Rassegne e rassegnazione

di Paolo Repetto, 5 aprile 2024

Se la classe dirigente è fatta di imbecilli
immaginiamoci cosa possa essere la clientela media.

Fino a qualche anno fa comparivano regolarmente su La Settimana enigmistica (o magari compaiono ancora, non ho verificato) un paio di storiche rubriche, l’una titolata “Spigolature”, l’altra “Strano ma vero”. Raccoglievano in ordine sparso, senza alcun visibile criterio e con trattazione telegrafica, aneddoti e curiosità del tipo più disparato, dal gatto svizzero che giocando col telefono allerta la polizia all’invenzione dei catarifrangenti stradali (nel 1934, per chi fosse interessato), dalla storia di sant’Irmina di Treviri all’esistenza di oltre quattrocento varietà di agrifoglio. Se ricordo bene, l’unica differenza tra le due pagine stava nel fatto che la seconda era illustrata da vignette.

Si trattava in genere di informazioni banalissime, e quando non riuscivano tali erano comunque bizzarrie buttate lì a fare mucchio, e quindi totalmente inutili. Ciò nonostante, sino a quando La settimana enigmistica è rimasta l’ultimo nutrimento culturale di mia madre ho continuato a scorrerle avidamente: un po’ per una congenita coazione alla lettura, quella che m’imponeva di divorare tutto ciò che di scritto mi capitava sotto gli occhi, a tavola persino l’etichetta dell’acqua minerale (malgrado la conoscessi a memoria, perché si trattava sempre della stessa bottiglia, riempita con l’acqua del rubinetto), un po’ per la precoce e morbosa curiosità di indagare sino a che punto potesse spingersi la stupidità umana: e devo dare atto che entrambe le rubriche ne fornivano, non ho mai capito quanto involontariamente, degli esempi spassosissimi.

Bene, ho pensato di continuare a divertirmi proponendo io stesso una piccola antologia di “spigolature” recuperate nei quadernoni dalla copertina nera che ingombrano le mie scrivanie e i ripiani della mia biblioteca. Non ho seguito un criterio cronologico, e nemmeno avrei potuto farlo, perché si tratta di appunti, stralci di notizie e citazioni annotati frettolosamente sul primo spazio bianco disponibile, a margine di letture o di riflessioni estemporanee. Ho cercato qui di raccogliere quelli più recenti o che mi sembravano conservare un’inquietante (e tragica) attualità. Negli intenti avrebbero dovuto fornire lo spunto per futuri pezzi di costume o di approfondimento, di fatto sono poi rimasti lì, e forse è stato meglio così: nella forma grezza, e nel disordine sparso, sono più eloquenti di qualsiasi trattazione.

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Rassegne e rassegnazione 02Settembre 2023 – A Modena 160 persone hanno sborsato settanta euro a testa per seguire dal vivo il seminario di un “contattista”, un ex-ferroviere che parla coi marziani, razzola liberamente nelle basi nucleari russe ed è ospite quasi fisso di Red Ronnie (un giorno si dovrà anche parlare del dramma dei pensionamenti anticipati, in ferrovia o altrove, che hanno gettato un sacco di gente nella necessità di inventarsi le occupazioni più peregrine). L’incontro è durato otto ore e non comprendeva il servizio di buffet: chi voleva rifocillarsi durante la pausa pranzo o si accomodava al ristorante (pagando, naturalmente) o mangiava un panino sulla strada. Allo stesso prezzo si poteva anche seguire il seminario da remoto – risparmiando in questo caso le spese di viaggio e del pasto, ma perdendo la magia dell’incontro dal vivo col bagonghi. Comunque, a seguire tutta la faccenda via web erano iscritte diverse altre centinaia di persone.

Autunno 2023 – A Trevigiano Romano, vicino al lago di Bracciano, una veggente parla da sette anni a intervalli regolari con la Madonna (o con Gesù, se la Madonna ha altri impegni). Ultimamente s’intrattiene in realtà molto più con gli inquirenti, perché la fede di alcuni dei seguaci, che le avevano intestato piccoli patrimoni, comincia a vacillare.

In compenso a Manduria, nei pressi di Taranto, da trent’anni la Vergine dell’Eucaristia (o suo figlio) appaiono ad un’altra veggente – ecco dov’erano impegnati –, una che ha intrapreso la carriera giovanissima, e le trasmettono messaggi accorati. Il fenomeno non ha la stessa risonanza mediatica, mantiene un basso profilo, ma non manca del suo bravo seguito ed è approdato sui social. Chi volesse partecipare alla preghiera in diretta dalla Cappella della Celeste Verdura (si chiama così, lo giuro, il piccolo santuario che ospita periodicamente il miracolo), può farlo in qualsiasi momento su Facebook o sul canale ufficiale accessibile da Youtube.

Dov’è la novità? Infatti. Nulla di nuovo sotto il sole. Sono solo tre banalissimi casi di citrullaggine tra i mille altri analoghi che si possono raccattare con un giro in rete o spulciando i quotidiani. Niente naturalmente a confronto delle stigmate di Padre Pio, o di fenomeni “globali” come quelli dei rettiliani o dei terrapiattisti. Rispolverano però per l’ennesima volta le domande fondamentali, alle quali varrebbe la pena ogni tanto provare a rispondere, per un esercizio di igiene mentale. E cioè: possiamo ancora liquidare queste cose con una risata, o sarà bene cominciare seriamente a preoccuparci? E in un contesto del genere, non sarà opportuno ripensare il significato di “democrazia”?

Rassegne e rassegnazione 03Marzo 2019 – «La verità è che George Orwell era una creazione della CIA, indipendentemente dall’opinione che si ha sulla qualità letteraria delle sue opere. La CIA non aspettò un momento ad investire fondi per promuovere la sua opera. Era consapevole dell’effetto devastante che il messaggio di un presunto rappresentante dei valori della sinistra poteva avere su ampi settori dell’opinione pubblica. Come altri intellettuali di quel, e di questo, periodo, Orwell soccombette alla seduzione del facile successo e della rapida notorietà che rese possibile la trasmissione di un messaggio costruito dai creatori della “guerra fredda”. Ma la tragedia della sua memoria fu duplice. Da un lato, l’apertura di alcuni fascicoli polverosi del Foreign Office ne rivelò la personalità fraudolenta. L’assenza di scrupoli dello scrittore inglese era paragonabile solo a quella dei più spregevoli protagonisti dei suoi stessi romanzi.» (Manuel Medina, George Orwell: Breve biografia di un magnaccia al servizio della CIA, da Forum Marxismo Leninismo)

Medina è palesemente un idiota, e il sito che lo ospita potremmo considerarlo semplicemente patetico, da non spenderci neppure un secondo: non fosse che, al pari di molti altri blog (personalmente ne ho rintracciati almeno una quindicina: quando sono giù di corda amo perdere tempo in queste cose) testimonia il persistere in quella che si arroga l’etichetta di “sinistra dura e pura” di un atteggiamento antico nei confronti della cultura autenticamente libertaria. Mi è tornata infatti immediatamente in mente la stroncatura di 1984 pubblicata da Togliatti su Rinascita (1950): «Con la pubblicazione di 1984 di Orwell […] la cultura borghese, capitalistica e anticomunistica, dei nostri giorni, ha aggiunto al proprio arco sgangherato un’altra freccia: un romanzo d’avvenire! […] L’autore accumula con la maggiore diligenza tutte le più sceme tra le calunnie che la corrente propaganda anticomunista scaglia contro i paesi socialisti.

Nel “partito” (metafora del Pcus) si insegna a commettere, per il “partito”, le azioni più stolte, a mentire, a negare la evidenza dei fatti […] Il capo del partito ha i baffi neri e il suo nemico mortale la barbetta a punta, a questo punto si scopre invece proprio soltanto l’autore, nella meschinità e abiezione che a lui stesso sono proprie.

Le botte servono davvero a troppe cose, nel libro di George Orwell […] doveva aver davvero una grande esperienza di bastonature e torture, questo poliziotto coloniale, per giungere a porre la fiducia nelle torture e nelle bastonature più in alto che la fiducia nella ragione umana.»

Questo era lo stile di Togliatti, aggressione, insulto e menzogna, fatto immediatamente proprio da tutta quell’intellighentjia comunista che “il migliore” aveva ramazzato nell’immediato dopoguerra, pescando in gran parte dalle file dei transfughi dell’ultima ora dal fascismo.

Ora, devo ammettere che nel clima di incipiente guerra fredda degli anni tra i Quaranta e i Cinquanta quel linguaggio, persino quel livore, ci stavano: voglio dire, non che fossero giustificabili, ma almeno era comprensibile perché se ne facesse uso.

Quella modalità polemica (soprattutto il “negare l’evidenza dei fatti” che Togliatti contestava alla vittima del suo attacco), e, ciò che è peggio, la forma mentis sottostante, sono state fatta proprie però anche dalle generazioni successive: lo testimonia ad esempio lo sprezzo col quale Calvino liquidava Orwell nei tardi anni Sessanta, definendolo un “libellista di second’ordine” (in una lettera “aperta” a Geno Pampaloni) “portatore di uno dei mali più tristi e triti della nostra epoca: l’anticomunismo”. All’epoca Stalin era morto da un pezzo, e il regime sovietico aveva mostrato il suo vero volto. soffocando nel sangue dimostrazioni e rivolte popolari in Germania, in Polonia e in Ungheria. La miopia e il livore non erano più nemmeno comprensibili. Calvino avrebbe poi parzialmente ritrattato il suo giudizio solo vent’anni dopo, dicendo che il libro era stato mal compreso perché sin troppo anticipatore. Ma altri, come ad esempio Vattimo, ancora a metà degli anni Ottanta, dopo che Orwell era stato “riabilitato” persino da L’Unità, hanno insisto a ribadire che 1984 è “lontano dal nostro mondo, tranne che per un particolare: l’impotenza del potere, la sua disfunzione, la sua fatiscenza” e che “segue la moda della fantascienza stracciona, dell’utopia delle rovine”.

