Questa iniziativa è stata resa possibile dal saccheggio delle collezioni private di Gianni Martinelli, Mauro Olivieri e Paolo Repetto.
L’ideazione e la ricerca iconografica sono a cura dei Viandanti delle Nebbie.
Dei testi, della grafica (e dell’ortografia) è responsabile Paolo Repetto.
Un requiem per il fumetto western?
Quale West?
I precursori: l’illustrazione
I precursori: fumetto e pittura(1)
I precursori: fumetto e pittura (2)
I precursori: la fotografia (1)
I precursori: la fotografia (2)
Il west di casa nostra ….
… è anche un paese per vecchi ….
… per aristocratici antischiavisti ….
… per meticci e adolescenti
Poi arriva Tex…
… e il gioco si fa duro
Ci sono eroi senza pistola …
… e paladini della natura.
C’è un demone razzista e scotennato….
… un capitano di quindici anni….
… e il grande amico Blek
Ci sono eroi intrepidi, purtroppo fidanzati ….
… donne del Sud e trombettieri indiani,
… e in una frontiera di destra e di sinistra ….
… piccoli ranger crescono….
… insieme al mucchio selvaggio ….
… e a un ragazzo senza paura.
Il nome nuovo però è Kirk .
…e il nuovo nemico è la tivù …
… mentre tra pemmican e spaghetti ….
… con lupi e falchi sui grandi laghi ….
… dove regna lo spirito con la scure
… si aprono nuovi spazi….
… verso il passaggio a nord-ovest
E dopo la leggenda, la Storia
Si moltiplicno i giustizieri mascherati….
… ma c’è crisi di eroi:
si guarda oltre frontiera ….
… e si celebrano i Protagonisti
L’uomo dal lungo fucile ….
“Uomini”, quindi avventure….
… ma anche donne….
… e tutti gli altri
È un lungo crepuscolo ….
…che chiude mezzo secolo di sogni
Desiderio di diventare un indiano
… e gli scenari
Campo lungo
Il viaggio
I compari
Gli antagonisti
Le donne
Gli indiani
Il cavallo
Gli animali
Gli oggetti
Il duello
Il bivacco
La parodia
Cinema e fumetto
I libri
Catalogo della mostra che si svolse presso:
la Biblioteca Comunale di Ovada dal 12 al 26 novembre 1995;
- l’Istituto Tecnico “L. Einaudi” – Sez. Staccata di Campo Ligure dal 26 ottobre al 3 novembre 2002;
- il Centro Comunale di Cultura di Valenza dal 24 maggio all’11 giugno 2011.

Un requiem per il fumetto western?
Miki è entrato di soppiatto in una cantina polverosa, dove Salasso e Doppio Rhum stanno seduti a terra, schiena contro schiena, legati come salami. Intima loro di tacere e si avvicina per scioglierli: ma alle sue spalle spunta un braccio, e la mano impugna una pistola. “Su le mani, moccioso. Questa volta sei mio!” (continua)
Così, una settimana dopo l’altra. Se non era il perfido Magic Face erano indiani, messicani, cinesi col codino, oppure coccodrilli o serpenti a sonagli. Nell’ultima vignetta di ogni albo i nostri eroi finivano immancabilmente nei guai. E per sette giorni non c’era verso a sapere come se la sarebbero cavata, anche se avevamo pochi dubbi che ce l’avrebbero fatta.
Siamo cresciuti all’insegna del (continua). Nell’idea che ci sarebbe stato un futuro e nel desiderio di affrettarlo. Quel (continua) ci spronava a guardare avanti e a riempire con la fantasia i tempi tra un albo e l’altro: a costruirci noi la storia, prima ancora che qualcun altro ce la raccontasse. D’altro canto non avrebbe potuto andarci male, a noi e al mondo, se potevamo contare su gente come Blek Macigno.
Il fumetto western ci raccontava questo. Traduceva in vignette le foreste, le praterie, i canyons che avevamo percorso al cinema insieme a Shane e a Ringo e avremmo ritrovato nei libri di Curwood o di Zane Gray; ma dilatava e apriva all’infinito l’avventura. Cambiavano gli spazi e i nemici e i pericoli, ma si moltiplicavano le possibilità di rileggerla e di riviverla, o di farla vivere a chi se l’era persa. Ed era un’avventura alla nostra portata: non erano necessari superpoteri, era sufficiente possedere il coraggio di Pecos Bill, acquisire una mira come quella di Tex o costruirsi muscoli come quelli di Blek. Con un po’ di impegno si poteva fare.
Su quei fumetti abbiamo imparato a leggere, qualcuno anche a scrivere, ma soprattutto a sognare. E a distinguere tra buoni e cattivi, tra coraggio e viltà, tra lealtà e tradimento. Quanto più la scuola, la famiglia e la chiesa li mettevano all’indice, tanto più diventavano, per contrasto, la nostra bibbia. Abbiamo imparato a ribellarci, almeno per un attimo, all’idea che tutto fosse già scritto, e che noi fossimo solo comparse in uno spettacolo di cui ci sfuggiva il senso.
È durata poco. Lo spazio di due generazioni. Poi è arrivata la televisione, che ha imposto prima i tempi brevi dei telefilm e successivamente quelli rapidi degli spot.
Abolito il (continua), le storie sono diventate autoconclusive e lo spazio del sogno è stato invaso da surrogati insulsi ed effimeri. Il fumetto è invecchiato assieme a noi; forse per questo ne sentiamo così forte l’appartenenza generazionale e la nostalgia. E quest’ultima non riguarda solo la nostra adolescenza: in realtà rimpiangiamo la speranza in un mondo che vedesse trionfare sempre la verità e la giustizia, e nel quale persino i cattivi conservassero una loro pur malvagia dignità.
Niente funerali, però. Ci sono cose che non muoiono mai: cambia il sogno, ma rimangono i sognatori. E a loro, a quelli che anche senza aver letto i nostri fumetti continuano testardamente a coltivare l’utopia di Ken Parker, dedichiamo questa mostra. Non siete soli, ragazzi: l’avventura, malgrado tutto (continua).
Quale West?
Come accade per ogni altra storia, anche quella del fumetto non può essere che parziale. Anzi, in questo caso la parzialità è quanto mai accentuata, diventa quasi un criterio, tanto pesano le affezioni, le simpatie, le memorie e i sogni legati a strisce e personaggi particolari.
Per questo motivo, oltre che per gli oggettivi problemi di disponibilità dei materiali, il nostro è un percorso segnato da scelte ed esclusioni. Ciò spiega, anche se non giustifica, alcune assenze, speriamo non troppe e non troppo clamorose.
I precursori: l’illustrazione

