di Nicola Parodi e Paolo Repetto, 23 febbraio 2024
Nella parrocchia di Forno, in Valle Strona (provincia del Verbano-Cusio-Ossola), il giorno di San Valentino non si celebra la festa degli innamorati, dei fiorai e dei produttori di cioccolatini, ma la “messa del lupo”. È un rito che risale ufficialmente a più di due secoli e mezzo fa (pare attestato per la prima volta nel 1762), e rientra in un’articolata liturgia cattolica di processioni propiziatorie e di funzioni esorcistiche (le rogazioni), diffusa soprattutto nelle comunità rurali. In realtà le origini di questi rituali apotropaici vanno fatte risalire molto più addietro, al mondo pagano, nel quale ad esempio venivano officiate le Ambarvalia, processioni aventi lo scopo di propiziare il buon esito dell’annata agraria. Insomma si tratta di usanze che rispondevano al bisogno delle popolazioni di credere in una protezione divina contro le calamità, naturali e non. Il primo cristianesimo, quello “di lotta”, aveva cercato di invano di sradicarle, fino a quando la Chiesa, ormai “di governo”, aveva realizzato quanto fossero necessarie e funzionali alla propria affermazione, e si era affrettata a recuperarle cambiando semplicemente le etichette e le divinità di riferimento. Per avere un’idea di quanto questa operazione abbia funzionato, basta ricordare che le rogazioni hanno continuato ad essere regolarmente celebrate anche dalle nostre parti fin dopo il concilio vaticano secondo, conservando addirittura il formulario più antico (non si chiedeva a Dio di liberare soltanto a fulgure et tempestate, ma anche a sagittis hungarorum – e dopo i recenti screzi ungheresi non è detto che quest’ultima formula non torni attuale). D’altro canto, bisogna ricordare che nelle nostre montagne, e non solo, sopravvivono ancora diverse manifestazioni (sia pure ridotte ormai a specchietti per il turismo) che prevedono lotte e scontri tra mascheroni di animali totemici.

Bene, questo è quanto di fatto accade, Il che non costruirebbe nulla di nuovo. e potrebbe essere al massimo rubricato nel recente revival di madonne che piangono e parlano e di sette che praticano esorcismi e di interferenze religiose e superstiziose in una quotidianità del sentire sempre più povera. Non fosse per due circostanze particolari: che il rito ha coinciso, sia pure non volutamente, col primo caso da più di un secolo in Europa di un essere umano sbranato dai lupi, e che contro il parroco officiante è stata presentata da una associazione ambientalista e animalista locale una denuncia “per istigazione all’uccisione di animali selvatici e per maltrattamento di animali ai sensi dell’articolo 544 del codice penale”. È ipotizzabile che tra le due cose esista una correlazione, che cioè gli ambientalisti abbiano attivato una strategia di attacco preventivo, sapendo quanto la notizia avrebbe colpito l’opinione pubblica, e si siano mossi su piani diversi di intervento: “Abbiamo scritto al vescovo di Novara – recita un loro comunicato – per chiedere un intervento immediato e porre fine a questa idiozia pericolosa. Una messa con annesso un rito di esorcismo contro i lupi e per il loro abbattimento è roba da psichiatria”.
Ma non è finita qui. Dal momento che le disgrazie e le puttanate non viaggiano mai sole è arrivata tempestiva anche la presa di posizione di due esponenti della Lega, un europarlamentare e un consigliere regionale, che si sono immediatamente autoinvestiti del ruolo di paladini del parroco, del cristianesimo e della tradizione popolare indigena. Non perdendo naturalmente l’occasione per sparare minchiate. “La messa ovviamente non è contro il lupo – ha detto il primo – ma è un rito per la protezione del gregge e dei pastori, quindi non istigazione all’odio, ma la preghiera di una pacifica convivenza. La celebrazione, ripetuta dal 1762, ha l’obiettivo di chiedere la protezione divina contro gli attacchi del predatore, invocando in particolare l’intervento di San Valentino, la cui reliquia è conservata nella chiesa”. Visione francescana, verrebbe da dire.
Ora, si potrebbero liquidare con un sorrisetto di compatimento tutti i protagonisti della vicenda, non fosse che a furia di sorrisi di compatimento siamo ormai ostaggio costante dell’imbecillità e della malafede. Vale quindi la pena soffermarsi un attimo a riflettere su quali sono le forze in gioco e in che modo finiscono per tirare in mezzo alle loro scemenze anche tutti noi.

