Indietro di un anno (o di un secolo?)

di Vittorio Righini, 4 luglio 2025

Prima di tutto, se avete tempo e voglia, leggete queste brevi paginette web:

https://www.ilfoglio.it/cultura/2024/01/23/news/la-cultura-odierna-del-censurare-tutto-cio-che-e-reazionario-6130056/

https://www.ilgiornale.it/news/crociata-contro-tesson-dei-templari-conformisti-2274090.html

Printemps des poètes: Sylvain Tesson accusé d’être une «icône réactionnaire», Rachida Dati défend sa «belle plume»  

I links che ho proposto servono, se mai ce ne fosse bisogno, a rammentarci che la sinistra francese è davvero spuntata. Parlo di quella “sinistra” perfettamente rappresentata da Fred Vargas (pseudonimo di Frédérique Audouin-Rouzeau, milionaria francese scrittrice di gialli basati sulle avventure del Commissario Adamsberg). La Vargas è purtroppo anche l’autrice di: La Verité sur Cesare Battisti, dove difende quell’ignobile personaggio. E che poi, quando Battisti ce lo rimandano e lui si dichiara colpevole, afferma che può dire quello che vuole, ma lei non ci crede, per lei è intoccabile: “Battisti è innocente, non mi scuso”.

Bene (anzi, male, anzi, malissimo). Ora, ultimamente lei e altri – meno noti – autori hanno attaccato Sylvain Tesson, uno dei pochi che non prende posizione, non si discosta né si accosta, uno che apprezza Louis-Ferdinand Celine (eresia!) qualunque sia il suo credo politico, come pure Jean Raspail (al rogo! al rogo!), altro autore pochissimo amato dalla gauche francese perché ha scritto Il Campo dei Santi (libro nel quale si ipotizza un collasso della economia occidentale per un esagerato afflusso di immigrati da paesi poveri).

Ma Tesson cosa c’entra? È uno che scrive di viaggi (e magari anche le introduzioni a libri di viaggio altrui, come appunto quelli di Raspail). Di avventure tutt’altro che convenzionali: l’ultima sua lo ha portato a navigare lungo le scogliere del nord, alla ricerca del mito delle fate. Ma è anche uno che se ne fotte della politica. E questo riallaccia il filo: lo scorso anno Tesson viene nominato presidente di un premio letterario, ma i “giusti” insorgono e scatta la resistenza. Lo si deve rimuovere dalla sua posizione perché “sembra uno di destra” (Mi piace il termine che viene usato per sostenere queste accuse, “amichettismo”: non lo conoscevo, è tipico di questi tempi e di certi ambigui personaggi, gli intellettuali-radical-chic).

Io vi invito a leggere qualche libro di Tesson (li ho letti tutti) per capire quanto davvero gliene frega della destra o della sinistra. La polemica montata nei suoi confronti non lo sfiora nemmeno: ignora bellamente chi lo accusa, appunto se ne fotte, e non spreca una parola in propria difesa. Un bacio invece alla ministra francese della Cultura Rachida Dati: anche lei se ne fotte delle critiche, e accetta con un battito di ciglia le dimissioni della organizzatrice del premio, Sophie Nauleau, già indignata speciale ed ora fuori dalle palle perché i suoi amici di sinistra la accusano di aver accettato Tesson senza pensarci.

Il fatto è che per queste persone non esistono scrittori di sinistra e di destra; esistono scrittori di sinistra e altri non allineati, che quindi vanno etichettati come di destra. Per loro è inutile leggere i precedenti ottimi libri di Tesson; se non scrivi un libro gradito alla sinistra, vuol dire che sei di destra. Ai tempi di Stalin si ragionava così, oggi vale anche in Francia.

Tutto risolto, dunque? No, perché la gauche ha vinto e ha fatto espellere Tesson dalla scorsa edizione. Il nuovo direttore del Premio ha giustificato il fatto spiegando che non si può mettere un letterato a dirigere un premio letterario … (questa l’avete capita, voi? io no).

