti o sodali… Egli stesso deve metterci del suo; deve dirsi: io sono un perdente e basta. L’estinzione non solo di altri, ma anche di se stesso, è la sua soddisfazione estrema.

 

Patrick Leith Fermor

44 Patrick Leith FermorUna magica pace vive nelle rovine dei templi greci. Il viaggiatore si adagia tra i capitelli caduti e lascia passare le ore, e l’incantesimo gli vuota la mente di ansie e pensieri molesti e a poco a poco la riempie di un’estasi tranquilla.

45 Patrick Leith FermorNon si parte per andare da nessuna parte senza aver prima di tutto sognato un posto. E viceversa, senza viaggiare prima o poi finiscono tutti i sogni, o si resta bloccati sempre nello stesso sogno.

 

Caspar David Friedrich

47 Caspar David friedrichL’unica vera sorgente dell’arte è il nostro cuore, il linguaggio di un animo infallibilmente puro. Un’opera che non sia sgorgata da questa sorgente può essere soltanto artificio.

 

49 Caspar David friedrichPerché, mi son sovente domandato, scegli sì spesso a oggetto di pittura la morte, la caducità, la tomba? È perché, per vivere in eterno, bisogna spesso abbandonarsi alla morte.


Piero Gobetti

52 Piero GobettiIl fascismo è il governo che si merita un’Italia di disoccupati e di parassiti ancora lontana dalle moderne forme di convivenza democratiche e liberali, e che per combatterlo bisogna lavorare per una rivoluzione integrale, dell’economia come delle coscienze.

51 Piero Gobetti

Nessun cambiamento può avvenire se non parte dal basso, mai concesso né elargito, se non nasce nelle coscienze come autonoma e creatrice volontà rinnovarsi e di rinnovare.

Knut Hamsun

53 Knut HamsunQuando parlo con un uomo, non ho bisogno di guardarlo per seguire esattamente quello che dice; sento subito se egli mi dà a bere qualche cosa o me ne nasconde qualche altra; la voce, credetemi, è un apparecchio pericoloso

54 Knut Hamsun

  “Amo tre cose”, dico allora.
“Amo il sogno d’amore di un tempo, amo te e amo quest’angolo di terra.”
“E cosa ami di più?”
“Il sogno.”

 

William Henry Hudson

57 William Henry HudsonProvo un sentimento d’amicizia verso i maiali in generale, e li considero tra le bestie più intelligenti. Mi piacciono il temperamento e l’atteggiamento del maiale verso le altre creature, soprattutto l’uomo. Non è sospettoso o timidamente sottomesso, come i cavalli, i bovini e le pecore; né impudente e strafottente come la capra; non è ostile come l’oca, né condiscendente come il gatto; e neppure un parassita adulatorio come il cane. Il maiale ci osserva da una posizione totalmente diversa, una specie di punto di vista democratico,

58 William Henry Hudson


Alexander von Humboldt

61 Alexander von HumboldtCi sono popoli più acculturati, avanzati e nobilitati dall’educazione di altri, ma non esistono razze più valide di altre, perché sono tutte egualmente destinate alla libertà.

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La visione del mondo più pericolosa di tutte è quella di coloro i quali il mondo non l’hanno visto.

 

Pëtr Kropotkin

65 Petr KropotkinL’evoluzione non è lenta e uniforme come si vuol sostenere. Evoluzione e rivoluzione si alternano, e le rivoluzioni – i periodi cioè di evoluzione accelerata – appartengono all’unità della natura esattamente come i periodi in cui l’evoluzione è più lenta.

 

Non appena avrai scorto un’ingiustizia e l’avrai compresa – un’ingiustizia nella vita, una menzogna nella scienzao una sofferenza imposta da altri – ribellati contro di essa!  LottaRendi la vita sempre più intensa!

66 Petr Kropotkin

E così tu avrai vissuto, e poche ore di questa vita valgono molto di più di anni interi passati a vegetare.