È un fiele che corre ancora oggi tanto nelle vene della sinistra nostalgica quanto in quelle dei sinistrati dalla decostruzione post-moderna, e non è affatto prerogativa di un uno sparuto branco di anime povere. Lo si nomini putinismo, o madurismo, o più genericamente anti-occidentalismo, ha i suoi referenti culturali proprio in quelle “aristocrazie intellettuali” che si chiamano ipocritamente (e spettacolarmente) fuori dalla società dello spettacolo.

Rassegne e rassegnazione 04Gennaio 2013 – “La Digos di Firenze ha operato il fermo di un giovane fiorentino ritenuto un componente del commando che la notte di capodanno ha incendiato otto automezzi di una ditta di latticini di Montelupo Fiorentino e provocato anche gravi danni al deposito merci. Il ventiduenne Filippo Serlupi D’Ongran, rampollo di una nobile famiglia, è ritenuto fra i responsabili anche di altri quattro episodi a firma ARD (Animal Liberation Front) commessi in Toscana a danno di strutture di macellazione.” Gli altri componenti del commando sono riparati all’estero e all’epoca erano ricercati. Non mi risulta abbiano subito condanne.

Ottobre 2019 – È morto Beppe Bigazzi, prima vittima italiana dell’intolleranza animalista, sospeso dalla Rai nel 2010 per aver osato ricordare un necessario ingrediente della sua remota infanzia toscana: il gatto.

Dicembre 2020 – Uno spot di Telefono Azzurro, lanciato in occasione della Giornata universale dei diritti dell’infanzia (il 20 novembre), mostra una casa in fiamme. Si sente un cane abbaiare, e un uomo entra in una stanza già aggredita dal fuoco. Su un divano ci sono due bambini terrorizzati e con loro un cane, quello appunto che ha abbaiato. L’uomo prende il cane in braccio e lo porta in salvo, lasciando i bambini al loro destino. Messaggio crudo e schiettamente esplicito: c’è troppa gente che si preoccupa degli animali e dimentica e trascura i cuccioli d’uomo, ribadito dall’hashtag: #Primaibambini. Lo spot è stato immediatamente sepolto dagli insulti e travolto dalle polemiche, ed è stato ritirato.

Agosto 2021 – Paul Farthing, un politico inglese, ex-deputato liberal-democratico, ha evacuato per via aerea dall’ Afghanistan in Inghilterra centosettanta cani e gatti. Ha poi dichiarato “Sono davvero profondamente triste per gli afghani”, e non si riferiva ai levrieri, ma agli umani. Che non ha ospitato sull’aereo, non c’era spazio.

28 Luglio 2022 – “Tante sono le storie d’amore che legano le persone ai loro animali che spesso diventano compagni di vita da cui è difficile separarsi. Adesso qualcosa è cambiato, a Santa Margherita potranno rimanere insieme “per sempre”, anche dopo il decesso, dove (!?) è arrivata in consiglio comunale la richiesta della sepoltura con le ceneri del proprio animale da compagnia”. (Comunicato del sito comunale)

Quanto costa uno psicologo per cani? La tariffa oraria per la visita comportamentale è di 90 €. Indicativamente la prima visita comportamentale richiede 75-90 minuti. Gli incontri successivi generalmente richiedono 60 minuti. Nel caso sia necessaria una visita a domicilio, verrà addebitato un costo di viaggio pari a 0,30 € /km (andata e ritorno).

Rassegne e rassegnazione 054 Dicembre 2023 – Gli attivisti del movimento ambientalista Ultima generazione hanno occupato le carreggiate dell’autostrada Roma-Civitavecchia all’altezza di Torrimpietra. Nel corso della protesta hanno utilizzato del mastice per incollare le mani sull’asfalto dell’autostrada. Secondo il racconto degli ambientalisti durante la loro iniziativa un automobilista è sceso dalla sua vettura e ha aggredito un attivista, quindi è risalito a bordo e ha tentato di investirne un altro. Le due persone non sono rimaste ferite in modo serio. La polizia ha poi (con tutta calma) rimosso il blocco e identificato i responsabili dell’iniziativa (organizzata contro l’utilizzo di carboni fossili). Sono stati tutti accompagnati negli uffici della polizia stradale, e prontamente rilasciati.

19 Dicembre – Roma: nuovo blocco di Ultima generazione sulla Salaria, un automobilista schiaffeggia l’attivista e si becca una denuncia.

23 Dicembre – Blitz di Ultima Generazione sotto Palazzo Chigi. I poliziotti portano via due attivisti, che urlano: “Mi stanno facendo male”!

Commento di un mio coetaneo: “Se questi rappresentano l’ultima generazione, sono fiero di essere avanti con gli anni”.

5 Marzo 2024 – Condannati ad 8 mesi per il reato di danneggiamento aggravato i tre attivisti di Ultima Generazione che il 2 gennaio dello scorso anno erano stati arrestati per aver imbrattato con vernice rosa la facciata di Palazzo Madama. “Un fatto commesso con violenza – ha detto il pubblico ministero – che ha provocato danni considerevoli: l’ingresso a Palazzo Madama è stato interrotto per 30 minuti (che sarebbe il male minore) e sono servite decine di migliaia di euro per il ripristino (questo sì che è grave)”.

Autunno 2023 – Nei giorni scorsi, a chi gli aveva chiesto cosa pensasse dell’iniziativa dei giovani di Ultima generazione, Luca Mercalli ha risposto: “Quante opere d’arte sono state irrimediabilmente distrutte dalle alluvioni causate dal cambiamento climatico? Gli attivisti le hanno imbrattate? No, perché c’era sempre una lastra di vetro a proteggere i dipinti. Ecco, i giovani che protestano per il clima hanno ragioni sacrosante. Tutte le persone che stanno protestando fanno benissimo a farlo: chiedono un maggior impegno ai loro governi, chiedono la vivibilità del pianeta, per loro e per le future generazioni”. Fantastico. Sono convinto anch’io che il pianeta stia andando a ramengo. Al contrario di Mercalli ho però qualche dubbio sul tipo di “sensibilizzazione” che queste iniziative promuovono. Senza parlare poi del reale livello di consapevolezza e della coerenza comportamentale di chi le mette in atto.

Rassegne e rassegnazione 06Marzo 2024 – L’Università di Trento ha varato un nuovo regolamento. La novità è il femminile sovraesteso per le cariche e i riferimenti di genere. Si useranno “la decana”, “la rettrice”, “la professoressa”, “la candidata”, tutto declinato al femminile, anche se le persone indicate sono uomini.

Nel 2017 l’università di Trento aveva approvato un vademecum per un uso del “linguaggio rispettoso delle differenze”, con l’obiettivo di “promuovere un uso non discriminatorio della lingua italiana nei vari ambiti della vita quotidiana della comunità universitaria” come durante gli eventi pubblici o nel la produzione di testi amministrativi. Il nuovo Regolamento avrebbe dovuto essere scritto riferendosi ai gruppi di persone (studenti, docenti, eccetera) sia con il femminile che con il maschile. Questo secondo il rettore Deflorian avrebbe finito per appesantire eccessivamente tutto il documento e quindi, per “facilitare la fase di confronto interno”, gli uffici amministrativi avevano iniziato a lavorare a una bozza che conteneva solo femminili.

La demenzialità del tutto è stata denunciata proprio dalle rappresentanti femminili dei gruppi studenteschi. «Basta con la retorica vuota e paternalista che suggerisce che l’inclusione nelle università sia una questione di linguaggio. L’ambiente accademico richiede rispetto per l’intelligenza e la competenza di ogni individuo, indipendentemente dal genere […] L’uso del cosiddetto “linguaggio femminile sovraesteso” vuole essere un tentativo di compensare decenni di discriminazione di genere, tuttavia, potrebbe avere l’effetto contrario, finendo con il far sentire esclusi alcuni ragazzi e ragazze compromettendo quindi l’obiettivo di inclusione». Difficile sostenere il contrario. E ancora: «Riteniamo che porre l’accento in modo così esasperato sulla diversità sia esso stesso un modo per discriminare».

In Occidente c’è un’attività politica antagonista, ma si scioglie in questa specie di attivismo sostitutivo, nei confronti del resto del mondo e nei confronti del nostro passato. Alla fine, gioco di prestigio, la battaglia scompare, le cannonate non si sentono più e faccende come la lotta all’odio e all’intolleranza sul web sembrano importanti, persino coraggiose, per mancanza di termini di paragone.

L’asterisco e lo schwa, la comunicazione non ostile, genitore 1 e genitore 2, sono faccende irrilevanti e, quindi, non sono imboscate ideologiche tese ai valori e alla libertà. Sono, invece, un minuscolo sogno totalitario, inconsapevole e sfiatato, il passatempo di gente che gioca ai soldatini con la neolingua di Orwell e finisce per crederci.” (Claudio Chianese, Il linguaggio represso)

Rassegne e rassegnazione 07«Ogni nuova generazione di neonati è una invasione di barbari che invadono non dall’esterno, ma dall’interno e dal basso la società; la società ha il compito di educarli, disciplinarli, renderli civili prima che diventino adulti. Il che significa anche – soprattutto – fargli subire dei sacrifici e delle sconfitte esistenziali, in modo da far maturare i loro caratteri.

Ora, pensate a uno di questi piccoli mostri che entra in una società che si gloria di essere adulta e matura, di avere abolito ogni forma di “repressione”, che ogni giorno celebra la propria liberazione da tutti i pregiudizi, quindi da ogni gerarchia e di tutti i tabù moralistici, tipo l’antipatica distinzione fra “bene” e “male” (cosiddetti); dove i genitori prendono ogni cura per risparmiargli ogni “frustrazione”, ogni pressione dell’ambiente, tensione, sforzo e ogni dovere; scansano ogni ostacolo che si trovi davanti, vogliono essere suoi amici invece che suoi superiori. Lo mandano in una scuola che si vanta di essere “non repressiva”, di non bocciarlo mai e poi mai, che si sforza di “farlo divertire”, anzi prova a confondere il confine tra “studio” e “divertimento”; una scuola che sostanzialmente lo incita a “esprimere le proprie inclinazioni, ed opinioni”, ossia (a quello stadio) le proprie narcisistiche emozioni.

