Rassegne e rassegnazione

di Paolo Repetto, 5 aprile 2024

Se la classe dirigente è fatta di imbecilli
immaginiamoci cosa possa essere la clientela media.

Fino a qualche anno fa comparivano regolarmente su La Settimana enigmistica (o magari compaiono ancora, non ho verificato) un paio di storiche rubriche, l’una titolata “Spigolature”, l’altra “Strano ma vero”. Raccoglievano in ordine sparso, senza alcun visibile criterio e con trattazione telegrafica, aneddoti e curiosità del tipo più disparato, dal gatto svizzero che giocando col telefono allerta la polizia all’invenzione dei catarifrangenti stradali (nel 1934, per chi fosse interessato), dalla storia di sant’Irmina di Treviri all’esistenza di oltre quattrocento varietà di agrifoglio. Se ricordo bene, l’unica differenza tra le due pagine stava nel fatto che la seconda era illustrata da vignette.

Si trattava in genere di informazioni banalissime, e quando non riuscivano tali erano comunque bizzarrie buttate lì a fare mucchio, e quindi totalmente inutili. Ciò nonostante, sino a quando La settimana enigmistica è rimasta l’ultimo nutrimento culturale di mia madre ho continuato a scorrerle avidamente: un po’ per una congenita coazione alla lettura, quella che m’imponeva di divorare tutto ciò che di scritto mi capitava sotto gli occhi, a tavola persino l’etichetta dell’acqua minerale (malgrado la conoscessi a memoria, perché si trattava sempre della stessa bottiglia, riempita con l’acqua del rubinetto), un po’ per la precoce e morbosa curiosità di indagare sino a che punto potesse spingersi la stupidità umana: e devo dare atto che entrambe le rubriche ne fornivano, non ho mai capito quanto involontariamente, degli esempi spassosissimi.

Bene, ho pensato di continuare a divertirmi proponendo io stesso una piccola antologia di “spigolature” recuperate nei quadernoni dalla copertina nera che ingombrano le mie scrivanie e i ripiani della mia biblioteca. Non ho seguito un criterio cronologico, e nemmeno avrei potuto farlo, perché si tratta di appunti, stralci di notizie e citazioni annotati frettolosamente sul primo spazio bianco disponibile, a margine di letture o di riflessioni estemporanee. Ho cercato qui di raccogliere quelli più recenti o che mi sembravano conservare un’inquietante (e tragica) attualità. Negli intenti avrebbero dovuto fornire lo spunto per futuri pezzi di costume o di approfondimento, di fatto sono poi rimasti lì, e forse è stato meglio così: nella forma grezza, e nel disordine sparso, sono più eloquenti di qualsiasi trattazione.

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Rassegne e rassegnazione 02Settembre 2023 – A Modena 160 persone hanno sborsato settanta euro a testa per seguire dal vivo il seminario di un “contattista”, un ex-ferroviere che parla coi marziani, razzola liberamente nelle basi nucleari russe ed è ospite quasi fisso di Red Ronnie (un giorno si dovrà anche parlare del dramma dei pensionamenti anticipati, in ferrovia o altrove, che hanno gettato un sacco di gente nella necessità di inventarsi le occupazioni più peregrine). L’incontro è durato otto ore e non comprendeva il servizio di buffet: chi voleva rifocillarsi durante la pausa pranzo o si accomodava al ristorante (pagando, naturalmente) o mangiava un panino sulla strada. Allo stesso prezzo si poteva anche seguire il seminario da remoto – risparmiando in questo caso le spese di viaggio e del pasto, ma perdendo la magia dell’incontro dal vivo col bagonghi. Comunque, a seguire tutta la faccenda via web erano iscritte diverse altre centinaia di persone.

Autunno 2023 – A Trevigiano Romano, vicino al lago di Bracciano, una veggente parla da sette anni a intervalli regolari con la Madonna (o con Gesù, se la Madonna ha altri impegni). Ultimamente s’intrattiene in realtà molto più con gli inquirenti, perché la fede di alcuni dei seguaci, che le avevano intestato piccoli patrimoni, comincia a vacillare.

In compenso a Manduria, nei pressi di Taranto, da trent’anni la Vergine dell’Eucaristia (o suo figlio) appaiono ad un’altra veggente – ecco dov’erano impegnati –, una che ha intrapreso la carriera giovanissima, e le trasmettono messaggi accorati. Il fenomeno non ha la stessa risonanza mediatica, mantiene un basso profilo, ma non manca del suo bravo seguito ed è approdato sui social. Chi volesse partecipare alla preghiera in diretta dalla Cappella della Celeste Verdura (si chiama così, lo giuro, il piccolo santuario che ospita periodicamente il miracolo), può farlo in qualsiasi momento su Facebook o sul canale ufficiale accessibile da Youtube.

Dov’è la novità? Infatti. Nulla di nuovo sotto il sole. Sono solo tre banalissimi casi di citrullaggine tra i mille altri analoghi che si possono raccattare con un giro in rete o spulciando i quotidiani. Niente naturalmente a confronto delle stigmate di Padre Pio, o di fenomeni “globali” come quelli dei rettiliani o dei terrapiattisti. Rispolverano però per l’ennesima volta le domande fondamentali, alle quali varrebbe la pena ogni tanto provare a rispondere, per un esercizio di igiene mentale. E cioè: possiamo ancora liquidare queste cose con una risata, o sarà bene cominciare seriamente a preoccuparci? E in un contesto del genere, non sarà opportuno ripensare il significato di “democrazia”?

