di Nicola Parodi, 23 marzo 2020
Caro Paolo,
discutendo con te e con altri amici, per sostenere la tesi delle diverse modalità di raccontare la realtà ho spesso utilizzato come esempio il brano dei Promessi sposi conosciuto come “la madre di Cecilia”. Quel brano riesce sempre a commuovere anche uno come me, con molti anni sulle spalle e formato da una cultura contadina di terre faticose. L’amore materno lo abbiamo conosciuto nelle nostre esperienze di vita senza fronzoli, uguale e diverso da come è stato raccontato in migliaia e migliaia di pagine di produzione letteraria, canzoni ed opere d’arte. Alla scienza basta una parola: ossitocina. La risposta della scienza è “più vera”? Non direi, è solo un modo diverso di analizzare una realtà poliedrica, che può essere analizzata da diversi punti di vista o a diversi livelli di analisi.
Un sito archeologico può essere analizzato in diversi modi: una ricognizione sul posto, una foto aerea, scansioni con onde radar che penetrano a diverse profondità, sistemi di prospezioni con apparecchiature elettromagnetiche. Nessun metodo ci da una descrizione è più vera dell’altra, sono solo diverse.
Gli strumenti con cui provo ad analizzare la realtà e dare una risposta ai tuoi interrogativi sono forse inusuali, ma rappresentano un tentativo di analisi da un altro punto di vista.
1) Non sappiamo guardare in faccia la realtà
Molti problemi che ci creiamo derivano dal fatto che in qualità di organismi viventi, anche se molto evoluti, non accettiamo di trarre le debite conclusioni dalle conoscenze che ormai abbiamo sulla vita. Queste conclusioni entrerebbero in conflitto con la finalità di un vivente. Cerco di spiegarmi. Una “cosa” vivente non è altro che un insieme ordinato di molecole strutturato per mantenere il suo ordine nutrendosi di “entropia negativa” (come dice Schrodinger) e per mantenere questo stato deve scambiare energia e materiale con l’ambiente; se smette muore.
Ovviamente rimangono/sopravvivono solo organismi (insiemi ordinati) che continuano a nutrirsi.
Per poter continuare ad essere vivi esistono solo due strade, continuare ad accrescersi o riprodursi in copia. Un unico organismo che continua ad aumentare di dimensioni occupando teoricamente tutto l’ambiente occupabile (qualche scrittore di fantascienza ha avuto l’idea) sarebbe una scelta perdente sia per ragioni termodinamiche sia per ragioni di garanzie di continuità di vita: un cambio di condizioni ambientali causerebbe la sua sparizione e non ci sarebbe più nessuno a porsi domande. Non resta che l’alternativa di fare copie di sé. Il risultato dopo qualche miliardo di anni lo vediamo. È spuntato un organismo che occupa tutto l’occupabile, mangia tutto il mangiabile (entropia danni ambientali) ecc … Questo risultato grazie al fatto che è in grado di porsi domande; ma il singolo individuo, il fenotipo, la risposta vera non la vuole sentire, perché contraddice la sua spinta a sopravvivere.
Non vuole/(può?) vedere in faccia la realtà.
Da agenti che trasmettono cultura (memi) sperimentiamo delusioni come genitori ancor più che come educatori professionisti. Mentre per la trasmissione dei geni sappiamo che la trasmissione è parziale, metà nostra e metà del sesso opposto, e quindi non ci attendiamo cloni, nella trasmissione culturale aspiriamo a clonarci trasmettendo per intero non tanto le nostre conoscenze quanto il nostro modo di pensare.
2) Il governo affidato agli “aristoi”?