Il fumetto non nasce dal nulla. È l’erede della tradizione antichissima del racconto per immagini, che dai geroglifici è discesa attraverso le metope del Partenone, la Colonna Traiana, gli affreschi seriali di Giotto, sino alle illustrazioni dei libri ottocenteschi. Vi risparmiamo i primi tremila anni e ci limitiamo a proporre alcune delle fonti alle quali hanno attinto suggestioni, ambientazioni, fisionomie, costumi e tecniche espressive i primi (ma non solo essi) autori di bande disegnate a soggetto western. Si va dalle cartoline di Frederic Remington alle litografie dell’ “Harper’s Weekly”, dalle illustrazioni dei libri salgariani ai manifesti degli spettacoli di Buffalo Bill, dalle locandine dei film western degli anni trenta alle foto d’epoca. Tutto questo materiale viene rifuso nel fumetto in una miriade di combinazioni, viene messo in movimento, acquista una voce: parla al nostro immaginario in un linguaggio proprio, diverso da quello del cinema, della letteratura o della musica.
I precursori: fumetto e pittura(1)
Tra le fonti di ispirazione del fumetto western un ruolo di primo piano occupa indubbiamente l’opera dei pittori americani “della frontiera”. Poco conosciuti in Italia sino a qualche decennio fa, questi artisti non sono affatto dei “minori”.
Al contrario, le loro scelte hanno segnato l’uscita della pittura nord-americana dalla sudditanza nei confronti di quella europea.
Sia i grandi paesaggisti, da Bierstadt a Gifford, come gli illustratori della vita di frontiera, da Catling a Remington, a Farny, a Russel, hanno contribuito a diffondere la conoscenza di un ambiente splendido e selvaggio e delle popolazioni fiere e bellicose che lo abitavano, e a corredare al tempo stesso di un alone mitico e leggendario la recente epopea del popolo americano.
I precursori: fumetto e pittura (2)
Il loro influsso si è esercitato sul fumetto italiano in tempi e modi diversi: dapprima attraverso la mediazioni dell’iconografia di genere, quella che proliferava nelle riviste di narrativa western nel primo quarto del secolo, in seguito tramite la diretta conoscenza degli originali, dai quali sono venute alle ultime leve dei disegnatori non poche suggestioni e lezioni espressive.
Questo slideshow richiede JavaScript.
I precursori: la fotografia (1)
Le figure scolpite dal nitrato d’argento, le pose innaturalmente immobili, imposte dai tempi di impressione della lastra, gli occhi spiritati che paiono guardare oltre il tempo: le testimonianze fotografiche del mondo della frontiera ci rimandano un’immagine ben più prosaica di quella elaborata dalla nostra fantasia.
Il terribile Geronimo è piccolo e tozzo, Billy the Kid non è molto diverso dal bisnonno materno, squallide baracche sorgono in luogo dei fastosi “saloons” cinematografici, le vie della città sono fiumi di fango solcati dalle carreggiate.
I precursori: la fotografia (2)
È come se il mito fosse fotografato ai raggi X, e rivelasse sotto l’epidermide leggendaria solo ossa e visceri. Eppure anche alla fotografia il fumetto western è debitore. Il nuovo corso, la rilettura decisamente realistica proposta dall’ultima generazione di sceneggiatori e disegnatori, partono proprio dalla maggiore consuetudine con la documentazione fotografica, con il bianco / e / nero implacabile che relega nel passato uomini e cose, e mette le briglie al nostro colorito immaginario.

Il west di casa nostra …
I primi fumetti di ambientazione western realizzati da autori italiani sono trascrizioni dai romanzi di Salgari: ULCEDA di Guido Moroni Celsi (1935 su I tre porcellini), ma soprattutto ALLE FRONTIERE DEL FAR-WEST (L’Audace, 1936) e LA SCOTENNATRICE (Topolino, 1937), ridotti da Rino Albertarelli, conservano intatti il fascino esotico e il ritmo incalzante del serialista veronese.
Altrettanto avvincenti risultano le riduzioni dei racconti del più dotato tra gli emuli di Salgari, Luigi Motta. Sceneggiato da Chiarelli e disegnato da Vicchi, L’OCCIDENTE D’ORO anticipa, soprattutto nella tecnica espressiva, molte delle serie post-belliche.
… è anche un paese per vecchi …
Il primo personaggio originale creato per il fumetto è invece il KIT CARSON di Albertarelli (Topolino, dal 1937), ripreso successivamente dal Walter Molino su testi di Federico Pedrocchi
. Nelle splendide tavole di Albertarelli, Carson appare come un eroe crepuscolare, piuttosto attempato, anche se ancora vitalissimo, caratterizzato da una perfetta pelata e da baffoni spioventi. Sembra vivere le sue avventure controvoglia trascinato dalla ribalderia degli avversari più che dai ruggiti dello spirito guerriero: un moderno e disilluso Don Chisciotte della prateria, con a fianco Sancio – Zio Pam.
… per aristocratici antischiavisti …
Dopo la parentesi bellica, sulla scia dell’entusiasmo per tutto ciò che concerne l’America e la sua recente mitologia, si assiste ad una vera e propria fioritura di storie e personaggi legati al western. Uno dei primissimo giornalini a fumetti a comparire nelle edicole è proprio Il Cowboy (1945) che contiene storie di Gian Luigi Bonelli e di Albertarelli, ma regge la concorrenza per un solo anno.
Nello stesso 1945 appare sul rinato Intrepido LIBERTY KID, firmato da Luigi Grecchi e Stefano Toldo (una seconda serie, disegnata da Lina Buffolente, parte sulla stessa rivista nel 1951). Kit Fiermont, il protagonista, riprende uno stereotipo già diffuso nel cinema western americano, quello del giovane aristocratico sudista che sceglie, per coerenza con le idee antischiaviste, di combattere per l’Unione.
… per meticci e adolescenti
L’anno di grazia è il 1948. Compaiono su autonomi albi settimanali eroi destinati a notevole (anche se di diversa durata) fortuna. KANSAS KID, di A. Saccarello e Carlo Cossio, è un mezzo indiano, figlio di una principessa pellerossa: e ciò comporta che i Nativi Americani vengano rappresentati in questa storia in un’ottica scevra di pregiudizi, anzi, ad essi decisamente favorevole.
Come Kansas Kid, anche IL PICCOLO SCERIFFO (testi di T. Torelli e disegni di Dino Zuffi) persegue la cattura degli assassini del padre. Kit è il primo di una lunga serie di eroi perennemente adolescenti, nel quale si identificheranno per quasi due decenni i più giovani lettori. Le sue vicende risultano, malgrado le ingenuità e l’essenzialità del disegno, stranamente credibili e coinvolgenti.
Poi arriva Tex….
Di stampo ben diverso appare Tex Willer, protagonista della COLLANA DEL TEX (dal settembre 1948 con testi di G. Bonelli e disegni di Aurelio Galeppini). Rude nei modi e nel linguaggio, veloce con le mani e con la pistola, Tex è un giustiziere che combatte da un lato ogni sorta di farabutti, dall’altro le pastoie dei formalismi burocratici e legalitari.
… e il gioco si fa duro
Entra in scena come fuorilegge (sia pure ingiustamente accusato) e prosegue come ranger la sua interminabile carriera, senza mai lasciarsi inquadrare, imponendo un suo codice, tanto rigoroso eticamente quanto spiccio nell’applicazione.
Ha preceduto di oltre vent’anni i vari Callagan e Rambo, per non parlare di Ringo e Django e del “pistolero senza nome” di Sergio Leone. Sposato con la figlia di un capo Navajo, padre di un mezzo sangue, capo a sua volta della tribù (come Aquila della Notte), Tex è dalla parte degli indiani molto prima che Hollywood dia inizio all’opera di revisione storica della conquista del west.
Con una simile caratterizzazione è normale che sull’eroe di Bonelli si appuntino subito gli strali di censori, educatori e benpensanti vari, che con notevole lungimiranza ne colgono la portata trasgressiva e “diseducativa” (chi nasce e cresce con Tex ha vent’anni nel ‘68!).