È inutile che vi dica come dovrebbe essere una società capace di civilizzare i barbari verticali, che sappia renderli virilmente adulti, continenti, cavallereschi, dotati di senso della dignità e dell’onore – ossia della vergogna di compiere atti bassi contro i più deboli. Inutile che vi canti le lodi del “controllo sociale”, del giudizio sociale che premeva su molti dei peggiori e li faceva essere meno pessimi; strillereste che voglio la società bigotta, insopportabilmente repressiva, ormai superata dal progresso e dalla libertà […].

È possibile che debba riconoscermi, sia pure in parte, sia pure con tutti i distinguo che vogliamo, in queste parole di Maurizio Blondet? Di uno dei personaggi più esecrabili della sottocultura complottista (gli ultimissimi pezzi comparsi sul suo blog titolano: Il grafene nel siero c’è, e serve ad hackerare l’uomo; Neonati uccisi e traffico di organi in Ucraina)? Dovrei chiedermi piuttosto come ci sono finito su quel blog, ma a questo ho una risposta immediata: Blondet aveva scritto a suo tempo Gli Adelphi della dissoluzione, praticamente sotto dettatura di un altro personaggio inquietante, Gianni Collu, che ho avuto la ventura di conoscere bene, e la cosa mi aveva incuriosito. Blondet di per sé non è nemmeno inquietante, è solo un paranoico (o uno squallido furbastro che specula sulla dabbenaggine diffusa) che vede poteri iniziatici e trame occulte ovunque: inquietante è invece il fatto che venga preso sul serio, non solo dallo stuolo di mentecatti che lo seguono, ma anche da coloro che lo combattono (e chissà perché, non mi meraviglia il fatto che il blog ospiti, tra gli altri, dei pezzi di Travaglio).

Ma questo è un altro discorso. La domanda era: perché mi sono riconosciuto in quelle parole, pur sentendomi distante anni luce dalle mefitiche esalazioni che circolano tra le righe? È presto detto: mi rode che come al solito un tema concreto, di evidente urgenza e rilevanza, in questo caso quello dell’educazione, venga lasciato cavalcare e snaturare e strumentalizzare a personaggi del calibro di Blondet, oppure venga trattato con la solita mielosa attitudine “buonista”. Mi cascano le braccia, ogni volta che le cronache raccontano episodi di bullismo o di violenza, per strada o nelle scuole, dei quali sono protagonisti bambini o adolescenti, al sentire psicologi e sedicenti educatori che sproloquiano di assenza di strutture, di specializzazioni, di attenzione, di stanziamenti, senza arrivare mai al dunque: al fatto cioè che le uniche vere assenze sono quelle di autorità e credibilità delle istituzioni, e di assunzione di responsabilità da parte di chi dovrebbe farle funzionare, a tutti i livelli.

La chiudo qui, per ora. Ma lo faccio proponendo un paio di altri piccoli stralci, questi recentissimi, nei quali Guia Soncini dice apparentemente le stesse cose di Blondet, ma per come le dice suonano immediatamente diverse. Non usa il “linguaggio femminile sovraesteso”, ma parla chiaro. Non si potrebbe ricominciare da qui?

Dicevo, il gruppo di madri di piccoli teppisti. Uno non voleva fare la doccia. Ma tipo costringerlo, come si è sempre fatto con tutti i bambini del mondo? Avessi suggerito di farlo al forno, si sarebbero indignate meno. Non capivo il trauma dell’acqua. Non capivo i bisogni del bambino. Ero praticamente la Franzoni.

Tempo fa Minnie Driver ha raccontato a Conan O’Brien che i bambini americani sono molto maleducati a tavola, e per lei è inconcepibile perché ha avuto un’educazione inglese e insomma, ha rassicurato i presenti e la madre dietro le quinte, non dico che mi menassero, ma se mi comportavo male al ristorante mi portavano in macchina e mi lasciavano lì chiusa finché loro non finivano di cenare.

Oggi se lasci un figlio in macchina scoppia un casino non dico pari a quello che ti toccherebbe se osassi lasciar solo un cane, ma insomma la potestà genitoriale secondo me te la levano, e qualcuno che per strada ti riconosce e ti sputa come fossi il simbolo d’ogni immoralità lo trovi. È perché i bambini in cent’anni sono passati da gente abbastanza piccola da esser mandata nelle miniere a creature sacre, certo.” (da linkiesta.it, 11 marzo)

Giornate di stremanti interrogativi per gli ufficialmente adulti che, pur di non crescere, sono determinati ad avere un rapporto alla pari coi figli, figli ai quali non s’è completata la mielinizzazione del cervello ma lasciamo stare i termini scientifici: quel che è importante è dar loro il diritto di voto anche se non sanno allacciarsi le scarpe.

Dunque abbiamo da una parte un sedicenne che accoltella una professoressa, dall’altra una undicenne che lascia un commento a Chiara Ferragni su Instagram. Poiché non sappiamo come giustificare il primo – certo, possiamo dire che non l’abbiamo ascoltato abbastanza, ma ecco, l’accoltellamento appare comunque difficile da inserire nella nostra lettura “i giovani hanno sempre ragione e c’insegnano la vita” – decidiamo che il problema è la seconda.

Adulti perlopiù scemi ma in qualche caso persino normodotati si aggirano per i social chiedendosi con aria dolente “cosa ci fa una undicenne su Instagram, non ci può stare, non è giusto che ci stia”. Le loro figlie avranno come minimo un OnlyFans su cui fanno vedere il contenuto delle mutande, senza che i genitori se ne siano mai accorti, ma non è neanche questo l’importante. […]

Se provi a dire che tutto ciò non è sano, vieni accusata d’invocare il ripristino delle punizioni corporali, punizioni corporali che peraltro nessuno di coloro che partecipano al dibattito ha conosciuto: siamo andati a scuola in anni in cui nessuno ci bacchettava e si cominciava persino a dar del tu alle maestre; ma, se oggi qualcuno osa dire che no, i sedicenni non hanno capito il mondo meglio di noi, non foss’altro perché non hanno avuto il tempo di capirlo, allora i giovanili, gli alleati dei giovani, gli interiormente sedicenni si poggiano il dorso della mano sulla fronte e sospirano: ah, quindi vuoi il ritorno del libro Cuore. (da linkiesta.it, 4 aprile)

Magari! Farebbe senz’altro meno danni delle diagnosi di “disturbo oppositivo provocatorio” o di “disforie di genere”.

Rassegne e rassegnazione 087

Fuori quota

ebdomadario logodi Paolo Repetto, da uno spunto (o da una spinta) di Nicola Parodi, 10 febbraio 2024

Con una sentenza del 2022, della quale sono venuto a conoscenza solo recentemente, la Corte Costituzionale ha stabilito che anche nei comuni con meno di cinquemila abitanti va rispettato l’articolo 51 della Costituzione, quello che recita “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. In realtà la sentenza fa riferimento ad una modifica apportata poco più di vent’anni fa al comma 1 dello stesso articolo, con una aggiunta nella quale si dice che “A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. La pronuncia della Corte risponde nella fattispecie a un quesito relativo alla composizione delle liste elettorali, e precisa che quelle nelle quali non è presente un adeguato numero di canditati di entrambi i sessi vanno escluse dalla partecipazione. Perfetto. Anzi, no. Alla luce degli sviluppi intervenuti negli ultimi vent’anni mi chiedo se non sarebbe il caso di introdurre al più presto un’ulteriore modifica, che garantisca pari opportunità (e quindi una quota) anche a chi non si riconosce in un’identità di genere definita. E volendo essere davvero pignoli, sarebbe da intervenire anche sul testo originale dell’articolo 51, perché parla solo di cittadini “dell’uno e dell’altro sesso”.

Ogni volta che leggo di pronunciamenti del genere mi chiedo se sono finito su questo pianeta per sbaglio. O se gli alieni sono i pronuncianti. Proprio non mi ci raccapezzo. Qual è la logica che motiva un’interpretazione di questo tipo? Certo, non il buon senso. Mi sembra più che evidente che fissare a priori in base al sesso, all’etnia, alla religione o a qualsivoglia altro criterio analogo il numero dei membri di un insieme, si tratti di un’assemblea, di un parlamento, di un consiglio di amministrazione o di un coro, è il sistema garantito per non avere il “meglio” possibile. Qui non si tratta di individuare un campione per sondaggi, ma di assicurare a quell’insieme un minimo di efficienza, di competenza rispetto alla funzione che dovrebbe svolgere. Il problema semmai sarebbe rimuovere tutti gli ostacoli economici e culturali ad una partecipazione libera, creare per tutti le stesse opportunità. E invece no. Anziché abbattere davvero gli steccati se ne costruiscono altri.

Come al solito, anche in questo l’Italia viaggia a rimorchio. Abbiamo importato il sistema delle quote dagli Stati Uniti, dove esisteva un problema storico di disparità dei diritti della popolazione di colore, ma dove comunque quella soluzione si sta rivelando fallimentare. Molte università, ad esempio, stanno facendo marcia indietro, e non per un rigurgito di razzismo o di sessismo, ma semplicemente perché le quote funzionano male e creano situazioni clamorosamente ingiuste. Da noi il problema storico al quale ci si appella riguarda invece la discriminazione di genere – che indiscutibilmente esiste, come in tutto il resto del mondo –, e l’introduzione di quote rosa è parsa il modo più spiccio (in realtà quello meno impegnativo) per dare una spallata al maschilismo radicato nel nostro costume. Il risultato è però lo stesso. Oggi sono proprio le femministe più consapevoli a chiederne l’abolizione e a denunciarne l’effetto ancor più sottilmente discriminante.

Gli unici a non averlo capito sono evidentemente i nostri legislatori e i nostri censori giuridici. Il fatto è che esiste “un combinato disposto” di estensori di regole eletti essi stessi con strani criteri, di superguardiani dell’ortodossia del politicamente corretto, di raffinati esegeti dei sacri testi fondanti la nostra convivenza civile, nonché naturalmente di bellicosi difensori del principio della parità a prescindere, brandito come una bandiera dall’avanguardia culturale ma interpretato senza un pizzico di buon senso e di realismo. Sono l’espressione di una classe dirigente (e non mi riferisco solo a quella politica) che ha esperienza soprattutto di salotti (televisivi e non), e nel caso in questione non ha la minima idea di come si amministra un piccolo o piccolissimo comune della provincia italiana, dove può capitare (e in effetti capita, sono situazioni che conosco personalmente) che il sindaco o gli assessori e i consiglieri non disdegnino di salire su un trattore per spalare la neve o per spargere ghiaia su una strada di campagna, o di effettuare le riparazioni degli acquedotti in prima persona. Certo, non dovrebbe essere compito loro, ma nella realtà il braccino corto dello stato nei confronti delle amministrazioni periferiche, il contenimento delle spese e la difficoltà di reperire personale con un minimo di voglia e di competenza li obbliga anche a questo.