Cominciamo dal rito. Nel 1762 la scienza già aveva capito come si potessero controllare le malattie e quali fossero le cause delle varie calamità: ma si può concedere che stanti le condizioni di vita su quelle montagne (e non solo) ciò arrecasse scarsa consolazione alla popolazione, e che dove i lumi della ragione non erano ancora arrivati la Chiesa continuasse a supplire con i soliti mezzi. I vaccini, i sieri, le penicilline, gli interventi di prevenzione di calamità varie sono arrivati dopo, mentre nel frattempo i lupi e gli Ungheri se ne sono andati (le tempeste di grandine e le alluvioni però no). La Chiesa, che in genere si adegua ai mutamenti con qualche secolo di ritardo, in questo caso ha visto lontano, lasciando che certi rituali sopravvivessero, perché quel che accade attorno dimostra come lo sfruttamento dei fattori emozionali funzioni sempre, e anzi, in questo periodo di incertezze e di sbandamento sia quanto mai redditizio. In realtà, nel nostro caso specifico è persino accettabile che il parroco puntasse più ad utilizzare un’emozione legata ad un’antica tradizione piuttosto che a istigare una autentica paura del lupo. In fondo, la funzione ultima dei riti vari di tutte le religioni resta comunque la suggestione dei fedeli. Vien da dire che la chiesa in questo caso fa il suo mestiere.
Più preoccupante è l’atteggiamento di quel movimento ambientalista che denuncia il parroco per una messa. Le motivazioni serie per sostenere posizioni ambientaliste ci sono, e sono fondate sulla scienza, che ci illustra come tutte le forme di vita abbiano pari dignità e siano legate da relazioni e forme di interdipendenza complicate e sofisticate, e dimostra che ogni modifica dell’equilibrio esistente crea scompensi e crisi con effetti imprevedibili. Dovrebbero essere queste considerazioni razionali a spingerci a ritenere funzionalmente giusto l’evitare di cacciare o di pescare troppo, o di spargere veleni che danneggiano animali e piante; a guidarci insomma nella ricerca di modalità di coesistenza le più equilibrate possibile tra le diverse forme di vita. Ma questo comporta il rifiuto di ogni integralismo. Va tenuto presente come funziona quel meccanismo di lotta fra prede e predatori che a volte viene definito “corsa agli armamenti evolutiva”: che esiste in natura e che, certo, in presenza di una specie che quanto ad armamenti ha già stravinto, va governato con criteri “culturali”. È comunque del tutto naturale che anche l’uomo abbia sempre tentato di evitare di diventare una preda, e che lo diventassero gli animali che allevava con fatica. E non risulta che qualche ambientalista si sia mai volontariamente messo a rischio di diventare preda di un branco di predatori affamato. La tecnologia ha offerto senza dubbio agli umani un vantaggio sproporzionato, e spesso ha fatto loro credere di avere licenza di uccidere: confondere però la celebrazione di un rito religioso con una istigazione allo sterminio di altre specie denota una visione tutt’altro che “naturalistica” della natura, legata a un sistema di credenze basate su un fanatismo simil-religioso, piuttosto che su solide convinzioni scientifiche. Rivela che siamo di fronte ad uno “scontro di inciviltà”.

Quanto ai politici intervenuti, non c’è molto da dire. Visto che almeno in teoria prendono parte a decisioni riguardanti la nostra salute e la protezione da calamità naturali, dobbiamo sperare che non siano spinti da contorsionismi mentali tipo “no vax”, e che non considerino una funzione religiosa più efficace delle misure dettate dalla scienza. Ma è difficile dare loro credito persino di una cosa del genere. È molto più realistico pensare che si siano buttati a capofitto sull’accaduto per racimolare voti e un minimo di visibilità.
Riassumendo. La vicenda potrà sembrare oltre che stupida assolutamente banale, e meritevole di nemmeno un centesimo dello spazio che le abbiamo riservato. Ma occorre fare attenzione, perché è solo una tra le migliaia di altre simili che occupano totalmente lo spazio dell’informazione, e perché ci conferma che siamo ormai ostaggi di un cretinismo irrazionale che ha rotto ogni argine e dilaga in ogni aspetto della nostra quotidianità. Contro il quale, purtroppo, non valgono né rogazioni né esorcismi né terapie scientifiche. Non rimarrebbe che il silenzio, una “damnatio stultitiae” applicata in tempo reale. Ma non funziona più. Nella società dello spettacolo siamo ormai noi quelli condannati a minoranza silenziosa.




