di Paolo Repetto, 15 gennaio 2021
Per una volta mi ero ripromesso di essere serio fino in fondo. Ma non ce la faccio. Evidentemente non è nella mia natura, o forse è oggettivamente impossibile rimanere seri affrontando un argomento come quello del complottismo (cfr. “Piovono sauri!”); o magari sento la necessità di sdrammatizzare un problema che purtroppo drammatico è, per come si presenta e più ancora per il modo in cui è affrontato. Però, essere seri significa anche dire la verità: e quindi faccio outing.
Lo confesso: alla fine mi sono scoperto anch’io complottista. Non per quel processo che si verifica di solito, di identificazione con l’oggetto dei propri studi, si trattasse anche di Jack lo Squartatore. E neppure perché il ritorno a Foucault o addirittura l’imbarazzante lettura di Icke mi abbiano creato dubbi e ripensamenti. No. É arrivato tutto da una direzione impensata. Su segnalazione di Nico sono andato a recuperare un racconto di fantascienza scritto esattamente settant’anni fa, che mi ha intrigato da subito per il titolo: Gli idioti in marcia. Pur essendo un estimatore del genere fantascientifico non ne avevo mai sentito parlare, così come non conoscevo affatto l’autore, Cyril Michael Kornbluth (ho scoperto dopo che Kornbluth è morto poco più che trentenne, interrompendo un lavoro che prometteva molto). D’altro canto, il racconto era stato pubblicato su “Galassia”, una imitazione piuttosto malriuscita di Urania, solo nel 1971, in un clima politico, tra l’altro, tutt’altro che adatto ad apprezzarlo (ma recentemente, nel 1994, è stato ripubblicato da Bompiani nell’antologia Le grandi storie della fantascienza 13, con una nuova traduzione).
Kornbluth mi ha lasciato secco. Ambienta Gli idioti in marcia in un mondo futuro sovrappopolato, e per di più abitato da persone con un quoziente d’intelligenza estremamente basso. Il pianeta tira avanti solo grazie al lavoro di una piccola élite di super-intelligenti, dotati di competenze di altissimo livello, guidati da un gruppo di genetisti che ha capito verso quale destino l’umanità sta correndo, ma non riesce a trovare soluzioni. A fornirle loro sarà un venditore immobiliare che arriva dal passato, dove era stato ibernato dopo un incidente, e che sterminerà gli idioti facendoli emigrare su Venere, dopo averli convinti con la sua esperienza di imbonitore che si tratta di un paradiso tropicale. Una soluzione che i cervelli raffinati degli intelligenti non avevano considerato, tanto è lontano il loro modo di pensare dall’affarismo cinico e rapace dell’uomo venuto dal passato. Alla fine del racconto però anche lui è imbarcato su un’astronave per la stella del mattino, seguendo il destino delle sue vittime.
Il racconto non è un capolavoro, è tirato via molto velocemente, senza badare troppo alle incongruenze, e anche lo stile riesce (almeno nella traduzione) un po’ approssimativo: ma è comunque efficace, e la storia presenta aspetti davvero inquietanti per quanto anticipano il presente: predice infatti il rimbecillimento progressivo e veloce degli umani, la condizione di clandestinità alla quale sono costretti i coscienti, la perfetta campagna pubblicitaria imbastita dai complottanti.
Dunque, intanto il resuscitato si accorge abbastanza velocemente che tutto quello che lo circonda – razzi, auto avveniristiche, palazzi, rampe sospese, ecc… – è un effetto teatrale (vedi The Truman Show), una scenografia imbastita abbastanza rozzamente, truccando ad esempio tutti i tachimetri delle auto e facendo volare scatoloni di lamiera in forma di razzi, ma sufficiente a ingannare una popolazione pressoché ebete, rissosa, indolente, pronta a bersi qualsiasi messaggio pubblicitario. Subodora immediatamente un complotto: “Avanti, non faccia la commedia. Lei e tutti gli altri aristocratici vivete nel lusso sul sudore degli schiavi oppressi. E avete paura di me perché volete mantenerli nell’ignoranza”.
Ma si sente rispondere: “Non avrebbe potuto ingannarsi in modo più clamoroso. La verità sacrosanta è che milioni di lavoratori vivono nel lusso, sul sudore di un pugno di aristocratici”.
Il termine “Aristocratici” fa venire in mente i cortigiani di Versailles, ma qui è inteso letteralmente, “oi aristòi”, i migliori, i più intelligenti. Quelli sopravvissuti ad una sorta di selezione in negativo. Il complotto quindi c’è, ma a scopo di autodifesa.
“Ma, e voi chi siete?”
“Siamo diversi. Qualche generazione fa, gli specialisti di genetica hanno capito finalmente che nessuno avrebbe dato ascolto a quello che andavano predicando, perciò hanno smesso di parlare e sono passati ai fatti. In particolare, hanno reclutato aderenti per una corporazione chiusa destinata a mantenere ed a migliorare la stirpe. Noi siamo i discendenti di quella corporazione… siamo circa tre milioni. Gli altri sono cinque miliardi, e noi siamo i loro schiavi.”