Comunque. Copio e incollo, da Liberation. Ecco il testo integrale in francese:

«Circa 1.200 personalità della cultura hanno finalmente aderito alla petizione contro Sylvain Tesson, recentemente nominato patrono della Primavera dei Poeti. Questo testo, che ActuaLitté aveva rivelato ben prima della sua pubblicazione su Libération, muove guerra a un rappresentante dell’“estrema destra letteraria”. Proprio come Houellebecq o Yann Moix. Quindi, con gli stessi sostenitori? La petizione denunciava l’emergere di un’“icona reazionaria” come rappresentante dell’evento guidato da Sophie Nauleau, la direttrice artistica. Nonostante i nostri molteplici solleciti, ella non ha risposto alle nostre richieste di replica.

Su Facebook, l’evento continua a pubblicizzare i suoi programmi come se nulla fosse accaduto, mentre al di fuori dell’evento la polemica si è gonfiata come raramente accadeva prima: erano anni che la poesia non agitava folle o accendeva passioni in questo modo. Beh, la poesia… È chiaro che in questo forum sono più in gioco posizioni politiche, presunte o confermate.»

E la petizione dice, testuale:

«Avvertiamo che la nomina di Sylvain Tesson a patrono della Primavera dei Poeti 2024, lungi dall’essere casuale, rafforza la banalizzazione e la normalizzazione dell’estrema destra in ambito politico, culturale e nella società nel suo complesso. Chiudendo un occhio su ciò che rappresenta questo scrittore, la direttrice Sophie Nauleau e il suo consiglio di amministrazione stanno dimostrando questa normalizzazione all’interno delle istituzioni culturali, che respingiamo fermamente.»

Lo scrittore solo contro tutti? Niente affatto: il mondo della cultura francese non è tutto così allineato, e i firmatari della petizione sono accusati di essere woke, termine usato per ridicolizzare l’esasperato attivismo sociale e l’ossessione per le tematiche “progressiste”. E hanno suscitato anche l’ironia di alcuni, come Denis Olivennes, benemerito presidente di Editis: “Credo che dovremmo bandire Chateaubriand, Balzac, Flaubert, Baudelaire, Valéry e tanti altri dai libri di testo scolastici, tutti scrittori, tutti reazionari, come Sylvain Tesson, bruciare i loro libri e poi, per controllare il futuro, istituire un Ministero della Verità”, ha twittato… Bravo Olivennes!

E la Ministra: beh, siccome bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla, ecco le sue dichiarazioni per l’edizione 2025: «Questa ventisettesima edizione ha scelto il tema: “Poesia. Vulcanica”. Avete scelto di basare questa edizione sul tema del vulcano. È un’immagine che mi ispira, che si può associare al mio temperamento. Ma è anche associata al vostro, ovviamente. Trovo molto vulcanico poter portare la cultura al maggior numero possibile di persone», ha dichiarato la ministra Dati, durante una conferenza stampa.

Ritiro allora il bacio affrettatamente apposto prima.

Nel mentre, In viaggio con le Fate, l’ultimo interessante libro di Tesson, che narra un suo viaggio sulle scogliere del Nord Europa, dalla Galizia alle Shetland, per conoscere meglio e cercare di capire i miti delle Fate, in uscita in Italia a inizio 2025, è stato stranamente cancellato dal principale sito web commerciale, e non appare più in vendita o in previsione di uscita tradotto in italiano. Inquisizione o Unione Sovietica? o siamo solo vittime della superficialità di alcuni editori?

Io il libro l’avevo prenotato, poi è sparito … Comunque aspetto, uscirà prima o poi; nel frattempo l’ho – faticosamente – letto in francese. Tesson non scrive in modo semplice, almeno non per la mia modesta conoscenza della lingua.

Per il momento, se volete, potete trovare una bella intervista all’autore a proposito di questo libro su:

https://www.pangea.news/sylvain-tesson-fate-celti-intervista

Ora, immagino che per qualcuno passerò per uno di destra che fa politica sul sito dei Viandanti.