Fuori quota 02

Con ciò sto forse insinuando che le donne non abbiano i requisiti per amministrare un piccolo comune, perché in genere non guidano i trattori o non sono esperte in idraulica? Sono un patetico rudere della fortezza patriarcale? Ma per favore, non buttiamola in caciara. So benissimo che all’occorrenza le donne sanno fare come e meglio degli uomini, e volendo rimanere sul piano delle incombenze straordinarie cui accennavo sopra so anche citare il caso della sindaca di Fanano, Elena Tosetti, divenuta famosa per una tavola di Beltrame che la ritraeva mentre spalava la neve (ma è comunque significativo che sia finita sulla copertina della Domenica del Corriere). Sto solo dicendo che dalle mie parti nessun paese rifiuta la partecipazione alle donne che vogliono contribuire al bene della comunità. Anzi, ce ne fossero. Il problema è semmai quello opposto, di convincerle a partecipare. Per vari motivi, che vanno senz’altro dalla storica abitudine alla separazione dei ruoli per le generazioni più addietro fino alla scarsa compatibilità con gli impegni lavorativi o familiari per quelle più recenti. In questo momento, ad esempio, nessuno dei sedici comuni del comprensorio dell’ovadese è a guida femminile (a livello nazionale lo è il dodici per cento), e non per un ritardo del processo di emancipazione, considerato che dieci anni fa qui le donne sindaco erano un terzo del totale, o per un rigurgito reazionario di maschilismo. Evidentemente questa reticenza esiste, è un dato di fatto che nulla ha a che vedere con la difesa aprioristica del “patriarcato” e molto invece con una giustificatissima disaffezione per la politica, per quella locale soprattutto. E comunque, a proposito di modello patriarcale, credo sarebbe bene chiarire una volta per tutte che, per quanto possa sembrare paradossale, nelle società contadine vigeva molto meno che in quelle borghesi e urbane (per il semplice motivo che in quella economia le donne avevano un ruolo nella produzione e nella gestione del reddito pari se non superiore a quello maschile). Basterebbe a dimostrarlo il fatto che le prime dieci donne sindaco in Italia furono elette nel 1946 tutte in piccoli comuni rurali.

Ora, qualche sospetto di come procedano realmente le cose ai giuristi del supremo organo della magistratura deve essere venuto, se si sono premurati di inserire nel pronunciamento questo rilievo: «La diversità di trattamento riservata ai comuni minori non sarebbe giustificata dalla presunta difficoltà (che a quanto pare non è così “presunta”, dal momento che si deve ribadire quanto segue) di individuare donne candidate in contesti abitativi di piccole dimensioni, considerato che non vi è un obbligo di candidare persone residenti nello stesso comune e che comunque eventuali difficoltà derivanti dalla “carenza demografica” prescindono dal genere dei candidati». Tradotto in linguaggio corrente significa che qualora non ci siano indigene disponibili ad impegnarsi, si potrà pregare qualche “cittadina” amica di candidarsi per rispettare la lettera della legge. Che, si badi bene, è quanto in effetti già sta accadendo: è più facile infatti trovare disponibilità tra coloro che nei paesi vanno a villeggiare o hanno la seconda casa, che non tra i residenti (e questo vale sia per i maschi che per le femmine). Penso che tra gli altri motivi ci sia il fatto che attraverso l’IMU sono proprio i primi a contribuire maggiormente alle casse comunali, e se hanno scelto di vivere il tempo libero in un certo luogo si considerano particolarmente impegnati a difenderne o a promuoverne le caratteristiche. Resta poi da vedere se sono le stesse che stanno a cuore ai residenti.

Insomma, ciò che la Corte dice in sostanza è: “Ragazzi, se riuscite a convincere o a costringere qualche esponente dell’altro sesso a candidarsi, bene; in caso contrario fatevene prestare qualcuna da fuori e non rompete l’anima”. Direi che tutto questo con le pari opportunità c’entra ben poco. Ha a che fare invece con la riduzione semplicistica dell’emancipazione femminile a pura questione di numeri, cosa che si presta benissimo all’ipocrisia liquidatoria del sistema. Gli stessi criteri potranno essere adottati domani imponendo quote etniche, professionali, moltiplicando i generi “discriminati”, ecc… Quello che manca, dietro le “pari opportunità” che riempiono benissimo la bocca, è la domanda fondamentale: per fare che? A meno che si vogliano considerare conquiste femminili fondamentali la pratica del calcio o del rugby. Perché in questo caso dovremmo chiedere alla Corte Costituzionale l’esclusione delle squadre che non rispettano le quote.

Fuori quota 03 Ninetta Bartoli, il primo sindaco donna in Italia

Ninetta Bartoli, il primo sindaco donna in Italia

Niente sesso, siam sirene

ebdomadario logodi Marcello Furiani, 21 gennaio 2024

Da bambino – mi raccontava mia madre – ho cominciato presto a leggere, a sfogliare libri illustrati, anche se probabilmente non capivo le parole. Avevamo in casa un’enciclopedia illustrata di fiabe di tutto il mondo. Più che le storie allora mi affascinavano i solchi delle lettere sulla carta e i colori primordiali delle figure di re, principesse e animali. Fu lì che fui folgorato dalla fiaba de La sirenetta di Andersen: era la prima volta che comprendevo che una storia non necessariamente ha un lieto fine, che esiste la tristezza dell’abbandono, la nostalgia simile a un sanguinare, il sacrificio di un amore in schiuma di mare. Credo di dovere qualcosa di importante a letture come queste.

Niente sesso, siam sirene 02Scrivo questo perché le recentissime esternazioni sul sessismo nelle fiabe mi appare letteralmente surreale. Come non comprendere che le fiabe sono la rappresentazione simbolica con semplici strumenti popolari di un tempo andato e che la fiaba è fatta di simboli: principi, principesse, maghi, mostri e foreste incantate, streghe cattive sono le immagini dei nostri processi interiori. Il simbolo si riferisce a qualcosa che, celato dal senso oggettivo e visibile, ne nasconde un altro, più profondo, un elemento capace di mediare tra la coscienza e quel materiale psichico di cui noi non siamo consapevoli, cioè l’inconscio. Quindi è naturale che nelle fiabe i personaggi necessitino di essere appiattiti da un punto di vista caratteriale con lo scopo di rappresentare simbolicamente le varie parti del sé che abitano l’animo umano, permettendo in modo inconscio di entrarvi in contatto.

Prendere quindi a esempio fiabe di secoli scorsi è semplicemente “improprio”. È lo stesso discorso di chi accusa Shakespeare o Philip Roth di maschilismo o di chi vuole riscrivere Dante, Hemingway o Dahl in nome di un politicamente corretto che è pura sciocchezza. Le fiabe sono fatte di stereotipi, sono rappresentazioni simboliche, nel senso di cui ho scritto. Rivendicare per Biancaneve o Cenerentola una forza, un’indipendenza o altro sarebbe come lamentarsi che un tacchino non vola come un’aquila.

E poi, sinceramente, posso dire che questa esasperazione della correttezza politica – concetto vittima di una deriva integralista – mi suona tanto da inquisizione, da caccia alle streghe?

Deve essere successo qualcosa per cui la rivendicazione del sacrosanto diritto alla parità è diventata la sua caricatura, per cui dare fiato a idiozie appare come la ribellione a un “politicamente corretto” di cui, tra l’altro, è sempre più complicato offrire una definizione, tra derive postfasciste e ottusità spacciate per progressismo.

Infine, mi chiedo come sia possibile non comprendere che tutte queste sciocchezze siderali diventino facile strumentalizzazione di una destra davvero maschilista, omofoba, reazionaria, ecc.Niente sesso, siam sirene 03

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Buoni propositi

di Paolo Repetto, 31 dicembre 2021

Sono le otto del mattino del 31 dicembre e ho deciso di accettate la sfida. La sfida è con me stesso, e consiste nel riuscire a buttar giù entro le prossime dodici ore un elenco di possibili temi di discussione con i quali festeggiare (insomma) la dipartita di questo ennesimo anno funesto. È una cosa da fare entro le venti per consentire a Fabrizio di postare il tutto sul sito, ed entro oggi perché immagino una serata in tono minore (o maggiore, a seconda dei punti di vista) per un sacco di gente, soprattutto per gli amici che non godranno della mia compagnia: un capodanno trascorso mestamente in casa, col rischio di intossicazione alcoolica o televisiva. Ho quindi in mente come destinatarie di questo messaggio riunioni amicali o familiari ristrette, di quelle in cui lo spazio per la comunicazione di eventi quotidiani positivi o negativi (accoppiamenti/separazioni, promozioni/problemi sul lavoro, ecc. ) o di gossip ordinario è molto ridotto, perché si sa già tutto di tutti, mentre è per una volta un po’ più ampio quello temporale per affrontare argomenti di stampo diverso. Ma potrebbe anche essere il caso di un capodanno solitario, o di coppia, e in questo caso l’interlocutore potrebbe diventare magari il computer (sono un po’ scettico sul livello del dibattito domestico, a prescindere dall’oggetto dibattuto).

I temi che propongo alla discussione non sono in effetti quelli scelti di solito per riempire l’attesa di un’ora tanto simbolica. Ma anche gli argomenti apparentemente meno distensivi possono essere trattati con un filo di leggerezza, come si conviene alla specifica occasione: ad esempio, riflettendo sul fatto che nelle varie parti del globo quell’ora è diversa, che in Australia quando noi facciamo fare il botto allo spumante si accingono al primo pranzo dell’anno nuovo, mentre a New York escono dal lavoro dell’ultimo giorno di quello vecchio. E che per altri ancora, più della metà dell’umanità, il capodanno arriva in un altro giorno (quello ortodosso, ad esempio, il 14 gennaio) o addirittura in un altro mese (quello cinese il 1 febbraio). Il che sarebbe già più che sufficiente a togliere ogni sacralità e legittimità al nostro festeggiamento, e a farci laicamente decidere di andare a letto (col che il problema di riempire l’attesa non si porrebbe).