Rassegne e rassegnazione 03Marzo 2019 – «La verità è che George Orwell era una creazione della CIA, indipendentemente dall’opinione che si ha sulla qualità letteraria delle sue opere. La CIA non aspettò un momento ad investire fondi per promuovere la sua opera. Era consapevole dell’effetto devastante che il messaggio di un presunto rappresentante dei valori della sinistra poteva avere su ampi settori dell’opinione pubblica. Come altri intellettuali di quel, e di questo, periodo, Orwell soccombette alla seduzione del facile successo e della rapida notorietà che rese possibile la trasmissione di un messaggio costruito dai creatori della “guerra fredda”. Ma la tragedia della sua memoria fu duplice. Da un lato, l’apertura di alcuni fascicoli polverosi del Foreign Office ne rivelò la personalità fraudolenta. L’assenza di scrupoli dello scrittore inglese era paragonabile solo a quella dei più spregevoli protagonisti dei suoi stessi romanzi.» (Manuel Medina, George Orwell: Breve biografia di un magnaccia al servizio della CIA, da Forum Marxismo Leninismo)

Medina è palesemente un idiota, e il sito che lo ospita potremmo considerarlo semplicemente patetico, da non spenderci neppure un secondo: non fosse che, al pari di molti altri blog (personalmente ne ho rintracciati almeno una quindicina: quando sono giù di corda amo perdere tempo in queste cose) testimonia il persistere in quella che si arroga l’etichetta di “sinistra dura e pura” di un atteggiamento antico nei confronti della cultura autenticamente libertaria. Mi è tornata infatti immediatamente in mente la stroncatura di 1984 pubblicata da Togliatti su Rinascita (1950): «Con la pubblicazione di 1984 di Orwell […] la cultura borghese, capitalistica e anticomunistica, dei nostri giorni, ha aggiunto al proprio arco sgangherato un’altra freccia: un romanzo d’avvenire! […] L’autore accumula con la maggiore diligenza tutte le più sceme tra le calunnie che la corrente propaganda anticomunista scaglia contro i paesi socialisti.

Nel “partito” (metafora del Pcus) si insegna a commettere, per il “partito”, le azioni più stolte, a mentire, a negare la evidenza dei fatti […] Il capo del partito ha i baffi neri e il suo nemico mortale la barbetta a punta, a questo punto si scopre invece proprio soltanto l’autore, nella meschinità e abiezione che a lui stesso sono proprie.

Le botte servono davvero a troppe cose, nel libro di George Orwell […] doveva aver davvero una grande esperienza di bastonature e torture, questo poliziotto coloniale, per giungere a porre la fiducia nelle torture e nelle bastonature più in alto che la fiducia nella ragione umana.»

Questo era lo stile di Togliatti, aggressione, insulto e menzogna, fatto immediatamente proprio da tutta quell’intellighentjia comunista che “il migliore” aveva ramazzato nell’immediato dopoguerra, pescando in gran parte dalle file dei transfughi dell’ultima ora dal fascismo.

Ora, devo ammettere che nel clima di incipiente guerra fredda degli anni tra i Quaranta e i Cinquanta quel linguaggio, persino quel livore, ci stavano: voglio dire, non che fossero giustificabili, ma almeno era comprensibile perché se ne facesse uso.

Quella modalità polemica (soprattutto il “negare l’evidenza dei fatti” che Togliatti contestava alla vittima del suo attacco), e, ciò che è peggio, la forma mentis sottostante, sono state fatta proprie però anche dalle generazioni successive: lo testimonia ad esempio lo sprezzo col quale Calvino liquidava Orwell nei tardi anni Sessanta, definendolo un “libellista di second’ordine” (in una lettera “aperta” a Geno Pampaloni) “portatore di uno dei mali più tristi e triti della nostra epoca: l’anticomunismo”. All’epoca Stalin era morto da un pezzo, e il regime sovietico aveva mostrato il suo vero volto. soffocando nel sangue dimostrazioni e rivolte popolari in Germania, in Polonia e in Ungheria. La miopia e il livore non erano più nemmeno comprensibili. Calvino avrebbe poi parzialmente ritrattato il suo giudizio solo vent’anni dopo, dicendo che il libro era stato mal compreso perché sin troppo anticipatore. Ma altri, come ad esempio Vattimo, ancora a metà degli anni Ottanta, dopo che Orwell era stato “riabilitato” persino da L’Unità, hanno insisto a ribadire che 1984 è “lontano dal nostro mondo, tranne che per un particolare: l’impotenza del potere, la sua disfunzione, la sua fatiscenza” e che “segue la moda della fantascienza stracciona, dell’utopia delle rovine”.

È un fiele che corre ancora oggi tanto nelle vene della sinistra nostalgica quanto in quelle dei sinistrati dalla decostruzione post-moderna, e non è affatto prerogativa di un uno sparuto branco di anime povere. Lo si nomini putinismo, o madurismo, o più genericamente anti-occidentalismo, ha i suoi referenti culturali proprio in quelle “aristocrazie intellettuali” che si chiamano ipocritamente (e spettacolarmente) fuori dalla società dello spettacolo.

Rassegne e rassegnazione 04Gennaio 2013 – “La Digos di Firenze ha operato il fermo di un giovane fiorentino ritenuto un componente del commando che la notte di capodanno ha incendiato otto automezzi di una ditta di latticini di Montelupo Fiorentino e provocato anche gravi danni al deposito merci. Il ventiduenne Filippo Serlupi D’Ongran, rampollo di una nobile famiglia, è ritenuto fra i responsabili anche di altri quattro episodi a firma ARD (Animal Liberation Front) commessi in Toscana a danno di strutture di macellazione.” Gli altri componenti del commando sono riparati all’estero e all’epoca erano ricercati. Non mi risulta abbiano subito condanne.

Ottobre 2019 – È morto Beppe Bigazzi, prima vittima italiana dell’intolleranza animalista, sospeso dalla Rai nel 2010 per aver osato ricordare un necessario ingrediente della sua remota infanzia toscana: il gatto.