Non sono “di destra”, semplicemente non mi schiero in diatribe che hanno meno senso addirittura di quelle sul calcio, e me ne fotto più ancora di Tesson: ma mi disturba che mi tocchino in maniera così pretestuosa e becera un autore che amo. I fatti sono quelli che ho raccontato. Se poi l’argomento vi disturba fate jump, come dicono gli americani, saltatelo.

Diversamente idioti

di Paolo Repetto e Vittorio Righini, 2 novembre 2023

Pubblichiamo un recente scambio epistolare tra due Viandanti. Non stiamo scivolando in una deriva autoreferenziale. È che spesso da questi scambi nascono delle idee, che vengono poi tradotte in pezzi da postare sul sito: ma questa volta si è preferito puntare direttamente sugli originali, perché si prestavano bene a mostrare come per venire alla luce le idee compiano talvolta strani giri. Non solo: più banalmente, ci sembra testimonino che pure attraverso la comunicazione digitale è possibile un confronto costruttivo. Con buona pace di Mc Luhan, non è sempre il mezzo a fare il messaggio. Qualche volta, se ai due capi del filo c’è gente che pensa con la propria testa, il mezzo rimane ciò che deve essere, uno strumento al servizio della conoscenza.

Diversamente idioti 02 Vincent-Munier-La-Panthere-des-neiges-est-un-hommage-a-la-Beaute

Niente scuse

di Vittorio, 27 ottobre

Diversamente idioti 02 Wilfred ThesigerCiao Paolo, ti scrivo anzitutto per ringraziarti di avermi procurato il bellissimo documentario su Vincent Munier e sulla sua caccia alle immagini del “Leopardo delle Nevi” (così si chiama, ma i francesi, vai a sapere perché, lo chiamano la Panthère des Neiges. Qui ci vorrebbe un consulto con un etologo di lingua francese, che sappia di cosa parliamo e che ci spieghi perché quello che noi – e Peter Matthiessen – chiamiamo leopardo, per loro è panthère). Grazie inoltre per avermi restituito l’autobiografia di Thesiger, che mi è sembrata si interessante come si dice, ma anche complessa come la vita che lui ha vissuto. Io, comunissimo mortale, ne ho letto solo una parte: le straordinarie esperienze raccontate ne La vita a modo mio mi hanno lasciato basito, ma anche intimorito dall’infi nità di luoghi e di persone a noi perfettamente sconosciuti, mai sentiti prima. Non che non sia abituato a leggere storie in paesi fuori dall’ordinario, anzi, sono la mia passione, ma Thesiger, che già mi aveva deliziato con Sabbie Arabe (Arab Sands) e con il meraviglioso Quando gli arabi vivevano sull’acqua (The Marsh Arab), in questa sua biografia mi fa smarrire in un universo troppo ignoto, soprattutto per la parte che si svolge in Eritrea, Abissinia, Dancalia, etc. E poi, diciamolo, è grande anche nei suoi difetti, primo fra tutti la caccia grossa. Certo, erano altri tempi, ma leggere di stragi di animali oggi rari o quasi estinti mi lascia sbigottito, benché io non abbia mai fatto nulla per proteggerli, se non dedicare loro un amorevole pensiero, e coltivi un’innata repulsione verso le armi. Insomma, mi si perdoni ma non riesco a leggere questa biografia mettendomi nei panni dell’autore.

Vengo però al dunque, al motivo principale per cui ti scrivo. Come ricorderai, all’inizio del nostro ultimo viaggio in Grecia, già in volo tu leggevi un testo piuttosto pesante, che hai presto giustamente abbandonato (le scelte errate del paio di libri da portarsi in vacanza ci puniscono severamente). Hai poi recuperato con il libro di riserva, quel Nero. Storia di un colore, di Michel Pastoureau, che ti ha accompagnato per qualche giorno. Un gran bel libro, immagino, che non ho letto ma che riesco ad immaginare, perché ho apprezzato l’originalità e l’enorme cultura dell’autore in un’altra opera, nella quale sui colori fa una panoramica completa.