Buoni propositi 02Mettiamo però che per qualche loro ragione, fosse anche solo per abitudine, il gruppetto, la coppia o il singolo decidano di tirare dritto e approdare alla mezzanotte. Non possono rimanere con forchetta e coltello in mano dalla cena all’ora x, almeno qui in Piemonte, dove il pasto serale inizia alle 20. Bisogna mettere sul tavolo, oltre ai ravioli, alle lenticchie, ai panettoni e alle bevande, anche qualcos’altro. E non è necessario farlo in maniera ufficiale, dichiarando il tema della serata e inducendo subito tutti a lasciar cadere le braccia e le posate. Si può buttare l’amo con leggerezza, innescandovi un banale riferimento o una battuta: che so, la nascita di un nipote o il rifiuto sempre più diffuso di responsabilità familiari da parte dei figli potrebbe aprire la strada a un dibattito sulla sovrappopolazione; una considerazione sul tipo di fauna che monopolizza i programmi televisivi potrebbe far scivolare verso la questione gender, ecc. L’importante è che poi la discussione e le argomentazioni rimangano su un piano di assoluta levità: ovvero, non scadano nel litigio o nella volgarità, e l’occasione non venga sfruttata per tenere conferenze o impartire lezioni.

Confesso però che quello dell’attesa “impegnata” è solo un escamotage. Non sono così sadico da voler rovinare a qualcuno la serata. Il vero scopo di questo elenco non è quello di nobilitare “culturalmente” la vigilia. L’ho pensato come un’agenda da trasmettere al prossimo anno: una serie di punti che vorrei vedere trattati nell’immediato futuro sul sito, con tutta la serietà possibile, che significa con ragionevolezza e con un po’ di cognizione di causa. La sfida in questo caso non è al tempo, ma agli amici e a tutti i frequentatori del nostro sito. Esistono senza dubbio innumerevoli altri argomenti di altrettanta rilevanza, ma quelli che troverete elencati già bastano ed avanzano per giustificare l’attività di riflessione di un intero anno, e anche di quelli successivi, se verranno. Ed è evidente che nessuno ha la presunzione di dare risposte o scovare formule che salvino il mondo o ne correggano anche in infinitesima parte le storture: semplicemente, si tratta di viverci, in questo mondo, per quel poco di tempo che ci è dato, in maniera per quanto possibile consapevole e dignitosa. Di provarci, almeno.

Col che, bando alle chiacchiere e passiamo a considerare questi possibili argomenti. Non li elenco secondo un qualche criterio di rilevanza, ma semplicemente in ordine di apparizione (alla mia mente)

Buoni propositi 031. L’intelligenza artificiale, ad esempio. Viene per prima perché è lo stimolo che ha fatto scattare tutta questa operazione. Ne ragionavo ieri con Nico, e mi è rimasto in testa. Non è, come dicevo sopra, uno degli argomenti di cui si parla normalmente a tavola, soprattutto in questo periodo, nel quale la pandemia ha fatto uscire semmai allo scoperto un grave deficit di intelligenza naturale. Ma il motivo vero per cui non se ne parla è che le competenze in proposito sono decisamente poco diffuse. Preferiamo lasciare che se ne occupino i matematici, gli informatici e i cognitivisti.

Eppure, con l’intelligenza artificiale già conviviamo da un pezzo. È applicata in campo medico, nel controllo della finanza, nella traduzione e nell’elaborazione di testi. Abbiamo a che farci quotidianamente guidando le automobili di ultima generazione, segnatamente quelle elettriche, e stanno arrivando quelle a guida totalmente autonoma. Oppure, nella comunicazione, interloquiamo costantemente con assistenti telefonici automatici, mentre oltreoceano troviamo addirittura quotidiani già diretti da un software. Il fatto è che, a differenza di quanto accade per i mutamenti climatici, questa presenza non la notiamo granché, ad essa ci stiamo rapidamente assuefacendo. Ma non è nemmeno questo il nocciolo del problema. La domanda è: sarà in grado l’intelligenza artificiale di superare quella umana? E se si, quali possono essere le conseguenze? Io naturalmente qualche idea ce l’ho, e la butto lì come innesco alla riflessione. L’intelligenza artificiale è in grado di viaggiare, nell’elaborazione dei dati e nella formulazione delle risposte, a una velocità infinitamente superiore a quella del cervello umano. Il suo vantaggio è questo. Il suo handicap, paradossalmente, è invece costituito dal fatto che non può sbagliare, almeno in relazione alle cose per le quali è programmata. E noi sappiamo che le conquiste umane, l’evoluzione stessa, si basano sulla possibilità di errore: ogni mutazione biologica è frutto di un errore di duplicazione cromosomica, ogni grande scoperta è frutto di uno scarto da quella che appariva la giusta strada. Quindi: l’intelligenza artificiale, per complessa che sia, non dovrebbe arrivare a superare quella umana. Ma senz’altro può mettere fuori gioco quest’ultima, proprio in ragione della velocità. Abbiamo sempre più bisogno di questa velocità, ma a questo punto l’intelligenza artificiale è diventata autoreferenziale ed è essa stessa a indurre questo bisogno, lasciandoci sempre più indietro. Già si stanno creando le condizioni per le quali non riusciremo più a tenerla a bada. Inoltre, proprio perché organizzata in modo da non contemplare l’errore, l’intelligenza artificiale sviluppa e impone una logica tutta sua, lineare, con la quale interpreta un mondo che lineare non è affatto, che è invece dominato da forze che sfuggono a qualsiasi riduzione ad algoritmo, e abitato da uomini che agiscono in maniera tutt’altro che logica e prevedibile. L’unica cosa che possiamo ragionevolmente prevedere è che, comunque la si metta, non ne verrà fuori nulla di buono.

Buoni propositi 042. Altro argomento poco affrontato all’ora di cena, ma anche in tutte le altre, è quello del sovrappopolamento del pianeta, In questo caso a indurci a glissare sono diversi fattori. Intanto la convinzione che si tratti di un fenomeno ineluttabile, rispetto al quale non c’è politica o scelta che tenga, e che sarà semmai la natura stessa presto o tardi a farsene carico. Poi il disagio, un fastidio da un lato e quasi un senso di colpa dall’altro, che proviamo nel renderci conto come in realtà dalle nostre parti sia in atto già da un pezzo un decremento demografico, mentre altrove, nelle aree che un tempo erano definite sottosviluppate e che in gran parte sono effettivamente tali ancora oggi, la direzione si inverte. Di oggettivo ci sono solo alcuni dati: ci stiamo approssimando agli otto miliardi, e a questo ritmo il prossimo capodanno li avremo superati, perché la popolazione mondiale è cresciuta nell’ultimo anno di oltre ottantun milioni: negli ultimi trentacinque anni è rimasta pressoché stabile in Europa, è più che raddoppiata in Africa, è aumentata di oltre il cinquanta per cento in Asia e in America Latina, e del quaranta per cento nell’America del nord. In Italia il saldo demografico è negativo da dieci anni, il che significa che la popolazione è calata sotto i sessanta milioni, dopo averli abbondantemente superati: quello naturale, il rapporto cioè tra nati e morti, è stato lo scorso anno quasi di uno a due, le nascite sono state la metà dei decessi. Sulle cause di questi differenti fenomeni non mi dilungo, dovrebbero essere appunto il sale della discussione.

Lo stesso vale per le proiezioni: quelle più catastrofiche parlano di una popolazione mondiale che toccherà i dodici miliardi alla fine di questo secolo, altre più ottimistiche si fermano a quasi nove miliardi, prevedendo un picco verso la metà e un calo considerevole nell’ultimo quarto. Ma anche questa seconda prospettiva non modifica significativamente la portata del problema, perché il peso della popolazione è già oggi insopportabile per il globo, e considerando anche lo stato attuale di sfruttamento delle risorse, a partire dall’acqua, la stima di quello ottimale per ripristinare un equilibrio non va oltre i tre miliardi. E non basta appellarsi ad una distribuzione più equa delle risorse: comunque divisa, la torta rimane quella.

Bene, tutte queste cifre spiegano il perché del nostro senso di impotenza e il modo in cui la crescita si differenzia spiega invece il perché del nostro disagio. In sostanza: il decremento demografico in teoria ci va bene, solo vorremmo che si verificasse anche nelle altre parti del mondo. Ma il decremento comporta anche un invecchiamento medio della popolazione, quindi sempre meno lavorativi attivi in grado di garantire il benessere di quelli inattivi. Il che rimanda immediatamente al tema dell’immigrazione. In Italia, ad esempio, abbiamo bisogno di importare forza-lavoro, ma in questo modo importiamo anche culture non sempre compatibili con la nostra (con buona pace dei multiculturalisti): per garantire la sopravvivenza di quest’ultima (sempre che lo si ritenga necessario, e anche su questo le opinioni sono molto diverse) dovremmo invece favorire una politica di incentivazione delle nascite, sul tipo di quelle adottate nei paesi del nord Europa. Contravvenendo però in tal modo a quello che la natura suggerisce. Insomma, un gran pasticcio, del quale siamo decisamente poco consapevoli e meno ancora informati.

Buoni propositi 053. Si parla molto, invece, anche troppo, di identità di genere, e l’impressione è che lo si faccia sempre in termini sbagliati, o quantomeno ambigui. In realtà se ne sente parlare quasi esclusivamente da chi questa identità la vive come un problema, ciò che di per sé sarebbe più che giusto, o da chi l’ha ridotta allo stato “liquido” oggi tanto di moda, e questo invece ci irrita. A disturbarci sono prima di tutto i modi e i luoghi della discussione, l’esasperazione isterica e i salotti televisivi, la sua resa totale alla spettacolarizzazione. Nemmeno questo è dunque un argomento conviviale, sia pure per tavolate ristrette, perché affrontarlo ci mette in difficoltà: da un lato c’è sempre il rischio di urtare la sensibilità di qualcuno direttamente o indirettamente interessato, dall’altro abbiamo timore di essere fraintesi, oppure proviamo la sensazione di tradire la nostra vocazione “di sinistra”, progressista, che dovrebbe vederci disponibili alle più ampie aperture. Finisce così che quando capita di sbatterci contro liquidiamo la faccenda o assumendo posizioni ideologizzanti o trincerandoci sarcasticamente dietro banali battute.

