I romanzi gialli e gli autori inglesi (parte quinta)

L’assassino sale in cattedra

di Vittorio Righini, 29 ottobre 2024

Michael Innes è lo pseudonimo sotto il quale John Innes Mackintosh Stewart (nato a Edimburgo, nel 1906) ha pubblicato circa cinquanta storie gialle.

Il suo libro più noto, Death At the President’s Lodging (in italiano Morte nello Studio del Rettore, 300 pagine, edito da Polillo Editore nella troppo sottovalutata collana “I Bassotti”), che è anche il primo della serie poliziesca, lo scrisse mentre viaggiava nel 1935 in nave dall’Inghilterra all’Australia, dove si stava recando per prendere possesso della cattedra di inglese nella Università di Adelaide.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte quinta 03Perché parto subito in quarta? Perché questo libro, un giallo puro con un ispettore di Scotland Yard, con un assassinio e un’indagine, è di una complessità narrativa non indifferente; il tempo in nave non gli dev’essere mancato, per infilarci dentro tutti i particolari tipici del delitto ‘‘quasi’’ perfetto. La vicenda si svolge nell’immaginario College inglese di St Antony, dove di immaginario c’è solo il nome, perché l’ambiente è esattamente quello oxfordiano che Innes conosceva benissimo. L’uccisione di un anziano docente smuove le acque e porta a galla segreti, invidie e rivalità: per la scuola non è solo una tragedia, è la drammatica irruzione della volgarità in un ambiente che voleva credersi, e soprattutto apparire, immacolato. Il preside ne è sconvolto, mentre i colleghi del professor Umpleby (i sette sospettati) ne fanno un’occasione per gettarsi addosso l’un l’altro i sospetti e per confondere le idee dell’ispettore Appleby con falsi indizi e sotterfugi. Ma alla fine è l’ispettore, che inizialmente era piuttosto timoroso del confronto con tanta cultura accademica, a vincere nel gioco delle intelligenze e a dipanare la matassa. Il libro non è, tuttavia, un semplice esercizio intellettuale pretenzioso (lo avrei mollato subito), ma un racconto poliziesco ortodosso, anche se molto complesso e ingegnoso. Non nego che la lettura sia abbastanza complessa, e che in alcuni punti si avanzi a stento, ma l’ambientazione e i tempi della storia lo rendono comunque interessante. Il finale è giustificato da un percorso logico e perfettamente riconoscibile, pur nella baraonda generale creata dai vari indagati.

Non ho trovato altri libri del primo periodo di Innes tradotti (a meno che qualche vecchia edizione mi sia sfuggita); nel 1961 venne pubblicato Per quarantottore silenzio, nel 1974 Delitto ad Elvedon Court e nel 1976 Meglio erede che morto, ma sono opere minori.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte quinta 02Morte nello Studio del Rettore, pubblicato in Inghilterra nel 1936, conobbe subito un enorme successo di pubblico e di critica, e venne persino considerato all’epoca il miglior debutto di qualsiasi scrittore. Innes venne quindi immediatamente traghettato nell’olimpo dei giallisti. Scrisse circa un romanzo all’anno fino al 1986, ma il suo periodo migliore fu quello dal 1936 al 1940. In questi anni scrisse, dopo Morte nello Studio del Rettore, nel 1937 Hamlet, Revenge; nel 1938 Lament for a Maker; nel 1939 Stop Press. In una classifica dei migliori romanzi polizieschi inglesi del ‘900 tutti e quattro figurano tra i primi dieci, dietro solo ad Agatha Christie e a Dickson Carr. I successivi romanzi, tutti pubblicati sotto pseudonimo non furono al pari dei primi, ma raggiunsero la ragguardevole cifra di circa cinquanta libri, garantendogli una vita agiata e permettendogli comunque di esercitare la sua professione originaria.

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Innes fu infatti un professore universitario e un apprezzato critico letterario. Uomo di profonda cultura, aveva studiato a Edimburgo e a Oxford, poi si era trasferito appunto a Adelaide e dopo la seconda guerra era tornato in Inghilterra per insegnare inglese all’Università di Leeds e poi diventare l’equivalente di Fellow alla Christ Church University di Oxford (il termine Fellow, nelle università Oxfordiane, indica un membro interno di un College, con una posizione più elevata del professore ordinario. Qualcuno lo interpreta anche come ricercatore, ma è una posizione certo non paragonabile a quella dei ricercatori dei nostri Atenei – che sono sovente dei giovani laureati sfruttati e spremuti come limoni dai baroni delle cattedre).