Ci sono eroi senza pistola ….
Se Tex rappresenta la svolta “neorealista” del fumetto italiano, PECOS BILL (testi di Guido Martina, disegni di Raffaele Paparella, Gino D’Antonio, Dino Battaglia, Roy D’Ami ed altri, in edicola dal 1949) è invece l’erede di Tom Mix e dei cavalieri senza macchia del western americano degli anni trenta. Non usa armi da fuoco (che sostituisce egregiamente col lazo), non uccide i nemici (che provvedono da soli a precipitare nei burroni, a farsi travolgere dalle rapide, a cercarsi comunque la rovina) e agisce in un’atmosfera quasi incantata, surreale, sdrammatizzata anche dalle figure comiche dei comprimari (tra i quali un esilarante Davy Crockett).
… e paladini della natura
Sempre nel 1949 Roy D’Ami inaugura con I TRE BILL una lunga serie di personaggi destinati a discreta fortuna. Tra i disegnatori troviamo D’Antonio e un giovanissimo Renzo Calegari. I Tre Bill anticipano le triadi familiari di diversi telefilm americani (vedi Bonanza): il forzuto bonaccione, il tiratore freddo ed infallibile, il ragazzone simpatico e cercaguai.
Ai Tre Bill faranno seguito IL SERGENTE YORK (1954), che vede l’omonimo protagonista guidare una scombinata “legione straniera del west”, e soprattutto LA PATTUGLIA DEI BUFALI (1956), una sorta di polizia ecologica antelitteram, impegnata a salvaguardare l’unica risorsa degli indiani delle pianure dallo sterminio dissennato e a denunciare l’uso strategico che di tale sterminio fanno le alte sfere.
C’è un demone razzista e scotennato…
Nel 1950 esordisce un’altra delle firme classiche del fumetto western nostrano, EsseGiEsse (Sinchetto, Guzzon, Sartoris). Il primo personaggio proposto è KINOWA, su testi di Andrea Lavezzolo. La vicenda risulta decisamente cruda rispetto agli standard dell’epoca. Sam Boyle, sopravvissuto al massacro della sua famiglia e allo scotennamento, si dedica a tempo pieno alla vendetta, celandosi sotto un’orribile maschera a metà tra il satanico e l’alieno (verde, con protuberanze cornee). Terrorizza gli indiani e li liquida in serie, sino a quando (forse anche con l’aiuto della censura) scopre che proprio un suo figlio (Silver Jack) è stato allevato dai Pellerossa e ne condivide senza rimpianti la vita e le usanze.
… un capitano di quindici anni…
Il successo arride all’ElleGiEsse con CAPITAN MIKI (1951). Opportunamente orfano, capitano dei rangers a 16 anni, Miki incarna il sogno di tutti gli adolescenti. Ha due incredibili amici (Salasso e Doppio Rhum), la fidanzata un po’ petulante, scorazza per il west raddrizzando i torti, senza fare distinzione tra pellerossa e banditi di ogni risma. Ferisce invariabilmente gli avversari al braccio o alla gamba, così da non avere morti sulla coscienza (salvo infezioni!). È la risposta soft a Tex, e come tale incontra anche una tollerante approvazione dei genitori (non ancora, come tutti i fumetti, quella degli educatori: risulta il maggiormente sequestrato nelle aule scolastiche).
… e il grande amico Blek
Il personaggio successivo creato dalle matite del terzetto è IL GRANDE BLEK, dal 1954. L’ambientazione particolare (le foreste orientali americane di metà settecento), i muscoli alla Swarzenegger, il giubbotto smanicato quattro-stagioni, una palese misoginia (Blek non ha la fidanzata e le poche figure femminili sono marginali, quando non d’intralcio all’azione), fanno del formidabile trapper l’eroe puro, l’amico che si vorrebbe al proprio fianco nelle scazzottate e nei vagabondaggi.
Favorito dalla incredibile dabbenaggine degli avversari, tanto perfidi quanto sprovveduti (la rappresentazione delle Giubbe Rosse inglesi è degna di un reduce di El Alamein), Blek è specialista nell’usare gli stessi come clava, o nell’addormentarli facendone cozzare assieme le zucche.
Ci sono eroi intrepidi, purtroppo fidanzati …
Sulle pagine dell’Intrepido ha nel frattempo (dal 1951) fatto il suo esordio il BUFALO BILL di Grecchi e Cossio. L’eroe dal pizzetto e dalla lunga chioma, ispirato fisicamente ad Errol Flynn, debutta come pistolero vendicando naturalmente il padre, e diventa protagonista di chilometriche avventure, particolarmente accurate nell’intreccio.
In all
egato alla stessa rivista compare, sempre dal 1951, ROCKY RIDER, creato dallo stesso Grecchi per i disegni di Mario Uggeri. Il personaggio entrerà successivamente a far parte del cast de Il Monello. Bello, buono, bravo con la pistola, Rocky riesce a non risultare stucchevole per la varietà delle situazioni che affronta e per un certo taglio cinematografico delle storie.
… donne del Sud e trombettieri indiani,
Il gradimento manifestato dai giovani lettori per i primi eroi western produce nel corso degli anni cinquanta una vera e propria clonazione. Sull’onda del successo di Pecos Bill, Guido Martina scrive a partire del 1952 le storie di OKLAHOMA (disegnate da uno staff comprendente Papparella, Battaglia e Leone Cimpellin). Protagonisti sono un piccolo trombettiere pellerossa (erede di Gunga Din), una bella ragazza e un biscazziere dal cilindro a tubo di stufa, decisamente schierati per il sud confederato e per i valori tradizionali dell’onore e della bandiera, neanche troppo larvatamente ispirati alle eroine dei romanzi di Josè Mallorqui.
Altri attori, ma stessi scenari, sono quelli offerti da una miriade di pubblicazioni, spesso di effimera durata, che al modico prezzo di venti lire consentono agli adolescenti di evadere dall’Italia della ricostruzione. È una sorta di serie B del fumetto, quella che permette a ciascuno di ritagliarsi passioni e idoli esclusivi.
… e in una frontiera di destra e di sinistra …
Una fucina di ottimi soggettisti e sceneggiatori, anche di storie western, si rivela nei primi anni cinquanta la rivista cattolica Il Vittorioso, edita già dal 1937, ma completamente rinnovata nel dopoguerra sia nella grafica che nell’impostazione. Non impone personaggi cult, ma propone storie pregevoli realizzate con una tecnica accurata da disegnatori del calibro di Franco Caprioli e Renato Polese.
Sull’altro fronte, quello della sinistra, la risposta al Vittorioso viene da Il Pioniere (dal 1949). Il clima di guerra fredda e il rigoroso antiamericanismo non favoriscono la pubblicazione di fumetti western, ma suggeriscono piuttosto una documentata rilettura (in chiave di denuncia dell’imperialismo yankee) della storia della conquista del west.
… piccoli ranger crescono…
Lavezzolo e Francesco Gamba creano nel 1958 IL PICCOLO RANGER, emulo di Capitan Miki in tutte le fasi della carriera, nonché nell’impostazione scanzonata e umoristica delle storie. Questo aspetto viene anzi accentuato, con la moltiplicazione delle figure comiche di contorno e con il rilievo ad esse accordato nell’economia della vicenda.
Gli emuli dei piccoli sceriffi sono comunque decine. Tra i più fortunati, per un breve periodo, c’è TIMBERGEC, ranger del Texas a metà strada tra Tex e Miki. Ma l’eccesso di concorrenza, più che la cattiveria dei nemici, rende difficile la sopravvivenza sua e degli altri innumerevoli eroi dell’appuntamento settimanale.
… insieme al mucchio selvaggio …
Una miniera inesauribile si rivela G.L. Bonelli, che si sbizzarisce a proporre nuovi personaggi sul vecchio scenario, avvalendosi dei migliori disegnatori della piazza.
Si va da RIO KID (1953, di Roy D’Ami) a YUMA KID (1953, disegnato da Uggeri), a EL KID (1955 con Battaglia, Calegari, D’Antonio) a DAVY CROCKETT (1956, disegni di Calegari) a HONDO (1956, disegni di Franco Dignotti) sino a KOCISS (1957, disegni di Emilio Uberti).
… e a un ragazzo senza paura
Esordisce anche il delfino, Sergio Bonelli, che firma come Nolitta le storie di UN RAGAZZO NEL FAR-WEST. Molti di questi eroi hanno un’origine cinematografica, ma nello sviluppo delle storie finiscono per somigliare sempre e soprattutto all’archetipo Tex. La loro realizzazione è stata comunque un’ottima palestra per autori destinati a trovare successivamente un segno grafico originale ed una spiccata identità.
Il nome nuovo però è Kirk .
Nel 1953 è intanto nato, dalla collaborazione di Hugo Pratt e di Hector Oestherheld, IL SERGENTE KIRK. Ancora un personaggio fortemente anticipatore rispetto agli stereotipi cinematografici dell’epoca. Il Sergente Kirk salta lo steccato cinquant’anni prima di Kevin Costner, e combatte fianco a fianco con gli indiani contro la civiltà colonizzatrice dei bianchi. La storia, dagli intrecci avvincenti, esce dapprima in Argentina e viene ripresa negli anni sessanta sul Corriere dei Piccoli.
Sempre in collaborazione con Oestherheld, Pratt realizza nel 1957 lo splendido TICONDEROGA, ambientato nelle foreste dell’America Settentrionale all’epoca delle guerre franco-inglesi, e decisamente estraneo agli schemi convenzionali che avevano governato il fumetto sino a quel momento. Il giovane protagonista ed i suoi compagni imparano sulla propria pelle quanto crudele ed assurdo sia ogni conflitto, e come sia stupido pensare che la ragione stia dalla parte di uno dei contendenti.

