Indietro tutta! (introduzione)

di Paolo Repetto, 14 dicembre 2024, introduzione al Quaderno Indietro tutta!

Non ho paura di morire.
ma ho paura di morire per stupidità.

Nei romanzi di Verne il comando “Indietro tutta!” veniva impartito, anzi, urlato a squarciagola, quando il piroscafo rischiava di finire sugli scogli, o di arenarsi in una secca (in quelli di Salgari più raramente, perché preferiva i velieri, sui quali la formula era “vira tutta a tribordo!”). A me vien voglia di gridarlo quotidianamente, ogni volta che apro un giornale, accendo la tivù o semplicemente faccio una passeggiata in città e mi guardo attorno. Ma ho l’impressione che sia ormai tutto inutile: le cose corrono avanti come si fossero totalmente sottratte alla nostra volontà: nostra come umanità intendo, ma anche come singoli individui. Siamo rassegnati, e anche quelli che sembrano non esserlo partecipano in realtà più o meno consciamente come figuranti al padre di tutti gli eventi, al grande spettacolo messo in piedi (ma sarebbe più corretto dire “autoprodotto)” per celebrare la fine.

Si dovrebbe aggiornare l’apologo raccontato da Kierkegaard in Aut Aut: “Accadde in un teatro che le quinte prendessero fuoco. Il pagliaccio venne a darne notizia al pubblico. Tutti credettero che fosse soltanto una battuta di spirito e il pagliaccio fu applaudito. Allora egli ripeté l’avviso, ma il divertimento aumentò ancora. Ecco, penso che il mondo perirà tra il divertimento universale della gente di spirito, che crederà che sia uno scherzo”. (Neanche a farlo apposta, una cosa del genere è poi accaduta in un teatro di Edimburgo a fine Ottocento: gli spettatori evidentemente non erano lettori di Kierkegaard, si divertivano un mondo, e per farli smuovere ci volle la forza).

Il pagliaccio infatti c’è ancora, anzi, ce ne sono un sacco, ma sono molto meno seri e credibili di quello di Kierkegaard. Ormai anche quelli che dicono la verità lo fanno dalla pista del circo, in favore di telecamera o di smartphone, esibendosi in performance che degradano la protesta a fastidiosa buffonata. E ci sono ancora pure gli spettatori, con la differenza però rispetto all’originale che, lo vogliano o no, sono consapevoli del disastro imminente, eppure reagiscono allo stesso modo, applaudendo. Nemmeno con la forza (la dittatura ecologica che molti auspicano come extrema ratio) li si potrebbe dissuadere dal divertirsi.

Non sto annunciando la fine del mondo, non voglio recitare la parte del pagliaccio, al più mi riconosco in quella dello spettatore, perché nel teatro ci sono anch’io. Ma la fine dell’umanità, o almeno dell’umanità come l’ho conosciuta e come la intendevo io, quella sì. Credo che il pericolo più imminente non venga dal dissesto ambientale, ma da quello intellettuale e psicologico. Vedo crescere un atteggiamento collettivo nei confronti della vita totalmente disinteressato al futuro, alla sorte di chi verrà dopo, ai sacrifici e ai meriti di chi è venuto prima. Vedo un patrimonio di cultura accumulato negli ultimi cinque millenni ridotto in cenere, con una élite di intellettuali loggionisti che cinicamente plaude alle fiamme e una platea rincoglionita che acclama a comando senza capire un accidente di quanto accade in scena, attenta comunque solo allo schermo dei cellulari.

Vedo tutto questo, ma cerco comunque di seguire la rappresentazione, pur avvertendo un sempre più forte puzzo di strine, e anche se so già come andrà a finire. E mi sento persino ridicolo, o peggio, patetico, a insistere nel criticare gli interpreti, la regia, la sceneggiatura, come fossi convinto che lo spettacolo possa e debba continuare.

Per fortuna ci sono gli intervalli. Non quelli ufficiali, che vedono la corsa alla buvette, ma quelli che mi ritaglio io, uscendo a prendere una boccata d’aria o a fumare una sigaretta. Guardo fuori, che in questo caso vale per guardo indietro, e mi abbandono a pensieri e a ricordi che per un attimo mi strappano da quello che troverò rientrando. Forse come atteggiamento, di fronte all’incendio che vedo avanzare, è altrettanto patetico: ma almeno mi risparmia di applaudire.