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte quinta 06Scrisse a suo nome anche una ventina di romanzi di genere vario e sei opere di critica letteraria, su Joyce, Conrad, Shakespeare e altri eminenti scrittori inglesi: ma la sua fama rimane legata alla figura dell’Ispettore John Appleby (che nel corso degli anni si guadagnerà il titolo di Sir e diverrà il capo di Scotland Yard), poliziotto erudito, raffinato ed estremamente efficace. Nella sterminata galassia del giallo inglese il suo stile lo colloca nella scuola “donnish”, che vira sul fantastico e presenta numerose allusioni letterarie. Lui stesso definiva le sue come “opere di confine tra il racconto poliziesco e il fantasy; hanno un sapore un po’ letterario ma i loro valori rimangono quelli del melodramma e non della narrativa vera e propria”. E in effetti, pare le abbia sempre considerate soprattutto come pretesti per una prosa raffinata e per battute brillanti: il che, alla lunga, può diventare troppo scopertamente artificioso, e in definitiva noioso.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte quinta 07Cosa che non ho potuto constatare personalmente, perché ho letto solo Morte nello Studio del Rettore. E questo mi sento tranquillamente di segnalarlo perché è veramente un giallo all’inglese che più tipico non si può; la narrazione a volte è complessa al punto da confondere la mente del lettore, perché tra gli indagati (tutti Fellows, quindi menti complesse) succede un po’ di tutto, le divagazioni psicologiche sono frequenti: ma alla fine la trama sta comodamente in piedi.

Se però vi aspettate azione e colpi di scena, rivolgetevi altrove.

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I romanzi gialli e gli autori inglesi (parte quarta)

Maugham, l’agente inglese

di Vittorio Righini, 25 ottobre 2024

William Somerset Maugham è nato a Parigi nel 1874, ma, il padre, avvocato preposto all’ambasciata britannica nella capitale francese, fece in modo che la nascita venisse registrata nell’ambasciata, territorio appunto britannico. Questo per evitare al figlio una futura eventuale coscrizione nell’esercito francese, in caso di guerra (e la Francia di guerre ne ha sempre fatte molte). Ecco perché William nacque tecnicamente in Francia, e in Francia anche morì, a novantun anni, avendo scelto di trascorrere i suoi ultimi anni a Cap Ferrat, la perla della Cote d’Azur, ma risultò sempre inglese a tutti gli effetti.

Ebbe un’infanzia abbastanza complicata; perse infatti prematuramente entrambi i genitori, a due anni di distanza uno dall’altro, e venne affidato allo zio, Henry Maugham, Vicario di Whitstable, una persona rigida e formale, incapace di affetto. Peggio ancora fu il suo rapporto con le scuole inglesi: non parlava perfettamente l’inglese, perché la sua prima lingua era in effetti il francese, e veniva bullizzato dai compagni. Ne risentì a tal punto da mettersi a balbettare, e questo disturbo lo accompagno per tutta la vita, con alti e bassi a seconda delle situazioni e delle emozioni. L’insieme di queste esperienze formò in lui un carattere severo, critico e amaro, quello che avrebbe poi espresso nelle sue opere.

Cinque anni al Kings College di Londra, a studiare medicina, gli permisero di affrontare con maggiore conoscenza la vita da adulto. Gli diedero modo soprattutto di confrontarsi con una classe sociale inferiore alla sua, che finalmente lasciava libero corso a emozioni e sentimenti che lui non aveva mai potuto esprimere nella sua repressa adolescenza. Fu proprio la conoscenza e lo studio delle condizioni di vita del mondo piccolo borghese e operaio a determinare il successo del suo primo libro, Liza di Lambeth, pubblicato a ventitré anni, che narra di un adulterio ed è ambientato nei sobborghi operai della capitale. È un racconto molto realistico, basato su una vicenda che Maugham aveva conosciuto e seguito in prima persona. Visti i riscontri positivi, il nostro lasciò perdere la medicina e si dedicò totalmente alla scrittura.