…e il nuovo nemico è la tivù …
Tra la metà degli anni cinquanta e i primi sessanta il fumetto va incontro ad una crisi d’identità e, conseguentemente, d’idee. La televisione si appresta a diventare il principale veicolo dell’immaginario; sottrae tempo e attenzione alla lettura e modifica i ritmi e i modi della percezione, soprattutto di quella adolescenziale. Sul piccolo schermo l’avventura è concentrata nei tempi brevi dei telefilm (da Rintintin a Bonanza) e rende obsolete le interminabili saghe degli eroi di carta, insostenibile l’appuntamento settimanale con poche tavole non autoconclusive.
… mentre tra pemmican e spaghetti …
A partire dalla metà del decennio il successo dello “spaghetti-western” promuove valori e tempi d’azione ben lontani da quelli rintracciabili in Miki e nel Piccolo Sceriffo. Non mancano le serie destinate ad un duraturo successo, ma l’esigenza di stimoli nuovi non trova ancora un’ adeguata risposta.
Paradossalmente, proprio nel periodo in cui al fumetto comincia ad essere riconosciuta una dignità culturale (la lettura semiotica di Umberto Eco), esso in realtà va perdendo il ruolo di referente educativo primario per la gioventù: diventa adulto assieme a quella generazione che ne ha decretato il successo nel dopoguerra, e come essa perde l’ingenuità e la capacità di sognare.
… con lupi e falchi sui grandi laghi …
Nel primi anni sessanta sono ancora gli autori della vecchia guardia a proporre nuovi personaggi. L’EsseGiEsse tenta di ripetere il successo di Miki e Blek editando nel 1960 un KIT CARSON formato albo, contenente, oltre alle avventure del titolare della testata, storie autoconclusive di Buck Jones (che escono anche su una testata autonoma) e di Davy Crockett. L’accoglienza è piuttosto tiepida.
Miglior fortuna arride invece a IL COMANDANTE MARK del 1966, ideale prosecuzione delle avventure di Blek Macigno, trasferite sui Grandi Laghi. La serie accentua la connotazione umoristica, evidenziata già dai tratti fisici attribuiti ai comprimari.
Da segnalare anche la saga di FALCO BIANCO, di Onofrio Bramante, pubblicata a partire dal 1961 in appendice agli albi di Blek e ingiustamente trascurata nelle storie del fumetto. Rispetto alle vicende degli eroi dell’EsseGiEsse c’è un tentativo di ambientazione storica più convinto. L’eroe eponimo, Falco Bianco, è ricalcato sulla figura del Maggiore Rogers di “Passaggio a nord-ovest”, ma i suoi fedeli amici, gli indiani Penobscoot, sono visti sotto una luce ben diversa.
… dove regna lo spirito con la scure
Il personaggio più decisamente nuovo è però centrato ancora dalla banda Bonelli, che pubblica a partire dal 1961 ZAGOR. A fianco di S. Bonelli lavorano Alfredo Castelli e Tiziano Sclavi, futuri autori rispettivamente di Martin Mystère e Dylan Dog, e la loro presenza è percepibile nell’ironia dissacratoria di cui sono condite le vicende, che spesso sconfinano nelle dimensioni della fantascienza e del mistero. Lo “spirito con la scure” è già figlio della televisione e combatte, prima che con i muscoli, con l’abilità illusionistica.
Altri eroi proposti da Bonelli, come JUDAS, IL GIUDICE BEAN, LOBO KID e RIVER BILL, non si scostano dal modello Tex e incontrano un’accoglienza piuttosto tiepida.
La risposta dell’editrice Araldo a Zagor è ALAN MISTERO (1966), della premiata ditta EsseGEsse, che mescola i chiché di Blek e del comandante Mark, compresi i due compari, senza però ripeterne il successo. Le novità stanno nei capelli rossi dell’eroe e nella sua abilità di trasformista, oltre che di pistolero.
… si aprono nuovi spazi…
L’inflazione di rangers e di sceriffi che scorrono le praterie e i deserti del sudovest spinge gli autori a cercare spazio nel grande Nord. Le foreste del Canada o le Montagne Rocciose offrono a trappers e giubbe rosse la possibilità di avventure inedite in un ambiente suggestivo e di rapporti con tribù indiane tanto pittoresche quanto poco conosciute. Dopo Salgari e Zane Grey vengono saccheggiati London e J. O. Curwood, e i vari Davy Crockett e JimBridger preparano la strada al successo cinematografico di Jeremy Johnson e del suo clone a fumetti, Ken Parker.

… verso il passaggio a nord-ovest
La stessa ambientazione spazio-temporale, le foreste del nord-est americano nel settecento, ma una qualità e una finalità di superiore livello, caratterizzano le vicende di FORT WEELING (1962) ancora di Pratt e Oestherheld. La precisa e documentata ricostruzione storica dei personaggi, degli eventi, dei costumi, che nulla toglie al ritmo e al fascino delle avventure, risponde alle esigenze di un pubblico di lettori non più adolescenti. Chi ha imparato ad amare certi luoghi e certi periodi storici attraverso Blek e i rangers di Rogers vede ora giustificata la continuità della sua affezione a quell’immaginario in una riproposta più matura, più raffinata culturalmente e non per questo meno coinvolgente.