Questo accade perché ancora una volta un problema reale, quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze e a considerare le diversità un valore, è stato estremizzato sino all’affermazione dell’inesistenza di differenze tra i sessi biologici, dalla quale discenderebbe la possibilità di variare a piacimento la propria identità sessuale. Leggevo ieri che in Danimarca dall’anno entrante l“appartenenza” sarà anche ufficialmente quella “percepita” dal soggetto, sarà cioè sufficiente dichiararla per cambiare il proprio stato anagrafico. Le ricadute di carattere sociale, giuridico e psicologico sono difficili da immaginare, e infatti sino ad oggi l’esercizio è stato proprio quello di provare a immaginarle, troppo spesso però, anzi, quasi sempre, fermandosi al livello della barzelletta o del paradosso. Anche se personalmente non ritengo che al problema si debba dare una priorità assoluta (contrariamente a quanto abbiamo visto accadere con la legge Zan, che ha provocato addirittura tumulti in parlamento, mentre all’atto della discussione e dell’approvazione di una legge sull’eutanasia Montecitorio era deserto), forse varrebbe la pena di cominciare a trattarlo con un po’ di serietà, lasciando da parte ogni “politicamente corretta” ipocrisia.

Buoni propositi 064. In questo gioco delle ipocrisie la “sinistra”, o quel che ne resta, o quel che ancora si autoetichetta tale, senza dubbio primeggia. Non avendo uno straccio di idea, di progetto, di visione del presente e tanto meno del futuro, vive di continui apparentamenti, insegue movimenti e campagne d’opinione specifiche, cerca di stare al passo con un mondo in trasformazione ma non ha chiara nemmeno la direzione in cui muoversi. La miopia relativa al presente e al futuro nasce dalla rimozione del passato. Voglio dire che la sinistra, quella eterodossa non meno di quella tradizionale, non ha mai fatto una pulizia reale nella propria storia: nel secondo caso l’ha semplicemente messa in soffitta pensando di potersi riconvertire (in cosa?) senza pagare alcun dazio, nel primo continua a trastullarsi con scampoli di nostalgie o con cause abbracciate senza alcuno spirito critico, per avere una qualche bandiera, uno slogan, una kefiah da esporre, e un nemico su cui scaricare i mali del mondo. Mi piacerebbe poter sognare una “rifondazione” della sinistra a partire da alcune basilari prese d’atto, ad esempio quella relativa all’inesistenza di una “natura umana” positiva (alla Rousseau, per intenderci) e alla “naturalezza” invece delle soluzioni culturali escogitate dall’uomo per garantirsi la sopravvivenza, con tutto quel che nel bene e nel male ne è conseguito: ma sembra proprio si continui a viaggiare nella direzione opposta. Anzi, a marciare sul posto. L’antisemitismo sinistrorso riemergente e la riscoperta di un’antropologia ideologizzata (i pacifici cacciatori-raccoglitori del paleolitico, le società libere dei nomadi) sono lì a confermarmelo.

Questo si, è un argomento da tavolata, anche di fine anno. Lo è stato, almeno, ai vecchi tempi prepandemici (gli anni ormai sembrano secoli), quando le tavolate si facevano e parlare di sinistra sembrava avere ancora un senso. Potrebbe essere l’occasione per riprendere in piccolo l’abitudine, e il senso reinventarlo. Mi riferisco naturalmente non alla serata, ma all’anno che verrà, anche se nulla vieta di anticipare un po’ i tempi. Ma in questo caso va fatta attenzione al menù: la discussione sulla sinistra si concilia bene solo col cotechino.

Buoni propositi 075. Il cotechino rappresenta un piccolo tassello di conservazione della memoria. Rimanda al maiale, alla sua importanza nell’economia e nella dieta contadina, ai significati positivi che in quella alimentazione rivestivano i cibi molto grassi e alle simbologie ad essi connesse. Questo della conservazione della memoria è un altro tema particolarmente consono alla serata. In fondo si celebra un rituale tradizionale di rinnovamento, che sia pure in tempi diversi è presente presso tutti i popoli della terra.

Due letture recenti mi hanno indotto, attraverso sollecitazioni molto differenti, a soffermarmi proprio su questo tema. Nel saggio La memoria del futuro Alexander Stille analizza i modi in cui, nel vorticoso avvicendarsi dei mutamenti tecnologici, il nostro rapporto con il passato si sta trasformando. Questo rapporto dipende da come il passato lo registriamo, lo fissiamo, ed è naturalmente molto diverso farlo attraverso la tradizione orale, con la scrittura o con le tecnologie informatiche. Ciò può sembrare lapalissiano, ma la cosa si fa interessante quando consideriamo ad esempio la differente idea di conservazione presente nelle culture architettoniche del legno rispetto a quelle della pietra. I giapponesi, per citare un caso, ricostruiscono ritualmente ogni vent’anni tale e quale un tempio scintoista realizzato nel VII secolo d.C., e affidano la patente di antichità piuttosto all’idea che alla sua espressione concreta. Allo stesso modo in Cina prevale la cultura della copia: dal momento che la maggior parte dei dipinti cinesi erano eseguiti su carta, l’opera degli artisti maggiori ci è stata tramandata nei secoli attraverso la realizzazione di copie. Al contrario, in Occidente hanno prevalso tecniche come l’affresco, la pittura a olio e, in campo architettonico, le costruzioni in pietra. Ha prevalso la cultura dell’“autenticità” materiale.

Buoni propositi 08Ora, questo ha qualcosa a che vedere con le lenticchie e tutto il resto? In un certo senso si, e mi riferisco soprattutto alle modalità conservative orientali, dal momento che quelle che chiamiamo tradizioni son in realtà delle copie, nel nostro caso nemmeno tanto fedeli, di costumi antichi. Ma quel che trovo interessante non sono tanto i modi quanto i moventi alla conservazione. Voglio dire: ha senso tenere in vita queste testimonianze del passato, quando poi nella realtà, al di là di un interesse puramente affettivo o nostalgico (quando va bene), esse non ci parlano più?

Me lo chiedevo proprio ieri, dopo che gli effetti collaterali di una ricerca sul web mi avevano condotto ad un sito che ospitava storie a fumetti complete, tratte dal Vittorioso dei primi anni Cinquanta. Le ho scaricate tutte, di alcune avevo un vago ricordo, altre le ho scoperte per la prima volta, ed emanavano lo stesso fascino che mi aveva ammaliato quando le leggevo a sette o otto anni. Mi è parso di aver ritrovato un tesoro, ma appena l’entusiasmo ha cominciato a scemare ho realizzato che quel tesoro non era più spendibile, era tutto in valuta fuori corso, non avrei potuto trasmetterlo nemmeno a mio nipote.

A questo volevo arrivare. Il cotechino ci sta benissimo, e così i ravioli, o le lasagne, o qualsiasi altro piatto legato al rituale celebrativo. Ma manca l’ingrediente principale, non dico la fame, perché non l’ho mai conosciuta, ma almeno l’eccezionalità del menù, quella che creava e giustificava l’attesa. Vale lo stesso per la storia. Non c’è più fame di storia, perché la storia era un propulsore per l’avvenire, e oggi non c’è più avvenire. Quella che consumiamo è storia ripulita, precotta, offerta in confezioni plastificate, che si può congelare e scongelare a piacere. Spesso non nemmeno tale, è soltanto “memoria”, che oggi tira molto di più. Soprattutto ci viene servita in mezzo a innumerevoli altri piatti altrettanto appetitosi, e i gusti si perdono e si confondono. Qual è allora la vera ragione per la quale ci ostiniamo nell’opera di “conservazione”?

Mi sembra a questo punto che il menù sia già sin troppo ricco: può riuscire pesante. Ma volendo si potrebbero introdurre delle varianti: i temi cui attingere non mancano, soprattutto se si scende ai piatti poveri, e vanno dallo stato pietoso dell’informazione alla rinnovata fenomenologia della stupidità, dal breve risveglio ambientalista allo stordimento culturale ed emozionale da pandemia.

Manca solo il dessert, e quello lo offro io, assieme alla promessa (alla minaccia?) che su questi temi tornerò.

Buoni propositi 09Dunque. Due settimane fa sono andato a prendere mia figlia Chiara che sbarcava a Linate. Tra ritardi e controlli sanitari rafforzati ho atteso più di un’ora davanti al varco d’uscita, cosa che si verifica ogni volta e che tutto sommato non mi spiace più di tanto, perché mi consente una panoramica spesso assai divertente sul mondo dei traveller’s. Stavolta però a guastarmi il piacere c’erano sei cani, che giustamente per tutto il tempo dell’attesa hanno fatto cagnara, con sommo compiacimento dei loro padroni, che al contrario dei cani hanno subito fraternizzato. Non mi era mai capitato prima, credevo anzi che fosse loro interdetto l’accesso. Non solo, ma quando finalmente i passeggeri sono sbarcati, all’apparire dal varco il loro grido di gioia era rivolto non a genitori o fratelli o fidanzati, ma ai cani, e così anche il primo abbraccio. Ora, io mi chiedo, e vi chiedo: tutto questo, vorrà dire qualcosa?

Avete un anno per pensarci. Oppure, se pensare vi costa troppa fatica, prendetevi un cane.