Ma non siamo qui per parlare dei successi di Maugham nella letteratura del Novecento. Capolavori come Schiavo d’amore, Lo Scheletro nell’Armadio e La Luna e Sei Soldi sono ben noti ai più e non sono certo queste quattro righe a volerli riscoprire. È fuor di dubbio comunque che Maugham scriva divinamente, e se a volte i suoi racconti trasudano dolore e pessimismo e allontanano un certo tipo di lettore, restano letture impagabili.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte quarta 02Quello che conta, per la mia breve indagine sui giallisti figli della perfida Albione (o, come in questo caso, dell’Ambasciata della perfida Albione) è scrivere appunto dei loro racconti polizieschi o di spionaggio, e con William Somerset Maugham il mio compito è estremamente facilitato. Mi risulta infatti che lo splendido Ashenden, l’inglese (nella mia vecchia edizione Garzanti del 1966, mentre oggi è ristampato come Ashenden, o L’agente inglese) sia il suo unico romanzo del genere; e non è un giallo ma un romanzo di spionaggio.

È anche un romanzo d’ispirazione autobiografica, perché Maugham ricama su basi conosciute, cioè su fatti da lui vissuti durante il periodo in cui collaborò con il S.I.S., il Secret Intelligence Service inglese, tra i quali una lunga e complessa missione in Russia nel 1917, e altre più brevi.

Nella realtà, Maugham viene mandato dal S.I.S. in Svizzera, con la scusa della stesura di una commedia, per “curiosare” tra i vari agenti ed ex-agenti infiltrati che a quel tempo rendevano la tranquilla Confederazione un posto interessante. Lì si potevano raccogliere le più svariate informazioni, comprese le finte fughe di notizie fornite da agenti dediti al doppio gioco.

Maugham quindi riversa in Ashenden le doti di un tranquillo e distinto Gentleman inglese, curioso ma non troppo, attento quanto basta, riservato il necessario e ottimamente introdotto nel tessuto delle piccole città svizzere. Più complesso invece il viaggio in Russia del 1917, con un compito decisamente più impegnativo se non improbo (rallentare o fermare l’ascesa dei bolscevichi nel paese), ed incentrato su un lungo dialogo in treno con un viaggiatore americano, personaggio decisamente fuori dal normale, per quei luoghi e tempi.

Leggo un commento che dice che il libro “costituisce una lettura affascinate e irritante allo stesso tempo”. È vero, è affascinante per come è scritto, per la sua profondità d’indagine e per la sua chiarezza d’intenti. Irritante perché a volte è tortuoso come il passo dello Stelvio. Interessante una riflessione di Ashenden: “C’è una certa eleganza nello sprecare il tempo. Qualunque stupido può sprecare il denaro, ma quando si spreca il tempo si spreca qualcosa che non ha prezzo”. Varrebbe da sola a consigliare il libro, che si raccomanda comunque per la qualità della scrittura, incantevole per i miei gusti un po’ barocchi.

Lo si trova sul web o sui banchi dei mercatini della domenica a pochi euro, ma ne vale molti di più.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte quarta 03

I romanzi gialli e gli autori inglesi (parte terza)

di Vittorio Righini, 11 ottobre 2024

Prosegue la breve panoramica di giallisti inglesi dei quali ho letto qualche romanzo.

Oggi è la volta di Richard (Horatio Edgar) Wallace (Inghilterra, 1875 – Stati Uniti, 1932), noto come Edgar Wallace.

Il personaggio è notevole, paragonabile ad Arthur Conan Doyle e ad Agatha Christie: uno dei maggiori scrittori di romanzi gialli, almeno quantitativamente, con all’attivo oltre 150 lavori tra il 1905 e il 1932, ma noto anche come commediografo, giornalista, drammaturgo e sceneggiatore. Era un uomo pieno di luci e di ombre: facile ad entusiasmarsi come a cadere nella depressione, tutt’altro che ordinato nella gestione della propria vita, fumava 80 sigarette al giorno e beveva 40 tazze di tè (secondo me i biografi esagerano, ma dobbiamo fidarci di quel che troviamo, non potendolo chiedere a lui). Guadagnò moltissimo, ma spese ancor di più, e quando si spense era sommerso da una montagna di debiti. Vulcanico, iperattivo, geniale, scriveva un romanzo o una commedia in un week-end (e qui mi ricorda un altro come lui, il caro Simenon, gran fumatore e sciupafemmine).