E dopo la leggenda, la Storia
Sempre a Bonelli va però il merito di aver pubblicato, a partire dal 1967, una delle serie western più interessanti della seconda età del fumetto, la STORIA DEL WEST. Ideata da D’Antonio e Calegari, e disegnata, oltre che dai due autori, da Polese e Sergio Tarquinio, la saga racconta lungo 75 episodi quasi un secolo di storia della frontiera. Il filo conduttore è rappresentato dalle vicende della famiglia Mc Donald, i cui componenti, nelle successive generazioni, si trovano ad essere protagonisti o spettatori di tutti i principali eventi alla base del mito del west. Alla qualità dell’immagine e alla vivacità degli intrecci fa riscontro l’assoluta fedeltà della ricostruzione storica, talmente accurata da rendere la Storia del west il miglior saggio pubblicato in Italia sull’argomento.
Si moltiplicno i giustizieri mascherati…
Nel 1961 esordisce nel genere western un autore destinato a dare migliori prove in altri ambiti, Luciano Secchi (alias Magnus). Con MASCHERA NERA (disegni di Paolo Piffarerio) propone un mixage fra il classico Zorro, il più recente El Coyote, serial romanzesco di José Mallorqui, che ha conosciuto un certo successo negli anni cinquanta, e le suggestioni dei vari supereroi dalla doppia identità. Ringo Rowandt è un avvocato di frontiera che combatte l’ingiustizia col codice, sin che può, ma che ricorre alle armi e ad un piuttosto improbabile travestimento non appena constata l’impotenza della legge.
Dal 1965, sempre in coppia con Piffarerio, Magnus scrive le storie di EL GRINGO, giustiziere solitario figliato direttamente dal western all’italiana, freddo e deciso fino alla spietatezza, ma pur sempre romantico.
Un ennesimo vendicatore mascherato è EL COYOTE, che nulla ha a che vedere con l’eroe dei romanzi di Mallorqui, mentre vanta una strettissima parentela con Kinowa, con EL BRAVO e con CONDOR GEK. La storia dello scotennato a caccia di indiani ha tutti i crismi per trasferire anche sulla carta il compiacimento quasi sadico per il sangue e la violenza tipico dello spaghetti-western.
… ma c’è crisi di eroi:
La situazione di stallo nella quale viene a trovarsi la produzione fumettistica di questo periodo è testimoniata da due fenomeni: la crisi delle grandi testate tradizionali, dall’Intrepido al Monello, dal Corrierino dei Piccoli al Vittorioso, e il declino degli eroi protagonisti a cavallo di metà novecento. Si esauriscono le serie di Pecos Bill, Miki, Il Piccolo Sceriffo, Blek, Il Piccolo Ranger, che conoscono periodiche ristampe ma perdono l’affezione dei lettori. Le case editrici più importanti raccolgono materiale vecchio in albi autoconclusivi, riciclando talvolta anche storie di qualità che non avevano incontrato il meritato successo. È il caso della Dardo, che pubblica AVVENTURA GIGANTE, con storie di personaggi diversi disegnate dalle migliori matite italiane.
L’editrice Universo tenta il rinnovamento sostituendo i personaggi tradizionali (Bufalo Bill, Rocky Rider) con storie di taglio più moderno, come I LARAMY DELLA VALLE (di Erio Nicoli) sul Monello, e CUORE D’ARGENTO sull’Albo dell’Intrepido (dal 1964). Le nuove serie propongono tagli psicologici più sfumati e una maggiore attenzione ai problemi umani e sociali, sulla linea del tardo western hollywoodiano, ma come questo riescono poco appassionanti e stentano a decollare.
si guarda oltre frontiera …
La svolta già inaugurata dalle opere di Pratt e di D’Antonio, oltre che dalla politica editoriale della Bonelli, si completa negli anni settanta. C’è intanto una maggiore attenzione per le scuole straniere, soprattutto per quella argentina e per quella franco-belga, i prodotti migliori delle quali compaiono sia sulle testate tradizionali (Corrier Boy, ex Corriere dei Ragazzi), sia su quelle nuove, innumerevoli, che fioriscono sull’onda del successo di Linus ed Eureka.
C’è la maturazione dei grandi talenti formatisi alla scuola bonelliana, da Calegari a Berardi e Milazzo, e il ritorno di maestri come Albertarelli. Ma c’è soprattutto una definizione di campo più precisa, uno status nuovo per il fumetto, che si propone ora esplicitamente a tutte le fasce d’età, e può operare le scelte conseguenti di linguaggio e di ambizione artistica e culturale.
… e si celebrano i Protagonisti
Proprio il decano degli illustratori italiani, Rino Albertarelli, mette mano a partire dal 1974 a quello che è stato il progetto di una vita, la serie de I PROTAGONISTI, edita dalla Bonelli. In dieci albi l’autore, che cura sia i testi che i disegni, ricostruisce con minuziosa precisione storica vita e avventure dei più leggendari personaggi del west, da Toro Seduto a WyattEarp, corredando la storia di una presentazione e di una rigorosa bibliografia. È il testamento spirituale del padre del fumetto western italiano, ma è anche un legato di professionalità e di stile trasmesso ai suoi eredi.
L’uomo dal lungo fucile …
La lezione di Albertarelli non va perduta. A raccogliere il testimone sono soprattutto Giancarlo Berardi ed Ivo Milazzo, che propongono a partire del 1977 la saga di KEN PARKER, per le edizioni Bonelli. Ispirato nella fisionomia al Robert Redford di “Jeremiah Johnson”, Ken ne mutua anche i tratti psicologici e, nelle prime storie, l’ambientazione. Ben presto però si libera di ogni sudditanza e percorre, nel corso delle 59 tappe della prima serie, tutti gli itinerari topici del west, e qualcuno anche totalmente nuovo, rivitalizzando il genere con un’attenzione inedita alla psicologia, con un dialogo di livello hemingweiano, con un taglio delle immagini ed uno sviluppo delle sequenze decisamente cinematografico, con un gioco accattivante di citazioni sia filmiche che letterarie.

… è un eroe d’altri tempi …
Gli autori si rivolgono ad un pubblico colto, bibliofilo e cinefilo, progressista nella militanza sociale, ma intimamente conservatore per quanto concerne i valori più profondi. Il realismo delle immagini e delle situazioni è solo apparente, perché è il realismo dello schermo: ciò che viene rappresentato è il sogno ad occhi aperti, la fantasia di liberazione in spazi e tempi altri, che aiuta a sopravvivere in questi. Una seconda serie delle avventure di Ken ha cominciato ad apparire sul Ken Parker Magazine, vera e propria rivista che presenta anche altre storie, ma che fonda il suo successo sull’eroe dal Lungo Fucile.
… che apre la strada ai nuovi
Firmata dagli stessi Berardi e Milazzo e dal rientrante Calegari appare nel 1978 una serie di brevi episodi, WELCOME TO SPRINGVILLE, che ha come protagonista non un personaggio fisso, ma una piccola città della frontiera. Il risultato grafico è di altissimo livello, e le storie dimostrano come anche attraverso il fumetto si possano scrivere pagine di autentica dignità letteraria. Il risultato qualitativo di queste tavole è senz’altro di eccezione, ma testimonia di un generale innalzamento delle ambizioni artistiche di chi opera nel settore.
La riprova è data da una serie di piccoli capolavori prodotti dalle più recenti leve del fumetto western. Il BOONE di Calegari, ad esempio, comparso negli anni ottanta sul Giornalino, propone tavole degne di entrare nella tradizione dei grandi maestri della pittura di frontiera, da Remington a Russell.
“Uomini”, quindi avventure…
I trenta volumi usciti a partire dal 1976 per la collana UN UOMO UN’AVVENTURA rivisitano tutti i generi dell’avventura, da quelli più classici a quelli meno frequentati, sempre inseriti in un contesto storico estremamente realistico. Cinque di queste vicende, che raccontano di eroi, di antieroi e di poveri cristi coinvolti loro malgrado dalla Storia, e sono scritte e disegnate da maestri come Pratt, Battaglia, Albertarelli, Manara e Toppi, rientrano nell’epopea della frontiera americana e rimangono tra i classici del genere.


… ma anche donne…
Un discorso analogo si può fare per Paolo EleuteriSerpieri, che esordisce sulla rivista Skorpio nel 1976 e realizza successivamente, per le edizioni de L’isola trovata e di Orient Express, degli autentici gioielli come L’INDIANA BIANCA o le STORIE DEL WEST.
Anche Milo Manara compie le sue incursioni nel genere western con L’UOMO DI CARTA (apparso prima in Francia, su Pilot, dal 1978), ma soprattutto con TUTTO RICOMINCIO’ CON UNA ESTATE INDIANA (apparso su Corto Maltese dal 1983) con testi di Pratt. L’ambientazione di questa storia è in realtà marginale al western classico (siamo nella Nuova Inghilterra della metà del seicento), ma la rendono tale lo spirito, la presenza degli indiani, la concitazione degli eventi.