La spiegazione che viene data del degrado mentale degli “altri cinque miliardi” farebbe inorridire e gridare allo scandalo qualunque “progressista”.
“Abbiamo bisogno dei falsi razzi e dei tachimetri truccati e di queste città pazzesche perché lei e altri come lei vi siete comportati da stupidi egoisti, avete permesso che le condizioni economiche e sociali vi inducessero a non mettere al mondo figli in nome della prudenza e della preveggenza, mentre gli operai immigrati, i baraccati e i contadini continuavano a mettere al mondo figli … a metterli al mondo senza pensarci. Mio dio, quanti ne hanno messo al mondo. La vostra intelligenza è andata al diavolo. L’intelligenza è quasi scomparsa dal nostro mondo. Il quoziente di intelligenza media è di quarantacinque.” Terribile vero? (Per capirci: Sharon Stone ha un QI di 148). Ma se al quoziente intellettuale sostituiamo il quoziente culturale forse non si allontana di molto dal vero. È quanto sta accadendo di fatto nel nostro paese, e un po’ in tutto l’occidente.
E sta anche accadendo che chi è in grado di pensare con la propria testa, chi trae soddisfazione dal proprio lavoro, chi si sente ferito dalla maleducazione e dall’ignoranza, debba non darlo troppo a vedere, pena essere incluso in quelle “élites” contro le quali è partita la rivolta: “Tinny-Peete non aveva nessuna voglia di finire a pezzi, e sapeva benissimo che sarebbe finita proprio in quel modo, se la popolazione avesse imparato, dall’uomo venuto dal passato, che c’era una piccola aristocrazia la quale si considerava ben al di sopra della massa. Il fatto che quella convinzione fosse perfettamente fondata e che l’aristocrazia fosse condannata dalla propria superficialità ad una esistenza di lavoro faticosissimo non avrebbe contato un bel niente: quella che contava era la differenza”.
Eccola, la rivelazione. La risposta ai dubbi che mi tormentavano ormai da tempo. Continuavo a chiedermi, ogni volta che in televisione sentivo parlare un politico, un esperto o un tuttologo, come fosse possibile che un pianeta abitato da quasi otto miliardi di persone simili a quelle potesse tirare avanti. Mi stupivo quando ruotavo la chiavetta di accensione e l’auto si metteva in moto, o usavo un computer o un frullatore, o mi imbarcavo su un aereo: com’è che queste cose (quasi) sempre funzionano? Se chi le deve costruire e far funzionare avesse le stesse capacità di quei politici – e quei politici sono lo specchio della maggioranza della popolazione – dovremmo essere tornati da un pezzo alla tecnologia della pietra scheggiata.
Pensavo allora che doveva esserci qualcuno capace di lavorare come si deve e, certo, qualcuno anche lo conoscevo, qualcuno lo avevo incontrato nell’ambito del mio lavoro, ma erano mosche bianche. Non era possibile che il mondo potesse funzionare così. A meno che …
A meno che la cospirazione esista davvero, e sia talmente autentica da rimanere completamente segreta, invisibile, malgrado il numero di coloro che vi sono coinvolti. Una congiura di persone che svolgono silenziosamente il loro lavoro, non compaiono in tivù, non messaggiano sui social, non partecipano ai flash mob. Che non possono venire allo scoperto perché verrebbero subito attaccate e smascherate come rettiliane, ma che in realtà non vogliono nemmeno farlo, perché sanno che richiamare alla realtà gli scemi è il più inutile e ingrato degli impegni, e poi perché va bene loro così, la soddisfazione la trovano nel fare bene ciò che fanno. E che almeno per il momento non hanno nemmeno la necessità di spedire su Venere la zavorra umana.
Non sono così pessimista come Kornbluth, uno zero virgola cinquanta di popolazione utile mi sembra un po’ poco per poter reggere, penso ad una percentuale addirittura cinquanta volte superiore. Ci sta tutta, per essere comunque una minoranza operosa e silenziosa. Soprattutto, se l’ordine delle cifre fosse quello, potrei presumere di rientrarci anch’io.
Qualcosa però mi preoccupa. Il mio sangue è ancora rosso, e non blu, eppure io un po’ di gente su Venere l’avrei già spedita, magari in low coast, dispersa appena fuori dell’atmosfera, per risparmiare qualcosa. Per questo nel frattempo ho cominciato, quasi senza accorgermene, a esplorare con le dita la mia pelle, per verificare se per caso non fosse squamosa, a controllare segni eventuali di biforcutismo della lingua, a preoccuparmi per l’accentuata eterotermia che mi ha sempre caratterizzato, tanto che chi mi sta attorno dice che vado ad energia solare.
Vuoi vedere, mi dico, che sono addirittura un rettiliano?