Aveva iniziato come corrispondente estero nel 1898, raccontando la Guerra Boera sul Daily Mail. Per qualche anno campò dello stipendio di giornalista in Sud Africa, spendendo sempre più di quanto guadagnava, tanto che quando tornò in Inghilterra, nel 1902, aveva solo 12 scellini in tasca e una moglie a carico: ma aveva anche tante idee da sviluppare. Voleva intraprendere la carriera di romanziere, non per una vocazione irrinunciabile, ma per mettere a frutto economicamente l’innegabile facilità di scrittura e le esperienze che aveva maturato. Per campare dovette però affidarsi ancora per qualche tempo all’attività di corrispondente, e tra il 1904 e il 1905 raccontò la guerra russo-giapponese: occasione che gli fornì ulteriori spunti per i successivi romanzi.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte terza 02Il primo di questi, I Quattro Giusti, uscito nel 1905, conobbe subito un largo successo, e può essere considerato il prototipo degli odierni thriller. In Italia è stato tradotto solo nel 1930. Non va confuso con un altro successivo, della stessa serie, nel quale i Giusti erano diventati tre, con un percorso inverso a quello dei Tre Moschettieri. A questo romanzo ne seguirono comunque altri 174, ai quali vanno sommati 24 lavori teatrali e un numero indefinito di racconti, di articoli giornalistici e di soggetti cinematografici (Pare abbia avuto una parte importante anche nella stesura del copione del film King Kong). Una produzione a livelli industriali, e di qualità molto diseguale.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte terza 03Una caratteristica interessante dei suoi romanzi è che non sono collegati uno all’altro: non c’è un personaggio (un detective, un ispettore, un commissario) che funga da trait d’union tra i racconti: le ambientazioni sono le più varie immaginabili, e le vicende sono slegate l’una dall’altra. Le indagini vengono spesso risolte da poliziotti anonimi, ma evidentemente dotati di grande fiuto. L’unico detective che compare con una certa frequenza è Mr. J.G. Reeder, uomo dall’aspetto risibile ma dotato di una mente “criminale”, che fortunatamente è al servizio della Polizia.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte terza 04Nell’estate scorsa ho letto un paio di questi romanzi: Stanza n. 13 del 1924 e Moneta Falsa del 1927. Curiosamente, entrambi trattano di falsari, di riproduttori di banconote false (per i quali Edgar provava evidentemente una certa ammirazione, magari anche un po’ d’invidia – per uno scialacquatore come lui avrebbe potuto essere una soluzione). Il primo è una storia abbastanza leggera, non priva di originalità ma piuttosto forzata, soprattutto nel finale. L’ambiente è quello della malavita inglese, la vicenda verte sulla ricerca del falsario imprendibile, tra ricatti famigliari, storie d’amore, infinite bassezze e vari morti sparati: comunque accettabile.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte terza 05Il secondo romanzo è più interessante; nell’edizione inglese si intitola The Forger (Il Falsario), in quella italiana Moneta Falsa; non sarebbe stata difficile o sgradita la traduzione del titolo inglese, tutto sommato.

L’ho letto in una edizione del 1935, la prima, comparsa nei Gialli Classici, in un paio di sere: mi si sbriciolava tra le mani, sul lettone, con gran gioia di mia moglie … Il traduttore doveva evidentemente rispettare i dettami fascisti, niente nomi stranieri ma italiani: così ha trasformato i bei nomi inglesi come Basil, Peter e Jane a favore di Basilio, Piero e Gina. Ora, Basilio Bianchi, per fare un esempio generico, è un bel nome e cognome italiano, abbinato con gusto, ma Basilio Hale non lo è; Gina Leith o Jane Leith? Peter Clifton o Piero Clifton? a voi l’ardua sentenza, saggi lettori dei Viandanti. Saranno delle belinate, come si dice anche qui nell’Alto e nel Basso Monferrato, ma per me hanno un valore. La storia invece è più interessante della precedente, e viene dato molto risalto a una presenza femminile, finalmente; in questi gialli inglesi le donne non hanno quasi mai nessuna importanza, qui invece hanno il ruolo di protagoniste.