Vero, la discussione sull’organizzazione della società va fatta ma non deve essere per forza viziata dal presupposto che una società per funzionare deve essere dittatoriale. Organismi pluricellulari con un grado di complessità inferiore a quella dei vertebrati hanno sviluppato un sistema nervoso (anche di sole 302 cellule, come Caenorhabditis elegans[1]) che elabora i segnali e determina i comportamenti di tutto l’organismo. Accettiamo (senza scomodare Menenio Agrippa) anche che nelle società più complesse le decisioni non possono essere prese che da una sorta di cervello/istituzione che ha le conoscenze/competenze per affrontare problemi complessi. Nelle società di cacciatori/raccoglitori non era necessaria la creazione di una struttura sociale in grado di organizzare il lavoro di tutti imponendo il rispetto delle regole. Esistevano sicuramente individui che avevano capacità superiori ad altri in qualche campo acquisendo autorità ma non imponevano sicuramente nulla con la prepotenza, che non era accettata[2].

La storia delle civiltà idrauliche alla fine sembra dimostrare che queste hanno perso il confronto con le altre. Si sono affermate grazie alla forza numerica consentita dalla maggior produzione agricola ma poi, ad esempio, greci e mongoli hanno messo in crisi quelle società (avevano si Alessandro e Gengis, ma non erano organizzati con un modello di autoritario di tipo persiano o cinese – sbaglio? Poi, nelle zone occupate, si sono adeguati).
Il modello dittatoriale alla lunga non funziona perché non riesce a produrre un’etica del comune sentire che ha le sue radici evolutive nelle centinaia di migliaia di anni della nostra storia di cacciatori raccoglitori che hanno lasciato traccia nel nostro cervello. Una società che si regge sulla prepotenza, proprio per come reagiamo noi di fronte a soprusi e prepotenze, va paragonata ad un organismo che vive in uno stato permanente di infiammazione: cosa che, come dicono gli esperti, favorisce l’insorgenza di malattie degenerative.
Allo stesso modo una società basata sulla costrizione anziché sulla collaborazione presenta una serie di attriti-resistenze interne che ne pregiudicano la funzionalità a lungo termine.
Una società guidata dagli “aristoi” presenterebbe comunque un problema, quello che Dawkins descriverebbe come il vantaggio riproduttivo che ad essi ne deriverebbe. Neanche se gli “aristoi” fossero frati si sarebbe al sicuro da quei fenomeni per i quali si usa il termine nepotismo. Parafrasando Dawkins (Il gene egoista) si può dire che le società dirette dagli “aristoi”, o società “dittatoriali”, non costituiscono “strategie evolutivamente stabili”[3].
Quello che crea problemi alle nostre società “democratiche” è invece l’incapacità a realizzare un meccanismo di premio/punizione per i comportamenti virtuosi o scorretti che funzioni, con tutte le conseguenze negative che ne derivano.
3) Selezione della classe dirigente
È una mia visione errata o c’è un briciolo di verità nell’ipotesi che le società con valori di convivenza e di capacità di valutazione dei comportamenti sociali positivi hanno un passato militare (es. Giappone, Germania, la Svizzera fornitrice di mercenari a mezz’Europa e anche il piccolo ducato dei Savoia dopo Testa di ferro?) La “disciplina sociale” creatasi in questo tipo di cultura spinge ad aver fiducia nella classe dirigente che nelle situazioni di criticità si è sempre dovuta piazzare in “prima linea”. Se a Maratona fuggi di fronte al nemico i tuoi concittadini ti giudicano!
La selezione della classe dirigente è responsabilità nostra, anche se a volte alcune riforme fatte per evitare alterazioni del sistema democratico finiscono, come effetto collaterale, per premiare i mediocri. Ad esempio, per evitare fenomeni di controllo dei voti si è introdotto il meccanismo della preferenza unica, che almeno localmente fa si che i consiglieri comunali che raccolgono più voti siano quelli con più “relazioni” e più o meno piccoli intrallazzi. Le persone migliori non partecipano nemmeno più al gioco. Una classe dirigente valida viene spesso selezionata in momenti critici, rivoluzioni, resistenza, battaglie, durante i quali i profittatori “disertano” (vedi, se fosse vero, sanitari a Napoli) e solo chi è dotato di rilevante senso morale continua a lottare.