Dicembre 2020 – Uno spot di Telefono Azzurro, lanciato in occasione della Giornata universale dei diritti dell’infanzia (il 20 novembre), mostra una casa in fiamme. Si sente un cane abbaiare, e un uomo entra in una stanza già aggredita dal fuoco. Su un divano ci sono due bambini terrorizzati e con loro un cane, quello appunto che ha abbaiato. L’uomo prende il cane in braccio e lo porta in salvo, lasciando i bambini al loro destino. Messaggio crudo e schiettamente esplicito: c’è troppa gente che si preoccupa degli animali e dimentica e trascura i cuccioli d’uomo, ribadito dall’hashtag: #Primaibambini. Lo spot è stato immediatamente sepolto dagli insulti e travolto dalle polemiche, ed è stato ritirato.

Agosto 2021 – Paul Farthing, un politico inglese, ex-deputato liberal-democratico, ha evacuato per via aerea dall’ Afghanistan in Inghilterra centosettanta cani e gatti. Ha poi dichiarato “Sono davvero profondamente triste per gli afghani”, e non si riferiva ai levrieri, ma agli umani. Che non ha ospitato sull’aereo, non c’era spazio.

28 Luglio 2022 – “Tante sono le storie d’amore che legano le persone ai loro animali che spesso diventano compagni di vita da cui è difficile separarsi. Adesso qualcosa è cambiato, a Santa Margherita potranno rimanere insieme “per sempre”, anche dopo il decesso, dove (!?) è arrivata in consiglio comunale la richiesta della sepoltura con le ceneri del proprio animale da compagnia”. (Comunicato del sito comunale)

Quanto costa uno psicologo per cani? La tariffa oraria per la visita comportamentale è di 90 €. Indicativamente la prima visita comportamentale richiede 75-90 minuti. Gli incontri successivi generalmente richiedono 60 minuti. Nel caso sia necessaria una visita a domicilio, verrà addebitato un costo di viaggio pari a 0,30 € /km (andata e ritorno).

Rassegne e rassegnazione 054 Dicembre 2023 – Gli attivisti del movimento ambientalista Ultima generazione hanno occupato le carreggiate dell’autostrada Roma-Civitavecchia all’altezza di Torrimpietra. Nel corso della protesta hanno utilizzato del mastice per incollare le mani sull’asfalto dell’autostrada. Secondo il racconto degli ambientalisti durante la loro iniziativa un automobilista è sceso dalla sua vettura e ha aggredito un attivista, quindi è risalito a bordo e ha tentato di investirne un altro. Le due persone non sono rimaste ferite in modo serio. La polizia ha poi (con tutta calma) rimosso il blocco e identificato i responsabili dell’iniziativa (organizzata contro l’utilizzo di carboni fossili). Sono stati tutti accompagnati negli uffici della polizia stradale, e prontamente rilasciati.

19 Dicembre – Roma: nuovo blocco di Ultima generazione sulla Salaria, un automobilista schiaffeggia l’attivista e si becca una denuncia.

23 Dicembre – Blitz di Ultima Generazione sotto Palazzo Chigi. I poliziotti portano via due attivisti, che urlano: “Mi stanno facendo male”!

Commento di un mio coetaneo: “Se questi rappresentano l’ultima generazione, sono fiero di essere avanti con gli anni”.

5 Marzo 2024 – Condannati ad 8 mesi per il reato di danneggiamento aggravato i tre attivisti di Ultima Generazione che il 2 gennaio dello scorso anno erano stati arrestati per aver imbrattato con vernice rosa la facciata di Palazzo Madama. “Un fatto commesso con violenza – ha detto il pubblico ministero – che ha provocato danni considerevoli: l’ingresso a Palazzo Madama è stato interrotto per 30 minuti (che sarebbe il male minore) e sono servite decine di migliaia di euro per il ripristino (questo sì che è grave)”.

Autunno 2023 – Nei giorni scorsi, a chi gli aveva chiesto cosa pensasse dell’iniziativa dei giovani di Ultima generazione, Luca Mercalli ha risposto: “Quante opere d’arte sono state irrimediabilmente distrutte dalle alluvioni causate dal cambiamento climatico? Gli attivisti le hanno imbrattate? No, perché c’era sempre una lastra di vetro a proteggere i dipinti. Ecco, i giovani che protestano per il clima hanno ragioni sacrosante. Tutte le persone che stanno protestando fanno benissimo a farlo: chiedono un maggior impegno ai loro governi, chiedono la vivibilità del pianeta, per loro e per le future generazioni”. Fantastico. Sono convinto anch’io che il pianeta stia andando a ramengo. Al contrario di Mercalli ho però qualche dubbio sul tipo di “sensibilizzazione” che queste iniziative promuovono. Senza parlare poi del reale livello di consapevolezza e della coerenza comportamentale di chi le mette in atto.

Rassegne e rassegnazione 06Marzo 2024 – L’Università di Trento ha varato un nuovo regolamento. La novità è il femminile sovraesteso per le cariche e i riferimenti di genere. Si useranno “la decana”, “la rettrice”, “la professoressa”, “la candidata”, tutto declinato al femminile, anche se le persone indicate sono uomini.

Nel 2017 l’università di Trento aveva approvato un vademecum per un uso del “linguaggio rispettoso delle differenze”, con l’obiettivo di “promuovere un uso non discriminatorio della lingua italiana nei vari ambiti della vita quotidiana della comunità universitaria” come durante gli eventi pubblici o nel la produzione di testi amministrativi. Il nuovo Regolamento avrebbe dovuto essere scritto riferendosi ai gruppi di persone (studenti, docenti, eccetera) sia con il femminile che con il maschile. Questo secondo il rettore Deflorian avrebbe finito per appesantire eccessivamente tutto il documento e quindi, per “facilitare la fase di confronto interno”, gli uffici amministrativi avevano iniziato a lavorare a una bozza che conteneva solo femminili.

