Ariette 16.0: Spiace tanto

di Maurizio Castellaro, 12 giugno 2023

Le “ariette” che postiamo dovrebbero essere, negli intenti del loro estensore, «un contrappunto leggero e ironico alle corpose riflessioni pubblicate di solito sul sito. Un modo per dare un piccolo contributo “laterale” al discorso». (n.d.r).

Al passo del Curlo di Arenzano stavo fisso con gli occhi al cielo per godermi il passaggio dei bianconi, un lungo e lento volo dal Mali all’Europa, passando per Gibilterra, sfruttando le calde correnti ascensionali per ridurre la fatica. Ma forse, nell’occulta regia che regola l’universo, sono i bianconi che ci guardano indifferenti mentre passano sopra di noi, come fanno da milioni di anni, e da quell’altezza Genova per loro è solo una macchia grigia di cemento che sconcia la linea della costa.

Da alcune estati mi estasiavo a spiare i pesci multicolori che vivono a Bogliasco, pascolando le alghe proprio in mezzo ai piedi dei bagnanti ignari, in quell’impalpabile mondo di mezzo fatto di acqualuceariaspuma, che chiamiamo scogliera. Quest’inverno hanno coperto tutto con materiale di risulta per creare tanta bella spiaggia e smuovere l’economia, e io non ho ancora avuto il coraggio di immergermi per contemplare quel sepolcro imbiancato. Erano pesciolini grossi come mignoli e io mi chiedo se da qualche parte, in qualche libro segreto, la loro morte assurda sia stata registrata, e se ci sarà qualcuno che ascolterà le loro mute istanze di giustizia. Cioè, me lo potrei chiedere, se non stessi rileggendo proprio adesso Il dialogo della Natura e di un Islandese dell’immenso Giacomino.

Sto guardando su Rai 5 un film a più mani sul problema ambientale. Come al solito si oscilla tra la colpevolizzazione moraleggiante e la disperazione nichilistica, e come al solito mi vien voglia di cambiar canale.

Spiace tanto, ma a questo giro mi manca l’Arietta.

Il mondo che abbiamo perduto

Una natura e una cultura che i nostri figli non conosceranno

Il mondo che abbiamo perduto copertinaimmagini di Elisabetta Goggi e Pietro Ruffini, una mostra a cura dell’istituto Secondario Superiore “B. Cellini” di Valenza
Valenza, 18 -25 marzo 2013

La titolazione “Il mondo che abbiamo perduto” accomuna in una mostra che l’IIS “Cellini” propone a partire dal 18 marzo al Centro Comunale di Cultura di Valenza (e che verrà poi ospitata nei locali dell’Istituto stesso) le testimonianze fotografiche realizzate da due nostri docenti. Il titolo è comune perché le realtà rappresentate in questa mostra, la natura, la cultura, la tradizione, sono tutte egualmente in pericolo, quando non già compromesse.

Pietro Ruffini

Il mondo che abbiamo perduto 03Sono nato a Tortona nel 1968 e da quasi dieci anni insegno Lettere presso il Liceo “Alberti” di Valenza.
La mia passione per la fotografia, in particolare per quella naturalistica, inizia molto presto: a sette anni ho ricevuto la prima macchina fotografica, a undici la seconda ed a sedici, dopo aver supplicato in tutti i modi possibili i miei genitori per convincerli a comperarmi finalmente il motorino … la folgorazione: ho “barattato” l’acquisto dello scooter con quello della prima fotocamera reflex (con grande sollievo di tutta la famiglia). Da allora ho sempre fotografato, anche se in modo piuttosto approssimativo e casuale.
Nel gennaio 2011 ho incontrato Bruno De Faveri, uno dei più bravi fotografi naturalisti italiani, ma soprattutto una persona eccezionale sul piano umano (vi consiglio una visita al suo sito fotografico!). Sotto la sua guida e grazie alla sua amicizia ho iniziato a scattare in modo tecnicamente più corretto e consapevole.
Le immagini che propongo, una carrellata del percorso di questi ultimi due anni, vogliono cercare di esprimere l’idea che la pace e la libertà che la nostra vita frenetica ci fa tanto desiderare, spesso, si trovano nel più profondo del nostro cuore, nella nostra capacità di stupirci per la bellezza che ci circonda, anche a poca distanza dalle nostre case …

Questo slideshow richiede JavaScript.

Elisabetta Goggi

Il mondo che abbiamo perduto Elisabetta GoggiCon una passione genetica per la fotografia trasmessale dal padre, Elisabetta Goggi ha realizzato i suoi primi scatti con una reflex. In principio si è occupata principalmente di reportages; dopo la laurea in Storia dell’Arte, e il Dottorato di ricerca con una tesi sulla storia della fotografia, “Genova: l’idea di città attraverso dei fotografi tra la metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento”, ha seguito le lezioni di fotografia dell’Accademia Ligustica ed ha collaborato per due anni con una galleria d’arte di Genova, partecipando a diverse mostre. Il primo premio al concorso “Acqua e Ferro” l’ha indirizzata verso le foto di archeologia industriale, agraria e urbana, senza però farle trascurare altri temi, come il paesaggio e i riflessi.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Il Collegio “San Giorgio” a Novi Ligure

Il prestigioso e antico Collegio, situato a Novi Ligure e soggetto della mostra,
fu fondato all’inizio del secolo scorso da don Orione e destinato all’educa-zione e alla formazione di migliaia di allievi provenienti dalle zone del Basso Piemonte e della Liguria. Le immagini realizzate da Elisabetta Goggi dopo la chiusura documentano lo stato di abbandono del nobile edificio e contemporaneamente intendono sottolineare il vuoto che si è venuto a creare nella città Novi Ligure in ambito religioso, sociale e culturale. La precarietà delle strutture storiche e l’incertezza della sua destinazione fanno sì che sia importante mantenerne vivo il ricordo e l’interesse presso l’opinione pubblica.

Torna indietro

Il messaggio è stato inviato

Attenzione
Attenzione
Attenzione
Attenzione

Attenzione!