 

 Milioni di esseri umani hanno lavorato per creare questa civiltà, della quale oggi andiamo gloriosi. Altri milioni, sparsi in tutti gli angoli del mondo, lavorano per mantenerla. Senza di essi, fra cinquanta anni non ne rimarrebbero che le rovine.

Furio Jesi

67 Furio JesiLa cultura in cui prevale una religione della morte o anche una religione dei morti esemplari. La cultura in cui si dichiara che esistono valori non discutibili, indicati da parole con l’iniziale maiuscola, innanzitutto Tradizione e Cultura ma anche  Giustizia, Libertà, Rivoluzione. Una cultura insomma fatta di autorità e sicurezza mitologica circa le norme del sapere, dell’insegnare, del comandare e dell’obbedire. La maggior parte del patrimonio culturale, anche di chi oggi non vuole essere affatto di destra, è residuo culturale di destra.

68 Furio Jesi

Toni Judt

71 Toni JudtIl problema è che i socialisti hanno sempre nutrito una fiducia incondizionata nella razionalità degli uomini.

70 Toni Judt

Lo stile materialista ed egoísta della vita contemporánea non è inerente alla condizione umana. Gran parte di quello che a noi pare “naturale” data dalla decade del 1980: l’ossessione per la creazione di ricchezza, il culto della privatizzazione e del settore privato, le crescenti differenze tra ricchi e poveri. E, soprattutto, la retorica che li accompagna: un’acrítica ammirazione per i mercati sregolati, il disprezzo per il settore pubblico, l’illusione della crescita infinita.

 

Gustav Landauer

73 Gustav LandauerLo Stato non è qualcosa che si può distruggere con una rivoluzione, dato che esso esprime una condizione, una certa relazione tra gli esseri umani, una modalità del comportamento umano; lo possiamo distruggere solo contraendo altri tipi di relazioni, assumendo altri tipi di comportamento.

 L’anarchia non riguarda il futuro, riguarda il presente; non è questione di ciò che speri, è questione di come vivi.

 


Giacomo Leopardi

74 Giacomo LeopardiPasseggere: Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore: Speriamo.

  La ragione è un lumela Natura vuol essere illuminata dalla ragionenon incendiata. 75 Giacomo Leopardi

Primo Levi

153ab Primo LeviPerché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria?”

 

 Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.

 

Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono.

156 Primo Levi

Jack London

77 Jack LondonNon era della loro tribù, non poteva parlare il loro gergo, non poteva far finta di essere come loro. La maschera sarebbe stata scoperta e, per altro, le mascherate erano estranee alla sua natura.

78 Jack London

Dalla creazione del mondola barbarie umana non ha fatto un solo passo verso il progressoNel corso dei secolil’abbiamo soltanto ricoperta  con una mano di vernice, nient’altro.


Herman Melville

154 Herman MelvilleNoi non possiamo vivere soltanto per noi stessi. Le nostre vite sono connesse da un migliaio di fili invisibili, e lungo queste fibre sensibili, corrono le nostre azioni come cause e ritornano a noi come risultati.  

157 Herman Melville

Io sono tormentato da un’ansia continua per le cose lontane. Mi piace navigare su mari proibiti e scendere su coste barbare.

156 Herman Melville

Dell’amicizia a prima vista, come dell’amore a prima vista, va detto che è la sola vera.

 

Albert Frederic Mummery

81 Albert Frederic MummeryLa via più difficile alle cime più difficili è sempre la cosa giusta da tentare, mentre i pendii di sgradevole pietrisco vanno lasciati agli scienziati. Il Grépon merita di essere salito perché da nessuna altra parte l’alpinista troverà torrioni più arditi, fessure più selvagge, precipizi più spaventosi.
Assolutamente impossibile con mezzi leali.

 

George Orwell

85 George OrwellSapere dove andare e sapere come andarci sono due processi mentali diversi, che molto raramente si combinano nella stessa personaI pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli utopisti con la testa fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango.