La demenzialità del tutto è stata denunciata proprio dalle rappresentanti femminili dei gruppi studenteschi. «Basta con la retorica vuota e paternalista che suggerisce che l’inclusione nelle università sia una questione di linguaggio. L’ambiente accademico richiede rispetto per l’intelligenza e la competenza di ogni individuo, indipendentemente dal genere […] L’uso del cosiddetto “linguaggio femminile sovraesteso” vuole essere un tentativo di compensare decenni di discriminazione di genere, tuttavia, potrebbe avere l’effetto contrario, finendo con il far sentire esclusi alcuni ragazzi e ragazze compromettendo quindi l’obiettivo di inclusione». Difficile sostenere il contrario. E ancora: «Riteniamo che porre l’accento in modo così esasperato sulla diversità sia esso stesso un modo per discriminare».

In Occidente c’è un’attività politica antagonista, ma si scioglie in questa specie di attivismo sostitutivo, nei confronti del resto del mondo e nei confronti del nostro passato. Alla fine, gioco di prestigio, la battaglia scompare, le cannonate non si sentono più e faccende come la lotta all’odio e all’intolleranza sul web sembrano importanti, persino coraggiose, per mancanza di termini di paragone.

L’asterisco e lo schwa, la comunicazione non ostile, genitore 1 e genitore 2, sono faccende irrilevanti e, quindi, non sono imboscate ideologiche tese ai valori e alla libertà. Sono, invece, un minuscolo sogno totalitario, inconsapevole e sfiatato, il passatempo di gente che gioca ai soldatini con la neolingua di Orwell e finisce per crederci.” (Claudio Chianese, Il linguaggio represso)

Rassegne e rassegnazione 07«Ogni nuova generazione di neonati è una invasione di barbari che invadono non dall’esterno, ma dall’interno e dal basso la società; la società ha il compito di educarli, disciplinarli, renderli civili prima che diventino adulti. Il che significa anche – soprattutto – fargli subire dei sacrifici e delle sconfitte esistenziali, in modo da far maturare i loro caratteri.

Ora, pensate a uno di questi piccoli mostri che entra in una società che si gloria di essere adulta e matura, di avere abolito ogni forma di “repressione”, che ogni giorno celebra la propria liberazione da tutti i pregiudizi, quindi da ogni gerarchia e di tutti i tabù moralistici, tipo l’antipatica distinzione fra “bene” e “male” (cosiddetti); dove i genitori prendono ogni cura per risparmiargli ogni “frustrazione”, ogni pressione dell’ambiente, tensione, sforzo e ogni dovere; scansano ogni ostacolo che si trovi davanti, vogliono essere suoi amici invece che suoi superiori. Lo mandano in una scuola che si vanta di essere “non repressiva”, di non bocciarlo mai e poi mai, che si sforza di “farlo divertire”, anzi prova a confondere il confine tra “studio” e “divertimento”; una scuola che sostanzialmente lo incita a “esprimere le proprie inclinazioni, ed opinioni”, ossia (a quello stadio) le proprie narcisistiche emozioni.

È inutile che vi dica come dovrebbe essere una società capace di civilizzare i barbari verticali, che sappia renderli virilmente adulti, continenti, cavallereschi, dotati di senso della dignità e dell’onore – ossia della vergogna di compiere atti bassi contro i più deboli. Inutile che vi canti le lodi del “controllo sociale”, del giudizio sociale che premeva su molti dei peggiori e li faceva essere meno pessimi; strillereste che voglio la società bigotta, insopportabilmente repressiva, ormai superata dal progresso e dalla libertà […].

È possibile che debba riconoscermi, sia pure in parte, sia pure con tutti i distinguo che vogliamo, in queste parole di Maurizio Blondet? Di uno dei personaggi più esecrabili della sottocultura complottista (gli ultimissimi pezzi comparsi sul suo blog titolano: Il grafene nel siero c’è, e serve ad hackerare l’uomo; Neonati uccisi e traffico di organi in Ucraina)? Dovrei chiedermi piuttosto come ci sono finito su quel blog, ma a questo ho una risposta immediata: Blondet aveva scritto a suo tempo Gli Adelphi della dissoluzione, praticamente sotto dettatura di un altro personaggio inquietante, Gianni Collu, che ho avuto la ventura di conoscere bene, e la cosa mi aveva incuriosito. Blondet di per sé non è nemmeno inquietante, è solo un paranoico (o uno squallido furbastro che specula sulla dabbenaggine diffusa) che vede poteri iniziatici e trame occulte ovunque: inquietante è invece il fatto che venga preso sul serio, non solo dallo stuolo di mentecatti che lo seguono, ma anche da coloro che lo combattono (e chissà perché, non mi meraviglia il fatto che il blog ospiti, tra gli altri, dei pezzi di Travaglio).

Ma questo è un altro discorso. La domanda era: perché mi sono riconosciuto in quelle parole, pur sentendomi distante anni luce dalle mefitiche esalazioni che circolano tra le righe? È presto detto: mi rode che come al solito un tema concreto, di evidente urgenza e rilevanza, in questo caso quello dell’educazione, venga lasciato cavalcare e snaturare e strumentalizzare a personaggi del calibro di Blondet, oppure venga trattato con la solita mielosa attitudine “buonista”. Mi cascano le braccia, ogni volta che le cronache raccontano episodi di bullismo o di violenza, per strada o nelle scuole, dei quali sono protagonisti bambini o adolescenti, al sentire psicologi e sedicenti educatori che sproloquiano di assenza di strutture, di specializzazioni, di attenzione, di stanziamenti, senza arrivare mai al dunque: al fatto cioè che le uniche vere assenze sono quelle di autorità e credibilità delle istituzioni, e di assunzione di responsabilità da parte di chi dovrebbe farle funzionare, a tutti i livelli.

La chiudo qui, per ora. Ma lo faccio proponendo un paio di altri piccoli stralci, questi recentissimi, nei quali Guia Soncini dice apparentemente le stesse cose di Blondet, ma per come le dice suonano immediatamente diverse. Non usa il “linguaggio femminile sovraesteso”, ma parla chiaro. Non si potrebbe ricominciare da qui?