Poi hai finito di leggere anche Pastoureau, e siccome il nostro era un finto viaggio culturale, in realtà una settimana di scazzo totale per riposare la mente e il corpo, sei rimasto senza carburante. Allora io, che avevo provveduto a portarmi il succitato Thesiger e, per rilassarmi, una trilogia di romanzi gialli di un autore che non conoscevo, ho lasciato questi ultimi in sospeso e te li ho passati, attaccandomi invece a Thesiger: ciò che mi ha permesso di arrivare quasi a fine settimana nel nostro viaggio alla ricerca delle fonti della Macedonia (forse, più che delle fonti, delle essenze; oggi dove mangiamo? che cosa mangiamo? cosa beviamo? queste erano le imprescindibili domande che ci ponevamo subito dopo l’ampia colazione). Tra l’Olimpo (un panettone in lontananza) e il Monte Athos (questa invece una vera montagna, una sorta di piramide visibile da gran parte della penisola Calcidica), le montagne del Pindo e i laghi di Prespa, abbiamo avuto la fortuna di fermarci su spiagge poco frequentate (metà settembre, nord della Grecia, da stare molto, molto tranquilli).

Diversamente idioti 03Poi, curioso di leggere questo nuovo autore di romanzi gialli, che tu avevi già divorato, mi sono approcciato alla Trilogia di Adamsberg (la prima trilogia), 8 o 900 pagine, non ricordo, tre storie, di un tale Fred Vargas. Ho letto questi tre romanzi. Mi sono piaciuti? non mi sono piaciuti? non ho una risposta sicura, e anche tu che li avevi già divorati non mi hai dato una risposta convinta. Certo però mi hanno incuriosito, e tornato in patria ho trovato (anche questo usato) la seconda Trilogia di Adamsberg. Comprata al volo, mille pagine. Il primo racconto mi ha entusiasmato, lo ammetto, uno dei più bei polizieschi o noir o come cavolo si definiscono questi racconti, quasi 400 pagine, titolo Sotto i venti di Nettuno.

Bene, mi sono detto, ho aperto una nuova strada di lettura: ora vediamo chi è questo Fred Vargas. Ho scoperto anzitutto che Fred Vargas è una donna, e questo è meglio: a me piacciono tanto la Alicia Gimenez-Bartlett e i suoi polizieschi catalani, ben venga dunque una autrice che posiziona il commissario Adamsberg a Parigi. Lei si chiama in realtà Frederique Audoin-Rouzeau, e Wikipedia mi dice che è ricercatrice di archeozoologia presso il CNRS francese ed esperta in medievistica. Una mente illuminata, che usa uno pseudonimo per firmare i suoi libri (con un cognome improponibile, meglio uno pseudonimo banale). Leggo la sua biografia e mi annoto i vari romanzi polizieschi, poi, poi… leggo che è anche autrice di un pamphlet intitolato La veritè sur Cesare Battisti, 2004. In questo testo, la figura di Battisti è portata ad esempio di intellettuale intelligente, non corrotto e assolutamente estraneo ai fatti che la giustizia italiana gli imputa. Secondo la Vargas Battisti è vittima di un governo alla Pinochet e di forze di Polizia corrotte che cercano un capro espiatorio, mandando in galera migliaia di innocenti. In quel periodo al governo c’era Berlusconi, certo non il politico a me più simpatico, ma l’accostamento a Pinochet mi pare inopportuno. Allora approfondisco, e vedo che la Vargas, insieme a molti altri intellettuali della gauche, ha anche firmato una petizione nella quale si chiede giustizia per il mirabile Battisti.

Ora, nel 2019 Battisti, in carcere in Italia, dopo l’estradizione concessa dall’ex presidente del Brasile Bolsonaro, la fuga in Bolivia e il successivo arresto, ammette il suo coinvolgimento nei quattro omicidi e nei tre ferimenti commessi durante gli anni di militanza nel PAC (Proletari Armati per il Comunismo), due compiuti personalmente e due in condivisione.