  

Così come per la religione cristiana, anche per il socialismo la peggior pubblicità sono i suoi seguaci.

86 George Orwell

Ciò che le masse pensano o non pensano incontra la massima indifferenzaA loro può essere garantita la libertà intellettuale proprio perché non hanno intelletto.

 

 

Hugo Pratt

88 Hugo PrattQuelli che sognano ad occhi aperti sono pericolosi, perché non si rendono conto di quando i sogni finiscono.

89 Hugo Pratt - Corto Maltese

Forse sono il re degli imbecilli, l’ultimo rappresentante di una dinastia completamente estinta che credeva nella generosità!… Nell’eroismo…

Élisée Reclus

92 Elisée ReclusL’Anarchia è la più alta espressione dell’ordine. 

93 Elisée Reclus

Se noi dovessimo realizzare la felicità di tutti coloro che  portano una figura umana e destinare alla morte tutti coloro che hanno un muso e che non differiscono da noi che per un angolo facciale meno aperto, noi non avremmo certo realizzato il nostro ideale. Da parte mia, nel mio affetto di solidarietà socialista, io abbraccio anche tutti gli animali.


Mario Rigoni Stern

159 Mario Rigoni SternI ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia. 

 

163 Mario Rigoni SternDomando tante volte alla gente: avete mai assistito a un’alba sulle montagne? Salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgere del sole. È uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura.

 

160 Mario Rigoni SternIl tempo, nella vita di un uomo, non si misura con il calendario ma con i fatti che accadono; come la strada che si percorre non è segnata dal contachilometri ma dalla difficoltà del percorso.

 

Albert Robida

96 Albert RobidaMio caro Mandibola – diceva quasi sempre Farandola terminando – abbandono definitivamente ogni idea di riforma sociale, e mi lancio con tutte le vele spiegate, nella più vasta industria. Gli affari, il commercio, ecco ciò che mi occorre; e dal momento che le grandi imprese sono necessarie alla mia salute, avanti con le gigantesche speculazioni commerciali! 

  Il vecchio telegrafo permetteva di comunicare a distanza con un interlocutore. Il telefono permise di sentirlo. Il telefonoscopio superò entrambi rendendo possibile anche vederlo. Che si può volere di più?

99 Albert Robida

J. D. Salinger

100 J D SalingerIo sono una specie di paranoico alla rovescia. Sospetto le persone di complottare per rendermi felice.

 

101 J D Salinger - Il giovane HoldenLa più spiccata differenza tra la felicità e la gioia è che la felicità è un solido e la gioia è un liquido.

 

Camillo Sbarbaro

103 Camillo SbarbaroSe potessi promettere qualcosa
se potessi fidarmi di me stesso
se di me non avessi anzi paura,
padre, una cosa ti prometterei:
di viver fortemente come te
sacrificato agli altri come te
e negandomi tutto come te,
povero padre, per la fiera gioia
di finir tristemente come te.

 

 Nella vita come in tram quando ti siedi è il capolinea.

 Si comincia a scrivere per essere notati, si seguita perché si è noti.

105 Camillo Sbarbaro

Erwin Schrödinger

107 Erwin SchrödingerIl mondo è una sintesi delle nostre sensazioni, delle nostre percezioni e dei nostri ricordi. È comodo pensare che esista obiettivamente, di per sé. Ma la sua semplice esistenza non basterebbe, comunque, a spiegare il fatto che esso ci appare.

Se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica.

  106 Erwin Schrödinger

Johann Gottfied Seume

110 Johann Gottfied SeumeCamminare è l’attività più libera e indipendente, niente vi è di peggio che star seduti troppo a lungo in una scatola chiusa. 

113 Johann Gottfied Seume

In tutta la mia vita non mi sono mai abbassato a chiedere qualcosa che non abbia meritato, e nemmeno chiederò mai quel che ho meritato finché esistono in questo mondo tanti mezzi di vivere onestamente: e quando poi anche questi finissero, ne resterebbero alcuni altri per non vivere più.