Dicevo, il gruppo di madri di piccoli teppisti. Uno non voleva fare la doccia. Ma tipo costringerlo, come si è sempre fatto con tutti i bambini del mondo? Avessi suggerito di farlo al forno, si sarebbero indignate meno. Non capivo il trauma dell’acqua. Non capivo i bisogni del bambino. Ero praticamente la Franzoni.

Tempo fa Minnie Driver ha raccontato a Conan O’Brien che i bambini americani sono molto maleducati a tavola, e per lei è inconcepibile perché ha avuto un’educazione inglese e insomma, ha rassicurato i presenti e la madre dietro le quinte, non dico che mi menassero, ma se mi comportavo male al ristorante mi portavano in macchina e mi lasciavano lì chiusa finché loro non finivano di cenare.

Oggi se lasci un figlio in macchina scoppia un casino non dico pari a quello che ti toccherebbe se osassi lasciar solo un cane, ma insomma la potestà genitoriale secondo me te la levano, e qualcuno che per strada ti riconosce e ti sputa come fossi il simbolo d’ogni immoralità lo trovi. È perché i bambini in cent’anni sono passati da gente abbastanza piccola da esser mandata nelle miniere a creature sacre, certo.” (da linkiesta.it, 11 marzo)

Giornate di stremanti interrogativi per gli ufficialmente adulti che, pur di non crescere, sono determinati ad avere un rapporto alla pari coi figli, figli ai quali non s’è completata la mielinizzazione del cervello ma lasciamo stare i termini scientifici: quel che è importante è dar loro il diritto di voto anche se non sanno allacciarsi le scarpe.

Dunque abbiamo da una parte un sedicenne che accoltella una professoressa, dall’altra una undicenne che lascia un commento a Chiara Ferragni su Instagram. Poiché non sappiamo come giustificare il primo – certo, possiamo dire che non l’abbiamo ascoltato abbastanza, ma ecco, l’accoltellamento appare comunque difficile da inserire nella nostra lettura “i giovani hanno sempre ragione e c’insegnano la vita” – decidiamo che il problema è la seconda.

Adulti perlopiù scemi ma in qualche caso persino normodotati si aggirano per i social chiedendosi con aria dolente “cosa ci fa una undicenne su Instagram, non ci può stare, non è giusto che ci stia”. Le loro figlie avranno come minimo un OnlyFans su cui fanno vedere il contenuto delle mutande, senza che i genitori se ne siano mai accorti, ma non è neanche questo l’importante. […]

Se provi a dire che tutto ciò non è sano, vieni accusata d’invocare il ripristino delle punizioni corporali, punizioni corporali che peraltro nessuno di coloro che partecipano al dibattito ha conosciuto: siamo andati a scuola in anni in cui nessuno ci bacchettava e si cominciava persino a dar del tu alle maestre; ma, se oggi qualcuno osa dire che no, i sedicenni non hanno capito il mondo meglio di noi, non foss’altro perché non hanno avuto il tempo di capirlo, allora i giovanili, gli alleati dei giovani, gli interiormente sedicenni si poggiano il dorso della mano sulla fronte e sospirano: ah, quindi vuoi il ritorno del libro Cuore. (da linkiesta.it, 4 aprile)

Magari! Farebbe senz’altro meno danni delle diagnosi di “disturbo oppositivo provocatorio” o di “disforie di genere”.

Rassegne e rassegnazione 087

Anni perduti – e da dimenticare

(appunti sparsi sullo stato mio e della nazione)

di Paolo Repetto, 24 dicembre 2022

Nel solco di una tradizione recentissima, inaugurata su questo sito solo dodici mesi orsono con lo scritto sui Buoni propositi, propongo un sintetico resoconto dell’anno che sta mestamente per chiudersi. È un bilancio da economia domestica, nel quale si mescolano le voci più disparate: ma proprio per questo credo corrisponda nella maniera più veritiera a ciò che tutti abbiamo percepito di un anno decisamente infausto.
In questa prima parte ho inserito senza aggiornarle alcune riflessioni maturate nel corso dell’estate: non vanno oltre il livello di una bozza, ma mi sembra rimangano tuttora valide. A breve saranno postate quelle più recenti. Mi propongo di sviluppare meglio in futuro alcuni degli argomenti toccati, ma prima di tutto spero di muovere anche altri ad occuparsene. A quanto pare il mio ottimismo resiste, è a prova di sanità pubblica e di imbecillità private, di crisi energetiche e di smottamenti a destra. Per questo non ho ritegno a fare (e a farmi) ancora gli auguri.

Anni perduti 01

Se esiste una mente universale,
deve necessariamente essere sana?

La Débâcle

Non piove praticamente da nove mesi. Fiumi in secca, laghi che scompaiono, ghiacciai che si sciolgono o si disintegrano a ritmi sempre più accelerati. Mentre i campi e le risaie sono bruciati dall’arsura, le sorgenti e i rubinetti cominciano a tossire. Di quando in quando, con frequenza incalzante, arriva una tromba d’aria a movimentare un po’ il paesaggio. Da qualche giorno poi hanno ripreso a crepitare anche gli incendi. La peggiore siccità dell’ultimo secolo, si dice, ma solo perché non sono possibili raffronti con quelli precedenti. Saranno anche fenomeni in larga parte indipendenti dalle attività umane, come testimonia la ciclicità delle glaciazioni, ma non si può negare che l’umanità ci stia mettendo molto del suo, con comportamenti che moltiplicano gli effetti degli sconquassi naturali.

Anni perduti 02

In compenso sono ricomparsi il covid, che s’inventa sempre nuove varianti, e l’inflazione, invocata fino a ieri come la pioggia, ma subito sfuggita di mano e schizzata a due cifre: e soprattutto la violenza, tanto quella pubblica come quella privata. Qui la natura non c’entra, facciamo tutto da soli.