Riprendiamo il concetto di meccanismo premio/punizione; i gruppi di neanderthaliani mantenevano individui non più in grado di cacciare[4], ma sicuramente avrebbero isolato (esiliato?) i profittatori, quelli che certi sociologi chiamano free riders. Nei momenti critici di cui sopra i profittatori si autoisolano.
4) sobrietà forzata
Per me benessere = energia a disposizione + efficienza del sistema (sia produttivo che sociale) nell’utilizzarla. Se avremo possibilità di “comprare” energia (scambiandola con qualcosa) avremo ancora benessere, e il sistema ci spingerà ancora al consumismo. Ma la concorrenza a “comprare” energia tra quasi 10 miliardi di persone sarà feroce.
5) Ridefinizione dei valori
Aggiungo solo: la visione utilitaristica sembra essere la visione del padrone del gregge, altro che democrazia. Se è vero che alcuni popoli praticano l’abbandono dei vecchi (Harris in “Cannibali e re” cita esquimesi e aborigeni australiani) si tratta di popolazioni che dispongono di poche risorse. Diverso è il discorso dell’accanimento terapeutico. Garattini qualche settimana fa su La Stampa, disquisendo dell’efficacia delle cure, citava due cure antitumorali dal costo di oltre 70.000 euro per cura, delle quali una dava come risultato una sopravvivenza di 28 settimane, l’altra di 5 settimane. La domanda implicita è perché gli stessi costi per efficacie così diverse? Farci sopravvivere 5 settimane è un bel “business”.
6) differente percezione delle cifre
Vero. Qualcuno lo spiega cosi: “… ma Singer … in un altro libro, The expanding circle, avanzò una teoria del progresso morale secondo cui gli esseri umani sono dotati per selezione naturale di un fondo di empatia verso consanguinei e alleati, e l’hanno gradualmente esteso a cerchie sempre più ampie di esseri viventi, dalla famiglia e dal villaggio al clan, alla tribù, alla nazione, alla specie e a tutta la vita senziente”. (Il declino della violenza di Steven Pinker)
Estensione dell’empatia avvenuta soprattutto culturalmente, ma istintivamente siamo più empatici con individui simili a noi[5].
7) collasso economico
Anch’io di economia capisco poco, aggiungerei solo: speriamo bene!
L’unica cosa che mi viene in mente è che, da quanto ricordo delle letture di gioventù, anche in passato le violazioni alle restrizioni adottate per bloccare le varie epidemie erano dovute essenzialmente ad interessi economici; ora sembra aggiungersi la stupidità.
8) le consolazioni
Fantastico il suggerimento di parametrare il sostegno economico alle dichiarazioni dei redditi degli anni precedenti. Riprende uno dei principi base dell’etica sociale, se vogliamo che le nostre società siano organizzate con “strategie evolutivamente stabili”, i buoni cittadini vanno sostenuti, i furbi e profittatori vanno puniti. Norme come questa contribuirebbero a far aumentare quello che gli economisti definiscono “capitale sociale”. Verificare se una legge contribuisce ad aumentare o no il “capitale sociale” potrebbe diventare un criterio per giudicarne la “bontà”.
9) cambiamenti?
Non credo che impareremo granché, cambiare richiede fatica e non va d’accordo con l’omeòstasi che secondo Antonio Damasio [6]è il motore dell’evoluzione.