A questo punto l’Ansa a Parigi va a cercare la Audoin-Rouzeau (Fred Vargas) per chiederle cosa ne pensa, e lei risponde: l’ammissione di colpevolezza di Cesare Battisti per l’omicidio di quattro persone durante gli anni di piombo “non cambia nulla alle mie conclusioni di ricercatrice, lo ritengo ancora innocente”: “Non ho da presentare nessuna scusa – aggiunge – non ritengo di aver difeso un assassino, è l’ultima cosa che avrei fatto. Purtroppo è triste, perché mi prenderanno tutti per un’imbecille. ma è così”. Alla domanda se fosse stata messa al corrente che Battisti, oltre a riconoscere i quattro omicidi durante gli Anni di Piombo, avrebbe dichiarato, dinanzi ai magistrati, di aver mentito ai suoi sostenitori, compresi quelli francesi, Vargas ha risposto: “Le sue dichiarazioni non mi feriscono, mi lasciano indifferente, è possibile che abbia i suoi motivi, forse ci sono delle ragioni, non ne so niente, lo lascio libero di dire ciò che ha scelto di dire”.

Così, sono giunto alla conclusione che si, Fred Vargas Audoin-Rouzeau è una imbecille, perché fin da bambino mi hanno detto che chi non cambia mai idea è un’imbecille.

Diversamente idioti 08

Nulla di buono dal fronte occidentale

di Paolo, 31 ottobre

Caro Vittorio, la tua mail arriva opportuna, perché mi spinge a tornare su un tema che continua a ronzarmi in testa, ma che affronto ormai con sempre maggiore riluttanza. Per più ragioni: intanto per noia, perché sono cose che sto ripetendo da sempre: poi perché a questo punto dubito che sull’argomento ci sia ancora una effettiva possibilità di confronto; infine perché mi trovo a sostenere una causa che con uno straordinario ribaltone è stata fatta propria dal “pensiero di destra”, sia pure con tutte le ambiguità e la smaccata strumentalizzazione che lo caratterizzano. Mi riesce allora difficile mantenere chiari i distinguo, soprattutto se la controparte “di sinistra” ragiona per slogan ideologizzanti. Dubito insomma che valga la pena insistere: ma mi hai servito un assist, e allora ci provo ancora una volta. Cercherò di farlo almeno con altre parole.

Andiamo comunque con ordine, perché nella tua missiva ci sono molte altre cose che mi solleticano.

Diversamente idioti 04Intanto i libri, a partire da quello di Tesson e dalla sua titolazione. In effetti quella francese è la titolazione più fedele al nome scientifico del leopardo, che è Panthera uncia. Ma sul piano pratico, dato che il genere panthera comprende tutti i più grandi felini, dal leone alla tigre, al leopardo, al giaguaro, si prestano molto meglio all’identificazione spicciola i nomi comuni affibbiati alle varie specie. Tant’è che in inglese, in tedesco, in spagnolo, sempre leopard o leopardo rimane. Ora, uno penserebbe che i francesi, che vantano un grande naturalista come Buffon, abbiano mantenuto la terminologia scientifica (sia pure parziale, perché ad esempio quella completa del leopardo delle nevi è appunto Panthera uncia, e gli è stato riconosciuto lo status di panthera solo da poco: prima era uncia e basta) per puro spirito di esattezza, ma non è così. Sai benissimo che appena possono i nostri cugini rivendicano una totale autonomia culturale, rifuggono dalla globalizzazione linguistica e chiamano ad esempio ordinateur quello che in tutto il resto del mondo si chiama computer. Nel nostro caso tecnicamente hanno ragione, ma rischiano di creare confusione sul piano comunicativo, perché panthera definisce solo il genere, e non identifica la specie. Voglio dire che di primo acchito panthère des neiges potrebbe essere tradotto anche con leone delle nevi, tigre delle nevi, ecc. Allora, queste sottigliezze linguistiche possono sembrare assolutamente irrilevanti e pedantesche, ma a mio giudizio un loro rilievo lo hanno, e non solo per pignoli rompiballe come siamo tu ed io: l’imprecisione linguistica moltiplica in maniera esponenziale la confusione mentale già esistente: si parte dalle pantere e si arriva inevitabilmente a Babele.