La violenza internazionale è riesplosa improvvisa persino nel vecchio continente. Anche se si mantiene stabilmente “a bassa intensità”, da febbraio il conflitto tra la Russia e l’Ucraina chiede il suo quotidiano tributo di morti (di quelli russi non si sa), desertifica intere regioni e le spoglia delle loro strutture produttive, impedendo tra l’altro l’esportazione di quel grano dal quale dipende la sopravvivenza di metà della popolazione africana. Di conseguenza questa a breve si sposterà con un esodo ben più che biblico verso le coste europee. Le sanzioni inflitte alla Russia dall’occidente si sono rivelate un boomerang, stanno logorando soprattutto le economie europee e hanno spinto i Russi nelle braccia sempre tese (a prendere) della Cina.

Anni perduti 03

In questo allegro panorama le “democrazie” occidentali sono guidate da governi deboli e da classi politiche decisamente incapaci. La nostra è neppure più guidata: siamo riusciti a mandare a casa anche il meno peggio, e affideremo tra un paio di mesi il nostro destino al “paese reale”.

In situazioni come queste non esiste una terminologia capace di rendere appieno l’entità di quanto sta accadendo. Almeno nella lingua italiana, che in linea con il nostro modo di pensare bada più a lasciare spazio alle sfumature sottili di significato, consentendoci di giocare con interpretazioni ambigue o riduttive. Il francese, invece, dispone quasi sempre della parola giusta, capace di riassumere tutti i sinonimi e di andare oltre. Lo abbiamo già visto in un’altra occasione, con bêtise. Nel caso attuale la parola appropriata e definitiva mi sembra débâcle, che sta per sconfitta, disfatta, batosta, resa umiliante, disastro, sfacelo, fallimento, ecc., e sottintende un ampio margine di responsabilità umana.

Il riassunto che ho fatto è ovviamente tanto generico da sembrare banalmente superfluo: il disagio che tutti quanti stiamo vivendo è evidente, anche se si manifesta nei modi più disparati. Ogni tanto però fa bene anche sintetizzare la situazione in un quadro generale, perché di norma tendiamo a preoccuparci dei singoli problemi uno alla volta: il che è normale e comprensibile, ma finisce poi per distrarci dal guardare in faccia l’aspetto più angosciante e immediato della tragedia, che è proprio lo stato del “paese reale”.

(luglio 2022)

 

Un paese di farlocchi

Giudicato in base all’immagine che ci torna dai media, il paese reale è una jungla (secondo la stampa) o un serraglio di deficienti (secondo la televisione). Sappiamo però che i media non raccontano la verità, e allora proviamo a fidarci dei nostri occhi, del nostro intuito. Ci diciamo che questa è una falsa immagine, che in fondo a guardarci attorno siamo circondati da un sacco di gente normale, di persone che fanno il proprio lavoro, che non uccidono la moglie o i vicini di casa, non frequentano i siti pedofili e non incassano pensioni per finte invalidità.

Ed è anche vero: ma nemmeno questa è un’immagine oggettiva del paese reale. Certo, se evitiamo di frequentare le discoteche o i parchi cittadini, di uscire a fare quattro passi la sera, di andare allo stadio per partite o mega-concerti, di partecipare alle adunate politiche, di farci candidare alle amministrative o semplicemente alla rappresentanza condominiale, allora sì, abbiamo l’impressione che tutto sommato le cose funzionino. Ma se soltanto usciamo di un passo dal perimetro di sicurezza che ci siamo ritagliati, e che si riduce ogni giorno di più, allora il paese reale lo incontriamo davvero.

C’è una quotidianità che non possiamo ignorare, a dispetto dell’ottimismo della volontà cui facciamo sempre meno convintamente ricorso. Parlo delle piccole irritazioni dalle quali siamo continuamente assaliti, dal momento in cui scendiamo a buttare la spazzatura a quello in cui cerchiamo di prendere sonno a dispetto di sagre, di sfide motoristiche notturne o di cani che latrano tutta la notte alla luna, anche quando la luna non c’è. Parlo della sensazione che nulla sia più sotto controllo, che se ci è andata bene oggi già domani potremo imbatterci in un pazzo o in un cinghiale in libertà, o trovarci coinvolti in un crack finanziario di cui nessuno alla fine sarà tenuto responsabile e tutti (o quasi) pagheranno le conseguenze. Non è questione di catastrofismo: è evidente come su questa percezione pesi anche il battage dei media, ma lo è altrettanto il fatto che lo smottamento sociale procede palpabile e accelerato. Questo è il “paese reale”.

Del quale, naturalmente, facciamo parte anche noi. Ne fanno parte i piccolissimi e costanti cedimenti alla non legalità o alla non correttezza cui siamo costretti per sopravvivere (anche perché quali siano la legalità e la correttezza non è mai ben chiaro), che riusciamo a giustificare con sempre meno rimorsi e ai quali ci stiamo velocemente assuefacendo.

Da sociale dunque il problema diventa in prima battuta individuale. Lo smottamento coinvolge anche noi, già per il solo fatto, quando non troviamo una risposta credibile al “cosa posso farci io, concretamente” (di fronte all’inquinamento, ai cambiamenti climatici, al degrado sociale, culturale, scolastico, linguistico, ecc…) di assistervi inerti. E peggio ancora va quando la risposta la diamo abbracciando posizioni che non tardano a diventare ideologiche, quando chiamiamo a responsabili tutti gli altri, quelli che si ostinano a non capire, dall’alto di una nostra presunta (e presuntuosa) esemplarità.