… e tutti gli altri
La presenza nel western di veri e propri artisti dell’illustrazione non deve far dimenticare che alle loro spalle lavora una folta schiera di ottimi artigiani, in grado di produrre materiale di buona fattura e in qualche misura originale. Gli ultimi personaggi di rilievo comparsi sul glorioso Intrepido prima della crisi definitiva sono LONE WOLF e I DUE DELL’APOCALISSE, sceneggiati dall’inossidabile Grecchi per i disegni di Ferdinando Fusco (al secondo collabora anche Gino Pallotti). Lone Wolf è l’ennesimo “cavaliere della valle solitaria”, in missione perpetua contro la prepotenza e il sopruso. Più caratterizzati sono i protagonisti della seconda serie, il messicano Calvario e lo yankee Sonora, schierati contro la prepotenza per antonomasia, quella del potere e del malgoverno.
Anche il Giornalino, che a partire degli anni settanta va a sostituire degnamente il Vittorioso nell’editoria cattolica, ha il suo cavaliere solitario: è LARRY YUMA, di Claudio Nizzi e Carlo Boscarato, protagonista di storie brevi e semplici nell’impianto, ma molto accurate nella resa grafica.
Al popolare pistolero dall’eterno cigarillo si alternano altri interessanti eroi, come PIUMA ROSSA, di Mario Basari e Luigi Sorgini, una Giubba Rossa col codino a treccia, che ha legami di sangue con gli indiani, parla con i lupi (ma riesce a farsi comprendere anche dagli altri animali) e non ha occhi e pensieri che per la sua bella squaw, Bucaneve.
Gli ANGELI DEL WEST, di Nino Danieli e Polese, sono invece un trio stranamente assortito, con Gentle Jim, bello, veloce e azzimato, Little Joe, un Bud Spencer pelato e barbuto, e Sergente, un apache piccolo e cattivissimo. Anche in questo caso le vicende sono brevi e semplici, ma abbondano i risvolti umoristici e caricaturali.

È un lungo crepuscolo …
Su Corrier Boy appare invece dal 1972 BOB CROCKETT, di EnriqueVentura, Pietro Selva e JorgeMoliterni, una serie di notevole qualità sia per quanto concerne la grafica che per i soggetti. Protagonista è il figlio di Davy Crockett, che attraverso vicende svariate percorre le tappe di una dura iniziazione alla vita di frontiera.
Nel 1975 troviamo il primo protagonista di colore, TOM BOY, di Silverio Pisu e Nadir Quinto, uno schiavo fuggiasco che combatte nella guerra di Secessione e adotta una strana maschera da incappucciato nella lotta per la libertà dei suoi fratelli.
A partire della metà degli anni settanta un ruolo importante nella presentazione di alcuni dei migliori autori stranieri, ma soprattutto per la promozione di nuovi prodotti italiani, è ricoperto dalle riviste Lancio Story e Skorpio, segnatamente, per quanto concerne il fumetto italiano, dalla prima. Sulle sue pagine compaiono le storie di TIMBER LEE, di Mino Milani e Juan Arancio. Il protagonista è un ex cavalleggero sudista bollato di viltà per essere sopravvissuto ai suoi compagni e costretto a vagabondare per la prateria senza poter sfuggire al passato.
…che chiude mezzo secolo di sogni.
E siamo agli anni novanta. Rispetto al decennio precedente la produzione fumettistica italiana, soprattutto quella ad ambientazione western, conosce un grave momento di crisi, malgrado si cimentino nel genere con nuovi personaggi autori geniali come Tiziano Sclavi (KERRY IIL TRAPPER) e Gianfranco Manfredi (MAGICO VENTO) o veterani come Gino d’Antonio (BELLA E BRONCO). Assistiamo al proliferare delle riedizioni, quando non di riproposte mascherate con titoli diversi (accade per la “ Storia del west”) e con operazioni di maquillage non sempre riuscite. Il western è invecchiato? Forse. Certo invecchiati sono coloro che ne hanno vissuto il mito sulla pessima carta degli albi e delle strisce. Quelli che, come Kafka, sentivano la “voglia di essere un indiano.

Desiderio di diventare un indiano
Se si fosse almeno un indiano, subito pronto e sul cavallo in corsa, torto nell’aria, si tremasse sempre un poco sul terreno tremante, sinché si lasciavano gli sproni, perché non c’erano sproni, si gettavano via le briglie, perché non c’erano briglie, e si vedeva appena la terra innanzi a sé come una brughiera falciata, ormai senza collo e la testa del cavallo! (Franz Kafka)
I luoghi tipici …
Il western è per antonomasia racconto degli spazi liberi, delle grandi distese pianeggianti della prateria o del deserto, oppure delle gole, dei canyons propizi all’agguato, delle foreste sterminate del nord, o dei picchi delle Montagne Rocciose.
Ma in questi vuoti si individuano dei punti nodali, i luoghi dell’incontro o dello scontro, dell’insidia o della sicurezza, del lavoro o del piacere. E questi luoghi sono uniti tra loro da linee incerte e variabili, come le piste delle carovane, delle mandrie o delle diligenze, segnate solo dalle ossa degli animali o degli umani, o da linee dritte, continue, come quella della ferrovia, che tagliano gli spazi, li avvolgono in una rete e li riconducono nell’ambito della civiltà.

… e gli scenari
Può apparire paradossale, ma in un genere narrativo ambientato nei grandi spazi per eccellenza la connotazione paesaggistica è rimasta a lungo piuttosto vaga. I protagonisti agivano sì tra le erbe della prateria, saltavano col cavallo orride gole, venivano risucchiati dalle rapide: ma l’azione era costretta nei limiti di vignette dalle dimensioni fisse ed estremamente contenute, che imponevano l’adozione quasi costante del primo piano e non consentivano la messa a fuoco degli scenari. Questa tecnica obbediva ai canoni dell’impostazione tradizinale, dettati da motivazioni alquanto prosaiche: prima tra tutte la necessità di produrre molte tavole, che fatalmente dovevano essere sbozzate con una certa approssimazione. Al lettore-fanciullo in realtà la cosa pesava poco: gli importava che fosse ben definito l’eroe, e che l’avventura procedesse a ritmo incalzante. All’ambientazione provvedeva con la sua fantasia: gli bastavano poche e sommarie indicazioni.

Campo lungo
L’attenzione agli scenari naturali è cresciuta con l’entrata del fumetto, e dei suoi lettori, nell’età adulta, con l’evolversi della sensibilità nei confronti della natura (?), con la maggiore autonomia rispetto alle scelte espressive consentita agli autori, che si è tradotta in consapevolezza “artistica” degli stessi. Il risultato è l’adozione del “campo lungo” anche per il fumetto, quindi l’ambientazione delle storie in spazi molto più ampi e più precisamente connotati: ma ciò induce anche un deciso rallentamento dei tempi dell’azione. Al cuore di un adulto non si addicono i ritmi incalzanti dell’avventura: gli convengono quelli più posati della quotidianità.