Non ne ho letti altri perché, a mio modesto parere, il livello dei lavori di Wallace è inferiore a quelli di altri, meno noti e acclamati. Le storie si dipanano con molti colpi di scena, il lettore non si annoia, anzi, fino al finale resta avvinto al testo, e non nascondo di aver apprezzato una certa originalità nelle storie che ho letto: ma poi i finali, almeno quelli di questi due romanzi, lasciano il tempo che trovano, del tipo “e vissero felici e contenti”. Le vicende sono abbastanza truculente, la violenza psicologica è insita in molte pagine, c’è una abbondanza perfino eccessiva di eventi, che mi fa pensare che questi romanzi siano più americani che inglesi (d’altronde Wallace lavorò molto negli Stati Uniti, per conciliare le sue altre occupazioni come commediografo, giornalista, drammaturgo e sceneggiatore). Per capirci, nel romanzo della Tey che ho recensito la volta scorsa non compare un’arma o un fatto di sangue in tutto il libro, ma le sequenze narrative sono appassionanti anche senza queste componenti.

Dare un giudizio su Wallace dopo averne letti solo due titoli è riduttivo, ma mi sembra, da quanto ho letto, che non ci sia un romanzo capolavoro, un “faro” che sovrasta gli altri. Come non ce n’è uno indecente. Insomma, prevale un livello costante di mediocrità, sia pure intelligente, che temo faccia in definitiva somigliare una all’altra le varie storie. Non era di questo genere di autori che volevo scrivere, quando ho cominciato, ma non ho ritenuto giusto saltare Wallace solo perché lo trovo meno intrigante di altri.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte terza 06

I romanzi gialli e gli autori inglesi (parte seconda)

di Vittorio Righini, 27 settembre 2024

Non avevo intenzione di accettare la richiesta di Paolo di fornire, con cadenza settimanale, i miei articoletti da quattro soldi ai Viandanti. Perché pur essendo scritti molto semplici, frutto della lettura di questi romanzi a me cari, logicamente mi portano via del tempo, e la voglia è quella che è; inoltre, non sono mica Bonelli, che con le strisce di Tex ci campava … Ma Paolo mi ha fatto un’offerta che non ho potuto rifiutare: mi ha offerto il doppio di prima (prima mi offriva 0, ora mi ha offerto 00, come la farina). Così, all’incirca ogni due o tre settimane, scriverò per i Viandanti dei brevi saggi (?) commentando un autore per volta.

Nel leggere la sua introduzione alla mia prima parte, garantisco che nessun lettore sano di mente “attenderà con ansia ma con disciplinata pazienza gli imprevedibili (insomma!) sviluppi”. Per fortuna che c’è quel “insomma!”; ma non escludo che qualche autore meno noto vi incuriosisca, e questo sarebbe già un grande successo.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte seconda 02

Vi racconto quindi brevemente di una tizia di nome Elizabeth Mackintosh, una scozzese nata a Inverness nel 1894, e morta a Londra nel 1952. Avendo un cognome comune nel nord della Scozia, e in base alle consuetudini dell’epoca, utilizzò uno pseudonimo: Josephine Tey (e in un paio di casi pure maschile, Gordon Daviot, pare per avere maggiore credibilità presso gli editori del tempo).

Figlia di un fruttivendolo e di una insegnante, crebbe a Inverness, che è una località che, ve lo posso garantire per esserci passato brevemente, non mi è sembrata il massimo della mondanità e della vita sociale, nel classico clima spesso freddo, grigio e piovoso del Nord della Scozia.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte seconda 03Dopo le scuole dell’obbligo studiò in vari Istituti scolastici in città più grandi e seguì la professione della madre; intorno ai 25 anni, complice il lungo periodo di assistenza sanitaria che dovette fornire alla madre, interruppe il lavoro e cominciò a scrivere romanzi gialli. A volte erano ispirati a fatti da lei vissuti in prima persona nel suo periodo di insegnamento, con ambientazioni assimilabili a quelle conosciute in quei tempi, oppure si trattava di fatti riportati da altri, sui quali la grande fantasia e la profonda cultura della Tey intervenivano con successo. Scrisse dal 1926 al 1952, anno della sua scomparsa.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte seconda 04In Miss Pym, pubblicato tardi in Italia (in Inghilterra come Miss Pym Disposes), la Tey assiste a un’incidente in palestra che poi utilizza come la causa di un decesso nel romanzo, e non prevede ancora la figura dell’Ispettore Alan Grant, futuro punto di riferimento. Il primo romanzo che le procura una certa notorietà è The Man in the Queue (L’uomo in Coda, uscito da noi negli Oscar Mondadori). Qui compare per la prima volta Grant, e il romanzo, benché sia un poliziesco del tutto anomalo, ottiene un ottimo successo di critica e invoglia la Tey a proseguire nella sua carriera.