115 Johann Gottfied Seume

 

George  Steiner

116 George SteinerTutta la metafisica è un ramo della letteratura fantastica.

Un genio degli scacchi è un essere umano che concentra doni mentali ampi e poco compresi, e lavora su un’impresa umana alla fine insignificante.

L’etichetta di homo sapiens, a parte pochi casi, probabilmente è solo un’infondata millanteria.

120 George Steiner

Robert Louis Stevenson

121 Robert Louis StevensonNon chiedo ricchezzené speranze, né amorené un amico che mi comprenda; tutto quello che chiedo è il cielo sopra di me e una strada ai miei piedi.
Io non ho viaggiato per andare da qualche parte, ma per il gusto di viaggiare.
La questione è muoversi.

122 Robert Louis Stevenson

La politica è forse l’unica professione per la quale non viene ritenuta necessaria alcuna preparazione specifica.


Henry David Thoreau

125 Henry David ThoreauNon c’è valore nella vita eccetto ciò che scegli di mettere in essa e nessuna felicità in nessun posto eccetto ciò che gli apporti tu.

126 Henry David Thoreau

Sebastiano Timpanaro

128 Sebastiano TimpanaroScrivere significa svolgere un ragionamento che deve servire a illuminare un problema e a convincere delle intelligenze. Senza esibizioni, senza narcisismi, senza trucchi o effetti speciali. Seguendo la logica e le procedure della ragione, senza gli orpelli della retorica e senza gli appelli alle emozioni. Chi scrive offre al lettore la propria coerenza di ragionamento e lo invita ad analoga coerenza.


Alexis De Tocqueville

135 Alexis De TocquevilleSe cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente all’infanzia; ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?

137 Alexis De Tocqueville 

In una rivoluzione, come in un raccontola parte più difficile è quella di inventare un finale.

 

Sergio Toppi

138 Sergio ToppiIo detesto essere chiamato artista: sono disciplinato, come tutti quelli che fanno fumetti. Considero il fumetto un lavoro molto artigianale, in certi casi di ottimo livello, ma sempre artigianale. È chiaro che non siamo pelatori di patate, è un lavoro per cui occorre una certa sensibilità, ma il fumetto rispetto a quello che viene considerato la creazione artistica è molto più severo.

 

139 Sergio ToppiIl suo lavoro tende alla perfezione, per semplice senso del dovere. Il dovere di essere sempre più bravo, il dovere di continuare ad imparare, perché non si finisce mai d’imparare a questo mondo, specie per chi si è assunto l’incarico di creare immagini, di mettere la propria fantasia e le proprie risorse al servizio degli altri.

 

Alfred Wallace

142 Alfred WallaceQuesta progressione, per piccoli passi, in varie direzioni, ma sempre controllata ed equilibrata dalle condizioni necessarie, soggette alle quali solo l’esistenza può essere preservata, può, si crede, essere seguita in modo da concordare con tutti i fenomeni presentati da esseri organizzati, la loro estinzione e successione nelle epoche passate, e tutte le straordinarie modificazioni di forma, istinto e abitudini che esibiscono.

146 Alfred Wallace

 

Charles Waterton

147 Charles WatertonMentre mi avvicinavo all’orango questi mi venne incontro a mezza strada e ci accingemmo subito ad un esame delle rispettive persone. Ciò che mi colpì più vivamente fu la non comune morbidezza dell’interno delle sue mani. Quelle di una delicata signora non avrebbero potuto essere di una grana più fine. Egli si impossessò del mio polso e scorse con le dita le vene azzurrine che vi si trovavano; io per parte mia, mi ero perso nella contemplazione della sua enorme bocca prominente. Con la massima cortesia egli lasciò che gliela aprissi, cosicché potei esaminare a mio bell’agio le sue magnifiche file di denti. Poi ci mettemmo l’un l’altro una mano intorno al collo, restando per un po’ in questa posizione.

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