(Robert Edison Fulton Jr., One Man Caravan)
di Vittorio Righini, 9 marzo 2025
Non avrei mai immaginato di raccontare sulle pagine dei Viandanti un libro basato su un giro del mondo in moto. Ne ho letti moltissimi, amo le motociclette fin dalla giovane età, e non mi sono mai fatto mancare libri su marchi attuali e del passato, produttori scomparsi poi ricomparsi, racconti di gare e, naturalmente, quelli sui viaggi in moto, dal Ted Simon de I Viaggi di Jupiter al povero Bettinelli e al suo girare il mondo In Vespa, e altri ancora ma meno noti. Pur essendo tutti libri graditi, non mi sono mai entusiasmato al punto di volerne raccontare, tantomeno sul sito dei Viandanti, dove gli eventuali rari lettori difficilmente potrebbero condividere la mia passione per la moto, e di sicuro non al punto in cui mi ha condotto Robert Edison Fulton Jr. (che non è il figlio dell’inventore della lampadina, anche se proprio da quest’ultimo, amico del padre, deriva il suo nome, né il nipote di quello della nave a vapore), in questo suo racconto del 1932/1933, edito poi nel 1937.
L’autore (figlio di Bob Fulton, facoltoso commerciante di mezzi pesanti, il marchio Mack Trucks, fondatore della compagnia di autobus Greyhound e personaggio carismatico) Robert Edison Fulton Junior (1909-2004) fin da ragazzino ebbe grandi esperienze: nel 1921 volò da Miami all’Havana in uno dei primi voli commerciali al mondo; nel 1923 assistette all’apertura della tomba di Tutankhamon in Egitto; si laureò nel 1931 a Harvard in Architettura ma fin da ragazzino, mentre i suoi amici battevano palle sui campi di baseball, lui si recava in fabbrica dal padre a mettere le mani nei motori e a curiosare nella meccanica. Junior si trova in Inghilterra quando, nel 1931, decide di seguire il consiglio paterno: “vai a est, incontrerai luoghi, genti e pensieri diversi, che ti apriranno la mente”. Invitato a una cena con personaggi di spicco dell’aristocrazia inglese, e con un bicchiere di troppo in corpo, espone ai convitati il suo progetto: voglio fare il giro del mondo in moto. In realtà si pente subito della sua boutade, ma ormai il dado è tratto, non può tirarsi indietro, tantomeno dopo che il proprietario della fabbrica di motociclette inglesi Douglas, seduto al medesimo tavolo, gli propone di fornirgli una moto adattata alle esigenze del suo viaggio. A quel punto, non può più rifiutare. Fervono i preparativi, aggiungi un serbatoio, aggiungi un portapacchi, insomma 350 kg. di ferro da portarsi in giro a poche miglia orarie, ove vi sono strade, e soprattutto in mezzo al nulla, come vedremo nella maggior parte dei luoghi raccontati nel libro.