“Le strutture e le operazioni biologiche responsabili dell’omeòstasi riflettono il valore biologico sulla base del quale funziona la selezione naturale. […] l’idea tradizionale di omeòstasi, che si riferisce alla capacità, propria di ogni organismo vivente, di conservare in modo continuo e automatico le sue attività funzionali, chimiche e di fisiologia generale entro un intervallo di valori compatibile con la sopravvivenza. […] realizzare stati vitali più efficienti naturalmente inclini a generare prosperità. […] L’omeòstasi è il potente imperativo, inconsapevole e inespresso, il cui assolvimento implica per ogni organismo vivente, piccolo o grande che sia, il semplice perdurare e prevalere. La parte dell’imperativo dell’omeòstasi riguardante il «perdurare» è chiara: genera sopravvivenza, e viene data per scontata senza alcun riferimento o riverenza ogni qualvolta si considera l’evoluzione di qualsiasi organismo o specie. La parte di omeòstasi riguardante «il prevalere» è più sottile, e raramente viene riconosciuta. Garantisce che la vita sia regolata entro un intervallo che, oltre a essere compatibile con la sopravvivenza, favorisca la prosperità e renda possibile una proiezione della vita nel futuro di un organismo o di una specie.
I sentimenti sono informazioni: essi rivelano a ciascuna mente la condizione di vita I sentimenti, come rappresentanti dell’omeòstasi, sono i catalizzatori dette risposte che hanno avviato le culture umane.
È ragionevole? È concepibile che i sentimenti possano avere motivato le invenzioni intellettuali che hanno dato al genere umano 1) le arti, 2) l’indagine filosofica, 3) le convinzioni religiose, 4) le regole morali, 5) la giustizia, 6) i sistemi di governance politica e le istituzioni economiche, 7) la tecnologia e 8) la scienza? Risponderei affermativamente, senza riserve.
Posso dimostrare che le pratiche o gli strumenti culturali, in ciascuno degli otto campi citati, hanno richiesto la capacità di sentire una situazione di diminuzione, effettiva o potenziale, dell’omeòstasi (costituita, per esempio, da dolore, sofferenza, disperata necessità, minaccia, perdita) o di un potenziale vantaggio omeostatico (per esempio, un esito gratificante). Il sentimento ha agito da movente per esplorare, con gli strumenti della conoscenza e della ragione, le possibilità di ridurre un bisogno o di trarre vantaggio dall’abbondanza rappresentata da stati di appagamento”.
Potremmo anche definire l’omeòstasi come la ricerca della felicità che permea la nostra cultura: l’abbiamo inserita, in varie forme, nelle dichiarazioni di diritti universali, nelle costituzioni. Le costituzioni, le convenzioni internazionali si possono cambiare, ma le dichiarazioni di principio poco possono contro le forze che da più di due miliardi di anni muovono la conservazione e le modificazioni dei viventi.
[1] Due neuroni condizionano il comportamento sessuale https://www.lescienze.it/news/2015/10/19/news/neuroni_comportamento_sessuale-2810012/
[2] M. Tomasello, Storia naturale della morale umana
[3] Il capitolo 12° de Il gene egoista (ed. Oscar Mondadori) è intitolato “I buoni arrivano primi”: buoni ma non ingenui, che praticano una strategia denominata “tit for tat”.
[4] Silvana Condemi –François Savatier, “Mio caro Neanderthal”
[5] Vedi https://www.lescienze.it/mente-e-cervello/2018/09/27/news/i_fragili_confini_dell_empatia-4123018/
[6] Lo strano ordine delle cose – Adelphi Edizioni





mica si può avere tutto, no? Vogliamo andare oltre? Lo stesso numero di vittime in altre regioni o continenti darebbe meno o affatto fastidio, se non per il vago timore che la cosa si possa espandere alle nazioni “importanti”: pensiamo al sud-est asiatico, alcuni paesi del Sud-America, a tutto il continente africano (alcuni giorni fa ho condiviso su Facebook il post di un commentatore africano che diceva: “Beati voi europei che avete soltanto il coronavirus!”). Anche la questione degli anziani è un’ipocrisia, la sacralità della vita vale solo per gli anziani “benestanti” e che contano ancora in modo significativo nella società a prescindere dall’età, ovviamente vale per i ricchi e per i giovani (ma solo quelli nati dalla parte giusta della strada) che si ritengono immortali e immuni a tutto, non solo alle malattie; sappiamo benissimo quanto siano di impiccio, a un certo punto della loro vita, i nonni che fino al giorno prima erano fondamentali per il supporto alle famiglie nel gestire i nipotini, ma nel momento in cui stanno male e non servono più a nulla, anzi bisogna badare a loro, diventano automaticamente una palla al piede. Da quanti anni ti ripeto che bisognerebbe far vedere obbligatoriamente nelle scuole il film “Parenti serpenti”? Il problema della scelta di chi ricoverare e chi no in Terapia Intensiva è sempre esistito, io lo percepivo già 30 anni fa, all’inizio della mia carriera ospedaliera, giovane pivello in Pronto Soccorso, ovviamente non emergeva mai al livello dell’ufficialità ma noi addetti ai lavori lo abbiamo sempre conosciuto e affrontato silenziosamente e discretamente, con la nostra coscienza e deontologia che ci guidava per fare la scelta migliore. Anche nei reparti di degenza ordinaria, non intensiva, da tantissimi anni, in virtù delle sempre maggiori riduzioni di posti letto, di organico medico e infermieristico per i tagli di spesa, in tempi non di emergenza ogni giorno era una guerra, sì una vera e propria guerra fra poveri (Medici di Reparto e Medici di Pronto Soccorso) e contro i poveri (i malati), fra l’esigenza da una parte di trovare posto a chi ne necessitava al Pronto Soccorso e dall’altra quella di rispettare l’assistenza a chi un posto letto lo aveva appena ottenuto ma bisognava dimetterlo il più presto possibile per far ruotare all’infinito quel maledetto circolo vizioso,
quante volte te lo raccontavo? Di cosa ci stupiamo e ci scandalizziamo? Tutta ipocrisia, problemi sempre esistiti che ovviamente di fronte ad una emergenza terribile esplodono in faccia a tutti. Eroi? Certo che Medici, Infermieri, tutti gli operatori sanitari sono eroi, ma non da adesso, lo sono da anni, da sempre, ma nessuno se ne è mai accorto, e probabilmente ad emergenza finita con altrettanta velocità ci se ne dimenticherà, così come per gli eroici Vigili del Fuoco, gli eroici Poliziotti, Carabinieri, Militari e tutti coloro che almeno una volta nella vita sono stati eroi salvo poi risprofondare nell’anonimato. Sono partito col botto? Certo, possiamo in un momento questo essere politicamente scorretti, non per egocentrismo o vanità ma cercando di essere costruttivi?
Altro bel tema! Tu sai quanto sono poco tenero e indulgente verso i (nostri ma non solo) governanti, ma mi viene quasi voglia di difenderli, perlomeno i nostri che fra due-tre settimane daranno lezioni a tutto il mondo (insieme ai cinesi come detto sopra) non per perché li ritenga innocenti e privi di colpe in merito a quanto scrivi sopra (ci mancherebbe altro!), ma semplicemente perché ritengo che ad essere inadeguato sia il genere umano nel suo insieme e quindi di conseguenza anche i suoi governanti. Cosa si dice, che la gente ha i governanti che si merita e che i governanti sono lo specchio dei loro popoli? Ecco, qualcosa di simile. Il genere umano, o per meglio dire la razza umana, è inadeguata ad occupare il pianeta Terra, non ne ha nessun diritto, lo distrugge, lo avvelena, lo danneggia con tutte le altre specie animali viventi. Punto. Qualunque cosa abbia fatto di buono, qualsiasi genio abbia prodotto nella letteratura, nelle arti in generale, nella filosofia, nella scienza, è vanificato dall’istinto genetico, archetipico, alla violenza, alla brutalità, all’autodistruzione, al genocidio (ma guarda un banale Boris Johnson! senza scomodare Hitler, Stalin, Pol-Pot e altri campioni mondiali e olimpici). Sono esagerato e qualunquista? Certo. Penso che sia così, e a 60 anni nessuno mi farà più cambiare idea. Poi ovviamente nel mio piccolo, nella mia vita, nella mia professione, cerco di fare di tutto e di più per dare un’impronta positiva al mio comportamento, ma senza alcuna illusione che questo serva a qualcosa. Anarchia intelligente? Ipotesi affascinante, bisogna vedere cosa ne pensano i nuovi padroni del mondo (vedi sopra). Ma poi come la mettiamo con le riunioni di condominio?