Il viaggio
Ogni viaggio è un’avventura, e ogni avventura è un viaggio. Il viaggio, lo spostamento, nel west della frontiera è molto più di un’avventura, è il senso stesso della vita, la sua intrinseca condizione, Oltre la frontiera occidentale c’è l’ignoto, l’inesplorato: c’è il pericolo, ma c’è anche la speranza di una vita nuova, di un’esistenza diversa. La speranza accomuna nel viaggio tutti i protagonisti del fumetto western: è quella del fuorilegge di sfuggire alla cattura, quella del trapper di sottrarsi alla “civiltà”, quella dell’ex confederato di lasciarsi alle spalle la sconfitta, quella dell’indiano di rintracciare i bisonti e di mettere spazio tra sé e i visi pallidi, quella dell’agricoltore di possedere un pezzo di terra e quella del mandriano di non avere tra i piedi agricoltori. Tutti inseguono il sole nel suo corso, sui carri, a cavallo, in battello o in diligenza, ricalcando le tracce di tante antiche saghe di migrazione, e incrociando le loro storie in un altrove che le fa assurgere a leggende.
I compari
L’eroe del fumetto western contemporaneo è sempre più spesso un solitario. Le battaglie più ardue le combatte non con i fuorilegge o con gli indiani, ma con se stesso, con l’incapacità di stare con gli altri, con l’impulso a preferire la compagnia di un cavallo a quella dei propri simili e di accordare fiducia solo al proprio fucile. Le cose stavano diversamente per gli eroi tradizionali, quelli dell’età aurea dell’avventura. Per essi l’amicizia costituiva il valore primario e risultava, stante la caratura dei loro compagni, senza dubbio disinteressata. La lista dei “pards”, dei “compari di cavallo”, è infatti infinita, e incredibilmente variegata: ma in genere comprende personaggi propensi a cacciarsi nei guai o a fare zavorra, piuttosto che validi aiutanti. Può trattarsi di vecchi saggi e brontoloni (come il Toby di Bufalo Bill, o lo zio Pam di Kit Carson, o lo stesso coriaceo Carson di Tex), di macchiette irresistibili, amanti più dell’alcool che dello scontro (Salasso e Doppio Rhum, il professor Occultis, Frankie Bellevan, Cico, il Mosè di Rocky Rider, il soldato Dusty del “Ragazzo nel Far-west” e Gufo Triste di Mark) o di ragazzini tanto coraggiosi quanto sventati e testardi (Roddy, Golia). Solo in qualche caso (il silenzioso Tiger Jack, i Penobscoot di Falco Bianco) sono del tutto autosufficienti. E ciò, in fondo, riflette una visione della vita ancora permeata di idealità, la speranza in un mondo nel quale i deboli hanno sempre qualcuno che li aiuta e li protegge, e i forti si sentono chiamati a questa missione. Venute meno le quali, non rimane che credere nel cavallo.

Gli antagonisti
Il west è il luogo per eccellenza dello scontro. Non tollera le mediazioni e i compromessi. Sullo sfondo della prateria i contorni del Bene e del Male si stagliano nitidi. Da un lato il sopruso, l’inganno, la viltà, la sete di potere, la crudeltà: dall’altro la lealtà, il coraggio, l’amicizia disinteressata. Tutto questo in genere risulta chiaro, è immediatamente suggerito dalle fisionomie dei personaggi, dai modi, dal ghigno, dai visi irsuti e butterati, deturpati da cicatrici, dagli occhi torvi e maligni. Ma non è sempre così. A volte l’insidia si cela dietro un volto dolcissimo di fanciulla, dietro la paciosa figura di un banchiere, o dietro lo sguardo leale di un presunto amico. E altre volte ancora l’antagonista riesce a brillare di luce propria, assurge egli stesso alla condizione di star, sia pure negativa, tanto da essere richiamato in vita a furor di popolo dopo che gli autori gli avevano inflitto la più atroce delle morti.
La grandezza dell’eroe del western è infatti commisurata al numero e alla pericolosità dei suoi nemici.

Le donne
Le donne del fumetto western possono essere raggruppate in due grandi categorie: quelle che sono in pericolo, e quelle che sono un pericolo. In entrambi i casi rappresentano un intoppo, e non è detto che le prime intralcino l’azione dell’eroe meno delle seconde. Il maggiore o minore rilievo dato alle figure femminili sembra dettato principalmente dalle fasce d’utenza alle quali gli editori si rivolgono: tutti gli eroi della Universo (Bufalo Bill, Rocky Rider, Liberty Kid) hanno la fidanzatina: quelli della Dardo
sono in genere propensi alla vita di coppia, mentre alla Bonelli prevale un atteggiamente piuttosto misogino (Tex rimane sposato giusto il tempo per avere un erede, gli altri hanno al massimo brevi avventure). Maschilismo? Forse. Senz’altro la preoccupazione nei confronti dei primi di un attestato di “normalità”, particolarmente importante per un popolo e per un’epoca per i quali la norma è la coppia, la famiglia. Ma se il fumetto è sogno, evasione nella libertà, tanto vale sognare la libertà più grande, quella assoluta!

Gli indiani
Nell’iconografia ufficiale del west l’indiano è l’antagonista, lo sconfitto, quello che la storia non la scrive, ma la subisce. Nel fumetto, e segnatamente in quello italiano, le cose non stanno proprio così. Mentre nel contesto della storia della “civilizzazione” l’indiano era il superfluo, il passato da eliminare (“l’unico indiano buono è quello morto”, T.H. Jefferson), per il western è elemento necessario, caratterizzante, indipendentemente dalla connotazione positiva o negativa che ne viene data. E a dire il vero, se negli anni trenta prevale ancora l’immagine selvaggia e infida (legata alla tradizione salgariana, e non ignara delle teorie della razza caldeggiate dal regime), una buona dose di simpatia per i pellerossa si ritrova già negli albi del primo dopoguerra (solidarietà di sconfitti?), quando l’immagine cinematografica era ancora quella feroce di “Ombre Rosse” o di “Tamburi Lontani”, e remota la riscoperta dei diritti e della dignità del popolo rosso. Da Tex e dal Sergente Kirk, fino a Ken Parker e Boone, il fumetto italiano vanta una tradizione di apostati che scelgono di combattere nel nome della libertà invece che in quello della civiltà. Ma va soprattutto a suo merito, nel periodo più recente, di non aver ceduto ad eccessive idealizzazioni, agli effimeri ed acritici innamoramenti che altri media, quelli considerati più seri, cavalcano e bruciano con un’ipocrisia da veri “visi pallidi”.

Il cavallo
L’epopea western percorre spazi aperti e sconfinati, immense distanze, e lo fa in groppa al cavallo. Il cavallo è stato determinante non solo nella conquista del west, ma anche nella scelta di molti autori di dedicarsi (o meno) al genere western, perché è il soggetto più difficile da disegnare. Grandi talenti hanno rinunciato a cimentarsi nella saga della frontiera per incompatibilità col suo protagonista più rappresentativo: oppure, come Pratt, hanno aggirato l’ostacolo ambientando le loro storie in un intrico di laghi e foreste percorribile solo a piedi. Ma il vero west è quello delle criniere al vento, della polvere sollevata dagli zoccoli, dei balzi prodigiosi che lasciano l’ostacolo tra l’eroe e i suoi inseguitori, delle redini lente e dell’abbeveratoio, del pietoso colpo di pistola col quale si da l’addio al compagno di tante avventure, ferito a morte. Silenziosi, fidati, pronti ad ogni sacrificio, i vari Turbine e Lampo e Dinamite sono i protagonisti-testimoni che portano letteralmente il peso dei sogni e delle fantasie dei loro padroni, che viaggiano con “i piedi” per terra; e non a caso quando la liberazione parodistica consente di tradurre il significato dei loro nitriti, risultano gli unici provvisti di buon senso pratico.