Junior nella vita sarà un inventore (copio e incollo da Wikipedia):
«Durante la seconda guerra mondiale, Fulton inventò il primo simulatore di volo aereo da terra, l’“Aerostructor”, ma quando i militari non furono interessati, lo modificò in un ausilio per l’addestramento per i mitraglieri aerei, il primo simulatore di tiro aereo fisso, chiamato “Gunairstructor”. Dopo la guerra, a causa del tempo impiegato per viaggiare per dimostrare il simulatore di tiro, progettò e costruì un aereo che era convertibile in un’automobile, chiamato “Airphibian”. Charles Lindbergh lo pilotò nel 1950 e fu la prima auto volante mai certificata come idonea al volo dalla Civil Aeronautics Administration (ora FAA). Sebbene non fu un successo commerciale (i costi finanziari della certificazione di idoneità al volo lo costrinsero a cedere il controllo della società ad un’azienda, che non lo sviluppò mai ulteriormente), ora si trova allo Smithsonian Air & Space Museum. Durante gli anni ‘50, dopo aver studiato il modo in cui i treni in Gran Bretagna raccolgono i sacchi della posta a lato dei binari, Fulton sviluppò il sistema di recupero superficie-aria Fulton, chiamato anche Skyhook per la Central Intelligence Agency (CIA), la Marina degli Stati Uniti e l’Aeronautica Militare degli Stati Uniti. Era un sistema che veniva utilizzato per raccogliere le persone da terra con un aereo. Fu utilizzato dall’Aeronautica Militare U.S.A. fino al 1996. Un’invenzione gemella per i sommozzatori della Marina era chiamata Seasled.»
Una vita ricca e interessante, sicuramente frutto anche dal mix di culture cui si era accostato nel suo straordinario e giovanile viaggio in moto.
Nell’inverno del 1933 anche un altro grande narratore di viaggi lascia Londra e Hook von Holland per avviarsi verso Costantinopoli, ma a piedi. È Patrick Leigh Fermor, e nel suo viaggio, ben evidenzia (nel primo libro della trilogia) la prima parte in Olanda, Germania e Austria, con la descrizione della Germania all’inizio del Terzo Reich; al contrario, in questo libro l’Europa occidentale viene completamente ignorata; Junior non è Patrick, in tutti i sensi, l’Europa viene attraversata senza commenti, e solo all’arrivo in Grecia l’autore può cominciare a raccontare qualcosa: la polvere, soprattutto. Ma una volta arrivato in Grecia, è quella polvere l’aria nuova d’oriente, e Junior comincia a narrare. Butta via lo smoking e gli abiti da sera, e riparte, anche mentalmente. Molto interessante l’attraversamento della Turchia e delle sue regioni meno abitate, praticamente il primo assaggio di deserto, con i turchi, quelli che non hanno nulla, che sono sempre i più ospitali. Giù fino a Adana e Gaziantep, Alessandrina e poi la frontiera e la Siria. Antiochia, Aleppo, Homs e l’ingresso in Libano, Tripoli e Beirut. Il passaggio in Giordania, con una sosta a Damasco e un difficile e pericoloso deserto, poi l’Irak, fino alla complicata (all’epoca) Baghdad. Tutto questo in moto, signori, nel 1931… E poi in Pakistan fino a Karachi, poi in India, con una capatina (?!?) a nord, ai confini con L’Afghanistan, in uno dei posti più pericolosi all’epoca… il passaporto inglese di quei tempi, in una nota interna, ricorda ‘‘valido in tutti i paesi del mondo tranne l’Afghanistan’’; posto pericoloso oggi, pericoloso ai tempi di Kim, Kipling e di Junior. Ma l’autore ha 20 anni, passaporto americano, fegato e incoscienza da vendere, e rientra fino a Peshawar, per poi salire sul Khyber pass e ridiscendere in Afghanistan fino a Kabul.

La parte in India è tra le più belle del libro. Junior spesso racconta la storia dei luoghi e delle tribù, non è enciclopedico e completo come Fermor nei suoi libri, ma se ti vuole stupire ci riesce comunque. Spiccano alcune frasi che mi sono rimaste in mente. Un capitano inglese, (Watson), militare in India da una vita, dice a Junior:
“Fulton, ha visto con quanta pazienza e fatica il cammello fa girare la ruota idraulica di quel bungalow? il cammello sta tutto il giorno con gli occhi coperti e solo a sera, quando viene allontanato dal pozzo, gli vengono tolti i paraocchi. Così non si renderà mai conto della sua forza né del frutto del suo lavoro. Gli indiani sono come quel cammello: possiedono un’enorme potere ma hanno gli occhi chiusi. Un giorno cadranno i paraocchi e allora succederanno grandi cose in questo paese”. E anche l’autore ogni tanto si lascia andare a battute sugli inglesi; nella località sperduta di Razmak, nel Waziristan (piccola regione montuosa tra il fiume Tochi e il fiume Indo, abitata dai peggio montanari possibili, che al confronto i Manioti raccontati da Fermor sono dei pacifisti), Junior viene ospitato al Razmak Club, il classico club inglese in mezzo al nulla… al che Junior scrive : “Scommetto che se tre inglesi facessero naufragio su un’isola deserta, due formerebbero un Club esclusivo e il terzo ne starebbe fuori” (nota vecchia battuta). Perdonatemi, ma questa vecchia abitudine inglese a mantenere certe tradizioni la trovo gradita.