La decrescita non è mai stata considerata felice dai fautori della crescita, quindi questa mi sembra una preoccupazione inutile! I sostenitori della decrescita sono considerati, in ordine sparso, terroristi, criminali, assassini, nemici dell’umanità e altro che mi dimentico (tutte affermazioni vere, di cui posso citare nome e cognome di chi le ha dette); quindi che facciamo? ci ripensiamo? ci mettiamo in discussione? Potrebbe essere una buona occasione per provare a cambiare modo di vivere? I saggi orientali dicono che ogni peggiore tragedia può portare qualcosa di buono se si ha la forza di cercarlo, e io dico che qualche segnale in tal senso c’è già: banalmente, dall’inizio dell’isolamento il tasso di PM10 è costantemente a valori bassissimi, non so da quanto tempo non mi permettevo il lusso di aprire le finestre di casa per ore e ore senza che entrasse smog e veleno. Piccola cosa? In considerazione di quanto detto sopra, magari anche no. Certo, il discorso è complicatissimo, l’esigenza assoluta è che nessun comune mortale (non parliamo di straricchi e potenti) debba avere danni da una recessione economica (licenziamenti, disoccupazione o riduzione di stipendio, ecc …), non sono un economista e non ho ovviamente la formula magica, ma forse il modo migliore e più semplice per iniziare è proprio quello di rimodulare, resettare il nostro stile di vita imparando a dimenticarci del superfluo mantenendo coi denti e con le unghie il livello minimo in termini di dignità, di necessità primarie intoccabili e di decoro di vita. In questi giorni di isolamento cosa è veramente essenziale? Vestiti, scarpe, accessori alla moda, automobili, smartphone, viaggi, parrucchieri, estetiste, ristoranti, happy-hour, discoteche? Io che sono un malato di viaggi, di movimento, di libertà di spostamenti oggi pomeriggio ho provato un’emozione fortissima nella decisione, dovendo andare in farmacia, di evitare quella di fronte a casa (c’era troppa gente in coda) per dirigermi verso quella distante 150 metri: mi è sembrato un viaggio in un altro continente! Piccole cose che tutti vorranno dimenticare un minuto dopo la fine dell’isolamento forzato: e se invece si cominciasse proprio simbolicamente da quello? Io nel mio piccolo, sarei disposto a non fare più viaggi fuori Europa e anche fuori Italia (per gli anni che mi restano ne ho di posti da vedere e di montagne da scalare anche vicino a casa senza annoiarmi!) se servisse a ridurre l’inquinamento mostruoso degli aerei e di tutto ciò che gravita attorno ai grandi spostamenti. Sarei disposto a non cambiare TV, smartphone, macchina fotografica, automobile fino a quando non cadono a pezzi, a vestirmi in modo sobrio e funzionale con indumenti che se trattati con cura possono durare anni, come sanno bene gli appassionati di montagna e trekking, a usare la bicicletta e a spostarmi a piedi o con i mezzi ovunque possibile, a usare elettrodomestici a basso consumo energetico, a rispettare tutte le buone regole sullo smaltimento, sul riciclo e sul riutilizzo, a focalizzare tutte le mie energie psichiche e fisiche sull’essenza delle cose e non su ciò che ne è solo involucro. Ops … forse sono tutte cose che sto già facendo (tranne i viaggi, va beh, su quello ci devo lavorare un po’!) Si potrebbe andare avanti ore e giorni a parlarne, lo abbiamo fatto tante volte, sarebbe bello farlo a livello universale, smettendola di prendere in giro Greta e tutti i giovani ispirati da lei.
