di Marco Moraschi, 6 febbraio 2019
“Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena fare niente.”
È così che comincia il romanzo “Niente” di Janne Teller. Se non c’è nulla che ha davvero senso, allora tanto vale non fare niente. E in effetti non ci sarebbe niente da obiettare, riducendo al nulla anche ogni eventuale obiezione. Ma è una frase che nella sua semplicità spaventa, perché sembra gettarci in faccia una triste verità pronunciata da un bambino di tredici anni, una logica disarmante che non si risolve fino alla fine del libro. È davvero così? Non c’è nulla che valga la pena fare? Ma soprattutto, non c’è niente che abbia senso?
Il significato è qualcosa che gli esseri umani ricercano per tutta la vita, nel tentativo di trovare una ragione per la quale valga la pena vivere, ritenendo evidentemente che la vita debba avere uno scopo, altrimenti non può considerarsi tale. E in effetti la morale, in particolar modo quella cristiana (cattolica), ha sempre insistito sul significato della vita e sul senso delle cose. Il che però non ha valore universale, ma solamente per chi crede che la vita gli sia donata da Dio e per questo vada onorata. Ma in un Universo in cui a regnare non è dio, ma la termodinamica, in cui lo spazio-tempo si espande anche senza Dante, il karma o la filosofia, il significato potrebbe anche non esistere, rivelandoci che ancor prima di cercare un senso nelle cose dovremmo limitarci a capire come funzionano. In definitiva non tutte le domande hanno significato e molto probabilmente la vita non ha senso. Ma quello che qui si intende è che non bisogna credere nell’esistenza di un significato assoluto, più elevato e comune, al quale tutte le cose facciano riferimento per determinarne l’importanza. Senza un assoluto di riferimento, non c’è un significato e una risposta univoca “alla Domanda Fondamentale sull’Universo, la Vita e Tutto quanto” (a parte 42!). Vedi Douglas Adams, Guida Galattica per gli Autostoppisti.
I compagni di scuola di Pierre Anthon, il bambino che pronuncia la frase a inizio libro, decidono di mostrare al loro amico che il significato esiste e iniziano un gioco pericoloso fatto di ricerca e sacrificio, in cui allestiscono con il tempo una “catasta del significato”, raggruppando insieme tutti gli oggetti che per loro hanno significato, nella speranza di trovare il vero significato per mostrarlo a Pierre Anthon. Ma le cose poco alla volta degenerano perché il significato sembra non essere mai definitivo, gli oggetti di significato cambiano per ogni bambino e anche quando la catasta sarà completa si accorgeranno che in realtà il significato non esiste.
Si rendono cioè conto che non esiste un qualcosa di comune e assoluto che possa dare significato alla realtà che ci circonda, alle nostre azioni quotidiane e al nostro essere.
Il significato è cioè relativo e, pertanto, come si accorgono alla fine del libro “privo di significato”. Il significato cioè non esiste, né in quanto assoluto, né in quanto relativo, perché non può chiamarsi significato.
E allora non vale la pena di vivere, dovremmo cioè non fare niente? Niente affatto, poco alla volta, durante la lettura, emerge la consapevolezza che, in modo un po’ retorico, la ricerca del significato è essa stessa il significato. L’uomo ricerca da sempre il significato, che non si nasconde alla fine di un tortuoso cammino, ma nel cammino stesso.
Come diceva Proust cioè “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Mentre la catasta del significato inizia a deteriorarsi, come si deteriorano gli oggetti e tutto ciò che ci circonda, nei bambini si fa strada l’idea che “il marciume puzza, ma quando qualcosa marcisce vuol dire che comincia a diventare qualcosa di nuovo. E il nuovo che si crea, dà un buon odore. Perciò non c’è differenza tra un odore buono e uno cattivo, è solo parte dell’eterno girotondo della vita.”
Nella ricerca del significato ognuno di noi si imbatte in qualcosa di diverso: chi in una libreria piena di libri, chi nell’alpinismo, chi nella Bibbia o in altre vetuste scritture. Ma ciò a cui dovremmo davvero fare attenzione è che come dice il famoso proverbio cinese: “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. E allora occhi aperti, perché il significato si nasconde, e potrebbe essere necessaria tutta la vita per scovarlo, ma è proprio per questo che vale la pena vivere.
Qualche volta vi sembrerà di essere vicini, altre molto lontani e potreste iniziare a perdere la speranza, ma non demordete, perché in fondo, anche quei bambini del libro, una cosa l’hanno capita.
Nessuno degli adulti ha spiegato loro cos’è il significato e decidono quindi di cercarselo da soli. “Piangevamo perché avevamo perduto qualcosa e trovato qualcos’altro. E perché è doloroso, sia perdere che trovare. E perché sapevamo che cosa avevamo perduto, ma non eravamo ancora capaci di definire a parole quello che avevamo trovato.” Che sia questo, dopotutto, il significato?