I romanzi gialli e gli autori inglesi (parte prima)

di Vittorio Righini, 15 settembre 2024

Quando Vittorio ha proposto una serie di brevi interventi, scanditi nel tempo ma strettamente consequenziali, su uno stesso argomento (la fiction “giallistica” inglese di alto livello), mi sono detto: eccola qui, ci arrendiamo anche noi al modello seriale di Netflix. Poi ci ho riflettuto, e ho realizzato che sul nostro sito quel modello lo abbiamo anticipato da quel dì, esplicitamente, e che il proto-modello nostro semmai era debitore degli albi settimanali a fumetti degli anni Cinquanta, dalle strisce di Tex e de Il grande Blek alle saghe che comparivano su L’Intrepido, su Il Vittorioso e su Il Monello, nei quali ogni puntata terminava invariabilmente con un (continua). A volte quelle storie andavano avanti per mesi, e ti educavano ad attendere con ansia ma con disciplinata pazienza gli imprevedibili (insomma!) sviluppi. Sono convinto che il dilagare di femminicidi e delitti insensati sia legato anche alla scomparsa delle storie a puntate e al prevalere di quelle autoconclusive e dei tempi da telefilm (o addirittura da spot). Bene, attendo allora con pazienza le prossime puntate, con la speranza che rispettino la vecchia cadenza settimanale. (il commento di Vittorio ve lo risparmio, è prevedibile come l’uscita di Capitan Miki da ogni sorta di guaio) (P.R.).

Ho dedicato parte delle letture estive ai vecchi autori inglesi che scrissero romanzi gialli nel secolo scorso, ma non so esattamente che terminologia usare in queste che sono anche storie di spie, di oscuri processi, di complicate ricerche legali nel passato, di lunghi viaggi, insomma un guazzabuglio di argomenti che non so come indicare.

Il giallo, come tutti sanno, è (copio e incollo): ‘‘un popolare genere di narrativa di consumo nato verso la metà del XIX secolo e sviluppatosi nel Novecento’’. Fu Edgar A. Poe, si dice, il primo nel 1841, con I Delitti della Via Morgue, ambientato a Parigi. Romanzi osteggiati dagli amanti della letteratura pura, vennero però premiati dalla gente comune che li apprezzarono moltissimo e da allora si sono moltiplicati, come potete ben notare guardando in una vetrina di una qualunque libreria al giorno d’oggi. (A puro titolo di curiosità, ho letto che il primo romanzo giallo italiano fu Il mio cadavere di Francesco Mastriani, uscito nel 1852 per l’editore Rossi di Genova, e che già conteneva tutti gli ingredienti del buon giallo).

Io in questa torrida (sebbene decorosamente piovosa) estate ho letto romanzi di Eric Ambler, Somerset Maugham, Graham Greene e altri. E tra questi romanzi, di gialli veri e propri (che so, il commissario, il morto ammazzato, il medico legale …) ne ho trovati proprio pochi. Per questo motivo vorrei analizzare, un poco alla volta, gli autori che ho letto (o riletto) recentemente.

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Cominciamo dal primo autore, Eric Ambler, Londra, 1909 – 1998.

Parto dal libro più semplice, Topkapi – la luce del giorno perché mi è piaciuto tantissimo; avevo visto il film del 1964 alcune ere geologiche fa, con Melina Mercouri, Peter Ustinov e Maximilian Schell, ma il libro è sempre il libro; la narrazione parla di Atene e Istanbul, e questo per me è già un must, e la figura di Arthur Simpson (uno stordito ladruncolo e trafficone inglese che vive di espedienti e trucchi ad Atene, di padre inglese e madre egiziana, sempre alla ricerca di un passaporto che sia l’Inghilterra che l’Egitto gli negano per i suoi precedenti truffaldini), mi ha veramente rallegrato. Graham Greene deve aver studiato a memoria questo personaggio, perché Il Console Onorario gli deve molto … o viceversa? Vedremo …

La storia in sé non è trascendentale, ma scorre agevolmente, e se pensiamo che è ambientata nei primi anni Sessanta del Novecento, è certamente moderna e audace, ma non è la sua opera prima.

Molto più interessante e apprezzato in tutto il mondo, sempre di Ambler, La Maschera di Dimitrios, pubblicato nel 1939. Questa è una vera storia di spie, ma depurata dalle raffinatezze di certi autori; la storia è nuda e cruda, complessa, violenta e sporca, e si svolge tra Atene, Istanbul, Parigi, Smirne e la Bulgaria. Ricca di colpi di scena intelligenti, non facili semplificazioni, porta il lettore fino alla fine all’oscuro di quel che potrà succedere. Anche questo non è giallo, lo definisco una storia di spie ma siamo al limite dell’interpretazione, ed è vero che è il capolavoro di Ambler.

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Ho poi letto Il caso Schirmer, del 1953, che definirei un legal thriller ante litteram, in riferimento alla moda degli ultimi anni di infilare avvocati d’ogni genere nei romanzi. Qui le componenti sono un’eredità, un morto del 1806 e la ricerca degli introvabili eredi, tramite un attento avvocato che 150 anni dopo la morte del de cuius fa un gran viaggio alla ricerca di notizie utili al suo compito. Non è trascinante né noioso, è solo un po’ lento ma, anche in questo caso, molto ben scritto e i personaggi sono curatissimi.

Facile e scorrevole Una sporca storia, che ho finito non tanto per la storia in sé, ma perché ricompare un sempre più stolto Arthur Simpson che, alla ricerca di un passaporto, si infila in una storia abbastanza improbabile. Difficile invece per i miei gusti Il Processo Deltchev, perché sembra più un articolo giornalistico freddo e impersonale che il racconto di un complicatissimo processo. Comunque, è difficile abbandonare un libro di Ambler una volta cominciato; anche senza essere notevole, lo si porta sempre alla fine, cosa che ultimamente non mi riesce con tutti i libri che affronto …

Ambler ha scritto molti altri romanzi, mi sono ripromesso di leggere il primo, La frontiera proibita, del 1936, e Dottor Frigo, del 1958, che, al contrario di Topkapi, presenta un personaggio molto simile a quello di Il Nostro Agente all’Avana di Greene; qui si tratta di capire chi si ispira a chi …

Ma ne scriveremo alla prossima puntata …