Viviamo in un limbo decretato da governanti ai quali nessuno avrebbe dato credito di una qualche capacità decisionale, ma che sono stati costretti a prendere provvedimenti unici a memoria d’uomo, e a renderli operativi con la minaccia delle sanzioni penali. Pare che i più abbiano capito la gravità della situazione, anche se naturalmente è scattata in parallelo la corsa degli idioti a trasgredire le regole, vanificando (speriamo poco) lo sforzo e il sacrificio di quanti le rispettano. Ma quelli, nel conto delle perdite c’erano già da un pezzo.
C’era però una sostanziale differenza rispetto al clima solitamente affabile e moderatamente allegro (non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di quasi-liguri): si avvertiva che attraverso le mascherine tutti respiravano la gravità della situazione. Che chissà poi come se le erano procurate, le mascherine, essendo confinati in casa ormai da oltre una settimana … C’era un silenzio inquietante e un timore reciproco che mai avevo provato prima.


Per avere un vaccino efficace ci vorranno mesi, se non anni, quindi non vedremo la luce ad aprile, maggio o giù di lì, come ci sforziamo di sperare, ma dovremo restare a casa per molti mesi ancora. Poi le restrizioni saranno poco alla volta allentate, ma col timore costante di un nuovo incremento degli infetti. E in quel caso si ritornerà rapidamente al coprifuoco. La clausura stretta non potrà però durare ancora per molto. Al di là degli aspetti economici, è da prevedere che ad un certo punto anche i membri delle famiglie più unite non si sopporteranno più, e aumenteranno quindi gli episodi di fuga e le trasgressioni dei limiti imposti. Vanificando tra l’altro gli sforzi di contenimento.


quale può essere il vero problema, non la semplicità, ma il semplicismo. Se da un lato il nostro mondo è complesso, ciò che dobbiamo ricercare dopo averlo compreso è la semplicità che si può ottenere dalla sua visione d’insieme, una semplicità che dev’essere ricercata, studiata, perfezionata e, solo infine, spiegata. Seguire il processo inverso, esporre la semplicità, la punta dell’iceberg, prima di aver analizzato la complessità nascosta, è estremamente rischioso, oltreché dannoso: si chiama semplicismo. Il semplicismo è il peggior nemico della semplicità, perché sopraggiunge silenzioso mascherato da semplicità illudendoci che le risposte a domande complesse siano semplici, quando in realtà sono più spesso semplicistiche. Visto che siamo in tema di aforismi e frasi semplici, tanto vale citare una frase sull’argomento attribuita a Einstein: “Bisognerebbe rendere tutto il più semplice possibile, ma non più semplice di così”. Il processo di raffinazione della conoscenza deve cioè partire da una comprensione della complessità, procedendo per gradi al fine di estrarre la semplicità, ma deve necessariamente fermarsi a un certo punto, per non finire nel semplicismo. E dunque il vero virus che abbiamo visto diffondersi in queste settimane di coronavirus, e in questi anni di frenesia, bufale e populismi non è quello della semplicità, ma del semplicismo, che probabilmente continuerà la propria diffusione fino a quando un numero sufficientemente elevato di persone non ne risulterà immune, tanto da proteggere anche i più deboli grazie all’immunità di gregge.
La semplicità continua a rimanere la guida delle mie azioni, il faro lontano da raggiungere dopo aver governato la tempesta, la terra ferma che ci dà conforto dopo le mareggiate. La complessità non è confortevole, ci provoca disagio, paura, spavento, ma è necessaria, perché distingue il pensiero razionale da quello emotivo. La semplicità muove gli animi, le idee, le persone. Il semplicismo crea false illusioni.