Diversamente idioti 05Quanto a Thesiger, in effetti anch’io sono stato frastornato dal suo continuo andirivieni da un luogo e da un popolo all’altro. E sono rimasto interdetto davanti alla freddezza con cui ad esempio scrive, a chiusura di un capitolo, “Dopo cena sono uscito e ho ucciso un leone”. Va bene l’understatement inglese, e qui senz’altro Thesiger ci gioca, ma povera bestia, almeno gratifica la sua morte di un minimo di pathos. Per converso, lo stile british, asciutto, spocchioso, determinato fino al limite della cocciutaggine (oggi si direbbe “politicamente scorretto”), in realtà mi piace. Guarda con quale supponenza tratta gli italiani, e che ammirazione tributa invece ai dancali, agli etiopi, alle tribù più feroci dell’Abissinia. Potrà dare fastidio, ma non concede nulla alle “convenienze” o alle aspettative del lettore. C’è coerenza assoluta nel suo atteggiamento: il che non significa non cambiare mai idea, e quindi scadere nell’imbecillità, perché ad esempio nei confronti di alcuni popoli, o di alcuni personaggi, Thesiger la cambia eccome: ma le esperienze, le conoscenze o le constatazioni nuove le rubrica sempre con lo stesso stile. Per questo la ritengo una buona autobiografia: se c’è dell’autocelebrazione, e c’è senza dubbio, viene fatta scorrere tra le righe. In superficie c’è una narrazione secca, da viaggiatore medioevale.

E arrivo finalmente al tema che più mi interessa, quello cui accennavo prima. Mi limito in verità ad un abstract, perché l’argomento è complesso e scivoloso, e non può essere sviscerato in una mail. Ti anticipo comunque che il discorso non riguarda solo Fred Vargas. La Vargas, o come cavolo si chiama, può essere apprezzata o meno come giallista (personalmente non mi entusiasma), ma è senz’altro il perfetto esempio di una curiosa (e molto diffusa) tipologia umana. Applicando la tassonomia linneana la classificherei nella famiglia degli “antioccidentalisti”, nel genere “d’occidente”, nella specie “di sinistra (o orfani della rivoluzione)”. La caratteristica di fondo di questa tipologia è l’odio di sé che molti occidentali (e segnatamente quelli “più a sinistra”) hanno sviluppato, un po’ come si dice degli ebrei. Questo odio, questo “auto da fé” viene poi declinato in tutte le salse: politica, religiosa, filosofica, tradizionalista, progressista, ecc. Quella degli antioccidentalisti è infatti una famiglia molto allargata, che ultimamente ha trovato una sua nicchia ideologica nella post-modernità ma che ha un albero genealogico lungo e ramificato come quello degli Asburgo. E come tutte le famiglie che si rispettano si divide sulle opinioni e sulle aspettative, alcune almeno in apparenza diametralmente opposte, ma si ricompatta poi su una comune conclusione: che la civiltà occidentale, nel suo assieme o quantomeno a partire dalla modernità e dall’ illuminismo, è da buttare.

Occorre però distinguere l’odio di sé di cui parlo dall’occidentofobia che sta dilagando in tutto il mondo, in particolare in quello musulmano. In quest’ultima si combinano rancori di origine storica, (l’anticolonialismo e l’antimperialismo), rivendicazioni di specifiche identità culturali (ad esempio la Cina) e discutibili “risvegli” religiosi (l’islam e l’ortodossia russa): nella sostanza poi quello che ci sta dietro è uno scontro per la futura egemonia mondiale, orchestrato dai nuovi imperialismi militari ed economici. Gli interessi dei diversi attori sono decisamente contrastanti, ma per il momento sono tenuti assieme dalla identificazione di un avversario comune.