Gli animali
Per gli animali vige nel western una tassonomia non dissimile da quella adottata per gli uomini: non si distinguono per generi o per speci, ma in infidi, pericolosi, aggressivi, malvagi, velenosi, oppure in utili e mansueti, intelligenti e fidati. L’onnipresenza del cavallo, in realtà, ha lasciato poco spazio ad altri comprimari non umani. Bufali e longhorns compaiono quasi sempre come massa, fanno parte dello scenario, salvo ogni tanto rovesciarsi addosso ai protagonisti in una “stampede”. Puma, giaguari, lupi, serpenti stanno a sottolineare che la natura non è meno pericolosa dell’uomo. Ma è sufficiente che spunti ogni tanto un cagnolino, o che occhieggi il musetto di un castoro, per riconciliarci con il creato.

Gli oggetti
Poche epoche (o epopee) sono così fortemente caratterizzate da singoli oggetti come quella del west. È sufficiente una Colt, oppure una carabina Winchester, o un lazo, o uno Stetson, a catapultarci nel mondo della frontiera americana. Sono al tempo stesso la griffe di una produzione e i simboli di uno stile di vita. Il fumetto western gronda letteralmente di questi oggetti: l’essenzialità del suo segno necessita di elementi di identificazione forti e, per l’appunto, essenziali. La funzione narrativa di questi segni si evolve col tempo, e mutano di conseguenza anche le modalità della loro rappresentazione. Si parte da pistole malamente abbozzate, informi, non identificabili in alcun modello, e si arriva ad una loro raffigurazione minuziosa sino al dettaglio, ivi compresa la plausibilità della collocazione temporale. Lo stesso vale per fucili, cappelli, acconciature e costumi indiani, selle, veicoli, ecc… Persino i rumori cambiano espressione grafica. Lo sbrigativo e universale “bang” (che alla vignetta successiva si traduceva in “zip”) è stato sostituito da onomatopee specifiche, diverse da modello a modello, da calibro a calibro. Sono gli effetti della stereofonia e del rallentamento d’immagine, trasferiti sulla pagina disegnata.

Il duello
L’ultima parola è alla pistola (o al fucile, ai coltelli, ai pugni). Dove non arriva la giustizia degli uomini vige il “giudizio di Dio”. È un confronto dall’esito già scontato, perché del dio giudice e lettore gli eroi del western sono la mano armata: eppure ogni scontro è ugualmente drammatico e ogni vittoria ci riconforta nella speranza di un mondo più pulito.
Anche perché ogni duello che si rispetti, nel racconto a fumetti come nel film, ha un antefatto, una “prova generale” il cui sviluppo ci ha fatto dubitare dell’invincibilità dell’eroe. Quando non si chiude con un pareggio, o con una sconfitta ai punti per il nostro (dovuta ad inganno, a impreparazione, a sproporzione delle forze), la prima fase della sfida lascia comunque in piedi il malvagio, più che mai incattivito e determinato alla rivincita.
Solo lo scontro ultimo ricompone quell’equilibrio che l’entrata in scena del male aveva turbato, e ci trasmette un piacevole effetto adrenalinico, un brivido finale di sollievo e di soddisfazione.
Il bivacco
… E per tetto un cielo di stelle (se non é nuvolo). Ma anche l’ombrello di una quercia secolare, un colonnato di sequoie giganti, l’ombra della mesa che incide un paesaggio lunare, il circolo dei carri addormentati, l’inquieto tramestio della mandria nel vallone: o, se piove, una sporgenza rocciosa o un telo gettato tra alti arbusti
Il bivacco è un segno di interpunzione tra un’avventura e l’altra, il momento dei ricordi, delle meditazioni, a volte delle rivelazioni. Non è necessariamente la quiete: attorno può muoversi il pericolo, dal buio può spuntare l’insidia, magari sotto le spoglie dello sconosciuto che chiede un po’ di caffé. Ma è senza dubbio il coagulo delle amicizie più profonde, quelle libere da ogni costrizione, da ogni sorta di muro e di barriera difensiva.
La parodia
È possibile ironizzare su di un mito? Sì, ma solo a patto di un’adesione totale al mito stesso. Altrimenti si scade nella dissacrazione, la favola finisce, si parla un altro linguaggio.
Il fumetto italiano ha offerto forse il migliore esempio di reinterpretazione comica del west, con il COCCO BILL di Benito Jacovitti. Ispiratore del tardo spaghetti-western, quello parodistico di “Lo chiamavano Trinità”, Cocco Bill sdrammatizza attraverso l’enfasi e il paradosso tutti i clichés del pistolero solitario (basti pensare alla sua passione per la camomilla), e agisce in uno scenario decisamente casereccio, surreale ma non così lontano dal nostro immaginario, per il quale la frontiera era l’aia della cascina del nonno o l’osteria fuori porta.
Una rilettura parodistica del genere western molto più aderente ai canoni e alle ambientazioni tradizionali è quella di Giorgio Cavazzano, che ha proposto due ottime serie con CAPITAN ROGERS, comparso sul Giornalino nel corso degli anni ottanta, e con l’esuberante SILAS FINN, realizzato in collaborazione con Tiziano Sclavi.

Cinema e fumetto
La rassegna dei prestiti e dei debiti tra cinema e fumetto meriterebbe una mostra a parte. Tutto in fondo li accomuna, dalla struttura narrativa sequenziale al gioco delle inquadrature, dall’affermazione di “generi” specifici alle modalità della fruizione. Se non è possibile parlare di paternità, senz’altro si deve attribuire al cinema il ruolo di fratello maggiore: sono pochi (e in genere mal riusciti) i casi di fumetti adattati per lo schermo, mentre sono innumerevoli le fisionomie, le storie, persino i tagli espressivi trasferiti più o meno dichiaratamente dalla celluloide alla carta. In genere la citazione è nascosta, a volte probabilmente persino inconscia. In alcuni casi è invece esplicita (cfr. James Dean e Ken Parker) e aggiunge il fascino di una doppia lettura alla vicenda. Non mancano infine i casi di trasposizione diretta, che rischiano però, quando va bene, di ridursi a puro esercizio di abilità formale.
I libri
Il libro non gode di particolare stima nel mondo disegnato della frontiera. Qualche Bibbia ogni tanto, magari nella capanna di un trapper, qualche codice tra le mani di giudici da saloon, e tomi decorativi nelle lussuose abitazioni dei potenti (quindi dei cattivi). Il cavallo non regge il peso di una grossa cultura. Unica eccezione Ken Parker, onnivoro divoratore di letteratura e poesia, da ultimo anche scrittore in proprio.
A voi che non viaggiate a cavallo qualche lettura in più non dovrebbe pesare. Ci permettiamo quindi di offrirvi alcune indicazioni bibliografiche attinenti l’argomento della mostra. Naturalmente non è una bibliografia: si tratta soltanto di integrazioni e di consigli da amici.
- Franco Fossati, Fumetto, Mondadori
- Dee Bronn, La Grande Frontiera, Mondadori
- Gualtiero Stefanon, Uomini Bianchi contro uomini rossi, Mursia
- Charles Hamilton, Sul sentiero di guerra, Feltrinelli
- PhiliphJacquin, Storia degli Indiani d’America, Mondadori
- VV., Gli uomini della frontiera, Idea-Libri
- VV., Indiani d’America, Idea-Libri
- Robert H. Lowie, Gli Indiani delle pianure, Mondadori
- Tutta la collana Dalla parte degli Indiani, Rusconi
- Charles Billington, La conquista del west, Mondadori
- Wilcomb E. Washburn, Gli Indiani d’America, Editori Riuniti
- VV., La grande avventura dei fumetti, De Agostini
- Ferruccio Giromini, Ombre rosse bianche verdi, De Luca
- VV., Gli illustratori del west, Marsilio


Mi piace:
Mi piace Caricamento...