Anni perduti 04

Qualche giorno fa (per la precisione il 19 giugno) Luca Mercalli, meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico superdecorato e onnipresente in tivù, ha tenuto a Lerma una “Chiacchierata ecologica”, per spiegare al popolo quanto gravi siano i problemi ambientali, quanto siamo in ritardo per risolverli e quali piccoli accorgimenti comportamentali ciascuno di noi può adottare da subito per dare un suo contributo. Tutte cose molto giuste e vere, supportate da fior di dati sull’oggi e di proiezioni sul domani, in una serata talmente afosa da far percepire sulla loro pelle agli astanti la portata dei cambiamenti climatici. Tanto che ad un certo punto qualcuno ha pensato di procurare a un Mercalli grondante sudore un paio di bottigliette di acqua minerale. Lo avesse mai fatto! Le bottigliette (di plastica) sono state sgarbatamente respinte dall’oratore, in coerenza perfetta quanto al merito con ciò che andava predicando sull’inquinamento, ma molto meno, quanto ai modi, con quel che pretendeva di insegnare sui comportamenti. Dubito che la chiacchierata abbia segnato qualche punto a favore della causa ambientalista. Il giorno successivo nessuno probabilmente ricordava qualcosa dell’argomento, ma tutti avevano ben presente la malagrazia dell’illustre ospite. Mi sembra un esempio palese di come ogni integralismo, anche quello applicato a giuste cause, finisca per perdere di vista quello che è il nocciolo di qualsivoglia problema sociale, ovvero la mancanza di buona educazione.

(luglio 2022)

Anni perduti 05a

Un fil di fumo

Avrei svariati motivi per sentirmi a terra. Alcuni sono indubbiamente seri, e richiedono continui e sempre più faticosi colpi di reni per rialzarsi. Altri, non meno seri, sono comuni a tutti, riguardano la situazione politica, e più ancora quella ambientale, ma sembrano ormai sfuggire ad ogni nostra possibilità di controllo e spingono alla rassegnazione. Altri ancora, invece, possono apparire decisamente futili, sono sindromi del tutto personali, ma per accumulo provocano alla lunga un’insostenibile pesantezza.

Io patisco soprattutto questi ultimi, nel senso che ai primi bene o male reagisco, mentre di fronte ai cumuli di cretinate mi sento impotente. Soffro di una sensibilità addirittura morbosa per la stupidaggine, segnatamente nei confronti di quella che viaggia col passaporto “culturale”. Mi arrabbio ad esempio se sento su RaiTre che vogliono consacrare a museo un appartamento abitato da Pasolini per qualche mese, interrompo immediatamente la lettura di un saggio filosofico sull’avventura quando vi trovo scritto che nel 1794 le truppe napoleoniche (?) marciavano sulla superficie ghiacciata del Reno, spengo il televisore se mi propone un dibattito sul sacro cuore di Maradona o un concerto polemico del maestro Muti, diserto le mostre sui cugini o sui vicini di casa degli impressionisti, ma anche quelle sugli impressionisti stessi, e le conferenze degli storici a gettone. Va da sé poi che evito come la peste i film che “devi” vedere, i libri che “devi” leggere, i musicisti che “devi” ascoltare per non sentirti fuori sintonia. Intendiamoci, ciascuno è libero vedere e leggere e ascoltare ciò che gli pare, purché non pretenda poi di dettare più o meno larvatamente un canone.

Un’attitudine di questo tipo crea naturalmente dei problemi. A volte mi sento sotto assedio, soprattutto quando vedo cannibalizzati e banalizzati a merce di consumo interessi, argomenti, personaggi che coltivo da sempre con devozione quasi religiosa. Allora trovo conforto solo nel mio frutteto, e più ancora nella mia biblioteca, che un filtro sessantennale ha reso affidabile, ma che mi spinge inesorabilmente a guardare indietro. È la depressione post-postmoderna. O forse è solo lo scotto da pagare all’invecchiamento galoppante, uno scotto nel mio caso particolarmente pesante perché si somma ad una disposizione congenita. Insomma, è dura.

Non voglio però ricominciare con le geremiadi: al contrario, voglio testimoniare che è possibile, sia pure per qualche attimo, uscire dal rigor mortis della post-modernità e da quello dell’ineluttabile consapevolezza della propria irrilevanza. Che quando sembra nulla valga più la pena di essere visto o ascoltato, tentato o sperato, basta davvero poco a squarciare la bruma grigia che avvolge il mondo.

Anni perduti 05

È accaduto la primavera scorsa. Incontro per una conversazione extracurricolare un paio di classi terminali dell’ultimo liceo che ho diretto, su sollecitazione di un docente col quale si è creata una buona sintonia. Logorroico e semirimbambito quale sono, la tiro in lungo per quasi due ore, ma constato con crescente meraviglia che non uno dei cinquanta ragazzi presenti si alza e si assenta per urgenze: il che, stante la debolezza ritentiva dei nostri giovani, è quasi un miracolo. Non solo: dal momento che amo conversare deambulando, posso realizzare che nessuno si trastulla con lo smartphone, risponde a messaggi o si addormenta con gli occhi aperti (se accadesse, non la tirerei così in lungo). I ragazzi mi seguono con lo sguardo, avanti e indietro, come in una partita a tennis al rallentatore, e non in ossequio ad ordini di scuderia, né per una particolare reverenza dovuta a un dirigente: quando sono entrati in quel Liceo me n’ero già andato da un pezzo, e non mi hanno mai visto, e comunque quella forma di rispetto per i ruoli è venuta meno da un bel pezzo. Forse è l’argomento a intrigarli, perché la conversazione viaggia un po’ fuori degli schemi, ma alla fin fine non si parla né di calcio né di Greta Thunberg, della crisi ambientale o dei problemi adolescenziali: si parla di filosofia, o meglio, delle possibili e conflittuali visioni del mondo che stanno dietro ogni nostra scelta o comportamento. Non devo interrompermi nemmeno per un secondo, malgrado in queste occasioni sia molto esigente rispetto all’atteggiamento dell’uditorio: e magari m’illudo, ma ho l’impressione che quei ragazzi capiscano tutto ciò di cui sto parlando, anche se molte delle cose tirate in ballo non sono loro affatto consuete. Insomma, ne esco stupito, mi prende persino un po’ di nostalgia dei bei tempi dell’insegnamento, cosa che non mi capitava più da quel dì.