Diversamente idioti 06

Ti chiederai cosa c’entra tutto questo con la Vargas e con Battisti. C’entra eccome, anche se per stabilire la connessione occorre fare un giro largo (e non è questa la sede).

Gli anti-occidentali nostrani, infatti, non sono mossi dall’aspirazione a una rivincita, ma covano rancore per una profonda delusione. Che ha motivazioni diverse. Quelli “di destra” sono delusi perché l’ordine gerarchico che considerano naturale (la società tradizionale) è stato stravolto, quelli “di sinistra” perché quell’ordine non è stato rivoluzionato abbastanza. Nei primi c’è di fondo una concezione egoistica, conflittuale, dell’uomo: vale la legge del branco, nel quale emergono quelli fisicamente o intellettualmente più dotati e a ciascun individuo è assegnato un ruolo preciso, funzionale alla sopravvivenza e alla perpetuazione della “comunità”. A loro giudizio la responsabilità maggiore per lo sfaldarsi della società tradizionale è da attribuirsi al monoteismo (da cui l’antisemitismo e l’interesse per il paganesimo e le società politeistiche orientali).

I secondi sono invece eredi della convinzione rousseauiana che in origine la “natura umana” fosse buona, pacifica e altruista, e che il suo “lato oscuro” sia stato creato o almeno portato allo scoperto da un progressivo condizionamento ambientale (la cosa vale per l’intera umanità ma anche per ogni singolo individuo: in altre parole, nessuno nasce carogna di suo, e se lo diventa è colpa “della società”). Hanno nostalgia, insomma, del “buon selvaggio” e del paradiso terrestre che avremmo perduto per colpa del prevalere di una “ragione calcolante”, asservita alla pura crescita economica, individuale e collettiva. Le grandi imputate della deriva occidentale sono pertanto nel loro caso la scienza e la tecnica, dalle quali si generano gli strumenti politici, sociali ed economici del dominio. In sostanza, quali che siano le cause indicate, sia per gli uni che per gli altri i risultati della civiltà occidentale sono l’individualismo, la rottura con la natura, la volontà sfrenata di potenza, il capitalismo, l’imperialismo, il colonialismo, lo sfruttamento, etc., fino ad arrivare al disastro ambientale.

Le cose ovviamente non stanno così. In natura l’unica legge comune, al mondo animale come a quello vegetale, è quella della sopravvivenza, individuale o specifica. I mezzi per garantirsi quest’ultima sono la sopraffazione, nei confronti della natura o dei propri simili, o la cooperazione: la via che viene scelta dipende poi senza dubbio anche dalle condizioni ambientali o storiche. Ma l’egoismo o l’altruismo non sono iscritti in una “natura umana primordiale”, sono frutto di selezioni attitudinali verificatesi nel corso dell’evoluzione. E la selezione non agisce secondo i criteri di buono e di cattivo che noi abbiamo “culturalmente” elaborato, ma secondo quelli naturali dell’utile o del dannoso. L’idea di una natura buona corrotta poi dal progresso, dalla tecnica, dalle stratificazioni sociali, ecc …, è puramente consolatoria, serve soltanto a distrarre l’attenzione da una realtà di fatto che non vogliamo accettare: siamo animali e ci comportiamo, in linea di fondo, come tali. Ed è anche un’idea decisamente incoerente, perché predica il ritorno alla natura e nel contempo nega le leggi di natura. Per questo, se le cose non vanno come vorremmo in base a ciò che incoerentemente crediamo, dal momento che la nostra mente ha elaborato anche il concetto di causalità (ogni effetto ha una causa) dobbiamo responsabilizzare qualcuno, trovare un capro espiatorio.