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Acufeni?

di Paolo Repetto, 25 novembre 2020

L’acufene non è una malattia, è un sintomo, come la febbre:
aspecifico. Può essere generato da diverse situazioni.
http://www.fondazioneveronesi.it

I domiciliari da Covid hanno almeno un lato positivo, che non è quello ottimisticamente pronosticato da molti all’inizio di tutta la faccenda, la favola delle ritrovate gioie del focolare domestico e del rinnovato rapporto tra genitori e figli o tra i coniugi (mai viste tante violenze tra le mura di casa come in questo periodo). No, sta molto più semplicemente nella forzata possibilità di perdere ogni tanto qualche ora in vagabondaggi nelle nebbie del web, e di misurare uno stato febbrile mentale collettivo che solo in parte è indotto dalla paura ossessiva e maligna ingenerata dal Covid; anzi, quest’ultima lo rende solo più immediatamente visibile.

Quando parlo di lato positivo non intendo quindi piacevole o divertente (oggi al “positivo” si associano ben altri significati); al contrario, è una esplorazione angosciante, ma che ci costringe quanto meno a prendere atto di una realtà che a dispetto del suo manifestarsi principalmente sul web è tutt’altro che virtuale. Non c’è alcuna scoperta, non rivelo niente di nuovo: è una realtà che tutti bene o male già conosciamo, e che all’occasione non manchiamo di deprecare. Ma poi la rimuoviamo immediatamente, con un moto di fastidio più che di preoccupazione, come fosse qualcosa che in fondo riguarda solo gli altri, per tanti che questi altri siano. È lo stesso atteggiamento, per intenderci, che manteniamo nei confronti dell’inquinamento ambientale: assistiamo alla crescita esponenziale del degrado, mutazioni climatiche repentine, ghiacciai che si sciolgono, acque che si acidificano o si plastificano, regioni enormi che si desertificano, come fossimo in trance, pensando tra noi e noi “non sono comunque io quello che può fare qualcosa”.

Ora, credo che fare il punto ogni tanto su questi fenomeni, che sono tra l’altro intimamente connessi, possa servire se non altro a scuoterci per un attimo dalla nostra apatia, a liquidare gli alibi che ci costruiamo e a metterci di fronte alle nostre singole responsabilità. Ciascuno potrà poi decidere se mutare qualcosa del suo comportamento, e nel caso, se farlo individualmente o cercare di agire in concerto con altri: ma se anche non deciderà nulla, non potrà almeno trincerarsi, davanti allo sguardo smarrito delle generazioni future, ma prima ancora di fronte a se stesso, dietro la scusante del “non sapevo, non mi rendevo conto”.

Dunque, parlavo di “febbre mentale”. Era un eufemismo, naturalmente. Quello di cui vado a scrivere è né più né meno che idiozia, cretinismo, stupidità, scegliete voi il termine. Ne ho già trattato ampiamente altrove (cfr. ad esempio Il mondo nelle mani degli stolti), direi addirittura che non ho fatto altro, ma sempre in termini molto generali, teorici, oppure stigmatizzando fenomeni singoli, quasi in forma di un divertissement preoccupato ma in fondo distaccato. Vorrei invece scendere un po’ più in profondità, perché anche il cretinismo, malgrado questo sembri un ossimoro, ha una sua ancestrale profondità, ha delle radici non solo sociali ma anche biologiche, e non va preso sottogamba, come un fenomeno di risulta, un effetto collaterale e solo un po’ fastidioso dell’evoluzione.  

Tra i collaboratori a questo sito c’è per fortuna chi ha conoscenze specifiche ben più ampie delle mie, e in futuri interventi proverà a spiegare in termini scientifici le origini e le motivazioni di questo tipo di comportamento.

Io per ora mi limito invece a produrre alcune pezze documentali ben precise, che ho pescato qua e là nel web. Le riporto seguendo un ordine “verticale” di rilevanza apparentemente decrescente, che induce un altro ordine “orizzontale” di collocazione, come si diceva una volta, da destra a sinistra. Posso garantire che sono frutto tutte della stessa escursione. Il percorso lungo il quale le ho attinte non era affatto preordinato, ma non può nemmeno essere considerato del tutto casuale: cercavo altro, ma se mi sono imbattuto in queste perle è appunto perché non c’è ambito al quale il cretinismo non si sia prepotentemente affacciato.

Sono notizie, ahimé, per nulla divertenti, che parlano di un istupidimento dilagante, trionfante, pericolosissimo, che andrà a toccare e già sta toccando le nostre vite in misura ben maggiore di quanto questa umana degenerazione abbia mai storicamente fatto. Sono il primo ad ammettere (e a scrivere) che da sempre, da Adamo in poi, sono state profetizzate da parte di ogni generazione sventure e apocalissi per quelle a venire: ma è pur vero che queste ultime nella maggior parte dei casi, almeno per i gruppi direttamente interessati, si sono poi verificate. E oggi però, di fronte ad un cretinismo che dispone di armi ben più potenti e incontra difese cerebrali disattivate dal bombardamento mediatico, il rischio si è davvero allargato a tutta l’umanità. È peraltro assodato che a fronte di questo tipo di contagio non si crea immunità di gregge: si crea solo il gregge.

Propongo queste cose nude e crude, così come le ho lette (citando anche la provenienza). Penso che ogni commento sia superfluo. Le lascio dunque alla vostra (spero sgomenta) riflessione, anche se già so che non potrò trattenermi dal tornarci sopra. Non sarebbe male se per una volta lo facesse anche qualcun altro.

QAnon, la teoria più amata dai complottisti americani
(Julia Carrie Wong, The Guardian, Regno Unito, 28 agosto 2020)

Per Donald Trump sono “persone che amano il nostro paese”. Per l’Fbi è una potenziale minaccia terroristica interna. E per chiunque altro abbia usato Facebook negli ultimi mesi potrebbe essere semplicemente un amico o un familiare che ha mostrato preoccupanti segnali d’interesse per il traffico di bambini messo in piedi da una “congrega” di devoti a satana o per teorie del complotto su Bill Gates e sul covid-19.

QAnon è una teoria del complotto basata sul nulla, cresciuta su internet e diventata popolare negli Stati Uniti ad agosto. Per anni i suoi adepti sono rimasti ai margini delle comunità di destra online, ma negli ultimi mesi – mentre negli Stati Uniti si diffondevano i disordini sociali e l’insicurezza dovuta alla pandemia – hanno trovato molta visibilità […].

Secondo questa teoria il mondo è governato da una congrega di celebrità di Hollywood, miliardari e democratici satanisti. Queste persone avrebbero messo in piedi un traffico di bambini e stanno cercando di allungarsi la vita usando un composto chimico preso dal sangue dei bambini vittime di abusi. I sostenitori di QAnon credono che Donald Trump stia conducendo una battaglia segreta contro questa congrega e i suoi collaboratori dello “stato profondo”, per rendere noti questi malfattori e mandarli tutti nella prigione della base statunitense di Guantanamo, a Cuba. Il presidente (che ha un ruolo fondamentale nella narrazione falsa di QAnon) si è naturalmente rifiutato di prendere le distanze: anzi, ha elogiato i sostenitori di QAnon, definendoli dei patrioti.

Esistono molte trame nella narrazione di QAnon, tutte improbabili e infondate: quella secondo cui John Kennedy, presidente assassinato nel 1963, sia in realtà ancora vivo; un’altra che accusa la famiglia Rothschild di controllare tutte le banche; oppure quella secondo cui i bambini rapiti sono venduti attraverso il sito web del rivenditore di mobili Wayfair (non è vero, ovviamente). Hillary Clinton, Barack Obama, George Soros, Bill Gates, Tom Hanks, Oprah Winfrey, la modella Chrissy Teigen e papa Francesco sono solo alcune delle persone che i sostenitori di QAnon hanno scelto come i cattivi di questa realtà alternativa.

Se tutto questo suona familiare, è perché ne abbiamo già sentito parlare. QAnon ha le sue radici in teorie del complotto esistenti, in altre relativamente nuove, e altre ancora vecchie di un millennio.

L’antecedente più recente è il cosiddetto Pizzagate, la teoria del complotto che si è diffusa durante la campagna presidenziale del 2016, quando siti d’informazione e influencer di destra hanno promosso l’idea infondata che i riferimenti al cibo e a una famosa pizzeria di Washington apparsi nelle email rubate del direttore della campagna di Clinton, John Podesta, fossero in realtà un codice cifrato che si riferiva a un traffico di bambini. Gli attacchi online hanno scatenato violenza reale contro il ristorante e i suoi dipendenti, culminati nel dicembre 2016 in una sparatoria per mano di un uomo convinto che nel locale ci fossero bambini da salvare.

Ma QAnon affonda le sue radici anche in teorie del complotto antisemite molto più antiche. L’idea di una congrega onnipotente che comanda il mondo viene direttamente dal Protocollo dei savi di Sion, un documento falso in cui viene descritto un piano segreto degli ebrei per controllare il mondo, e che è stato usato per tutto il Novecento per giustificare l’antisemitismo. Un’altra affermazione falsa dei seguaci di QAnon – l’idea che i membri della congrega estraggano dal sangue dei bambini l’adrenocromo, un composto chimico, e lo ingeriscano per allungarsi la vita – è una variante moderna di un’idea antisemitica calunniosa e vecchia di secoli relativa al sangue.

(L’articolo prosegue raccontando come è cominciata tutta questa vicenda, come funzionano le piattaforme di diffusione e a chi arrivano: “I più importanti gruppi Facebook dedicati a QAnon avevano circa duecentomila membri prima che la piattaforma li mettesse al bando, a metà agosto. Quando Twitter ha preso provvedimenti simili contro gli account QAnon a luglio, la misura ha colpito circa 150mila account […] In generale QAnon sembra essere popolare soprattutto tra gli elettori repubblicani più anziani e tra i cristiani evangelici.”,

quali strategie usano: “realizzare ‘documentari’ infarciti di disinformazione, prendere il controllo di hashtag popolari online per trasformarli in strumenti per diffondere le teorie QAnon; partecipare a comizi di Trump esibendo cartelli con su scritto Q; candidarsi alle elezioni. Una dimostrazione dell’efficacia di queste tattiche è arrivata quest’estate con la campagna #SaveTheChildren o #SaveOurChildren. Questo hashtag all’apparenza innocuo, usato in passato da ONG che lottano contro la violenza sui bambini, è stato inondato di argomenti dal forte contenuto emotivo da parte di seguaci di QAnon, con riferimenti alla più ampia narrativa del movimento”,

quanta  influenza stanno esercitando: “Media matters for America, associazione che monitora i mezzi d’informazione, ha compilato una lista di 77 candidati a seggi al congresso degli Stati Uniti che hanno dichiarato di sostenere QAnon. Una di loro, Marjorie Taylor Greene della Georgia, ha vinto le primarie repubblicane e a novembre con ogni probabilità entrerà al Congresso.”