Ora, il passaggio logico successivo, quello che ci si aspetta (e arriva inesorabilmente) nei talk show, dovrebbe essere un proclama di assoluta fiducia nei giovani e di speranza che saranno loro a salvare il mondo. Invece no. Non nutro alcuna fiducia speciale nei giovani, non ne ho motivo, ma allo stesso modo in cui non la nutro nei biondi o nei mancini o nelle persone che portano gli occhiali, o in qualsiasi altra categoria morfologica o anagrafica. I giovani oltretutto, purtroppo per loro, saranno tali solo per breve tempo. Non so se salveranno il mondo o lo affosseranno definitivamente, so soltanto che lo abiteranno nei prossimi sessanta o settant’anni e temo che non sarà uno spasso; senz’altro sarà meno facile di quanto lo è stato per noi. Credo però nelle persone educate e responsabili, e quindi intelligenti. Il passaggio successivo è dunque che mi sono stupito di trovarmi di fronte, raccolte in un’unica sala e nello stesso lasso di tempo, tante persone con queste ultime caratteristiche. Non c’ero più abituato.

Ho anche provato ad immaginare la stessa situazione retrodatandola di sessant’anni e spostandomi in mezzo all’uditorio. Che tipo di attenzione avremmo prestato io e i miei compagni? Senz’altro silenziosa, per una coazione tutt’altro che tenera alla disciplina (l’aver lasciato cadere una penna dal banco mi fece sbattere una volta fuori dalla classe, dopo una solenne lavata di capo), e magari anche un’attenzione genuinamente interessata, se il relatore e l’argomento trattato lo avessero meritato: ma non posso dimenticare che io stesso, per tanti aspetti allievo modello, seguivo le spiegazioni dei miei insegnanti con un doppio taccuino, uno per gli appunti e uno per le mie creazioni artistiche, sul quale annotavo però anche il ricorrere di certi intercalari, per determinarne in maniera quasi scientifica la frequenza e arrivare ad anticiparli; oppure sottolineavo l’uso di termini che potevano essere piegati ad un doppio senso (era il massimo della licenziosità che all’epoca potevamo permetterci). Altri si tenevano svegli con distrazioni non molto diverse. Insomma, dietro la facciata, come nei western all’italiana, spesso c’erano solo dei pali di sostegno e dei tiranti.

Per questo, se provo a mettermi nei panni dei miei insegnanti, credo che avrei nutrito forti dubbi di poter trarre qualcosa da quegli adolescenti pieni di brufoli e pateticamente presuntuosi. E invece il qualcosa è venuto fuori: non in termini di “successo”, che non considero un indicatore di rilievo, e del quale non ho mai tenuto un registro, ma senz’altro in termini di qualità umana. Non c’è un mio ex-compagno che non riveda o che non rivedrei con piacere.

La stessa cosa potrebbe senz’altro verificarsi domani per i ragazzi di quelle due classi. Magari a vederli poi in giro, l’uno accanto all’altro ma ciascuno immerso nei suoi social, siamo portati a scrollare il capo e a chiederci cosa ne sarà tra vent’anni, e difficilmente ci diamo risposte positive: ma questo è accaduto dai tempi di Adamo nei confronti di ogni nuova generazione, anche se la nostra attuale perplessità parrebbe più che giustificata dalla accelerazione impressa alle trasformazioni dei costumi e dei rapporti. Forse però dovremmo avere maggiore fiducia nella capacità umana di fare fronte a cambiamenti anche traumatici, in quella che oggi con un termine abusatissimo negli pseudo dibattiti televisivi e quindi sempre più vago viene definita “resilienza” (in questo caso assunta nel suo significato originario). Se in una qualsiasi occasione questi ragazzi hanno dimostrato collettivamente intelligenza e responsabilità, significa che possono essere intelligenti e responsabili. Basta dar loro l’opportunità di esserlo. Che siano poi anche giovani è un valore aggiunto, una condizione né necessaria né sufficiente.

Dove voglio arrivare, con tutto questo giro? Semplicemente al fatto che di norma prestiamo attenzione solo a quello che non va, che non funziona, che ci disturba, mentre ignoriamo piuttosto ciò che proprio perché funziona ci sembra scontato. Ecco, io credo che il gesto veramente rivoluzionario, l’unico ancora possibile, sia quello di non dare nulla per scontato, e meno che mai le manifestazioni di una intelligente normalità. Queste andrebbero al contrario sottolineate, in maniera sobria ed efficace, puntando sull’effetto emulativo che può avere la pura e semplice ripetizione. Non si tratta insomma di riesumare il premio “Livio Tempesta”, quello che si assegnava ai miei tempi ai bimbi buoni che si prendevano cura dei loro compagni sfortunati o dei nonni, o percorrevano il mattino chilometri di sentieri con l’amico disabile a spalla per arrivare a scuola (anche se rispetto a quelli che quotidianamente si distribuiscono per le motivazioni più insensate ci starebbe tutto): il sentir ribadire ogni mattina che un comportamento intelligente paga, in termini di risultati, ma prima ancora di amicizia e di rispetto di sé, potrebbe fornire qualche rassicurazione ai molti che sarebbero portati a tenerlo, ma sono resi dubbiosi sulla propria normalità dall’esemplificazione malefica proposta in maniera martellante dai media.

Sto cercando di dire, anche se temo di non essere stato abbastanza chiaro, che a dispetto di tutto abbiamo ancora la possibilità di fare qualcosa. Come, lo vedremo la prossima puntata (e stavolta la prossima puntata ci sarà davvero).

(agosto 2022)

Anni perduti 06

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