di Paolo Repetto, 30 aprile 2021, prefazione a Un’etica per taglie robuste, vol. VI di Opera omnia ed altri scritti, 2021
A differenza di molti ex-colleghi, non credo che l’aver insegnato per qualche anno Storia della Filosofia nei Licei dia diritto a fregiarsi del titolo di filosofo. Dirò di più: nemmeno credo che una qualifica del genere abbia un senso, che ci si possa insomma iscrivere ad un albo professionale dei filosofi come si fa con quello dei geometri o degli avvocati. Se uno mi si qualifica come filosofo mi viene spontaneo chiedergli: si, va bene, ma come ti guadagni la zuppa? In fondo la Filosofia non suppone una attività specifica, come può essere considerata quella di un imbianchino, di un ingegnere, di uno scienziato o di un insegnante, e persino quella di un calciatore, ma solo l’esercizio particolare, magari un po’ più intenso, di una pratica che almeno in teoria dovrebbe essere comune a tutti: porsi delle domande e darsi delle risposte, sia pure parziali. Ovvero, pensare.
Se il requisito per l’iscrizione al club fosse solo questo, allora si. Ho pensato parecchio, ponendomi molte domande, forse sin troppe, forse non sempre sensate: e qualche volta mi sono anche dato delle risposte, che in realtà erano poi solo nuove domande o un modo diverso di riformulare quelle vecchie. Non ho invece abbozzato un sistema originale di pensiero, pur senza abbracciarne alcuno di quelli preesistenti, e ciò mi esclude in automatico dal circolo hegeliano (nella sua opera più famosa, l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Hegel afferma che “ogni filosofia è necessariamente sistema”). Insomma, se la Filosofia fosse un partito politico non sarei un militante, ma al più un simpatizzante.
Ciò non mi ha impedito di avere qualche idea rispetto al mondo e a come gli uomini lo conoscono e lo vivono, nonché ai rapporti che instaurano tra di loro. Queste idee non sono nate da illuminazioni o rivelazioni improvvise: sono maturate nel tempo, si sono sviluppate attraverso esperienze di vita e di lettura, in qualche caso rafforzandosi, in altri tornando ad essere messe costantemente in discussione: senza comunque tradursi mai in ideologie. Voglio dire che non ho cercato di imporle agli altri: un po’, lo confesso, perché ne ero in qualche modo geloso, un po’ perché appunto avevo solo domande da trasmettere, e non risposte. Credo che queste ultime uno debba cercarsele da solo, nella coscienza che non saranno mai definitive, e che la vera risposta è appunto la costante ricerca.
Per questo col tempo ho modificato molte delle mie convinzioni, ma solo nel senso che oggi mi appaiono più chiare, o almeno sorrette da argomentazioni più solide. Nella sostanza sono rimasto a quelle cui ero pervenuto già a vent’anni. Ciò potrebbe sembrare – e probabilmente in parte lo è – un male. Nella vita è importante e necessario crescere, quindi sapersi aprire a nuove conoscenze, a nuove scoperte e a nuove suggestioni. Ma penso sia altrettanto importante che le domande sul come e sul perché dell’esistenza, e di conseguenza sugli atteggiamenti migliori per affrontarla, poggino su alcuni caposaldi sia conoscitivi che etici. Queste fondamenta saranno certamente condizionanti rispetto a tutto ciò che si andrà a costruire, ma se mancano si costruisce sul vuoto, ed è molto peggio.
Le mie idee sono sparse nelle migliaia di pagine che ho riempito per una morbosa coazione alla scrittura, soprattutto negli ultimi anni. Non sono tenute assieme da un progetto coerente ed esplicito, ma sono emerse di volta in volta dal confronto con situazioni o vicende apparentemente contingenti. E tuttavia una linea di continuità, o quanto meno di sviluppo, può essere rintracciata. Se sono ora tentato di raccoglierle è soprattutto per verificarne la reciproca compatibilità. Di fronte alle nuove evidenze e alle trasformazioni mie e del mondo che mi circonda potrebbero rivelarsi meno coerenti di quanto io creda: e se ciò accadesse non ne farei un dramma, ma quantomeno dovrei cercare di capire dove ho scartato di lato.
Confesso da subito che ho rispettato solo in minima parte quello che era l’ambizioso disegno iniziale, di procedere ad una sistemazione logica dei materiali .Avrei infatti voluto rispettare la distinzione convenzionale tra campi di interesse delle diverse discipline filosofiche, adottando quale criterio della compilazione lo schema elementare che parte dagli interrogativi classici: come conosciamo, cosa conosciamo, che ne facciamo della conoscenza. Ma non ho tardato a rendermi conto che la natura totalmente estemporanea e colloquiale degli scritti che mi trovavo tra le mani non me lo avrebbe consentito. Mi sono dunque limitato ad una raccolta “differenziata”, per quanto era possibile praticarla, procedendo per blocchi tematici. Confido che in questo modo un certo ordine interno, sempre che esista, finirà per emergere, o che chi avrà in mano questo libro saprà attribuirgliene uno. In fondo, la filosofia è ricerca, quindi fatica: e almeno quest’ultima, a chi vorrà affrontare queste pagine, la garantisco. Spero soltanto che il mancato guadagno in termini di conoscenza che gli offriranno sia in parte compensato da qualche briciola di divertimento.