5) Dovremo procedere, e in effetti lo stiamo già facendo, a una ridefinizione di valori considerati fino a ieri (sia pure ipocritamente: ho in mente il “tasso di perdite tollerabili” stabilito dal Pentagono) indiscutibili. Prima di tutto del valore di ogni singola vita, rispetto alla necessità di scelte inderogabili: sta accadendo, e sembra non suscitare particolare scandalo, negli ospedali al collasso che devono scegliere a chi assicurare le cure adeguate disponibili. Il problema è reale, e di fronte all’urgenza dei numeri non è nemmeno il caso di rivangare le recenti strette alla politica sanitaria: si porrebbe comunque, anche con qualche posto-letto in più. Ma tutto questo dovrebbe rimette in discussione, sotto una luce ben diversa, tematiche come quella dell’eutanasia e del diritto a decidere del proprio fine vita: più in generale, i termini in cui va concepito l’essere vivente (e quindi, aborto, accanimento terapeutico, ecc …). Per intanto, però, sta già certificando una valutazione utilitaristica della vita. Gli anziani, i malati, coloro che rappresentano un costo per la società, in una situazione di emergenza possono essere sacrificati. In Inghilterra addirittura si adotta il darwinismo sociale. Non a caso Spencer era inglese. Ha una sua logica, ma è il ritorno a una concezione e a una prassi che sino a ieri erano considerate appannaggio delle popolazioni primitive.
6) La situazione ci costringe anche ad adottare modelli di computo diversi, ad avere una differente percezione delle cifre. Le migliaia, quando è possibile che ci includano, valgono molto più delle centinaia di migliaia di cui si ha notizia a distanza. Il rito serale inaugurato da un paio di settimane della conta dei morti ha l’effetto alone di rendere molto più concreti anche altri numeri, relativi ad altre situazioni. Quelli della guerra in Siria, ad esempio, o dei profughi inghiottiti dal Mediterraneo. Questo è, almeno per il momento, l’effetto che riscontro su di me. Il rischio è che sul lungo periodo e con numeri in crescita geometrica si crei assuefazione anche alla macabra contabilità domestica.
8) Le consolazioni. Naturalmente qualcuno ha iniziato subito a parlare delle opportunità. Le famiglie per una volta riunite, l’occasione di fare insieme cose che non si erano mai fatte, di riscoprire modalità di rapporto da tempo scomparse. Non vorrei sembrare cinico, ma temo che la forzata coabitazione causerà invece una piccola catastrofe aggiuntiva. Nelle camere iperbariche che sono diventati i nostri appartamenti si verificherà un aumento dei divorzi, dei femminicidi, degli odi e degli screzi intergenerazionali, delle liti condominiali per il volume degli apparecchi televisivi. Persino i cani, poveracci, stanno pagando il loro tributo. Essendo rimasti l’ultima scusa per poter mettere fuori il naso sono costretti a corvée massacranti, per consentire a tutti i membri della famiglia di uscire, e accusano problemi di vescica sovrastimolata. C’è poi chi saluta l’occasione di una riscoperta della lettura. Ma come dicevo sopra, è dura anche leggere, o scrivere, con la mente che distratta dal pensiero di quel che accade, silenziosamente, là fuori. Anche questo piacere necessita di condizioni ambientali adeguate.

di Paolo Repetto, 2 aprile 2020
Mi si potrà obiettare che in fondo i giorni si susseguivano tutti uguali, o quasi, anche prima. Senz’altro era così in tivù, fatto salvo l’oggetto dei talk e delle interviste. Ma la quotidianità era un po’ più mossa. Incontravi gli amici, cosa ben diversa dal sentirli anche tutti i giorni per telefono, scazzati come te e progressivamente sempre più imbozzolati, per cui ti rendi conto di quanto l’empatia abbia bisogno del contatto fisico; ti inventavi lavori, occupazioni, blitz nei musei, al cinema, in libreria, o semplicemente su un sentiero di campagna. Ma non è tanto ciò che effettivamente facevi, a mancare (qualcuno mi dice: in fondo non ho mutato di molto le mie abitudini): pesa l’idea di non poterlo fare, di non essere nella condizione di decidere anche per cose piccolissime e apparentemente insignificanti. Pesa l’assenza di una qualsiasi possibilità di progettare il proprio tempo.