Chi è Attila Hildmann, lo chef vegano dietro gli sfregi al museo di Berlino
(da  http://www.scattidigusto.it, 22 ottobre 2020)

Attila Hildmann, 39 anni, già star vegana dei masterchef tedeschi, è il principale indiziato per l’attacco che ha danneggiato 70 opere in tre musei di Berlino. Lo scorso 3 ottobre, qualcuno ha spruzzato una sostanza oleosa su decine di capolavori conservati nei musei. Sono stati macchiati e rovinati per sempre sarcofagi egizi, sculture, immagini di divinità greche e quadri dell’Ottocento.

Ieri, la Bild e altri mezzi d’informazione tedeschi hanno adombrato sospetti proprio su Hildmann, ricostruendo l’incredibile parabola che ha cambiato la vita del cuoco berlinese di origini turche. L’ex telechef è passato dal ruolo di amato vip dei fornelli mediatici, con una seconda carriera ben avviata da autore di bestseller culinari, a essere una bandiera dell’ultradestra.

Da quando preferisce agli show per la tv (anche americana) le piazze, da dove tenta, a suo dire, di aprire gli occhi a tutti i poveri stolti alle prese con l’epidemia globale, lo chef xenofobo, complottista, nonché negazionista del Covid-19, si è trasformato in un propagandista della spazzatura complottista sul Coronavirus. È stato lui a diffondere ai 100 mila follower del suo canale Telegram, il messaggio secondo cui il Pergamon Musem non sarebbe stato chiuso per la pandemia. Il vero motivo sarebbe la presenza all’interno del museo del “Trono di Satana”, essendo di fatto il Pergamom il “centro dei satanisti e dei criminali del Coronavirus”.

Martedì Attila Hildmann ha condiviso un link sui social che rimandava a un articolo sull’attacco ai musei. Il suo commento? “Fatto! È il trono di Baal (Satana)”.

Avevano fatto scalpore nel settembre scorso i messaggi pubblicati dal cuoco vegano ancora una volta sul suo canale Telegram. Protagonista la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che in realtà sarebbe ebrea e a capo di “un regime sionista” che all’interno del Pergamom Museum consuma “sacrifici umani”.

Ted Huges, il poeta nella black list della British Library
(da http://www.leggo.it 22 novembre 2020)

Il celebre poeta Ted Hughes è stato aggiunto a un dossier che lo collega alla schiavitù e al colonialismo dalla British Library. Il poeta, nato in una famiglia di umili origini nello Yorkshire, è risultato essere un discendente di Nicholas Ferrar, che era coinvolto nella tratta degli schiavi circa 300 anni prima della nascita di Hughes.

Ferrar, nato nel 1592, e la sua famiglia erano “profondamente coinvolti” con la London Virginia Company, che cercava di stabilire colonie nel Nord America. La ricerca, ha riferito The Telegraph, è stata condotta per trovare prove di “connessioni con la schiavitù, profitti dalla schiavitù o dal colonialismo”.

Hughes è nato nel 1930 nel villaggio di Mytholmroyd nel West Yorkshire, dove suo padre ha lavorato come falegname prima di gestire un’edicola e una tabaccheria. Ha frequentato l’Università di Cambridge con una borsa di studio, e lì ha incontrato la sua futura moglie Sylvia Plath.

Quello di Hughes, che morì nel 1998, non è l’unico nome illustre della letteratura inglese identificato dalla British Library come beneficiario dei proventi della schiavitù attraverso parenti lontani: nella lista ci sono anche Lord Byron, Oscar Wilde e George Orwell. Tra gli intenti dell’istituzione, diventare “attivamente antirazzisti” fornendo un contesto alla memoria di personaggi storici sulla scia del movimento Black Lives Matter.

Ma il tenue legame tra Hughes e Ferrar, al quale è imparentato per parte di madre, ha suscitato l’ira tra gli esperti del grande scrittore. Il suo biografo, Sir Jonathan Bate, ha dichiarato: «È ridicolo incastrare Hughes con un legame con la tratta degli schiavi. E non è un modo utile per pensare agli scrittori. Perché diavolo giudichi la qualità del lavoro di un artista sulla base di antenati lontani?». Bate ha aggiunto che Ferrar era meglio conosciuto come sacerdote e studioso che ha fondato la comunità religiosa Little Gidding.

Il poeta romantico Lord Byron è stato aggiunto a questa lista perché il suo bisnonno era un commerciante che possedeva una tenuta a Grenada. Suo zio, attraverso il matrimonio, possedeva anche una piantagione a St Kitts.

Oscar Wilde è stato incluso a causa dell’interesse di suo zio per la tratta degli schiavi, anche se la ricerca ha rilevato che non c’erano prove che l’acclamato scrittore irlandese abbia ereditato alcun denaro attraverso la pratica.

George Orwell, che era nato Eric Blair in India, aveva un bisnonno che era un ricco proprietario di schiavi in Giamaica. Ma la Orwell Society ha specificato che il denaro era già scomparso tempo prima che Orwell nascesse.

Cosa ha detto J.K. Rowling sulle persone transgender e le donne
(www.ilpost.it 11 giugno 2020)

Mercoledì sera J.K. Rowling, notissima autrice dei libri su Harry Potter, ha pubblicato un lungo post sul suo sito per rispondere alle critiche e alle accuse di transfobia ricevute dopo alcuni suoi recenti commenti sull’identità di genere e su quello che lei definisce il “nuovo attivismo trans”, e per spiegare perché si è espressa pubblicamente su questi temi.

«Non mi piegherò di fronte a un movimento che ritengo stia facendo danni dimostrabili nel tentativo di erodere il concetto di “donna” come classe politica e biologica, offrendo protezione ai molestatori come pochi nella storia».

Ha inoltre rivelato di aver subito violenze domestiche e abusi sessuali durante il suo primo matrimonio, citando questa esperienza – insieme al suo passato di insegnante e alla sua convinzione dell’importanza della libertà di parola – come una delle ragioni a sostegno delle sue idee rispetto all’identità di genere e ai diritti delle persone trans.

Negli ultimi anni, Rowling ha più volte espresso opinioni controverse sul concetto di sesso e di identità di genere e sui diritti delle persone trans. Nel suo post ha commentato e cercato di spiegare le volte in cui era successo e ha fatto riferimento più approfonditamente all’episodio più recente, avvenuto lo scorso weekend. Sabato scorso Rowling aveva ironizzato sull’utilizzo dell’espressione “persone che hanno le mestruazioni” nel titolo di un articolo del sito Devex, che usava l’espressione per includere esplicitamente persone trans e non binarie: «Sono sicura che esistesse una parola per queste persone» ha scritto Rowling, «Aiutatemi… Danne? Done? Dumne?».

Il commento implicava una corrispondenza automatica tra le persone che hanno le mestruazioni e le donne: negando così la possibilità che esistano persone che le hanno ma non si identificano come donne (alcuni uomini trans, o persone che non si identificano in alcun genere, ad esempio), e ha generato critiche e discussioni.

Domenica Rowling ha risposto con tre nuovi tweet, affermando di «conoscere e sostenere persone transgender», ma opponendosi a «cancellare il concetto di “sesso”».

Anche questi tweet hanno ricevuto molte critiche e risposte, anche da famosi attori e attrici che avevano lavorato a film tratti dalla sua saga. Lunedì, ad esempio, l’attore Daniel Radcliffe – interprete del personaggio di Harry Potter nella serie di film tratti dai libri di Rowling – ha pubblicato una lettera in cui prendeva le distanze dalle parole di Rowling, evitando di attaccarla personalmente, e in cui esprimeva solidarietà verso le persone transgender e la volontà di “diventare un migliore alleato” (come vengono definite le persone che non appartengono alla comunità LGBTQIA+, ma condividono e sostengono le sue ragioni). Commenti simili sono stati fatti anche dagli attori Eddie Redmayne ed Emma Watson.

L’identità sessuale, oggi, viene definita in base a tre parametri: sesso, genere e orientamento sessuale. Il primo corrisponde al corpo sessuato (maschio-femmina), il secondo al senso di sé (al sentimento di appartenenza, all’identificarsi come uomo o donna a seconda di ciò che il mondo intorno riconosce come proprio dell’uomo e della donna), mentre il terzo riguarda la direzione dei propri desideri (eterosessuali-omosessuali-bisessuali, e altre categorie).

Il sistema sesso-genere-orientamento sessuale (usato oggi in tutto il mondo dalla maggior parte degli psichiatri, degli psicologi, dei sessuologi e dei sistemi giuridici) è però solo una griglia interpretativa e imperfetta della realtà, basata su rigide alternative binarie: la realtà stessa è ben più complessa e ricca di esperienze in cui i tre parametri non sono necessariamente “coerenti” tra loro. Un articolo del National Geographic riporta le esperienze di alcune persone che non rientrano perfettamente nella binarità, alcune dal punto di vista biologico, altre psicologico, più spesso un misto dei due.

La posizione di Rowling rifiuta queste posizioni e si può riassumere come segue: secondo lei esistono due sessi (maschio e femmina), che dipendono da fattori anatomici e fisici (come le mestruazioni); secondo lei, però, l’inclusione nella categoria di “donna” richiesta dalle donne trans rischierebbe di danneggiare le persone biologicamente donne.

(A scanso di equivoci, non sono un fan di Harry Potter, ma alla signora Rowling vanno naturalmente in questo caso tutta la mia stima e la mia solidarietà. Non aveva necessità di tirare in ballo gli abusi per giustificare la sua posizione. Decisamente meno, lo confesso, apprezzo l’opportunismo ipocrita di Daniel Radcliffe.

Mi si potrà inoltre obiettare che la rilevanza, in termini di pericolosità, tra i primi due casi e gli altri due che ho riportato sia molto diversa. Non ne sarei così convinto.)

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