La Tey, al contrario di quanto ho scritto per gli autori della puntata precedente, sembra presentare un tipo di romanzo che rivela caratteristiche non molto difformi da quelle del classico “giallo”. Quindi sto per contraddirmi, perché ci sono l’ispettore, il morto ammazzato, l’indagine, insomma, niente di nuovo. Invece i due romanzi precedenti hanno un impianto e un andamento diversi da quelli classici, risultando molto originali rispetto alla produzione del tempo. E nel 1951, l’anno prima della sua morte, dà alla stampa quello che ritengo il suo lavoro meglio riuscito: La figlia del tempo.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte seconda 05C’è sempre l’Ispettore Grant, ricoverato però in ospedale per una caduta in una botola (mentre inseguiva un ladro), con relative fratture e contusioni. L’avvio può sembrare quello di La finestra sul cortile di Cornell Woolrich, uscito nel 1942 col titolo Ithad to be murder a nome Wiliam Irish (uno degli pseudonimi dell’autore americano) e poi ripubblicato nel 1944 come Rear Window, e infine ben più noto per la versione cinematografica di Alfred Hitchcok, con la splendida Grace Kelly e il bravo James Stewart. Ma il parallelismo finisce lì, con l’incidente che obbliga James Stewart e l’Isp. Grant nel letto di casa il primo e in quello d’ospedale il secondo.

Nel romanzo della Tey non ci sono finestre da cui sbirciare il vicinato, ma solo libri da consultare e amici con cui condividere i dubbi e le certezze di una curiosa indagine nel passato. Un’amica gli porta una serie di ritratti comprati in una libreria, perché confida nell’abilità di Alan Grant nell’interpretare i volti, una caratteristica che non dovrebbe mancare a un buon Ispettore di Polizia, insomma un “occhio clinico” (si fa per dire …).

Un Grant annoiato, a volte burbero con le infermiere e innervosito dalla lunga degenza, in effetti si incuriosisce per i tratti del volto di Riccardo III, l’ultimo Plantageneto (che regnò sull’Inghilterra fino alla sconfitta nella battaglia di BosworthField del 22 agosto del 1485, a conclusione della lunga Guerra delle Due Rose).

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte seconda 06Alan Grant nota che l’aspetto di Riccardo III nella stampa non sembra quello di un mostro, capace di uccidere i suoi due nipotini, figli di suo fratello Edoardo morto in battaglia (al quale Riccardo tra l’altro era legatissimo) per evitare che possano subentrargli un giorno come regnanti. E in effetti, rileggendo vari libri nel periodo di degenza, si rende conto di alcune sviste nella narrazione storica, e della controversa figura di Tommaso Moro (Sir Thomas More, o per i cattolici San Tommaso Moro), che pur non essendo presente fisicamente in quegli anni (quando morì Riccardo III, Moro aveva 5 anni) fu un netto propagandista della teoria Tudor che vedeva in Riccardo III un uomo abbietto e meschino, limitandosi a riportare informazioni di seconda o terza mano.

Da qui si dipana tutta la storia, che non sto a ‘‘spoilerare’’ nel caso qualcuno volesse leggersi il libro. Non nascondo che per andare avanti nella lettura ho dovuto dare una bella ripassata alla storia inglese di quel periodo, ma male non mi ha fatto. Mi sono appassionato fino all’ultima pagina quasi come se ci fosse la tensione di un tipico romanzo giallo, sebbene tutto avvenga solo nella mente dell’Ispettore. Un’inchiesta poliziesca su un fatto avvenuto quasi 500 anni prima, fatta in un letto di ospedale, che mette in dubbio gli scritti di molti storici … se non è un giallo originale questo, non so quale altro lo possa essere.

I romanzi gialli e gli autori inglesi parte seconda 07 The Daughter of Time