Nikolaj K. Roerich. Le cattedrali di pietra

di Paolo Repetto, 14 aprile 2024 – dall’Album “Nikolaj K. Roerich. Le cattedrali di pietra

Nikolaj Konstantinovič Roerich Le cattedrali di pietra copertinaLa cultura russa della prima metà del Novecento ha sfornato palate di personaggi bizzarri e controversi, ma questo è davvero singolare. La figura di Nikolaj Konstantinovic Roerich, nato a San Pietroburgo nel 1874, è talmente sfaccettata da non poter essere incasellata in alcuna definizione. Era un pittore, un archeologo e un esploratore, ma anche un appassionato di religioni orientali e di studi cabalistici, e si reinventò da ultimo maestro del pensiero, fondando una filosofia esoterica (la Agni Yoga) che pescava dalla teosofia di Elena Blavatskij, dal cristianesimo ortodosso, dal buddismo, dall’induismo, dallo sciamanesimo nonché dal burkhanesimo (una religione diffusa nella regione russo-asiatica degli Altai). Ancora oggi questa filosofia ha i suoi bravi seguaci, soprattutto nella Russia asiatica, ma sparsi anche un po’ in tutto il mondo. Per converso, Roerich è considerato da molti solo un ciarlatano, e si sospetta addirittura che abbia agito come spia del regime staliniano.
Le cattedrali di pietra 02Andiamo però con ordine. Roerich coltiva precocemente i suoi interessi artisti e filosofici, e soprattutto frequenta sin da giovanissimo gli ambienti culturali all’avanguardia. Collabora come scenografo e costumista alle messe in scena di Sergej Diaghilev, il creatore del balletto russo, e firma con Stravinsky la scenografia del balletto della “Sagra della Primavera”.
La grande svolta nella sua vita avviene però nel 1901, quando sposa Elena Ivanova Shaposhnikova. Da lei, che già ha tradotto in russo le opere della Blavatskij e scritto sui fondamenti del buddismo, riceve la spinta verso gli interessi esoterici. Al termine del primo conflitto mondiale i due danno inizio a una serie di viaggi diretti dapprima verso occidente, in Svezia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, poi decisamente a oriente, in India, nel Turkestan cinese, negli Altai, in Mongolia e in Tibet. Visitano anche la Manciuria cinese, raggiungendo poi Shanghai e Pechino e spingendosi fino a Tokyo.
I loro viaggi nell’Asia centrale, in un’area che negli stessi anni vede in azione Sven Hedin e gli archeologi dell’Ahnenerbe himmleriana, si traducono presto in vere e proprie esplorazioni. Oggetto della ricerca è il mitico paradiso buddista di Shambala. Di qui dovrà partire la rigenerazione dell’Umanità, una nuova era guidata da una figura femminile, Urusvati (nella quale non è difficile riconoscere la stessa Elena Ivanovna), che insegnerà all’umanità l’amore per la natura e la sintonia con le energie emanate dalla terra. L’armamentario per una filosofia di vita precorritrice della New Age c’è tutto, compreso il vegetarianesimo e il culto delle vette “sacre”.

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Il pensiero di Roerich è stato indubbiamente condizionato, e in maniera pesante, dall’influenza della moglie. Di suo, lui ha saputo tradurlo da un lato in visibilità e successo, e in qualche modo in una sorta di lasciapassare, dall’altro in ispirazione per la sua pittura. Verso la fine degli anni Trenta ha lanciato un “Patto Roerich”, una sorta di “Croce Rossa della cultura”, sancito alla Casa Bianca alla presenza di Roosevelt, che aveva come scopo la protezione dai danni della guerra di monumenti, chiese, biblioteche, istituzioni culturali di ogni tipo. Nel frattempo ha continuato a girovagare per la Russia e per il mondo senza subire restrizioni dalla polizia politica staliniana, e sempre godendo di notevole disponibilità economica. Di qui i sospetti su una sua possibile attività spionistica al servizio del regime.
A noi interessa però eminentemente la sua opera. A prima vista è difficile che questa ci conquisti. Sembra anzi presentare diversi limiti: un segno pesantemente calligrafico, quasi esasperato nella semplificazione dei tratti e dei contorni; un cromatismo monocorde, vincolato alla successione disciplinata delle sfumature; il ripetersi degli stessi soggetti, colti da un’angolazione quasi simile. Come ad essere in presenza di un lavoro diligente, piuttosto che ispirato. Ma subito dopo la percezione cambia: si capisce che quelli che possono sembrare difetti di “manico” o di “maniera” sono in realtà l’esito di una “sublimazione”, mirata a creare una dimensione metafisica, nella quale il peso dei massi rocciosi, dei grandi volumi montani inscritti in ideali solidi geometrici, che pure è sottolineato proprio dalla semplificazione del segno, non ci grava addosso, è solidità, è base sulla quale poggiare i piedi e la vita.
E allora ne siamo attratti: da quelle vette (ma anche dagli edifici religiosi, dagli scorci di villaggi) ci arriva un richiamo, e la loro distanza non ci esclude.
Che poi Roerich fosse o meno un ciarlatano, o un fanatico religioso, o addirittura un agente dell’NKVD, e che le sue opere vengano riprodotte oggi sui cuscini o nelle tappezzerie, poco importa. Ci ha lasciato l’idea di un mondo nel quale, forse, l’utopia era ancora possibile.

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