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E qui tornano in ballo la nostra amica Vargas e il suo amico Battisti, ma entrano in scena anche altre vicende, molto più recenti, e altri protagonisti. Il rancore dell’occidentale occidentofobo di sinistra si esprime nella ribellione contro una civiltà che considera corrotta e colpevole di ogni sopraffazione, interna o esterna. Questa ribellione può rimanere su un piano puramente intellettuale di appoggio o scendere su quello pratico della violenza, e nel secondo caso l’ambiente intellettuale fornisce il brodo di coltura, le motivazioni e le giustificazioni, mescolando in un confuso coacervo la lotta di classe, le avanguardie rivoluzionarie, la sollevazione dei popoli non occidentali, il terrorismo ecologico o quello puro e semplice, ecc… In questo bailamme Cesare Battisti, un delinquente senza scrupoli e senza un briciolo di dignità, assurge a limpida figura di “resistente”, come colui che ha combattuto le storture della civiltà occidentale scientista, industrialista, capitalista, pseudo-democratica: e Hamas, un branco di scannatori allevati nell’odio, a simbolo della legittima resistenza contro l’avamposto del male. Quando dici che le dichiarazioni della Vargas la qualificano come un’imbecille hai perfettamente ragione, ma la sua imbecillità non è solitaria: l’appello del 2004 che tu stesso mi hai segnalato, dove si inneggia a Battisti come “uomo onesto, arguto, profondo, anticonformista … un intellettuale vero …” che ha operato “una straordinaria e ineguagliata riflessione sugli anni Settanta” è stato firmato dal fior fiore degli anticonformisti nostrani e d’oltralpe: Agamben, naturalmente, e Nanni Balestrini, Pennac e Cacucci, Loredana Lipperini e Christian Raimo, Massimo Carlotto e Gianfranco Manfredi, e un sacco d’altri. L’unico che a posteriori ha ritirato la sua firma è Roberto Saviano, che aveva firmato a quanto pare a sua insaputa, come i proprietari di attici prospicienti il Colosseo: “Mi segnalano la mia firma in un appello per Cesare Battisti …”. Il livello è questo.

Vedi, tu parli nella tua missiva di personaggi, Tesson e Thesiger, che sono rimasti fedeli alle loro idee per tutta la vita. Noi stessi, tu ed io, non siamo particolarmente flessibili per quanto concerne i nostri convincimenti. Ma come i due che tu citi abbiamo imparato dalla vita stessa che un conto sono le idealità, che possono indirizzare la nostra esistenza ma responsabilizzano e mettono in gioco solo noi stessi, e che in questo modo dal confronto con la realtà non possono mai uscire sconfitte, e un conto sono le ideologie, che invece tirano in ballo tutti gli altri, e finiscono solo per deresponsabilizzarci nei loro confronti e scaricare su di loro i nostri insuccessi. Come avrebbe detto Totò, chi persegue delle idealità è un uomo, chi si trincera dietro le ideologie è un caporale.

Non mi sembra però il caso di tirare ulteriormente in lungo quello che minaccia di diventare un comizio. Mi riservo semmai di argomentare più diffusamente le mie idee in una trattazione futura (in realtà ho già tentato di farlo ne La discesa dal Monte Analogo, ma ne è venuto fuori un pippone noiosissimo). Tu nel frattempo, vincendo una più che giustificata ripugnanza, prova a seguire fino a quando lo stomaco ti regge gli attuali dibattiti televisivi sulla vicenda israelo-palestinese, o fai un giro sul web cliccando semplicemente le voci Hamas, Gaza, Palestina, ecc … Capirai il mio imbarazzo, a trovarmi a condividere almeno in parte le opinioni di figuri come Capezzone o addirittura Paragone, e a dover sopportare le ambiguità o la cretineria palese di chi in nome di una “sinistra” viscidamente pacifista chiude gli occhi davanti all’ evidenza. Oppure, meglio, rileggiti un buon saggio su questi temi, ad esempio l’Elogio dell’Occidente di Franco La Cecla (Elèuthera 2016). Potrai farti un’idea molto chiara di ciò di cui sto parlando.

Ci risentiamo presto, spero.