Va detto che Junior non scrive per dare un appunto, non è un taccuino di viaggio per successivi coraggiosi viaggiatori motociclisti. Lui si muove sul filo del tempo: passa in certi paesi in un periodo in cui questi paesi sono felici di avere un ospite americano in visita (in Giappone verrà scortato da motociclisti locali, probabilmente gli stessi che qualche anno dopo combatteranno gli americani). Non si propone di fare un record, non è un viaggio immutabile che non può essere variato: ogni qualvolta subentra un problema grave, come le piogge monsoniche, Junior imbarca la moto in nave e proseguire il percorso via mare, o in treno se disponibile.
Dopo l’India c’è il folle viaggio fino a Khabul attraverso il Khyber pass, poi il ritorno in India del sud, e via nave a Sumatra, a Giava, poi a Singapore, nel Siam (nome della Thailandia fino al 1940 circa), la Cambogia, e poi una lunga, lenta e stentata esplorazione della Cina. Poi l’arrivo in Giappone, il viaggio da Nagasaki a Tokyo dove imbarca in nave per tornare negli Stati Uniti. Attraversa gli stati del sud degli USA e, nei pressi di Dallas, gli rubano la moto! non ha mai avuto nessun problema in tutti i paesi attraversati, e tornato a casa gli succede questa sfortuna, per lui una vera disgrazia. Ma nel giro di una settimana la Polizia trova la moto, e lui può ripartire per New York, la tappa definitiva del suo viaggio.

È sì un taccuino, ma di ricordi, riferiti a persone, fatti e luoghi; non è un libro per motociclisti, Junior non offre nessun consiglio ai futuri viaggiatori. Quando si guasta la moto, non spiega cosa si è rotto! e se anche offrisse suggerimenti per un viaggio in moto, i tempi non sarebbero più gli stessi, e i consigli sarebbero inutili. Anche se, a rileggere del valicare certi passi Afghani, o attraversare i deserti medio orientali, si potrebbe pensare di essere ai giorni nostri, con rischi più o meno uguali. Non nego che si potrebbe avere la sensazione che Junior abbia un atteggiamento coloniale di stampo inglese, con divertita superiorità rispetto alle culture incontrate, e tendente alla difesa col colonialismo, riconoscendone più i meriti che i demeriti; però nei suoi scritti c’è sempre garbo e rispetto per l’altrui cultura, curiosità e modestia. Siamo all’inizio degli anni ‘30, l’autore quando parte è poco più che ventenne, viene da una ricca famiglia americana e non conosce le privazioni… come non concedergli un certo aplomb.
A poco più di venti anni, Junior sfugge alle pallottole delle tribù Pashtun, ai banditi iracheni, soggiorna più volte nelle carceri turche, e si trova in mezzo a varie guerre civili. Eppure, apprezza e loda un the offerto in mezzo al nulla, da gente che non ha nulla, se non un buon sentimento di ospitalità, che contraddistingue la maggior parte dei poveri di tutto il mondo.
Altro che maturare, altro che crescere in fretta, il viaggio è una scuola di vita… Questo libro è per tutti gli amanti della letteratura di viaggio, va letto e riposto nell’angolo dei libri di pregio, perché noi, al giorno d’oggi, nemmeno ci possiamo sognare una simile avventura. E se non vi piacciono le moto, dimenticatele, qui la moto è davvero solo il mezzo, non certo il fine. (Non mi stupisce che poi nella vita Junior sia stato inventore: tutti quei km. su quel trabiccolo hanno comportato sicuramente riparazioni che un uomo privo della necessaria capacità meccanica non avrebbe potuto risolvere). Il libro contiene anche una serie di fotografie scattate dall’autore (ha usato a lungo anche la cinepresa, e al suo ritorno tutta questa documentazione di molti posti ai più sconosciuti lo aiutò a trovare un posto di lavoro alla Pan American Airlines).
One Man Caravan, di Robert Edison Fulton Jr., Elliot Edizioni, 2015


















di Vittorio Righini, 11 aprile 2020


